la chiesa al servizio di dio e dell`umanitá del nostro tempo

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LA CHIESA AL SERVIZIO DI DIO E DELL’UMANITÁ DEL NOSTRO TEMPO
COME MAI QUESTO TEMA FA PARTE DELLA TF?
L’immagine di Dio va aggiornata per poter comunicare Dio oggi, all’uomo. Dio non cambia, è
sempre lo stesso, ma il modo di conoscerlo e presentarlo può essere diverso. La Denzinger
Teologhie non è così più sufficiente, perché se il dogma è importante, non ha più senso ripeterlo
senza tener conto del mondo, perché fa della teologia una cosa arcaica e anacronistica.
Se si parte da 1 Pt 3,15 viene da chiedersi quale sia il legame tra Chiesa e giustificazione della fede.
La Chiesa appartiene infatti alla dogmatica, ma qui non si tratta tanto di fare ecclesiologia e poi
perché prima del Vaticano II la Chiesa, come trattato, faceva parte dell’apologetica?
La Teologia Fondamentale tenta di giustificare la fede ed è nata in epoca moderna, perché solo in
quest’epoca si è avuta la divisione tra fede e ragione e ciò ha portato anche all’analysis fidei, del
tentativo di fondare la fede e per tentare di difendere la razionalità dell’atto di fede, per far vedere
come esso possa essere posto in modo onesto, senza scadere però in esagerate razionalizzazioni. La
fondazione della fede è così sempre stata la croce dei teologi, perché non si doveva scadere nel
fideismo, né nel razionalismo. Per trovare una buona via si è iniziato a distinguere tra il vero
fondamento della fede ed il motivo della fede, da cogliere nella fede stessa e mostrandone il motivo
di credibilità. La Teologia fondamentale è andata assumendo dunque un triplice compito: l’analisi
della Rivelazione, della fede e di ciò che sta in mezzo, della loro credibilità/giustificazione. Quali
sono dunque i segni di questa credibilità? Per il Vaticano I tre: miracoli, profezie e Chiesa. Nel
Vaticano II i primi due sono quasi spariti (e se ci sono non è per la GF) ed è rimasto solo il terzo,
tanto che la Chiesa viene spesso vista come segno, simbolo, sacramento. Segni principali di
credibilità sono dunque visti in Gesù Cristo e nella sua Chiesa, ma in che modo la Chiesa è segno di
credibilità? L’intenzione di questo corso è vedere proprio questo.
La via apologetica tradizionale proponeva miracoli e profezie per far vedere che nella Rivelazione
entrava in gioco qualcosa di sovrumano. Ciò era considerato però troppo estrinsecista e così prese
piede anche l’apologetica dell’immanenza, che partiva da motivi intrinseci all’uomo, che portavano
il soggetto ad essere disponibile alla fede e che mostrava come essa rispondesse a questi motivi. La
terza via più “empirica”, consacrata dalla Dei Filius, vedeva invece la chiesa cattolica come motivo
di credibilità, come signum levatum in nationes, segno che però non era visto come rimandante a
Gesù, ma che era visto come grande e perenne motivo di credibilità ed irrefragabile testimonianza,
elevato da Dio, a causa della sua ammirabile propagazione, della sua eminente santità, della sua
inesausta fecondità in ogni bene, dello spettacolo della sua unità e della sua incrollabile stabilità, è
un grande, perenne motivo di credibilità ed una irrefragabile testimonianza della sua missione
divina. Perciò in fondo il motivo di credibilità era il trionfalismo della Chiesa.
Nel tentativo odierno di giustificazione della fede, tutti e tre questi metodi fanno la loro difficoltà,
perché: la Chiesa è ormai più un impedimento che un aiuto, il secondo è troppo astratto ed il primo
è inutilizzabile dopo la critica di Lessing, che fa vedere come ogni certezza storica sia contingente,
accidentale e casuale e il soggetto non può sperimentarli personalmente. Alla fin fine dunque la
Chiesa è forse l’unico segno percorribile e decisivo nel tentativo di giustificare la fede ed è così
molto importante la riforma della Chiesa e della vita dei cristiani. Scopo di questo corso è vedere
come la Chiesa può essere veramente un segno di Cristo oggi, in un mondo secolarizzato.
Quale immagine di Chiesa abbiamo? Come si presenta al mondo d’oggi?
Chiesa – Gesù Cristo – Spirito Santo
La fede cristiana è collegata all’evento Gesù Cristo e qualsiasi discorso teologico staccato da questo
evento sarebbe meno cristiano, meno credibile. Certo poi c’è anche una trasmissione di questo
evento fondatore ed in questo processo, un posto centrale ce l’ha la comunità cristiana, la Chiesa.
Questi due elementi non si possono staccare e la Chiesa (cf Rm 10,14) non è tanto qualcosa di
ideale, un’idea astratta, ma una comunità concreta, visibile, sorretta dallo Spirito di Cristo. Per
questo la Chiesa non può essere statica e deve essere continuamente scossa, dinamizzata, resa viva
proprio dalla potenza dello Spirito, che è il protagonista della Tradizione. Così anche le eventuali
critiche che si muoveranno in questo corso alla Chiesa, non sono per liquidarla, ma per rafforzarla
nella fedeltà e nell’onestà. Essa è infatti sacramento, la sua realtà è l’essere segno e così qualsiasi
elemento della sua dottrina e della morale, che non esistono per sé stessi, ma per Gesù Cristo e in
riferimento a Lui ed è proprio questo che caratterizza la sua provvisorietà. Lo Spirito è dunque
l’azione di Gesù nella storia e la Chiesa è il luogo e lo strumento concreto in cui esso opera.
L’ecclesiologia deve così essere in funzione della pneumatologia e non il contrario! Una chiesa che
poggi solo su sé stessa, sarà guardata principalmente nell’ottica politica, giuridica, sociologica ed il
Vangelo e lo Spirito diventano un possesso della Chiesa, sono un suo possesso ed agiscono secondo
le sue leggi!!! Ma questo tipo di ecclesiologie è immune da qualsiasi possibile questione, è un
sistema chiuso che invece di essere docile allo Spirito, lo addomestica e Dio viene visto
impossibilitato ad agire al di fuori della Chiesa. Ma dire che la Chiesa è il sacramento della salvezza
è cosa ben diversa dal dire che fuori dalla Chiesa non c’è salvezza, come dire che Dio è amore è
cosa diversa dal dire che l’amore è Dio! L’ecclesiologia dipende dunque dalla pneumatologia, la
Chiesa è un avvenimento, è laddove la realtà di Gesù è resa attuale, e come tale è evento attuale e
pertinente per il mondo d’oggi. Chi dà dunque l’identità alla Chiesa? La struttura istituzionale? No,
Gesù Cristo. La Chiesa non è infatti un oggetto di fede alla stregua del Padre, del Figlio e dello
Spirito Santo, è un oggetto di fede relato ad essi e totalmente dipendente da essi.
Chiesa e mondo
Ma così come si può parlare di cristiano anonimo, si può parlare di una chiesa non manifestata,
esistente in modo latente? Il vescovo anglicano Robinson ne parla, e dice che è lì dove si trova il
Cristo nascente ed anche per questo la Chiesa deve imparare ad essere accogliente, non solo con chi
vuole entrare, ma con tutti! La Chiesa nella sua essenza deve essere una comunità accogliente,
anche nei confronti di chi la nega e di chi la odia, pronta ad incontrare gli uomini dove sono e come
sono. Essa infatti non è solo per i santi, o per i battezzati, ma essendo di Gesù, del Dio incarnato, è
per tutti! Se fosse solo per i battezzati, l’incarnazione non avrebbe valore! Così come Cristo è
venuto non per i sani, ma per i peccatori, come può la Chiesa, oggi, vivere questa missione? Come
può presentarsi come comunità di Cristo al mondo? La Chiesa infatti è vista come congregazione
dei fedeli, come predicatrice della pura parola e come amministratrice dei sacramenti, ma è solo
questo? Non è in fondo la stessa cosa dell’essere una setta, un club? Il modello infatti che essa
propone è quello di tre cerchi concentrici, in cui al centro c’è Gesù, poi la Chiesa e poi il mondo,
ma in questo modo più la Chiesa è “spessa” e più la gente è distante dalla Chiesa, più è distante da
Gesù Cristo … è proprio così?! Ricordiamoci sempre Mt 25! Ok, Cristo è al centro della Chiesa, ma
perché non può essere anche al centro delle tenebre? Dove sta Cristo? Dove si è fatto uomo?
Spesso ci lamentiamo dell’irrilevanza del messaggio cristiano, ma questo è sempre stato così, come
comunicare dunque il messaggio cristiano? Come dirlo agli uomini di oggi? Come predicare che
Gesù Cristo sia rilevante ancora oggi per molte persone? E se non è così, quali sono le cause?
Spesso è proprio la nostra teologia, il nostro parlare di Dio e il nostro modo di vivere, che rischia di
rendere il cristianesimo irrilevante e superfluo. Ma dove sta la parola incarnata, nei nostri grandi
discorsi, nelle nostre numerose parole? La parola di Dio è stata parlata nella carne! Tillich dice
infatti che la ragione principale per cui gli uomini non ascoltano il messaggio cristiano, non è la sua
impotenza o la sua non intelligibilità, ma la disumanizzazione dell’uomo-Cristo, una Parola troppo
disincarnata, astratta che è diventata solo dogmi e parole e che riduce l’uomo al sabato, ai principi.
Certa teologia che continua su questo piano, continua ad opporsi all’incarnazione di Gesù, alla sua
venuta nel mondo. Questo è di sicuro uno dei motivi dell’irrilevanza della predicazione cristiana,
vista la sua incapacità dare risposte agli interrogativi dell’uomo d’oggi, ai suoi aneliti di liberazione.
Compito della Chiesa è far incontrare Cristo agli uomini, laddove essi sono, come in Gesù Dio si è
fatto vicino agli uomini laddove essi erano e li ha aiutati a trovare Dio a partire dalla loro realtà.
Proprio per questo la Chiesa prima ancora di rifiutare il mondo, deve cercare di rispettarlo e non ha
senso una Chiesa che evangelizzi solo per portare la gente a sé: Gesù non ha fatto così!
1. IMMAGINE DELLA CHIESA FINO AL VATICANO II
Qual è dunque l’immagine di Chiesa che abbiamo? Di realtà Chiusa o aperta? E che conseguenze ha
quest’immagine sull’ecclesiologia? Quale immagine offre al mondo? Dopo la Riforma Protestante
la Chiesa veniva vista come un gruppo che si riunisce e che scomunica e quindi è vista nel suo
costituirsi fuori dal mondo, comunità di eletti separati da un mondo visto come cattivo e quindi
organizzata istituzionalmente e visibilmente, contro di esso. Il Concilio Vaticano II fa perdere
all’istituzionalità della Chiesa gran parte del suo peso, perché non è più ciò che è visibile il
fondamento, ma il mistero della Chiesa da manifestare e anche come istituzione, la gerarchia è
comunque subordinata all’essere Popolo di Dio. Così non c’è visione dualistica, ma la Chiesa è per
il mondo. Più perde peso la Chiesa come “istituzione”, più ne prende il suo essere “segno”; più
perde il suo senso di autoreferenzialità, più aumenta il comprendersi nell’orizzonte della relazione
con il mistero e in una visione sacramentale. L’organizzazione sociale della Chiesa è infatti al
servizio dello Spirito di Cristo che non è solo l’anima della Chiesa, ma la costituisce. E notare che,
in quest’ottica, la Chiesa non esiste per Dio, ma per gli uomini!
Uno sguardo alle immagini della Chiesa nella storia
È utile a questo punto guardare alle immagini della Chiesa nella storia, per vedere come questo
segno è stato presentato ed è stato letto, per farsi una coscienza storica e poter poi criticare. In ogni
epoca c’è una coscienza ecclesiale collettiva, perché da buon soggetto di fede, essa ha coscienza di
sé stessa e la esprime. È dunque importante vedere in ogni periodo: cosa dice la Chiesa di sé stessa;
cosa il mondo dice della Chiesa; cosa la Chiesa dice del mondo. Facendo attenzione in tutto ciò a
vedere quale è l’immagine ideale della Chiesa, quale quella esistenziale e quale quella concreta. La
nostra lettura sarà dunque parziale, perché guarderemo solo l’aspetto storico, come si presenta.
Fino al XIX secolo …
Prima non esisteva un trattato proprio della Chiesa, ma essa era trattata insieme al De Gratia e al De
Sacramenti. Perché? Per alcuni perché era difficile parlarne con i concetti teologici del tempo e per
altri per mancanza di attacchi diretti contro la Chiesa. Congar dice che ciò era legato al fatto che la
Chiesa penetrava in modo così spontaneo e totalizzante la vita del cristianesimo, che non c’era
bisogno di ragionarci sopra. Va poi notato che i canonisti erano onnipresenti nella vita della Chiesa,
e che essi tendono normalmente a dare una visione solo istituzionale della Chiesa.
Ecco così che i primi trattati sulla Chiesa sono di carattere giurisdizionale e trattano del “potere”.
Ciò si acutizza ancor più nel ‘600 con la voglia di indipendenza della Chiesa francese, querelle che
porta al primo trattato in difesa della potestà giuridica del papato: anche questo difensivo.
La chiesa post-tridentina va così sempre più rafforzando il suo piano istituzionale, aiutata anche
dall’ecclesiologia apologetica, che, anche in seguito ai continui attacchi contro l’autorità, più che
ecclesiologia era gerarcologia/papologia, continuando così però a difendere un’immagine
istituzionale della Chiesa. Ma perché e come è l’ecclesiologia è entrata nella apologetica?
L’apologetica si dava due compiti: legittimare razionalmente e difendere la teologia; presentare una
gnoseologia teologica previa alla prova dogmatica. In quest’ottica, l’esistenza della Chiesa e la sua
missione divina, vengono viste come criterio autentico e infallibile del depositum fidei, ma
diventando l’apologetica sempre più la disciplina propedeutica dei preambula fidei, la Chiesa
interessava qui in quanto istituzione divina. Ecco perché allora i trattati ecclesiologico/apologetici,
perché si doveva fondare il credo ecclesiale nella sua possibilità di interpretazione infallibile del
depositum fidei. Essa non è infatti vista come objecto formale, ma come conditio fidei, condizione
per credere alla Rivelazione di Dio. Dio che deve essere garante oltre alla Rivelazione anche
dell’autenticità dello strumento di interpretazione e di trasmissione, del testimone, della Chiesa.
Così nei primi trattati la Chiesa, nella sua dimensione orizzontale, è vista come Maestra autentica ed
infallibile nella trasmissione della Rivelazione. Essa è una società giuridicamente definita, con una
regola ferma, un criterio infallibile ed una norma sicura. L’ecclesiologia ultra-montana sarà tutta
orientata a difendere una visione monarchico-papale. La Chiesa è vista però anche come Madre, che
da certezze nell’incertezza e a cui si deve obbedire. Cristo è visto come fondatore e lo Spirito come
garante delle decisioni infallibili del Magistero.
Nel Concilio Vaticano I
Il redattore del primo schema fu Schrader, che presentò la Chiesa come Corpo mistico di Cristo nel
senso paolino e quindi partendo dall’ottica di mistero. Egli motivava questa scelta così: frequente
uso nelle Scritture; ordinata metodologicamente, soprattutto nel punto di partenza; corregge le
esagerazioni dell’ecclesiologia della Controriforma, per far vedere ai protestanti che anche i
cattolici non vedono la Chiesa solo come una realtà sociale; priorità ontologica dell’aspetto
soprannaturale e misterico, rispetto a quella secondaria, ma necessaria, delle strutture visibili;
convenienza pastorale, perché la situazione storica era cambiata. La visione sacramentale e
cristocentrica di Shrader fu però rifiutata per i seguenti motivi: l’immagine era vista come troppo
oscura, imprecisa e metafisica; si deve partire da ciò che si vede; troppa interiorità protestantizza la
Chiesa Cattolica o la rende giansenista. Ma si sa che le idee chiedono tempo per maturare!
Così lo schema II, propone la classica idea di Chiesa come societas perfecta, e la parola chiave qui
è “le cose visibili”. Con poche correzioni si arriva alla Pastor Aeternus, in cui il papato è visto come
perno di questa visibilità. Vediamo alcuni tratti di questa costituzione:
- Il tema dell’autorità di Dio nella Rivelazione e di quella docente del Magistero.
- L’importanza dell’istituzione e dell’aspetto sociale della Chiesa, che è interprete autentica
della fede cristiana. L’istituzione, nella sua forma monarchica, passa così ufficialmente al
primo posto e si consacra un’eccclesiologia estrinsecista ed apologetica, basata su elementi
accessibili alla nostra esperienza empirica.
Fino agli anni ‘40
Il mito dell’istituzione influisce anche sull’interpretazione della realtà “Chiesa”. I ministri sacri
sono visti come i ministri degli altri stati, ma per amministrare la salvezza, sono impiegati al
servizio della Chiesa, che è vista come una mega burocrazia il cui capo è il papa. La visione
esclusivamente piramidale è così dominante nei manuali del tempo, che dimenticano le strutture
comuni a tutti i credenti. I laici sono visti in alternativa ai ministri, e comunque devono stare
sottomessi ed obbedire a loro. La Chiesa è vista dunque come troppo clericale, anche perché i
ministri sono visti fuori e sopra la comunità dei credenti, dimenticandosi che la Chiesa è la
congregazione di tutti coloro che sono rigenerati in Cristo.
La declericalizzazione dell’immagine della Chiesa non verrà però dalla teologia, ma dal magistero:
Leone XIII stimola il laicato ad aiutare la gerarchia; Pio X diffonde l’attività sacramentale tra i laici;
Pio XI costituisce l’AC nel 1925 ecc. Questi interventi ed altri elementi contribuiscono alla rinascita
del sensus ecclesiae, in generale si assiste ad un risveglio del senso religioso della Chiesa. Risveglio
che è accompagnato dalla moda di parlare della Chiesa come Corpo Mistico di Cristo per tanti
motivi: forte orientamento cristocentrico ed importante relazione tra Capo e membra; l’aspetto
sacramentale dell’immagine, fortemente legata al corpo di Cristo eucaristico, e che fa della Chiesa
un’epifania sacramentale di Cristo e della sua opera di salvezza nel mondo; parziale recupero della
dimensione pneumatologica, in quanto lo Spirito è visto come l’anima. Si capisce insomma che tra
cristologia, pneumatologia, sacramentarla ed ecclesiologia, ci sono notevoli legami.
In questo periodo sono dunque forti nella Chiesa le immagini di “società perfetta” e di “Corpo di
Cristo”, viste come escludentesi a vicenda. La prima infatti accentuava l’aspetto sociologico,
dimenticando però molti aspetti essenziali della Chiesa, la seconda quello misterico, che rischiava
di portare però ad un’eccessiva divinizzazione della Chiesa, ad un biologismo spirituale. Come
collegare questi due aspetti? Come legare la visibilità con l’invisibilità, l’istituzione con il mistero,
che fino ad allora erano state dissociate? E si arriva così al 29 giugno 1943.
Chiesa come Corpo Mistico di Cristo
In questa data Pio XII edita la Mystici Corporis, in cui afferma l’unione tra membra e Capo e come
lo Spirito che “gira” in entrambi sia lo stesso e quindi la forza della Chiesa è carismatica! Pio XII ci
prova a risolvere il problema, ma il “Corpo” che egli intendeva era troppo corporativo, inteso in
senso troppo sociale, visibile e gerarchico, non in senso metaforico, ma in senso reale; tanto che
aveva cercato di attenuare ciò con “mistico” per dire la differenza tra corpo fisico di Cristo e corpo
ecclesiale e per dare la possibilità anche a chi era fuori della Chiesa di appartenere ad essa, di
esservi ordinato. Va poi fatto notare che qui il mistero è visto molto diversamente da come sarà
visto nel Vaticano II, perché qui è solo per riaffermare l’importanza ed il primato del papato (n°4041). L’immagine di Corpo di Cristo è poi usata qui in maniera troppo corporativa e meno legata al
Corpo Pasquale di Cristo. Queste unilateralità resero possibili certe interpretazioni massimalistiche,
che resero necessari degli interventi da Roma circa la salvezza all’esterno della Chiesa.
Chiesa come Societas Perfecta
La categoria di “società perfetta” è stata consacrata da Leone XIII nella Immortale Dei del 1885.
Per comprendere bene questo testo si deve ricordare nel Medio Evo Chiesa e Stato, Sacerdozio e
Impero, erano due parti di un’unica realtà sociale, la res publica christiana, anche se il rapporto tra
le due anime era sempre problematico. Verso la fine del Medio Evo la visione unitaria di questa
società viene però meno, a causa del frazionamento dell’Europa e della nascita degli stati nazionali,
che portano anche al dualismo dei due aspetti. Così la Chiesa Cattolica del XVIII secolo ha avuto
molti problemi con le autorità secolari che andavano contro di lei, invadendo il suo campo, e contro
lo stato pontificio. Sono nate infatti anche le Chiesa nazionali, che erano controllate dallo Stato e
che erano viste come suo collegium. Questa idea inizia a farsi largo anche nella Chiesa Cattolica in
seguito a movimenti quali la Rivoluzione Francese, il gallicanesimo, il febronianismo, il
giuseppinismo, il kulturkampf ecc. che contestavano la potestà della Chiesa e tendevano a diminuire
il potere di Roma, per aumentare il loro potere sulle Chiese di Stato locali.
In questo contesto incandescente nasce il concetto di Chiesa come “società perfetta”, perchè si
vuole intendere l’autosufficienza e l’autonomia della Chiesa, che ha tutti i mezzi per raggiungere il
suo nobile fine. Essa nasce però in campo canonistico, contro il concetto dei canonisti protestanti di
“collegio” ed è rinforzata dai teologi apologisti che insistevano su come Gesù avesse fondato la
Chiesa come società gerarchica e monarchica. La teologia soggiacente a questa categoria era
dunque ideologica, volta a dimostrare l’indipendenza della Chiesa dall’interferenza civile. Se il
motivo è nobile, si fa però l’errore di usare termini politici per descrivere l’essenza della Chiesa!
2. IMMAGINE DELLA CHIESA NEL VATICANO II
I documenti che parlano direttamente della Chiesa sono essenzialmente due: la Lumen Gentium, per
quanto riguarda la Chiesa ad intra, e la Gaudium et Spes, per quanto riguarda la Chiesa ad extra,
nel suo rapporto con il mondo. Nella lettura bisogna sempre ricordarsi di questo diverso contesto!
Lumen Gentium
La prima bozza, stesa da Tromp, iniziava con un capitolo sulla Chiesa militante, ma fu respinta per
il motivo opposto al Vaticano I: si voleva partire dal vedere la Chiesa come mistero. Così si prepara
lo schema che parta da ciò, offrendo delle immagini per formarsi qualche idea sulla Chiesa, che più
che definirla cercano di tratteggiarla. Caratteristiche:
 È molto importante che si parta da Cristo, che è La Luce delle Genti. La Chiesa è presentata
come mistero/sacramento della salvezza, che per Kasper è una delle idee più importanti del
Concilio. Ciò porta l’istituzione a perdere un po’ del suo peso, perché non è più il centro o il
fondamento, ma una manifestazione del mistero della Chiesa ed una sua garanzia. Inoltre il
primo posto della “visibilità” è dato al Popolo di Dio. La Chiesa, ogni suo componente ed
ogni suo elemento è dunque visto come segno teologico. (LG 1-4)
 Corpo mistico di Cristo. I credenti si uniscono in modo misterioso a Cristo sofferente e
glorioso ed il protagonista in questa relazione/unione è lo Spirito Santo, non il Magistero! Al
primo posto c’è dunque Cristo e poi la Chiesa, in cui Lui dispensa i doni (cf LG 7).
 Il sacerdozio comune dei fedeli (LG 16). Tutti sono chiamati alla cattolica unità del popolo
di Dio, che prefigura l’unità del genere umano, e dunque tutti sono variamente ordinati al
popolo di Dio: già qui si vede un legame implicito tra Chiesa e mondo.
Vediamo il rapporto tra Chiesa e mondo nella LG:
 Chiesa come “veluti” sacramento, perché ‘sto “in qualche modo”? Perché è segno e
strumento dell’intima comunione con Dio e dell’unità del genere umano. Dunque la
comunità dei discepoli di Cristo deve realizzare e visibilizzare ciò ed ogni cristiano in questo
compito ha la sua responsabilità.
 Missione di annunciare ed instaurare il Regno di Dio, di cui essa è germe ed inizio. Ora la
funzione del Regno di Dio è quella di salvare tutti gli uomini, dunque la Chiesa deve vivere
secondo questa identità che le è costitutiva e di cui è responsabile. (cf LG 5)
 Opzione preferenziale verso i bisognosi (cf LG 8).
 Chiesa come strumento della salvezza di tutti. Il popolo di Dio non è staccato dal mondo, ma
ha senso solo nel mondo, è strumento di redenzione per tutti, è universale non solo
geograficamente, ma anche temporalmente (cf LG 9)
Gaudium et Spes
Va subito notato che, se prima si parlava solo dei diritti che la Chiesa aveva di fronte al mondo, ora
si parla anche di doveri, perché non ha senso vedere la Chiesa fuori del mondo od opposta ad esso.
Come vede questo documento, la missione della Chiesa degli uomini di oggi?
 Più che di Chiesa per il popolo, essa parla di Chiesa del popolo, perché essa è una comunità
di uomini e di donne come gli altri e quindi è intimamente solidale con il genere umano:
nessuno nasce cristiano, ma nasciamo uomini e donne. Gesù è venuto per salvare tutti e non
per eleggere o selezionare qualcuno. L’incarnazione non ha infatti valore se tutti fossimo
santi! Lui è entrato nella storia e così anche la Chiesa ci deve entrare, o meglio, stare. La
Chiesa ha ricevuto la Buona Novella di Salvezza che deve comunicare a tutti, dare al
mondo, non tenere per sé, altrimenti morirebbe. Se ci si richiude solo sulla propria salvezza,
si nega il mondo, ma si nega anche la propria identità di cristiani, perché chi ama la propria
vita la perderà e chi la perderà per causa di Gesù e del suo Vangelo la troverà!
 Dialogare con il mondo sui vari problemi, sotto l’ispirazione del fondatore (cf GS 3), per
mettere a disposizione del genere umano, le energie di salvezza che ci sono state donate: la
Chiesa Cattolica non esiste per sé stessa, esiste per salvare gli altri, anche coloro che le sono
nemici, altrimenti non è Chiesa cristiana! È quindi importante il dialogo con tutti.
 Discernimento dei segni dei tempi (cf GS 4). Ogni generazione ha i suoi segni e non ce ne
sono di definitivi. Per essere intonati sul momento storico in cui si vive, li si deve capire!
 La finalità e la missione della Chiesa (cf GS 40) è salvifica ed escatologica, perché sarà
raggiunta pienamente solo nel futuro. Ciò sarà ipostatizzato da Metz nel concetto di “riserva
escatologica”. Gli uomini sono però già chiamati a formare una famiglia umana, bisogna
lavorare comunque per il Regno, che ha però un orizzonte molto ampio ed ogni
realizzazione è sempre temporanea, relativa, e la Chiesa stessa non può mai e non deve
sostituire Dio! Nella storia si va realizzando l’umanità, il Regno di Dio, perché Dio agisce
nella storia e la crescita di questo più che quantitativa è qualitativa. E si noti bene che la
famiglia di Dio è tutta l’umanità: il Dio dei cristiani non è di una tribù o di una nazione,
bisogna fare attenzione ad evitare i falsi dualismi. La Chiesa non può neanche rimanere nel
“religioso”, ma deve comunque includere tutto nell’orizzonte della salvezza.
 Chiesa pronta a servire l’umanità.
Sintetizzando si può dire che, per il Concilio Vaticano II, la missione fondamentale della Chiesa
consiste nel cercare con passione la salvezza degli uomini.
3. RAPPORTO TRA LA CHIESA E IL MONDO
Ci chiederemo prima cosa intendere con la parola “mondo”, poi vedremo il rapporto tra mondo e
fede/chiesa ed infine quello tra storia e teologia. Questo per vedere come la fede cristiana sia
contemporanea. Cosa intendiamo infatti per fede cristiana? Cosa significa per me la fede oggi? La
fede vissuta oggi è in contrasto con quella vissuta nel passato? La cristianità medievale è il centro
del mondo o è solo una forma storica di rapporto tra Chiesa e mondo? Solo la fede del XIII secolo è
quella vera? Se sì il cristianesimo è allora qualcosa di superato … Cosa vuol dire dunque la fede?
Bisogna chiederselo, altrimenti essa perde vigore e incisività. Già Tertulliano nel passato si
chiedeva cosa avesse a che fare la fede con il mondo, ma è pericoloso. L’uomo religioso vedeva il
mondo con occhi diversi ed oggi non possiamo più sostenere questi argomenti. Scienza e cultura
prima avevano valore solo se aiutavano la fede, ma ciò non aiuta. Dall’altra parte alcuni teologi
della liberazione dicono che il mondo ha tante cose a che fare con la fede cristiana. Come porsi tra
questi due fuochi? Oggi non possiamo più pensare come in altri secoli, perché il mondo è diverso e
se da un lato ci sono molte più insicurezze, dall’altro ci sono nuove possibilità.
Vari significati della parola “mondo”
La mancanza di chiarezza su come intendere questa parola è una delle principali cause di
fraintendimenti teologici. Facciamo dunque un affondo terminologico grazie ai lavori di Ratzinger,
Metz e Congar, che ci permettono di trovare almeno sei significati.
1) Mondo per i greci
Il primo cristianesimo è stato molto influenzato dalla visione del mondo dei greci, che lo vedevano
come numinoso e Dio ne faceva parte come principio, legge, regola immanente, ma ciò non
permetteva al mondo di essere veramente tale, perché non permetteva a Dio di essere tale, mancava
l’idea di un Dio creatore e trascendente e lo stesso Paolo lo fa notare (1 Cor 8,5). Dio in questa
visione era visto come ordinatore della materia, come Colui che muove tutto senza essere mosso,
senza “sporcarsi” le mani. Così a livello sociale il lavoro era solo per le classi inferiori, mentre gli
uomini di alta classe erano chiamati a contemplare, meditare ecc. Le cose “spirituali” erano viste
come opposte al “mondo”. I primi cristiani contestano questa visione e proprio per questo venivano
visti come atei, perché non accettavano dei su questa terra ed erano accusati di affidare il mondo
all’assenza di Dio: così il cristianesimo fin dall’inizio postula più che una divinizzazione crescente,
una ateizzazione progressiva del mondo. Detto questo l’influenza della concezione greca sul
cristianesimo continuò fino al medioevo, la cui concezione del mondo, per Congar, era imbevuta di
elementi pagani e dominata ancora da una sorta di “immediato divinismo”.
2) Mondo come cosmo
Con questo senso si intende la concezione cristiana, la realtà extra-umana che l’uomo si trova
davanti vista come creazione buona di Dio, realtà concepita come ordine, in cui l’uomo può
incontrare il suo creatore. Il creato è così per l’uomo luogo di meraviglia ed ambito della propria
realizzazione, è opera di Dio che, a detta di Gesù, continua ad operare nel mondo come anch’Egli
(cf Gv 5,17). Da qui lo scandalo di Gesù, Figlio di Dio e figlio di un carpentiere e lui stesso
lavoratore. Il mondo in questa seconda ottica è totalità delle cose create, la creazione, ma come dice
Ratzinger, è dovuto passare molto tempo prima che la cristianità abbia compreso la sovversione dei
valori causata da questa nuova visione.
3) Mondo come creazione dell’uomo
È la visione tecnica per cui l’uomo diventa il protagonista e che spesso degenera però nell’arrivare a
non accettare più il creatore e ad ergersi a Signore della storia. La città è la quintessenza di questa
visione e l’episodio della torre di Babele è la degenerazione di questo atteggiamento; la Scrittura
comunque non demonizza né glorifica questo atteggiamento in sé.
4) Mondo come unione degli uomini
È la visione sociologica per cui il mondo è visto come l’insieme di quegli atteggiamenti umani nei
quali l’uomo modella le forme della propria esistenza terrena. In questo senso il mondo non è
separabile dall’uomo e quindi neanche dai cristiani, che appartengono a questo mondo, esso esiste
in loro e ne sono una parte. In questo caso il cristiano è dunque nel mondo e questa presenza chiede
di essere coordinata con la vita cristiana, ma ciò che è cristiano non può esistere senza questo
mondo. A causa di questo intreccio profondo non si difende il cristiano contro il mondo, ma si trova
solo una forma storica di relazione tra questi due aspetti.
5) Mondo come atteggiamento contro il divino e l’eterno
Spesso nell’opera giovannea il mondo è presentato come il complesso generale degli atteggiamenti
umani contrari alla fede, perché il suo principio è contrario a quello della salvezza. Per questo
mondo Gesù non prega (cf Gv 17,9) e Giovanni dice di non amarlo e di non amare neanche ciò che
c’è in esso (cf 1 Gv 2,15). L’influsso di questo mondo esiste comunque anche nei cristiani, sempre
tentati di essere autonomi da Dio. Questa tendenza contraria a Dio è resa plasticamente con il
termine “mondo”, per esprimerne l’universalità della portata.
6) Mondo come storia umana
Congar è colui che per primo ha messo in luce questo aspetto della storia, vissuta in unione con il
cosmo. L’uomo è infatti lo scopo immanente del mondo ed il suo destino è però il trascendente:
uomo e mondo sono così, profondamente uniti ed il mondo storico è così, esistenzialmente in un
ordine soprannaturale, per la sua chiamata ed il suo fine e per le forze all’opera nell’uomo, che
provengono da Cristo. Questo mondo è così legato alla redenzione di Cristo e alla sua salvezza
finale e non può essere identificato con la natura, ma con una realtà temporale, che riesce a tenere
realtà naturale e soprannaturale unite insieme. Ciò che fa questa temporalità è la storia, non nel
senso della storiografia, ma della vita concreta dell’uomo sulla terra, la sua temporalità, e ciò può
essere fatto solo con fini e forze soprannaturali. Questo mondo storico è così sottoposto alla
redenzione di Cristo, nonostante il male ed il peccato siano presenti ed operanti.
Rapporto tra mondo e fede/chiesa
La visione tradizionale della chiesa come società perfetta, è quella della chiesa medievale del
tredicesimo secolo come modello di ogni società umana e anche diversi movimenti cattolici odierni
trovano in essa il loro concetto ideale di questo modello. Nel 1883 ad esempio un articolo di Civiltà
Cattolica diceva che due erano i dati permanenti della chiesa: la monarchia papale come forma di
governo e la potestà indiretta come modo di realizzazione della società civile. Nel 1906 sempre un
articolo di Civiltà Cattolica dice che il mutamento della chiesa può essere solo quantitativo e mai
qualitativo e siccome i modernisti erano contrari a questa idea ecco nel 1907 l’enciclica
Lamentabili, che tra le altre cose condanna le preposizioni per cui la società cristiana è legata ad una
perpetua evoluzione. L’enciclica Pascendi rafforza questa posizione e cerca di liquidare le tesi
moderniste, perché in essa si dice che la chiesa non può muoversi. Alcuni autori di questo periodo
sostengono poi la subordinazione della società umana alla Chiesa, per evidenziare meglio la
prevalenza dei fini soprannaturali; la crisi del mondo contemporaneo era legata all’azione del
comunismo rivoluzionario e per risolvere ogni problema si doveva tornare alla visione medioevale.
Pio XI nella Quas Primas del 1925 dice che la sola chiesa era l’unica società perfetta in grado di
indicare all’umanità la via della civiltà.
Dall’altra parte si facevano sempre più avanti coloro che, rifacendosi al vangelo, dicevano che non
si poteva negare l’importanza del continuo processo di rinnovamento e che non aveva senso
idealizzare ed assolutizzare un momento della storia cristiana, ma che la fede andava professata
nella partecipazione alla propria cultura particolare, erano inutili le nostalgie del passato, mentre il
cristiano era chiamato a contribuire alla costruzione della città terrena. Bisognava insomma liberarsi
dal mito di una cristianità medievale ormai morta ed uscire da sé stessi per incontrare i valori umani
presenti nelle altre civiltà e questo per essere fedeli al proprio compito missionario.
La Humani Generis di Pio XII condanna questo modo di vedere le cose.
Rahner cercando di tenere conto di tutto ciò, elabora in questo periodo la sua teologia della
diaspora. I cristiani sono infatti sempre più una minoranza ed occorre riconoscere che il mondo
moderno offre molte occasioni alla Chiesa per purificarsi. Egli chiede alla chiesa di non chiudersi in
sé stessa, ma di aprirsi alla storia, perché questo momento storico può essere una grossa opportunità
per i cristiani, più che una condanna. Questa posizione trova una inaspettata conferma nel magistero
di Giovanni XXIII ed in particolare nel discorso di apertura del Concilio Vaticano II, in cui si
sottolinea come compito della chiesa non era solo quello di custodire, ma anche quello di
trasmettere ai contemporanei i tesori della fede. Il Concilio resterà in scia, mostrando in LG la
chiesa come realtà temporale che esiste nella storia, popolo pellegrino nel tempo verso il Regno,
che siccome assorbe anche le imperfezioni del tempo, ha bisogno di una continua riforma: la storia
può così essere presa come locus theologicus! In GS si vedrà poi che la coscienza dei fedeli è guida
sufficiente nelle scelte temporali e da qui deriva il pluralismo; certo la legge divina va però inscritta
dai fedeli nella società umana, perciò agire alla luce della coscienza illuminata dal Vangelo.
Rapporto tra storia e teologia
Tra la fine del XIX secolo ed il 1950, la Chiesa viene sempre più vista in condizione atemporale,
con la pretesa di essere perfetta ed immutabile, perché il divenire era un elemento di caducità e ciò
portava a rifugiarsi frequentemente nell’autorità ed in una teologia dello “anti”, basata su di una
spiritualità della difesa e della conquista “contro-riformista”, perché tutto il mondo era visto come
maligno. Ci si preoccupava così di cose astratte e gli elementi storici ed il divenire sociale, potevano
al massimo costituire una fonte per l’apologetica. La teologia non si interessava così degli uomini,
ma solo dell’Essere e del Dio astratto, perché c’era diffidenza verso la storia ed i suoi problemi.
Con il Concilio si è invece iniziato a vedere la storia come elemento costitutivo della condizione
umana e quindi anche della Rivelazione Divina e questo grazie anche ad una serie di fattori che ha
portato i cristiani ad uscire dall’isolamento: tra gli altri il fatto che la fede era sempre meno sorretta
dalle istituzioni sociali e si deve appoggiare sempre più sul Vangelo, reinventando parole e
comportamenti adeguati per esprimere la fede. Si è riscoperta così la natura teandrica del
cristianesimo legata al fatto che Dio infatti prende sul serio la storia umana, perché non si fa uomo
solo per rivelarsi e così la storia ha una dimensione intrinsecamente storica. Tutto ciò invita il
cristianesimo ad uscire dalla cristianità, per ritrovare nella comunità cristiana il soggetto della vita
cristiana; il cristianesimo non ha infatti con la storia né separazione, né ostilità, ma compenetrazione
profonda e costitutiva: il Dio di Gesù Cristo entra nella storia e la Chiesa deve quindi accettarla.
Pannikar distingue tra cristianità (sostenuta da istituzioni politiche), cristianesimo (inteso come
religione) e cristiani (l’esserlo). Il Concilio Vaticano II ha accelerato ed aiutato la fuoriscita del
cristianesimo dalla cristianità medievale e gli ha ricordato che esso non è contro il mondo, ma deve
compenetrarsi con esso, così come esso è con il suo essere a favore o contro Dio, e che questa
compenetrazione gli è costitutiva, perché lo stesso Dio si è comportato così (cf Gv 3,16). La storia è
da vedere così non solo come storiografia, come conoscenza scientifica del passato, ma come il
divenire dell’umanità in cui il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe e di Gesù vi è entrato. Perciò
l’amicizia dei cristiani con la storia è tale che nessuna ricerca di purezza può negare o contraddire.
La prospettiva del Vaticano II cerca di superare la dicotomia tra storia profana e sacra, evitando
sacralizzazioni o deificazioni della storia, che è così un luogo teologico (vedere la voce omonima
sul DTF), realtà cioè in cui la fede può e deve alimentare la sua ricerca del Regno; questo senza
ignorare o pretendere di risolvere le ambiguità della storia, che non ne sminuiscono però il valore.
4. SEGNI DEI TEMPI
Papa Giovanni XXIII
Illuminanti sul rapporto chiesa/mondo, teologia/storia, sono i discorsi di papa Giovanni XXIII del
25/1/1959 di indizione del Concilio e quello di apertura del Concilio nel 1962. Nel primo invita i
credenti a vivere la fede di “oggi”, nell’umanità che entra nell’era nuova, in cui non si deve vedere
solo ciò che non va, ma sapere distinguere anche i segni dei tempi. Nel secondo discorso mette in
evidenza la situazione storica di quel momento come favorevole ed il concilio come occasione
straordinaria non solo per custodire il tesoro della Tradizione, ma anche per dedicarsi con volontà e
senza timore all’opera che la nostra età esige. Il papa invita così la chiesa ad essere realmente
pellegrina sulla terra e non solo simbolicamente, e così deve leggere gli eventi nel loro spessore più
profondo, cercando di scoprire in essi aspetti dell’unico mistero di salvezza. Per far questo non
bisogna scordarsi però che lo Spirito Santo agisce nel mondo e che nessuno può prendere il suo
posto, neanche la Chiesa che ha sì il suo ruolo sacramentale, ma solo nel Signore. La Chiesa non
esiste così solo per l’ordine soprannaturale, ma anche per il mondo e quindi deve sapere cercare in
esso i segni dello Spirito che agisce. Lettura che non deve essere però superficiale o banale, ma che
deve essere un discernimento. Giovanni XXIII vede così una profonda relazione tra Chiesa e segni
dei tempi, tanto che voleva che si trattassero sia ad intra che ad extra della Chiesa.
Segni dei tempi, come segni
I segni sono, come nel caso dei segni stradali, indicazioni di gravi preoccupazioni, problemi in cui
imparare a superare occasioni sfavorevoli e, nel caso dei segni dei tempi, capire come mettere in
pratica il Vangelo. I segni sono cioè allarmi, avvertimenti che qualcosa non va bene, richiami a
mostrare qualcosa di non avvertito, ma importante. Sono strutture che mostrano le trasformazioni in
atto nel mondo e che se non viste possono costituire un pericolo, incitano ad un cambiamento in
relazione ai cambiamenti del mondo.
Il Concilio Vaticano II – GS 4
Il Concilio ne tratterà solo in GS 4 dicendo che «Per svolgere questo compito, è dovere permanente
della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in modo
adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso
della vita presente e futura e sulle loro relazioni reciproche» e questo per aprirla alla modernità.
Ma quali erano questi segni dei tempi? Quali erano gli allarmi che indicavano il cambio di rotta?
Il segno di quel tempo
Il segno principale che emerge dai discorsi del papa, e per cui è indetto il Concilio, è che la Chiesa
ha perso il ruolo di guida del mondo. Questo segno veniva però interpretato dalla maggioranza
come un elemento passeggero, mentre il papa invita a prenderne coscienza, a trarne le conseguenze
e a vederlo come tempo di misericordia e non di condanna, come tempo propizio per ritornare al
Vangelo. La maggior parte dei padri conciliari però, sia conservatori che progressisti, vedeva questa
situazioni di minoranza, di piccolo resto, come situazione momentanea in attesa di una gloria futura
ancora maggiore, come nel caso della persecuzione dell’impero romano. Dunque molto
probabilmente il senso in cui lo intesero i padri conciliari fu diverso da quello con cui lo intese il
papa e come lo intendiamo oggi. Essi erano più che altro preoccupati del futuro della chiesa, più che
di quello del mondo, è il tipico istinto di sopravvivenza di un’istituzione. Ma segni dei tempi, che
spingono all’instaurazione progressiva del Regno di Dio, ci sono in tutti i tempi, la modernità è
quella tipica di questo momento storico. Il Signore infatti ci parla attraverso la storia umana e i
“segni dei tempi” sono un invito a verificare la corsa, a rinnovarsi alla luce del Vangelo in quel
preciso contesto, ma come e perché queste trasformazioni possono essere dei segni?
I segni dei tempi nel Vangelo: Mt 16,3
L’episodio Mt 16,1-4 è riportato anche in Mc 8,11-13; Lc 12,54-57 e Gv 6,30-33 ed è collocato, in
tutti, dopo la moltiplicazione dei pani operata da Gesù. È curioso che proprio in questo momento i
farisei si rivolgano a Gesù per chiedergli un segno dal cielo, come non basti quelli che fa. La gente
infatti lo cercava ormai per farlo re, riconosce in lui il messia e allora i capi vogliono un segno dal
cielo: entrambi (popolo e capi) non hanno capito il segno della moltiplicazione dei pani. I farisei
trovano nei segni compiuti da Gesù così poca forza di significato che chiedono un segno dal cielo,
che sia irresistibile e che confermi la messianicità di Gesù. Il contesto è dunque una lotta delle
autorità di Israele contro Gesù, perché la loro idea di messia era di uno che li confermasse nel loro
potere e nei loro privilegi, mentre questo Gesù continua ad annunciare questo Regno di Dio in cui
non c’è posto per loro, per la legge, per il tempio ecc. Il loro tempo e quello del loro sistema è così
superato da quello imminente del Regno in cui essi non potranno governare, e per questo non
riescono a riconoscere, e in fondo non vogliono, i segni che Gesù compie.
Gesù però risponde loro invitandoli a cercare nel tempo i segni che loro cercavano nei cieli. Segni
che nella tradizione giudaica avevano una portata apocalittica e messianica, perché annunciavano il
giorno del Signore e lo stesso Gesù ne parla in Lc 21, Mt 24,30 ecc. Chi pretendeva di essere
dunque messia doveva essere accompagnato da questi segni celesti, clamorosi e spettacolari, che il
Figlio dell’uomo in quanto tale doveva mostrare … ma i segni che Gesù compie sono diversi e per
loro non sono in grado di mostrare le sue pretese. La loro domanda è così fatta in tono di
provocazione e di sfida, in un’atmosfera carica di passione, di polemica e di violenza tra Gesù e i
farisei, e viene fatta per demoralizzare Gesù, non per credere in lui, ma per rifiutarlo, come a dire
«non sei accompagnato da ‘sti segni e vuoi essere Messia?!». E in questo condizioni non esiste
segno che li possa convincere, così Gesù termina la sua risposta in modo poco incoraggiante per i
giudei, etichettandoli come «generazione perversa ed adultera», e subito dopo dice che non sarà
dato altro segno se non quello di Giona. Sia la vicenda nel pesce, che quella della predicazione,
erano molto in voga e Gesù con questo richiamo le cristologizza entrambe: quello del pesce
legandolo alla sua morte e risurrezione, segno che però non avrà valore dimostrativo, perché non
sarà pubblico; la predicazione ai niniviti poi aveva ottenuto la conversione di questi solo con la
predicazione senza segni! Gesù quindi è come se dicesse loro «Non credete perché non volete, vi
basta già la predicazione e i segni fatti, non ve ne saranno altri, sarebbe inutile».
Gesù così dai segni dei cieli (metereologici), passa a quelli dei tempi (escatologici e messianici),
facendo appello all’esperienza degli uditori e rimproverandoli, perché non sanno interpretare i segni
che egli compie, che sono chiari e clamorosi, a causa della loro ipocrisia, della loro cattiva volontà.
E notare che “tempi” nell’originale greco è tradotto in “kairoi” e non “kronos” (vedasi O.
Cullmann “Cristo e il tempo” per approfondire) e quindi non è il tempo in generale, il tempo
comune, ma il tempo opportuno, qualitativamente diverso, denso e prezioso, da non lasciar passare,
sono i tempi messianici escatologici, ultimi, della conversione. Ma i farisei non li colgono perché
sono caduti in una lettura anacronistica, disprezzando il presente a favore del passato e del futuro.
Analogie tra Mt 16,3 e la posizione di Papa Giovanni XXIII?
Il testo di Mt 16,3 ha avuto molto influsso su Papa Giovanni XXIII ed anch’egli vedeva la fine di
un’epoca e l’inizio di una nuova, e nei profeti di sventura, che egli bolla, vede dei moderni farisei,
ancorati alla cristianità medievale, contro ogni cambiamento e contro l’abdicamento ad essere guida
del mondo e allo smontare la “società perfetta”.
Analisi di GS 4
Bisogna fare ora un’analisi del testo conciliare per vedere in che senso intesero “segni dei tempi”.
Il compito a cui si riferisce l’inizio della frase è quello di servire e non di essere serviti, compito che
si può svolgere solo se si guarda ai segni dei tempi. Segni che:
1. Vanno scrutati/esaminati. Vanno guardati per quello che sono, in maniera quasi profana. Per
vederli però li si deve cercare nel mondo attuale nella sua completezza, ma non in maniera
distaccata, ma “incarnati” in esso.
2. Vanno interpretati/giudicati alla luce del Vangelo, perché senza di esso non si può
discernere tra “segni dei tempi” e cose che non lo sono.
3. Richiedono di agire/rispondere di conseguenza. Elemento questo, che fa dell’interpretazione
dei segni un’attività eminentemente pastorale della Chiesa.
Il punto più importante e più difficile è il 2., perché se la luce evangelica “non viene accesa” o non
funziona, la fede rischia di confermare solo il sistema stabilito, mentre essa deve cercare di capire il
disegno di Dio per l’oggi in cui vive, su quale via il popolo di Dio sia chiamato a camminare.
In questo ci deve aiutare l’atteggiamento di Gesù, che mostrava il cammino esigente del Regno di
Dio, pur di fronte ad ostacoli tanto forti. Il Vangelo infatti non giudica, ma mostra la verità,
nascosta dalle forze dominanti che fanno tanti bei discorsi per consolidare il loro dominio. Gesù è
venuto per togliere queste maschere, per manifestare la verità del mondo. Se non c’è questo afflato,
la ricerca dei segni rischia di diventare un’altra ideologia che nasconde la realtà. Se tutto infatti
cerca di nascondere ciò che è vero, i segni dei tempi lo mostrano: a noi non essere come lo struzzo,
che per paura nasconde la testa sotto la sabbia! Se per i potenti infatti la realtà non è visibile, per le
vittime dell’ingiustizia lo è, e la luce della fede è ciò che dissolve le tenebre del peccato, non mette
in luce le meccaniche, ma le motivazioni segrete. Il contrario della fede, non è l’ignoranza, ma le
tenebre del peccato. Un esempio è il vescovo Romero, ma ci sono tanti altri simili a lui e
sconosciuti. Gesù parlava di piccoli che ereditano il Regno di Dio: la responsabilità cada su di noi,
quando non riconosciamo i perseguitati del mondo d’oggi, quando facciamo come quei tre che
passando vicino all’uomo che scendeva da Gerusalemme malmenato, vanno oltre. La luce della
fede dunque mostra ciò che solitamente si ignora e rivela ciò che si nasconde, e per discernere è
dunque quanto mai necessaria questa luce del Vangelo di Gesù sofferente-morto-Risorto.
La dottrina dei “segni dei tempi consiste dunque nell’accettare il mondo moderno, non per
ricostruire la cristianità, ma per accettare la realtà del mondo come è. Dobbiamo abbandonare il
sogno nostalgico di ricostruire la cristianità sulle basi dell’impero romano. Essa permette di fare
così della storia un locus theologicus, che invita la Chiesa ad aprirsi al mondo, ad aggiornarsi
continuamente, riconoscendo l’autonomia del temporale, per ricercare continuamente questi segni.
Ora la situazione è cambiata rispetto al Concilio e dunque è necessario aggiornare la lista di questi
segni dei tempi, ma ciò va fatto con un atteggiamento criticamente evangelico, nello spirito di GS.
Per cercarli bisogna dunque tenere conto che essi sono:
 Gesù stesso, segno escatologico e messianico per eccellenza.
 Eventi storici indicativi della storia di Dio.
 Questioni caratterizzanti l’epoca in cui si vive.
Nel far ciò si deve far attenzione al pericolo che fatti curiosi possano essere interpretati come segni
dei tempi, ecco perché l’importanza di guardare le cose così come sono e non come io le vorrei e un
discernimento continuo, serio ed evangelico.
Altri testi sui segni dei tempi sono: GS 11, PO 9 par.2, UR 4 par. 1, AA 14 par. 3
5. LA SECOLARIZZAZIONE E LE RISPOSTE DEI VARI AUTORI
Cosa significa vivere la fede cristiana nella situazione moderna? Come si realizza oggi? Quale è il
suo luogo ed il suo compito primario? Per vederlo, dobbiamo prima capire il presente.
L’illuminismo …
L’oggi, per alcuni, va capito alla luce dell’illuminismo che per molti è l’inizio della modernità e che
ancora oggi, in molte forme, agisce, è tutt’altro che finito. Ed è un’illusione pensare che esso prima
o poi possa essere superato, perché è un processo che passa tutta la storia della civiltà occidentale.
Cosa è dunque l’illuminismo? È un fenomeno legato alla storia della libertà, della presa di possesso
di sé stesso da parte dell’uomo, tanto che per Kant esso è «L’uscita degli uomini da una minorità a
loro stessi dovuta … minorità è l’incapacità di servirsi del proprio intelletto, senza la guida di un
altro … sapere aude! Abbi il coraggio di servirti del tuo proprio intelletto». L’illuminismo è perciò
un processo di emancipazione dell’uomo, di liberazione dall’autorità e dalla tradizione, per vedere,
giudicare e decidere da soli. Uomo che trova così in sé stesso la misura e il criterio di sé stesso e
della realtà. Ecco così la svolta antropologica e soggettiva della modernità. Indicativo del nuovo
clima può essere la poesia Figli di K. Gibran. Ciò comporta conseguenze su vari piani:
@ Sul piano politico ha condotto alla ricerca della libertà e dell’uguaglianza di tutti, con
conseguente crisi delle autorità.
@ Sul piano della conoscenza umana ecco il sorgere delle scienze empiriche che aiutano il
mondo ad essere sempre più ominizzato e secolarizzato.
@ Sul piano religioso e metafisico, Dio svanisce e si vedono sempre meno le tracce di Dio e
sempre più quelle dell’uomo.
L’uomo impara insomma a muoversi da solo in diversi ambiti della realtà.
Di fronte a questa modernità il cristianesimo ha perduto però la sua autorità tradizionale e come
religione è stato visto come un’ideologia tra le altre, ma il problema è che lui stesso si è visto così,
guardando il mondo moderno come una minaccia. Così quando il Vaticano II riconosce l’autonomia
dei vari ambiti della realtà e della libertà religiosa, accetta finalmente degli elementi moderni.
… e sua “figlia”, la secolarizzazione
Ma chi ha causato tutto questo? Chi ha originato la secolarizzazione del mondo?
Per Tillich il cristianesimo stesso e pure per Natoli, per cui «diventando cristianità, il cristianesimo
è morto, ecco perché alla fine della cristianità si deve ripensare cosa significhi Cristo … se i
cristiani non lo fanno, verranno divorati dalla secolarità». Per Kasper la secolarizzazione comincia
con la Bibbia che ha affermato: l’inviolabile dignità e libertà di ogni uomo; la sua uguaglianza
davanti a Dio; la trascendenza di Dio, che lascia il mondo alla cura all’uomo e non a caso la
secolarizzazione è legata all’Occidente. Vediamo, prima di continuare, i significati del termine:
 Storicamente e politicamente, essa comporta la liquidazione del potere ecclesiastico e
l’espropriazione dei beni ecclesiastici.
 Giuridicamente, è il passaggio di persone/cose dallo stato clericale/sacrale ad uno stato
secolare/mondano.
 Culturalmente è un fenomeno iniziato verso fine ‘800, inizio ‘900 e che comporta
l’emancipazione della vita culturale dalla vita ecclesiastica.
 Gogarten fa poi notare che, nella storia dello spirito e delle idee, essa è la trasformazione di
idee, conoscenze ed esperienze, originariamente cristiane in idee, conoscenze ed esperienze
della ragione umana universale. Elementi del patrimonio cristiano sono cioè raggiungibili
dalla ragione che sostituisce la Rivelazione. Ma ciò cambia anche il contenuto di queste.
In sintesi per secolarizzazione si intende il distaccamento del mondo dall’ambito religioso, che ha
degli aspetti positivi (mondo liberato dalla concezione magica e negativa) e negativi (tendenza al
secolarismo, all’ideologia di un mondo chiuso, ghettizzato e non trascendente). Con essa bisogna
comunque imparare a conviverci e questa è la grande sfida della fede cristiana, ma come?
 Rifiutandola, perché è la distruzione della fede cristiana. Capo fila è Kierkegaard.
 Prendendo congedo definitivamente dal cristianesimo, perché incapace di reggere il peso
dell’autonomia dell’uomo. Capo fila è Nietzsche.
 Interpretare in maniera differenziata il nesso tra fede cristiana e secolarizzazione.
Il rifiuto della modernità è tipico di coloro che, come diceva papa Giovanni XXIII, sanno solo
vedere tutto negativo e che si sono scordati che Dio oltre ad essere Colui che ha creato tutto buono,
è anche il Signore della Storia, che l’uomo è sempre al cospetto di Dio e sotto la sua cura.
Certo dall’altro lato l’uomo non deve pretendere di essere il signore della storia, perché non è lui la
misura del mondo, ma Gesù, il Figlio, che è «la chiave, il centro e la fine di tutta la storia umana»
(GS 10) L’uomo non si deve mai dimenticare la sua condizione creaturale, altrimenti vive
nell’illusione e quindi ecco che si deve sempre porre le domande cruciali che GS pone «Cos'è
l'uomo? Qual è il significato del dolore, del male, della morte, che continuano a sussistere
malgrado ogni progresso? Cosa valgono quelle conquiste pagate a così caro prezzo? Che apporta
l'uomo alla società, e cosa può attendersi da essa? Cosa ci sarà dopo questa vita?». Domande
queste di fronte a cui si può stare almeno in due modi opposti:
o Scetticamente, rinunciatariamente, perché si vede nella religione la causa principale dei
problemi del mondo. Ad es. l’Ivan Karamazov di Dostoievskij rifiuta il biglietto del
paradiso, se questo comportasse anche solo le lacrime di un bambino. Egli ha certamente un
Dio in testa, ma quale Dio è? Che Dio è uno che lascia o che vuole la sofferenza? Sembra il
dio cattivo che Marcione vedeva nell’AT. Chi è responsabile di questa falsa immagine di
Dio? Una falsa immagine di Dio rende infatti l’uomo infelice, perché ne falsifica la vita,
come nel caso della volpe che non riuscendo a prendere l’uva dice che tanto non era ancora
matura! Così gli scettici spesso prendono congedo dalla fede perché non ne possono più
sopportare il peso e vogliono essere i signori della vita, ma così non si risponde ai problemi
della vita, alle domande che da sempre l’uomo si pone e si usa Dio come capro espiatorio.
o Fondamentalisticamente. Ci si sente investiti dall’alto, ci si sente un arcangelo, un soldato di
Dio … ma di quale Dio? Il Dio di Gesù Cristo? Bisogna chiederselo altrimenti si rischia di
fare la fine di don Chisciotte, che finisce in un mondo fantastico e si convince di essere un
cavaliere errante, chiamato a difendere i deboli dai forti, e siccome si accorge di essere
l’unico, ciò gli pesa sempre di più fino a confondere i mulini con orchi, greggi con eserciti
ecc. E tanti “soldati” di Gesù Cristo sono così! Ma chi ti ha dato l’incarico di inquisire e
condannare? Gesù? Dio non ha bisogno di difensori di questo tipo, non ha bisogno di signori
della storia, di conoscitori assoluti della verità. È il rischio degli uomini istituzionali, che poi
falsano la percezione della realtà e vedono tutto sempre più buio di quello che è.
La secolarizzazione come fenomeno negativo
R. Guardini ne “La fine dell’epoca moderna” (1950) vede la modernità come tempo che ha avuto
una visione del mondo senza Dio, riducendola a natura e vede nella seconda guerra mondiale come
l’espressione della deturpazione del mondo che questa visione ha provocato, ponendo l’uomo
nuovamente di fronte al caos. Egli vede dunque l’epoca moderna come grosso equivoco che rifiuta
il cristianesimo pur vivendo grazie ad esso. Non cita mai direttamente la secolarizzazione, ma nei
fatti la vede come un’operazione illegittima. Tutti i valori dell’Europa vengono infatti dal
Cristianesimo e così l’unica cosa che può fare la fede cristiana in questo momento è acquistare
risolutezza, uscire dalla laicizzazione, dalle mezze misure, dalle confusioni, come dice a p.121,
perché nel futuro, quando l’atmosfera sarà purificata, pulita, anche se tesa, si considereranno
sentimentalisti i valori cristiani secolarizzati.
Per H. U. von Balthasaar non esiste continuità tra cristianesimo e secolarizzazione e si può
riassumere la sua posizione verso la modernità in sei punti:
 Il Dio invisibile non è ontologicamente più lontano dal nostro tempo che dagli altri.
 La posizione singolare dell’uomo nel creato, tanto rivendicata dall’uomo moderno, era già
rivendicata anche dagli antichi e quindi il mondo moderno non ha per nulla influito sulla
conoscenza di Dio proposta dal cristianesimo.
 Questa conoscenza può solo apparire un po’ offuscata dall’eccessivo ricorso alla metafisica
e all’accentuazione dell’aspetto rivelativo, che toglie senso al mistero.
 La rivelazione svela invece ciò che l’uomo è per Dio, che Dio gli è prossimo e lo ama.
 Il comandamento dell’amore spinge l’uomo a cercare Dio nel prossimo e i dogmi sono
espressione dell’unico avvenimento cristiano.
 L’incontro con Dio è nei sacramenti, elementi con cui Dio vuole essere sperimentalmente tra
di noi, ma Egli è presente anche nel cosmo in maniera teofania.
Per lui poi tutti i parenti di Plotino (Origene, Scoto, Cusano e De Chardin) con la filosofia moderna
pretendono di gettare il largo mantello della loro sintesi sulle voragini della rivelazione. Egli insiste
sul fatto che ogni struttura conoscitiva sia al servizio dell’evento Gesù. Se non ci si ricorda di ciò, la
conoscenza di Dio può essere oscurata da un eccessivo sforzo metafisico dell’uomo contemporaneo.
Valutare dunque positivamente il “mondo mondano” equivarrebbe a colpire l’immanenza di Dio al
mondo e l’analogia entis, oltrepassando addirittura il programma bultmaniano di demitizzazione.
Dalle posizioni di questi due grandi teologi viene però da chiedersi fino a che punto il contrasto tra
cristianesimo e mondo moderno sia inconciliabile. L’unica risposta non può essere solo la fuga o la
condanna del mondo moderno, ma il ripensare seriamente il cristianesimo. Può esso essere fatto
coincidere con le strutture ecclesiastico-sacramentali? O dall’altra parte può essere ridotto ad un
solo messaggio morale? Esso contiene entrambe, ma è di più, è un complesso fenomeno storico.
Gogarten (1887-1967)
Luterano, ha avuto la sua formazione teologica a Berlino e poi ad Heidelberg. È stato pastore per un
po’ di tempo e poi è diventato professore di teologia sistematica. Molto amico di Barth, i ponti con
lui si rompono quando aderisce al “Gruppo evangelico dei cristiani tedeschi” per cui la legge di Dio
era la legge tedesca e che appoggiava molti punti dei nazisti. Anche per questo di questo teologo si
è parlato poco. C’è anche da dire che alla fine della sua vita ruppe con loro, ma non pubblicamente.
Egli sostiene che il cristianesimo deve risalire al concetto originario del NT per poi confrontarsi con
il mondo moderno, la sua domanda centrale infatti è: «In quale modo è possibile all’uomo di oggi la
fede cristiana?» La secolarizzazione è la dimensione basilare di tutto il suo pensiero ed egli è un
paladino della libertà dell’uomo rispetto al mondo e a Dio. Nella secolarizzazione l’uomo si è
scoperto maggiorenne e così non essi influiscono su di lui, ma egli su di loro. La secolarizzazione
non esprime però la perdita del sacro, ma lo purifica, emancipando l’uomo.
Egli dice poi che la secolarizzazione non trae origine dall’illuminismo moderno, ma dalla
Rivelazione biblica che de-numinizza il mondo, liberandolo dalle forze del demonio: che il mondo
sia mondo, l’uomo lo apprende dalla Scrittura. La secolarizzazione attuale è così la necessaria
conseguenza della fede cristiana, che secolarizza il mondo e lo affida alla responsabilità dell’uomo.
Si deve dunque distinguere tra la secolarizzazione, in sé buona, e il secolarismo, che porta con sé la
negazione di Dio, ben sapendo che il primo non postula il secondo.
Solo Dio causa la salvezza
Perché la secolarizzazione è legittimamente ed irreversibilmente legata alla fede cristiana? Per la
teologia luterana la fede cristiana è giustificante, non è conquista dell’uomo, ma dono di Dio, grazia
che si deve rinnovare di continuo, per essere sempre in grazia e rimanere nel puro ricevere da Dio,
essere sempre aperti a Lui. Solo in tal atto di ricezione la nostra azione diventa responsabile, perché
l’uomo aperto all’iniziativa di Dio prende sul serio la sua vita. Dio stesso è quindi la salvezza
dell’uomo e non le opere della legge, anche se la fede esige le opere.
Il Vangelo è il dono dell’annuncio della figliolanza che esige le opere come un fidele facere, un
agire responsabile e secolare. Essendo dunque giustificante la fede ha due settori: quello divino
della salvezza operata esclusivamente da Dio e quello umano della secolarità come ambito delle
opere operate dall’uomo. In quanto figlio, l’uomo è chiamato a porsi responsabilmente di fronte al
mondo, per lasciarlo essere mondo: la fede dunque mondanizza il mondo.
Mondo
Nella concezione pre-cristiana il mondo era kosmos, totalità ben ordinata presieduta da déi o totalità
tenuta insieme dal logos immanente. In entrambi i casi l’uomo è prigioniero del mondo e riceve la
vita dal mondo, mondo a cui l’uomo deve adattarsi.
Nella concezione gnostica vige invece un rigoroso dualismo che oppone Dio al mondo.
Per la fede cristiana invece il mondo è creazione di Dio, che così non lo stringe nella sua trappola.
La fede mette così in crisi le altre visioni e solo la sua visione rende il mondo mondano.
La fede cristiana dunque mondanizza il mondo, è l’avvio della secolarizzazione. Nella costituzione
mitica del mondo infatti l’uomo è avvolto dal cosmo, ospitato e curato da lui e ciò gli ha impedito di
essere sé stesso, perché il cosmo avvolgeva e sacralizzava ed era una cosa sola con Dio. Il Dio
cristiano però mette in crisi il tutto e interpone l’uomo come persona, ed è presso Dio, cioè nei cieli,
che l’uomo ha la sua patria, non qui in terra! La fede storicizza così l’esistenza, perché l’uomo si
prende sul serio e grazie a Dio possiede il senso ultimo della vita. La fede apre così l’uomo al
mondo, da eteronomo lo rende autonomo e può decidere riguardo alle cose del mondo in cui vive.
I testi del NT di riferimento sono 1 Cor 3,22; 1 Cor 6,22 e 10,23.
Fede come figliolanza
Nella fede l’uomo vive un rapporto di figliolanza con Dio e da qui viene la sua responsabilità per il
mondo. Gal 4,1-7 è in questo caso il testo cardine. Lì Paolo parla di passaggio dall’essere figli
nell’età minorenne (kind) all’esserlo nell’età maggiorenne (sohn), passaggio che avviene grazie alla
fede. Caratteristiche di questo figlio maggiorenne sono: è costituito tale dalla relazione con il Padre
ed è tale per un suo dono; è autonomo e responsabile, costituito Signore sul mondo, signoria che si
fonda però sull’essere figlio e che è la responsabilità regale e figliale. Se la signoria del mondo è
quella del figlio, essa comporta che egli si prenda cura delle cose del Padre: la responsabilità (verantwortung) è risposta (ant-wort) alla parola (wort) di Dio che chiama. Questa responsabilità ha
però due aspetti: si è liberi “dal” mondo e “per” il mondo. L’uomo sta così tra Dio e il mondo come
Signore, in quanto figlio però!
Secolarizzazione, fede e secolarismo
La secolarizzazione è così la storicizzazione della condizione umana e del mondo, tanto che
l’esistenza umana diventa esistenza storica: l’uomo secolare è l’uomo storico. Se questa è una
legittima conseguenza del cristianesimo, della filgliolanza, il secolarismo è invece una
degenerazione di questo processo, perché la libertà dal mondo e per il mondo non è esercitata come
figlio e come tale non è libertà! Per Gogarten dunque la secolarizzazione è la libertà dell’uomo
vincolato a Dio, l’uomo che afferma sempre più se stesso secolarizzando il mondo, mentre il
secolarismo è la libertà dell’uomo svincolata da Dio, di un uomo che si eleva a tal punto da
secolarizzare anche la fede, pretendendo di plasmare da sé il mondo e la salvezza.
Gogarten dunque non vede antagonismo tra fede e secolarizzazione, ma se la prima pretende di
prendere per sé ciò che è del secolo non è cristiana, e se la seconda pretende di prendere per sé ciò
che è della prima allora diventa secolarismo. Chiesa e teologia sono dunque in parti responsabili del
secolarismo, perché non hanno capito e aiutato il processo di secolarizzazione o se lo hanno fatto
mentre lo facevano hanno perso la loro identità. Per Gogarten la regola d’oro è «Nessuno ponga la
sua gloria negli uomini, perché tutto è vostro: Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita, la morte, il
presente, il futuro: tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio» (1 Cor 3,21-23) Se manca
il “siete di Cristo” e “Cristo è di Dio” allora la secolarizzazione degenera in secolarismo, perché
l’uomo è autonomo nel mondo, in forza della sua appartenenza a Cristo e a Dio.
Ateismi
Per Gogarten esistono due tipi di ateismo:
@ Quello conseguente alla secolarizzazione del mondo, che consiste nel rifiuto di vedere le
cose del mondo come se fossero Dio e come tale è buono,
@ Quello conseguente al secolarismo, per cui il mondo rappresente l’ultima e massima realtà e
come tale non è buono.
Per la fede infatti l’uomo è giustificato e salvo, solo se riconosce il dono di Dio e sa di essere in Lui,
altrimenti è perduto perché non lo sa.
Conclusione
L’effetto delle tesi gogartiane fu notevole e liberatorio, perché si potevano avere le basi per parlare
con il mondo moderno e mettere la predicazione al servizio del mondo, senza timori e risentimenti.
La Chiesa inoltre può finalmente far suoi i motivi del mondo.
Johann Baptist Metz (1928-)
In linea con Gogarten
Qui ci basiamo sulla sua opera Sulla teologia politica del mondo. Lui in un certo senso parte da
Gogarten, perché vede la secolarizzazione come un processo cristiano, perché l’avvenimento
cristiano «demitizza, demagizza, disincanta il mondo … che rimane mondo, mondo mondano,
mondo ominizzato affidato alla responsabilità dell’uomo». L’aspetto politico-sociale di questo
fenomeno di mondanizzazione è la secolarizzazione. Il pericolo per la fede è però quello di
chiudersi e di ritirarsi continuando a battere i sentieri sicuri della teologia e della pietà tradizionale,
rischiando diventare però mitologia. Il divenire del mondo d’oggi non può essere visto in
opposizione alla storia della salvezza, perché lo Spirito del Risorto è stato effuso sul mondo e
quindi si deve fare attenzione ad estrinsecismi e a pericolosi positivismi teologici.
Incarnazione e mondanizzazione
La sua tesi di fondo è che «La mondanità del mondo, quale è andata sorgendo nel processo di
mondanizzazione e quale si presenta a noi oggi, in forma globalmente esasperata, è sorta nel suo
fondamento, anche se non nelle sue singole manifestazioni storiche, non già contro, bensì grazie al
cristianesimo; essa è originariamente un avvenimento cristiano e testimonia così, nella nostra
situazione modana, la capacità di dominazione interna alla storia dell’ora di Cristo». La
mondanizzazione è così fondata nell’incarnazione perché «Dio ha accettato nel Figlio suo Gesù
Cristo, il mondo, con un atto definitivo ed escatologico, grazie a lui c’è l’amen del Padre e la
Chiesa fondata su di lui è il segno visibile ed efficace, il sacramento, dell’accettazione definitiva ed
escatologica del mondo da parte di Dio». Nell’evento dell’incarnazione così il mondo è accettato e
reso tale, perde la sua divinità numinosa e diventa campo dell’azione responsabile dell’uomo.
Implicazioni del rapporto incarnazione-mondanizzazione
Sono principalmente due: formalmente vuol dire che Dio agisce nel mondo mediante interventi
storici; contenutisticamente vuol dire che Dio agisce nel mondo accettandolo irrevocabilmente
come tale, nel suo Figlio. L’immutabile Dio diventa mutabile e la fede in Dio non è così una pura
attualizzazione nell’oggi di una “cosa” divina e sempre uguale, ma risposta ad un evento storico
irripetibile. Il Dio cristiano è l’Emmanuele, il Dio-con-noi, non oggettivazione a-temporale e
metafisica, ma il Dio dell’ora storica. La trascendenza stessa è divenuta infatti avvenimento, non è
più solo ciò che è al di sopra della storia, nell’al di là, ma presenza storicamente attuale, futuro che
viene all’uomo. Dio non è soltanto “sopra” la storia, è anche “in” essa e contemporaneamente
sempre “davanti” ad essa, come suo futuro libero, mai asservibile. Dio entra dunque nella storia
fondandola e la Chiesa è segno perenne di questa fondazione escatologica, del divenire del mondo
che rimane assunto in Cristo, che è anche il fondamento stesso del mondo, resosi visibile
nell’incarnazione e legato al mondo per sempre.
Incarnazione che fonda l’alterità del mondo
La dimensione umana e mondana non è stata così mortificata dall’incarnazione perché l’umanità del
Verbo non è stata qualcosa di accessorio o di momentaneo, non è stata mero strumento di
gesticolazione, ma elevata al suo massimo, perché chi più di Gesù è stato uomo? Dio non violenta
poi ciò che assume, non lo assorbe, non è come gli dei, ma accetta e fonda l’altro in quanto altro da
sé. L’accettazione da parte di Dio è così restituzione all’uomo di ciò che gli è proprio/autentico,
restituzione del suo non essere un dio, ma essere autonomo. Dio nell’incarnazione si mostra così
come il conservatore ed il garante dell’essere altrui, Egli non spegne la lampada del non divino, ma
la riporta al suo splendore originale, per splendere così veramente alla maggior gloria di Lui. È un
po’ come nell’amicizia, quando si è accettati dall’altro quando si è messi nella sua vita così come
siamo, solo che Dio è l’unico che può farlo anche a livello ontologico. Un mondo accettato come
tale, diventa così mondo al pieno delle sue possibilità e questo perché Dio chiama al mondo a sé.
In tutto questo la distanza tra Dio è il creato è comunque mantenuta da Dio stesso, che rimane
l’unico e il solo fondamento della differenza Dio-mondo, e lo fa assumendo il non-divino ed
innalzandosi su di esso, manifestandosi così come Creatore Trascendente proprio perché disceso! Il
mondo non diviene così un pezzo di Dio, un suo settore, la distanza rimane, anzi “aumenta” e
proprio per questo il mondo può essere mondo, anche se ciò avviene grazie anche al suo Spirito.
Cristianesimo visto come “ateismo”-secolarizzante
Per i greci invece il mondo era numinoso, lo splendore di Dio era in ogni orizzonte, ma così il
mondo non poteva diventare mondano e permettere a Dio di essere totalmente Dio. Proprio per
questo il cristianesimo viene visto da altri non subito come deizzazione crescente, ma come
ateizzazione progressiva, perché è opposto alla divinizzazione immediata del mondo, ma favorevole
a quella mediata tramite l’uomo. Nonostante ciò la visione greca ha avuto ancora molto influsso nel
cristianesimo, anche se la necessità di separare imperium e sacerdotium ha mostrato come per il
cristiano anche lo stato non era più una istituzione immediatamente ed ingenuamente sacrale, ma
un’istituzione mondana di Dio. La mondanizzazione non è stata dunque l’indifferenza del cristiano
verso il mondo, ma la sua creazione.
In tutto questo bisogna però fare attenzione a non identificare mondo mondano con mondo
moderno, perché altrimenti sarebbe un tentativo sbagliato di indovinare come procede il cammino
della salvezza. La mondanizzazione di cui qui si parla è quella da intendere in senso storicocristologico, perché con l’incarnazione il mondo diventa a-teo. Compito del cristianesimo è così
quello di liberare il profano dal sacro immediato per consegnarlo così mediatamente al sacro.
Contro ogni mito del mondo e di fronte ad essi, il cristiano appare dunque come l’uomo veramente
mondano, che non cerca la mondanità in sé, ma la vede nell’evento Gesù Cristo. Il cristiano deve
così resistere continuamente di fronte all’ingresso di nuovi dei.
Chiesa e mondanizzazione
Essa non è dunque la concorrente, ma la garante del mondo, perché rende continua la presenza di
Cristo. Essa non esiste infatti per sé stessa, ma per il mondo, che sta al termine delle vie di Dio.
Essa è al servizio della volontà universale di Dio nei confronti del mondo, testimonia e rende
presente l’efficacia di quella volontà fattasi carne, carne nella quale Dio si è aggiudicato
definitivamente il mondo liberandolo così nel suo essere più profondo. La Chiesa ha il compito di
continuare questa accettazione da parte di Dio del mondo, sapendo che il mondo mondano è in
divenire e così il cristianesimo presuppone una teologia politica, vista la dimensione pubblica e
sociale del suo messaggio. La Chiesa deve così considerare le trasformazioni degli ordinamenti
della società, basati sulla libertà dell’uomo, per tentar di fare una nuova teologia politica.
Dietrich Bonhoeffer (1906-1945)
Questo teologo occupa un posto molto importante tra i teologi protestanti per due motivi:
 L’aver affrontato sistematicamente il problema ecclesiologico in chiave cristologica
 L’aver contribuito in maniera decisiva alla discussione su come riesprimere il cristianesimo
in un mondo secolarizzato, con la sua tesi del cristianesimo a-religioso.
Siccome per la sua impostazione la vita è più importante delle parole, guardiamo la sua vita.
La vita
Nato il 24/2/1906 a 16 anni decide di diventare pastore e nell’autunno del 1923 entra nell’università
di Tubinga, sotto la guida di von Harnack. Dopo la laurea inizia il ministero pastorale in un
parrocchia tedesca a Barcellona, dopodiché torna a Berlino, dove nel 1931 comincia ad insegnare,
esercitando anche il ministero pastorale nei quartieri periferici, dove acquista diretta conoscenza,
delle tragiche situazioni sociali della Germania di quel tempo. Nel 1933 Hitler sale al potere e la
chiesa evangelica accetta in toto le sue dichiarazioni, attivando anche l’arierparagraph, la
proibizione dell’ordinazione di pastori di origine ebraica. Lui si dichiara pubblicamente contro
questa presa di posizione ed insieme a Barth ed altri invoca un concilio della chiesa luterana, per
decidere una linea comune ed evitare uno scisma. Il concilio non arriva e così questo gruppo si
costituisce nella Chiesa confessante. Lascia così la cattedra ed assume due parrocchie tedesche a
Londra. Nel 1939 accetta l’invito di alcuni amici americani di andare da loro per un ciclo di
conferenze, ma appena toccato il suolo americano, gli giunge notizia di un imminente inizio della
guerra e così decide di tornare in Germania, perché egli dice che «non avrò diritto a partecipare alla
ricostruzione della vita cristiana della Germania dopo la guerra, se non ho condiviso con il mio
popolo le prove di questo periodo». Rientrato in Germania prima dello scoppio della guerra, quando
questa inizia si dichiara pacifista, ma dopo un po’ conclude che ciò è una scappatoia illegittima ed
entra a far parte della resistenza contro il regime di Hitler, perché «non è solo mio compito
occuparmi delle vittime lasciate al suolo da un pazzo che guida forsennatamente l’auto,
attraversando una strada affollata, ma anche fare di tutto per impedirgli di guidare». Detto questo
continua ad esercitare il suo ministero pastorale. Il 5 aprile 1943 viene arrestato, ma anche dal e nel
carcere continua la sua attività intensa, grazie anche alla complicità dei guardiani. Nel febbraio del
1945 viene trasferito nel campo di concentramento di Buchenwald. Dalle informazioni che abbiamo
grazie ad un suo compagno di prigione, sappiamo che l’8 aprile su richiesta dei detenuti tenne un
servizio della parola, al termine di cui fu preso e il giorno dopo fu impiccato.
Teologia e vita
Cosa è la teologia per lui? Lo studio dei presupposti della predicazione cristiana e dunque lo studio
dell’interpretazione della Rivelazione. Primo dovere per far ciò è trovare uno strumento per la retta
interpretazione, strumento che inizialmente egli trova nella filosofia ed in particolare in quella che
non mortifica la Rivelazione, ma l’esperienza della vita concreta, la politica, l’incredulità dilagante,
l’ateismo e tanti altri elementi, gli mostrano l’insufficienza di questo strumento e capisce che ci
vuole una revisione più radicale, occorre mutare linguaggio religioso, re-interpretare il
cristianesimo in un contesto nuovo, in cui non fanno problema solo i concetti mitologici, ma anche
quelli religiosi! Egli fa notare come la Chiesa abbia sempre insistito sul bisogno di Dio prima per
spiegare il mondo e poi, di fronte alla critiche di un mondo moderno sempre più auto-sufficiente,
per stare di fronte alle realtà ultime e soprattutto alla morte, tema che poi è entrato anche questo
sotto il dominio di medicina, psico-analisi e sociologia. Se la Chiesa però vuole salvare il Vangelo e
la sua intelligibilità, per Bonhoeffer deve accettare la raggiunta maggiore età del mondo,
comprendere che essa è un fatto voluto da Dio ed imparare così a vivere nel mondo etsi Deus non
daretur, partecipando attivamente alle cose di questo mondo anche se esso non riconosce più Dio.
Come però essere cristiani in maniera laica/areligiosa? Come essere Chiesa che in tutto appartiene
al mondo? La Chiesa è se stessa solo quando vive per l’umanità, quando si spoglia dei suoi beni per
darli ai poveri, quando invece di dominare gli uomini pensa a servirli, mostrando così loro cosa
significhi vivere in Cristo per gli altri. Questo dà così anche la risposta a come rendere intelligibile
il messaggio cristiano, quale sia lo strumento interpretativo migliore: la vita autentica, la
testimonianza, il buon esempio. Solo questa può far intuire agli altri il contenuto della nostra fede.
La testimonianza è così centrale, è essa il ponte tra Cristo e il mondo, infatti «Dio non va
riconosciuto ai limiti delle nostre possibilità, ma al centro della nostra vita. Lui vuole essere
riconosciuto nella vita e non nella morte» e non ha così senso presentare solo un Dio delle cose
ultime, irrisolte, tappabuchi, il Dio di Gesù Cristo è quello che vive, non quello che non muore!
Cristocentrismo e Cristologia
Essendo il suo pensiero fortemente cristocentrico, centrale è così per lui la cristologia, perché per
lui Gesù Cristo è il fondamento della Bibbia, della teologia, dell’umanità e del mondo. Tutto deve
così far ritorno a Lui, perché solo sotto la sua protezione può vivere: la realtà è l’uomo reale e
l’uomo reale è solo il Dio incarnato, il Penultimo (le realtà mondane-create) ha così senso e deriva
la sua consistenza solo dall’Ultimo (Gesù Cristo). E per definire i rapporti che incorrono tra
Penultimo e Ultimo è necessario conoscere prima l’Ultimo, sapere chi è.
Chi è dunque Cristo? A questo dovrebbe rispondere la cristologia. E cercare di rispondere,
guardando alla totalità di Cristo, alla struttura ontologica personale del Cristo tutto intero e quindi
partendo dalla sua Incarnazione (in cui si scopre l’Amore di Dio), passando per la sua Crocifissione
(in cui si scopre il Giudizio di Dio) e terminando con la sua Risurrezione (in cui si scopre la volontà
di Dio sul mondo). Solo prendendolo nella sua totalità si può poi capire il rapporto con ogni realtà
Penultima, solo tenendo strettamente uniti questi tre elementi si vede Gesù tutt’intero, anche perché
ognuno di essi abbraccia tutto e getta luce sugli altri due. Ognuno di essi però ha un significato:
@ L’incarnazione registra l’entrata di Dio nella realtà creata, entrata che se significa
l’accettazione da parte di Dio del mondo, non giustifica l’uomo peccatore, tanto che Gesù è
l’unico senza peccato. E lui però vive povero, senza sposarsi ed è morto da criminale. Perciò
la sua umanità è accettazione, espressione dell’amore di Dio per la creazione, perché
diventando uomo non elimina la nostra natura umana, ma anche duplice condanna: del
peccato e del costituirsi autonomo dell’ordine umano. E tutto questo per amore, per questo
motivo Gesù si fa penultimo esemplare (cf Fil 2,6-7) non annichilando il penultimo, ma
restando Ultimo, e proprio per questo Egli è la misura dell’uomo.
@ La Crocifissione in cui Dio pronuncia la sua condanna finale sulla creazione decaduta, su
tutta la razza umana, senza eccezione alcuna: sulla croce avviene la sentenza di morte di Dio
per il mondo. Lì la “gloria” degli uomini ha raggiunto il punto terminale e solo sotto la
croce, che è segno di condanna, gli uomini possono avere speranza, perché l’Ultimo è
diventato effettivo sulla croce, come giudizio sul Penultimo, ma anche come Misericordia
per chi si inchina ad adorarlo.
@ La Risurrezione, con cui Dio pone fine alla morte e chiama in vita una nuova creazione.
L’Ultimo risorto come Penultimo, fa agli uomini il dono della risurrezione, in cui l’uomo
rimane uomo, anche se non più “vecchio”, ma “nuovo”, pur rimanendo comunque
Penultimo. La Risurrezione dunque non distrugge il Penultimo, ma è l’ingresso di questo
nella vita eterna, l’ingresso di questa sulla vita terrestre.
Elemento trasversale a questi tre elementi è quello della vicarietà di Cristo. Per Bonhoeffer è questo
elemento che riassume tutte le funzioni dell’Ultimo rispetto al Penultimo, l’elemento costitutivo
della vita di Gesù, individuo che non ha considerato l’acquisizione di una perfezione sua propria,
ma che ha preso su di sé ed in sé l’io di tutti gli uomini. Tutta la sua vita è stata dunque una vicaria
e così qualsiasi vita è determinata ad essere vicarietà, donazione totale della propria vita agli altri, se
vuol essere veramente vita. Il discepolato non è così un concetto astratto, ma seguire Gesù sempre.
La terza via nel rapporto tra teologia e mondo
Il Penultimo è dunque visto da Bonhoeffer come tutto ciò che precede l’Ultimo, la giustificazione
mediante la grazia, e quindi è conducente ad essa, una volta che la realtà ultima, la Rivelazione di
Cristo, è stata trovata. Cristo, Ultimo a cui tutto il Penultimo tende, ma che tutto poi rinvia al
Penultimo, così la fede ci rinvia continuamente ai nostri doveri, al mondo presente. Il nostro
sguardo si dirige già a questo ultimo evento, ma restano gli impegni, le gioie, i dolori che abbiamo
su questa terra: noi viviamo nel penultimo e crediamo nell’ultimo. Ultimo/penultimo è dunque la
struttura polare della nostra fede. Ma cosa comporta tutto ciò nel rapporto tra Dio e il mondo? Non
si può pensare di risolvere oggi con cliché tradizionali naturale/soprannaturale, sacro/profano,
cristiano/secolare ecc. Esistono comunque diversi modi di risolverla, due dei quali errati: la
soluzione radicale-luterana e quella di compromesso-cattolica. La prima tiene conto solo
dell’Ultimo e Cristo è visto come Colui che tutto sottopone a Giudizio e si può essere o con Lui o
contro di Lui, così tutto il penultimo è visto come negazione e peccato. Nella seconda posizione
invece, quella cattolica, si dà troppa importanza al penultimo, a cui si dà troppa consistenza ed
autonomia, senza lasciarlo interpellare dall’Ultimo, che qui resta lontano dalla realtà quotidiana e
così diventa implicitamente un’eterna giustificazione delle cose così come sono ed allo stesso
tempo un’idea oggetto delle nostre chiacchiere e che non interpella più. Entrambe sono situazioni
inacettabili, perché la prima distrugge il Penultimo, la seconda l’Ultimo e si escludono a vicenda.
La terza via è la soluzione che riconosca al Penultimo una consistenza che abbia fondamento e
giustificazione nell’Ultimo. Una cosa diventa infatti Penultima solo attraverso l’Ultimo e non è mai
la prima che determina il secondo, ma viceversa. Non ci sono dunque due realtà, ma solo una, che è
quella di Dio che in Cristo si è manifestato alla realtà di questo mondo, ma che è compresa dalla
realtà di Cristo stesso, perché indipendentemente da Egli, non esiste nessuna realtà. Allo stesso
momento si nega Cristo, se non si riconosce il mondo in Gesù Cristo. Non esistono dunque due
sfere, ma una sola, come anche attesta il Nuovo Testamento, che si interessa solo di come Gesù sia
presente nella realtà che ha preso ed occupato: «Solo sulla base dell’Ultimo possiamo conoscere
cosa significa essere uomo e determinare e ricostruire l’umanità mediante la giustificazione».
Come vede la secolarizzazione
Nel capitolo “Etica” del suo libro, riguardando la storia vede nella Riforma l’inizio della
secolarizzazione, del processo di emancipazione dell’uomo. La fede dei riformatori ha infatti
allontanato Dio dal mondo, tanto che subito dopo sono arrivate le scienze, il cui risultato fu però la
meccanizzazione del mondo. La ragione emancipatrice così trionfò e portò al successo della scienza
tecnica. Parallelamente ecco sorgere anche i diritti dell’uomo, che fan sì che in forza di un diritto
eterno, l’uomo sia emancipato da qualsiasi costrizione sociale ed economica, anche se negli altri si
finisce per vedere solo un fratello o un nemico dei diritti umani. Questa emancipazione progressiva
ribalta tutte le pretese autoritative. Fino a qui non si ha una negazione di Dio, ma si vuole una
religione ostile a lui, che è visto come un peso perché non lascia vivere ed ecco allora la ribellione
contro di Lui e contro il suo Cristo, perché il dio della nuova era è l’uomo nuovo. L’ateismo diventa
dunque un tratto dell’uomo moderno, che ha imparato a fare tutto senza Dio, è diventato adulto.
La risposta del cristianesimo di fronte a tutto ciò non può essere un ritorno al sistema vecchio,
perché l’uomo moderno non ci si ritroverebbe, ma serve un nuovo slancio di fede e testimonianza.
Di fronte all’autosufficienza del mondo contrario alla religione, la fede cristiana deve dismettere
ogni parvenza religiosa e così ecco la proposta del cristianesimo “a-religioso”.
Rivelazione e Religione
L’idea di religione di Bohnoeffer è molto simile a quella di Barth. Per lui la religione si oppone
radicalmente alla fede cristiana, e il Dio rivelato in Gesù è opposto a quello delle religioni, che sono
lo sforzo per salire verso Dio e guadagnarsi il cielo, dunque in fondo idolatria. Se Dio è Dio la
Rivelazione non può ridursi a religione, così come la fede non può ridursi ad esperienza religiosa.
Lui non parla poi di “dottrina” della fede, ma di “dogmatica” ecclesiale, perché la teologia deve
riflettere sui dogmi ed in vista della predicazione della chiesa. Tra Dio e l’uomo non c’è continuità
o punto di collegamento e così attacca il “religionismo” perché tra Rivelazione e religione lui vede
un abisso invalicabile; dalla Rivelazione si attende l’ultima parola sulle religioni, ma il minimo
spostamento o concessione al religionismo rende impossibile questa parola. Ecco allora
l’importanza dell’aut aut. La religione è così per lui la massima concentrazione di incredulità e la
massima contraddizione della fede, perché l’uomo religioso non presenta l’attitudine dell’ascolto,
parla orgogliosamente contro Dio, per usarlo a proprio vantaggio. Realtà religiosa è così scandalo e
dominio dell’inferno, non conducendo per altro fuori della dinamica del peccato.
Per Bohnoeffer invece la Rivelazione non è la Religione, ma questa non può essere ridotta a mera
dottrina positiva, non si deve cercare la contrapposizione tra le due, ma viste le circostanze odierne
si deve pensare la prima, e soprattutto Cristo, senza la seconda. Per lui religione evoca una pietà, un
atteggiamento individualista ed una morale. Essa poggia poi sul presupposto metafisico dell’aldilà
del mondo e sui limiti e la contingenza della realtà attuale, trasformando il presente in
un’anticamera con poco significato. Dio diventa però così un Deus ex machina, un dio tappabuchi,
che risolve cosa tu non sai fare. Ma tutto questo non è in accordo con il Vangelo ed oggi non ce ne è
bisogno. Il rapporto con Dio non è infatti con un essere potente, ma con una nuova vita nell’esserci
per gli altri, per lui il trascendente non è dunque l’impegno per l’infinito, ma il prossimo dato di
volta in volta e che è trascendibile. La trascendenza cristiana è insomma orizzontale, senza
dimenticare il verticale. La religione però si fonda su di una interiorità soggettiva e così nel mondo
nuovo Dio è posto fuori, nel privato. Ma davvero il cristianesimo è questa religione? Se sì chi ne è il
responsabile? E che succederà se la religione scompare? Se il cristianesimo vuole continuare nella
strada di Gesù e continuarci oggi deve essere a-religioso. Ecco perché lui se la prende con
l’apologetica fondata sull’a-priori religioso, perché è visto come inutile.
Come parlare di Dio senza religione?
Come però parlare di Dio senza la religione? Come parlarne “mondanamente”? Come ne parla l’AT
e cioè nella finitezza, nelle passioni umane, nei limiti e nell’esistenza della chiesa, in ciò che
insomma lascia essere il mondo come tale. Lì poi l’aldilà e la vittoria della morte erano sempre
vissute nell’aldiqua. Se la Rivelazione si è data così ciò vale anche per i cristiani. Perciò non si deve
vedere il mondo come anticamera e solo così esso sarà cambiato e rinnovato.
Ok, ma come Cristo può diventare il Signore anche dei non religiosi? Come parlare di
Cristianesimo a chi non ha l’a-priori religioso? Come Cristo può essere significante per queste
persone? In carcere lui incontra persone così. Gesù non può essere Signore anche per loro? Gesù è
venuto solo per i santi? Ma essi non sono contro Gesù, semplicemente lo ignorano. Cristo è il
Signore di tutti gli uomini, altrimenti l’incarnazione sarebbe una cosa assurda. Come Gesù può
dunque essere il loro Salvatore? La forma può essere a-religiosa, ma il contenuto rimane lo stesso.
L’impotenza del cristianesimo non è infatti dovuta al contenuto, ma a forme troppo legate alle
categorie religiose, che per l’uomo moderno sono incomprensibili ed assurde. Perciò si deve
liberare il vangelo da ciò. L’unico modo di presentare Cristo oggi è dunque quello della
testimonianza. Il Cristianesimo infatti non è metafisica o filosofia propagandistica, ma il Cristo
stesso tramite il suo corpo mistico che è la Chiesa. Il cristianesimo deve così riprodurre in sé
l’immagine di Cristo, da imitare e a cui conformarsi. Il credente è l’immagine di Cristo, il suo
rappresentante che deve imitare lui solo e a lui aderire, immediatamente e totalmente, per riprodurlo
in tutte le fasi della propria vita, in cui si prolunga l’evento Cristo. In particolare il cristiano è
chiamato a manifestare l’incarnazione e la crocifissione. L’incarnazione perché il cristiano non deve
essere un monaco, un segregato nei confronti del mondo, ma viverlo, penetrarlo, accoglierne tutto.
La crocifissione, perché il cristiano è l’uomo della sofferenza, della croce e del martirio. Possiede la
grazia che però non lo dispensa da ciò, perché essa non è a buon mercato! Come Cristo, il cristiano
non deve svolgere una funzione di vicarietà per gli altri.
La fede adulta
Il mondo è diventato maggiorenne, nel senso kantiano di non vivere più sotto la tutela di qualcun
altro e soprattutto sotto quella della classe clericale. È la reazione ad ogni eteronomia e ad ogni
coazione esterna della coscienza, dunque bisognava ribellarsi per spezzare questo giogo. Ora il
pensiero medioevale era eteronomo e tornarvi sarebbe anacronistico, un sacrificio per l’intelletto
che ha capito che libertà e fede non vanno imposte. Il cristianesimo è così entrato nell’età adulta,
nella quale Dio è un’ipotesi di lavoro in tutti i campi: morale, scientifico e politico. L’uomo ha
imparato a bastare a sé stesso e Dio perde sempre più terreno perché è diventato una cosa inutile.
Come rispondere a questa forma di ateismo che per altro egli sperimenta in carcere? Trovando Dio
in ciò che si conosce e non in ciò che non si conosce anzitutto! Dio va riconosciuto al centro della
vita e per quanto riguarda i limiti meglio tacere e lasciare irrisolto. Ogni attacco apologetico a
questa nuova società è così: privo di senso (è un far ritornare alla pubertà un adulto), di scadente
qualità (si sfrutta la debolezza) e non cristiano (Cristo è scambiato con la religiosità). Il mondo
adulto senza Dio, è infatti più vicino a Lui di quanto lo sia un mondo in stato di pubertà! Il Dio-connoi ci abbandona solo perché è Colui di fronte a cui permanentemente stiamo. La fede adulta
impara così a vivere nel mondo, come se Dio non esistesse, perché non può essere presupposto.
La Chiesa
Essa non è la realizzazione dei nostri sogni, ma il dono di essere fratelli e sorelle che ci si è scelti. È
la fraternità cristiana creata da Dio in Cristo e non realizzata da noi, ma a cui ci è concesso di
partecipare. Tutte le realtà terrestri sono legate ad essa, senza che questo comprometta la loro
autonomia. La Chiesa svolge nei loro confronti una funzione vicaria, perché deve rinunciare alla sua
forma divina ed assumerne una totalmente umana e mondana, come ha fatto Gesù. Non c’è uno
spazio per lei fuori del mondo, perché Chiesa e mondo costituiscono una sola realtà inseparabile.
La Chiesa non deve dunque ricercare sé stessa, salvare sé stessa, ma il mondo! Nell’incarnazione
Dio rivendica uno spazio nel mondo, rispettando la sua autonomia e senza pretendere di guidare
politicamente. La Chiesa deve fare così ed è il luogo in cui si testimonia questo Dio e dove si
prende sul serio che Dio in Cristo ha riconciliato a sé il mondo.
Lo spazio della Chiesa dunque non esiste per contendere al mondo un pezzo del suo ambito, ma per
testimoniargli che esso rimane tale, cioè il mondo amato e riconciliato da Dio.
Il Vangelo deve così essere predicato nella sua “pura essenza” e ciò significa vivere la
testimonianza, far vedere al mondo cosa significhi essere cristiani. Non esiste una realtà al di fuori
di Cristo, perché tutto vive in Lui e Lui è presente dappertutto così fuggire il mondo è un cedimento
colpevole. La parola della Chiesa non può essere che parola di Dio, perché è in lui che si definisce il
rapporto di Dio con il mondo. Parola che è di giudizio, chiamata alla conversione, alla seconda
venuta di Cristo e alla venuta del Regno di Dio. La Parola è per la redenzione dell’umanità.
Paul Tillich (1886-)
La vita
Egli presenta una nuova immagine di tutto: Dio, Chiesa, fede ecc. Nasce in Germania, vicino al
confine con la Polonia a nord, il 20 agosto 1886 da genitori protestanti (il padre era anche pastore).
Conclusi gli studi teologici a Berlino, viene ordinato pastore della chiesa evangelica luterana, nel
1912. Presta servizio in parrocchia e poi nella guerra del ’15-’18 svolge il servizio di cappellano
dell’esercito. Dal ’19 al ’33 insegna teologia a Berlino, ma poi viene rimosso per opposizione al
regime nazista, emigrando così negli USA, dove insegna dapprima a New York e poi dal ’55 al ’62
all’università di Harvard a Chicago. A partire dall’esperienza da cappellano militare capisce che i
concetti tradizionali di Dio non hanno più alcun significato per l’uomo moderno, così egli dedica
tutta la sua vita per trasformare il messaggio cristiano, per renderlo più rispondente alle esigenze
dell’uomo moderno e parte proprio dalla revisione del concetto di Dio.
Religione e fede
Egli vede la religione come una dimensione necessaria per la vita dell’uomo, non come una
funzione speciale o un’attività particolare della vita spirituale, ma la «profondità dello spirito umano
nella sua totalità». Perciò nessuno può evitare il discorso religioso, che in ambito morale si presenta
come incondizionatezza, nella conoscenza come desiderio di Dio e nell’estetica come desiderio
illimitato di espressione del senso ultimo delle cose. Essere religiosi è così essere appassionati al
senso della propria vita ed essere aperti alle risposte. La religione è l’esperienza dell’incondizionato
(cioè di Dio) e l’esperienza dell’interiorità è percepire l’apertura all’incondizionamento.
La chiave per aprire la porta del santissimo di Dio è dunque la religione, che ha una doppia polarità:
il soggetto (esperienza …) e l’oggetto (…dell’incondizionamento).
Perciò la religione è orientamento dello spirito verso l’incondizionamento, e questa tensione tra
soggetto e oggetto è mantenuta dalla fede, che è l’interesse ultimo, l’impegno supremo (ultimate
concern), lo stato di chi si impegna ultimamente. L’interesse ultimo ha così anch’esso un doppio
versante, soggettivo e oggettivo, perché coinvolge il soggetto interessandolo alla realtà ultima, e si
manifesta come interesse in cui si esprime l’inquietudine del cuore.
La religione è così la sostanza, la base della vita spirituale dell’uomo, mentre la fede non è solo un
atto di intelligenza o volontà, ma uno stato che investe tutta la persona e che è comune a tutti gli
uomini, perché tutti hanno qualcosa che li impegna in maniera suprema, è una costante umana.
La fede cristiana si distingue perché appartiene a chi ha scelto Gesù Cristo come motivo del proprio
impegno supremo. Fede che è dono di Dio, ma impossibile senza la partecipazione dell’uomo,
perché il soggetto della fede non può che essere l’uomo. Solo l’uomo ha infatti la capacità di
trascendere l’esperienza nella vita quotidiana e da qui ecco l’espressione ontologica della fede. La
risposta di Dio è infatti condizionata dalla domanda esistenziale che c’è in ogni uomo, che è
condizione e non causa della risposta divina, che è così gratuita.
Il linguaggio religioso è un linguaggio simbolico. Qui si inserisce la distinzione tra segno e
simbolo: il segno rimane estraneo alla realtà a cui rimanda (es. semaforo), il simbolo invece vi
partecipa (es. bandiera); il segno è informativo, il simbolo rappresenta la realtà cui rimanda e
partecipa del suo potere e significato. I simboli religiosi svelano così l’essenza della realtà e
rimandano all’incondizionamento. Da qui tre conseguenze importanti: i simboli hanno un potere
innato, mentre i segni sono impotenti; i simboli si formano naturalmente, mentre i segni sono
produzioni convenzionali; i simboli non possono essere sostituiti (sparire sì), i segni sì. Ciò che
manca oggi alla religione cristiana è proprio la comunicazione simbolica, perché i simboli
tradizionali non trasmettono più l’incondizionamento, compito della teologia è interpretare i simboli
religiosi, per manifestarne la loro portata e aiutare a trovarne di nuovi.
Il principio di correlazione e la teologia apologetica
Esso è la base su cui gira al sua teologia: pensare ogni realtà insieme ad un’altra realtà, perché si
trovino in un rapporto di reciproca interdipendenza, o correlazione, e quindi di reciproca
subordinazione. Elementi che esistono così insieme: io con il mondo, filosofia con teologia, fede
con dubbio, domanda con risposta ecc. Gli opposti non sono così visti come separati, ma c’è un
punto di incontro in cui nasce l’unità delle cose e così l’essere è intessuto di correlazione.
La riflessione teologica si muove ora su due poli: la verità del messaggio cristiano e la sua
interpretazione, in cui è fondamentale però, la situazione culturale dei destinatari del messaggio.
Barth e la “teologia kerygmatica” hanno sempre tenuto in conto solo il messaggio, essa va così
compensata con la sua “teologia apologetica”, una teologia che dia risposta alle domande esplicite e
implicite dell’uomo. Non basta dunque cercare solo il contrasto, come faceva appunto la teologia di
Barth, ma cercare una sintesi, ed ecco allora qui l’importanza della correlazione. La teologia
apologetica deve così: analizzare la situazione umana ed individuare le risposte nei fatti rivelatori e
per far ciò con la correlazione si deve istituire una dipendenza tra le domande esistenziali e le
risposte teologiche, perché l’uomo è domanda, ma non risposta. «Dio è la risposta di fronte alla
minaccia del non essere dell’uomo … Dio diventa il fondamento infinito del coraggio».
Quali sono ora i simboli religiosi che esprimono questa verità fondamentale oggi? Il metodo
soprannaturale che presenta il messaggio cristiano come insieme di verità, non risponde ed è questo
la causa principale della sua irrilevanza. Cosa è dunque la teologia? La rivelazione concessa a tutti
gli uomini, che forma l’oggetto della riflessione teologica (messaggio), ma poi è importante anche
la riflessione filosofica. Ciò emerge anche dallo stesso nome di teologia: theos e logos. Il teologo si
occupa così di Dio in quanto rivelato e tenta di sforzarsi per penetrare nei misteri della scienza
divina. I due elementi sono inseparabili, ma nel sistematizzare si può dare rilievo all’uno o all’altro.
Kairos e teologia
Un altro elemento molto importante per la teologia è il kairos, il momento propizio ed il modo
opportuno per declinare il messaggio cristiano nel proprio tempo. Così per lui:
- Se manca theos non c’è teologia, ma filosofia della religione
- Se manca logos non c’è teologia, ma estasi e/o non senso
- Se manca kairos non c’è teologia, ma tradizione morta
Il nostro tempo è uno di questi kairoi e i compiti principali sono due: conservare il messaggio
cristiano e relazionarlo alla cultura presente. Il primo è per la teologia kerygmatica, e coltiva la
dimensione cristiana della teologia, il secondo per la teologia apologetica, e coltiva invece la
rilevanza della teologia. Se ci fosse solo la prima si cadrebbe in una teologia fondamentalista e
soprannaturalista; se ci fosse solo la seconda si cadrebbe in una teologia liberale, e in una religione
incapace di dare soluzione valida ai problemi dell’uomo.
Quale è ora la situazione culturale negli anni ’50 e ’60? Essa è caratterizzata dall’esistenzialismo,
dall’angoscia e dalla disperazione. Come la teologia deve andare incontro a ciò? Come può dare
risposte alle domande? La dialettica è dunque importante, per un dialogo fatto di domande e
risposte. Così teologia kerygmatica ed apologetica sono elementi onnipresenti della teologia.
Simboli archetipi
Egli vede tre simboli archetipi utili al nostro tema:
a. Il cerchio. Simbolo magico dell’antichità classica per rappresentare il mondo. Simboleggia
la realizzazione della vita all’interno del cosmo e la circolarità del tempo.
b. La linea verticale. Questa concezione appare nel mondo ellenistico come una forza di rottura
del cerchio e si ha una accelerazione verso l’alto, una spinta trascendentale che è
determinante nella tarda antichità e nel medioevo.
c. La linea orizzontale. Rappresenta la voglia di controllo sul mondo e il servizio di Dio stesso
è visto nell’ottica della Riforma e dell’Illuminismo. Emerge un nuovo sentimento per la
realtà orizzontale. Questo desiderio di controllo unito alla conoscenza, porta alla necessità di
andare avanti, sempre più avanti e l’utopia celeste si trasforma così in utopia terrestre, la
speranza non è più realizzazione eterna, ma nel tempo e nello spazio. Ecco così allora
l’importanza sulla scienza pura della tecnologia, più congeniale alla voglia di controllo.
Ma in questa linea orizzontale che ne è della linea verticale? Essa è infatti in pericolo nella sua
stessa esistenza; quali sono dunque le cause immediate dell’irrilevanza del messaggio cristiano?
Nel cristianesimo la linea fondamentale è stata quella verticale fino ad oggi, ma per la persona
moderna è difficile da capire e così rifiuta anche i simboli del cristianesimo, perché anche se sa che
non sono stupidi, li vede lontani dalla sua vita: i simboli “verticali” sono oggi elemento di inciampo
per l’uomo moderno, barriere che non aiutano a percepire l’incondizionatamente.
Ora, l’uomo moderno è oggettivante, tenta di definire tutto e pure Dio, e la teologia apologetica
classica ha insistito a difendere Dio con questa linea orizzontale, oggettivante, definitoria, ma
facendo così si è posta sullo stesso piano da cui doveva difendersi ed ha trasformare gli elementi
simbolici della Scrittura in elementi oggettivati, il contrario di ciò che doveva fare, consegnando
così le armi con cui potevano difendersi. Non solo gli apologeti dell’epoca moderna non riuscirono
nel loro intento, ma i simboli della linea verticale furono deformati. Anche questa è una delle cause
dell’irrilevanza odierna del cristianesimo.
The shaking of foundations (si scuotono le fondamenta)
La tesi è che simboli-concetti-linguaggio del cristianesimo come Dio, peccato, Paradiso, inferno
ecc. invece che aiutare l’uomo moderno a credere, sono per lui occasioni di incredulità. È giunto il
momento di abbandonarli e di sostituirli con simboli nuovi, conformi al nuovo modo di pensare,
perché se il simbolo non partecipa più dell’incondizionato, allora non serve più. E questo bisogna
farlo per salvare l’uomo dal decadimento religioso. Bisogna così mettere in disparte tutto a partire
dalla parola “Dio”, che non va eliminata, ma reinterpretata per l’uomo moderno, che riesca a
ricollegarsi alla sua profondità.
Il letteralismo, cioè l’interpretazione dei simboli in maniera immediata, non va bene. Così si
identifica infatti il significato simbolico con il materiale simbolico ed il simbolo diventa idolo!
L’idolatria è infatti l’assolutizzazione dei simboli e della loro identificazione con il sacro. Ecco
allora l’importanza dell’analogia per accostarsi al simbolo. I pensieri teologici vengono espressi
attraverso i simboli, perciò preservano nella loro vita, la tensione tra immanenza e trascendenza,
aiutando a non assolutizzarli e a non relativizzarli. Ciò va però fatto non solo in astratto, ma
spiegando al popolo il linguaggio simbolico (catechesi), perché sennò il sistema simbolico perde la
sua intelligibilità e la sua efficacia. La cura del simbolo non è affidata alla chiesa, ma alla teologia.
Dunque i simboli religiosi per lui sono ancora validi? Per lui tutte le strutture simboliche sono ko.
Compito della teologia è così quello di procedere alla demitizzazione dei simboli, per portare a
nuovi simboli: è il programma della transmitizzazione del cristianesimo, programma che egli
articola in due punti: demitizzazione, in cui si spoglia il kerigma della veste espressiva tradizionale;
rimitizzazione, in cui gli si dà una veste nuova, attuale. E questo per tre motivi:
 I simboli della tradizione non sanno più comunicare all’uomo moderno.
 Il principio protestante che si erge contro ogni dissacrazione dell’assoluto, contro ogni
elevare qualcosa di finito al posto di Dio.
 Il messaggio cristiano ha ricevuto dalla chiesa primitiva una veste mitica, che però è
incompatibile con la visione scientifica che l’uomo moderno ha del mondo.
Tutte le espressioni contenute nella Scrittura e nella Tradizione, sono piene di senso, ma vuote; alla
teologia il cercare espressioni nuove che conservino la sostanza simbolica, ma declinate nell’oggi.
The new being (il nuovo essere) = il Cristo
È molto importante stabilire una correlazione tra l’esistenza ed il Cristo e ciò richiede l’andare oltre
la ripetizione di Calcedonia (neo-ortodossi), ma anche evitarne l’abbandono (liberali), per cercare di
esprimerne la sostanza con concetti meno statici ed in relazione alla domanda di senso dell’uomo.
L’uomo si trova alienato nel suo fondamento di essere e si trova così sotto la minaccia del finito.
Prima della caduta egli viveva nello stato di “innocenza sognante” (che coincide con quello di
natura pura). Con la caduta ecco il nuovo stato in cui l’uomo vive nella sua finitezza, che lo porta a
distaccarsi dal fondamento dell’essere per essere autonomo: dall’essenza si passa così all’esistenza.
Le conseguenze di questa alienazione ontologica sono l’alienazione teologica, del rapporto uomoDio, e lo sviluppo nell’uomo di angoscia e disperazione: da entrambi queste conseguenze l’uomo
non può uscire con le sue forze, ciò lo può fare solo un redentore.
Gesù è così quell’uomo in cui le forze distruttive dell’esistenza, sono state vinte e superate e proprio
perciò è il Cristo, colui che ristabilisce per tutti il legame tra l’uomo e Dio. Per far capire il ruolo di
Gesù oggi bisogna introdurre il concetto di “nuovo essere”, che mostra come il messaggio cristiano
sia una nuova creazione, una nuova realtà: Gesù è infatti il Cristo, perché porta un nuovo stato di
cose, avendo resistito e vinto le forze negative dell’alienazione. La liberazione che Gesù porta è da
schemi mentali e pratiche superstiziose, per dare all’uomo un nuovo essere, nuovo splendore.
Egli critica così anche l’eccessivo uso della ragione, perché se essa crolla rischia di crollare anche la
nostra fede, solo se avviene una crisi del “nuovo essere” ha senso una crisi di fede.
Questa nuova generazione è Dio che la produce e la sua origine è nella storia della salvezza, anche
se ha ovvie ripercussioni in tutta la storia, di cui per altro è fondante. Cristo non è così solo il nuovo
legislatore, il nuovo maestro, il nuovo modello di santità, perché se l’avvenimento della nuova
esistenza è essenziale, esso non è un’imposizione esterna, ma realtà da cui proviene il fondamento
del mio nuovo essere, che è il centro della storia della salvezza e della storia in generale. Solo così
gli effetti principali dell’opera di Gesù hanno significato anche per l’oggi.
Chiesa = comunità spirituale
I simboli abbiamo detto che sono mezzi con cui Dio si rende presente e si rivela all’uomo per
guarire gli uomini e ristabilirli nella comunione con Lui. Il simbolo fondamento è il Cristo, il
“nuovo essere”, perché in Lui Dio è totalmente presente e si rivela pienamente, vincendo
l’alienazione e ristabilendo l’unità originaria. Tutti gli altri simboli sono subordinati a Lui.
Il primo dei secondari è la Chiesa, che deve trascendere sé stessa, richiamando alla realtà che
irrompe attraverso di lei. Il nome principale di questo simbolo, è “comunità spirituale”, comunità
del nuovo essere creata dal divino spirito, quale si è manifestato nel “nuovo essere” Gesù, il Cristo.
Questa comunità è presente ed operante in tutta la famiglia umana (anche se non è coincidente con
essa) ed in ogni aggregazione religiosa e non. Essa è però simbolo, e dunque realtà sociologica
soggetta a regole sociali, ma paradossalmente comunità spirituale.
Ogni uomo è stato trasformato dal “nuovo essere”, ma in alcuni si manifesta la sua forza, l’influsso
della presenza spirituale, della Rivelazione e proprio questi formano la comunità, che è spirituale,
perché fondata sul nuovo essere, quale si è manifestato nel Cristo.
Ora la comunità spirituale è la chiesa latente (come anche ogni organizzazione sociale), c’è poi la
chiesa manifesta, le varie comunità spirituali che si rifanno al “nuovo essere” manifestatosi, e che
manifesta appunto la chiesa latente, ciò che tutta l’umanità è.
Ma come organizzare il rapporto tra comunità spirituale latente e manifesta? La chiesa latente è
aperta alla profanazione, perché non ha un principio ultimo di resistenza, che la chiesa manifesta
invece ha, soprattutto nelle sue frange protestanti, per applicarlo a sé anche autocriticamente: questo
principio è il riconoscimento del Nuovo essere all’opera. Perciò ciò che distingue le due è che la
latente non ha il principio di resistenza! L’aspetto demoniaco è presente ed operante, deturpa ma
non intacca la comunità spirituale presente ovunque.
A questa comunità spirituale appartengono gli uomini di ogni tempo, purché afferrati dalla presenza
spirituale e chi lo è, è santo. Così lo stato di santità è quello di “trasparente risposta al divino”,
determinato da fede e amore e che è creazione dello Spirito. Queste persone sono membri dinamici
della comunità spirituale, ma si devono sempre ricordare che la loro essenza dinamica è la
personalità spirituale e quindi se anche esistenzialmente vive da peccatore è santo ed è da lì che
deve attingere forza per ripartire.
La chiesa manifesta è così simbolo di cosa è la chiesa latente e quindi ecco la sua universalità e la
dipendenza da Cristo e dallo Spirito. Ogni chiesa è poi attuazione di questa Chiesa.
Tillich cerca insomma di offrire un fondamento e degli spunti, per il dialogo ecumenico, interreligioso e con il mondo, anche perché nessuno viene condannato.
Abbiamo già detto che questa chiesa ha una natura paradossale. È comunità spirituale e come tale è
reale ovunque essa sia presente, anche se non manifesta. E tutto ciò emerge già nel NT, perché il
paradosso di fondo è che Cristo muore, sfondando così le logiche di gruppo e di club: la chiesa
appartiene a tutti, ma i discepoli non volevano questo tipo di chiesa e si capisce subito! La riforma
protestante è così la più grande protesta contro ogni chiusura degli orizzonti, perché il principio
protestante mira a manifestare la chiesa nel suo essere ed eleva la sua protesta contro l’esistenza. Se
sparisce questa natura paradossale e polare/tensionale della Chiesa, il cristianesimo sarà perduto!
Molto importante è poi la provvisorietà della Chiesa. Elemento questo che la libera da ogni
fissazione culturale, per aprirla ad ogni epoca. Il cristianesimo è infatti soprattutto “linea verticale”,
ma deve tenere conto anche della “linea orizzontale” che esso deve sempre assumere, anche se non
totalmente, perché altrimenti divinizza sé stessa e diventa “cerchio”, scordandosi di sé stessa, della
sua provvisorietà di fronte all’incondizionamento. Lo stesso Dio, in Cristo si è fatto uomo,
provvisorio, così la chiesa non può esistere diversamente, per sé stessa, ma solo per l’umanità «tutto
ciò che è finito sacrifica sé stesso a ciò che è infinito, per divenire messaggero dell’infinito».
Facendo le pulci a Tillich
In lui è forte il pericolo di compromettere la rivelazione cristiana e di ridurre la chiesa manifesta a
semplice realtà sociologica, soggetta alle leggi di ogni realtà sociale. La comunità spirituale rischia
di diventare poi una super-chiesa che include la chiesa manifesta.
CONCLUDENDO
«Chiesa cosa dici di te stessa?» Abbiamo iniziato rispondendo a questa domanda, vedendo
l’autocomprensione ecclesiale lungo la storia, fino ai documenti di LG e GS.
Abbiamo poi visto cosa significhi il mondo in ottica teologica passando poi a trattare il tema dei
segni dei tempi, da scrutare ed interrogare. Il kairos è infatti più importante e da trattare non come
kronos, perché sono tempi forti di conversione: i farisei di ogni tempo sono quelli che non ne
tengono conto, cadendo in una lettura anacronistica. La chiesa ha quindi una grande responsabilità
verso il mondo e la lettura dei segni dei tempi fa parte della sua pastorale, perché è importante
riconoscere il piano di Dio per il mondo, per spiegare poi la fede in un contesto.
La secolarizzazione è uno dei temi principali di oggi e l’abbiamo visto con l’aiuto di alcuni teologi.
Non si è preteso dare risposte, ma ciò che è importante è vivere qui nel mondo d’oggi e discernere i
segni dei tempi, perché se Dio ha tanto amato da donare il suo Figlio, cosa dobbiamo fare noi
chiesa? Ognuno deve trovare la sua risposta, alla luce del Vangelo.
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