Prof. G. Bombardieri 27-XI-2006 PANCREATITI CRONICHE La pancreatite cronica è una malattia cronica del pancreas che occorre principalmente in abusatori cronici di alcol, caratterizzata da una progressiva atrofia del parenchima esocrino del pancreas e da una progressiva fibrosi dell’intero organo. Ne deriva un’insufficienza della ghiandola, che interessa dapprima la parte esocrina e alla fine della malattia anche la parte endocrina. A causa dell’interessamento della porzione esocrina si crea, nella gran parte dei casi, una sindrome da maldigestione e quindi da malassorbimento. Da ciò deriva una sintomatologia dolorosa che peggiora la qualità di vita di molti pazienti. La media degli individui con pancreatite cronica rivela una storia di abuso da più di 10 anni. In che modo l’alcol danneggia il pancreas? Danno diretto: etanolo acetaldeide necrosi e azione degli enzimi pancreatici Danno indiretto: è importante ai fini della qualità del succo pancreatico. Il succo è ricco di Ca² e l’alcol induce la sintesi di una proteina che mantiene in soluzione il Ca² nel succo pancreatico. Ne deriva che questi abusatori cronici di alcol vanno incontro a una litiasi pancreatica con facilità. La pancreatite cronica più comune è quella derivante da abuso di alcol, che si caratterizza dal punto di vista anatomo-patologico per essere calcificante-calcifica; nei dotti pancreatici si hanno dei precipitati inizialmente proteici e successivamente si depositano i sali di Ca²: ne risulta la litiasi. Naturalmente laddove c’è litiasi c’è un ostacolo a monte, e quindi tale condizione favorisce l’attivazione di enzimi intraghiandolari cha portano all’autodigestione del pancreas. L’autodigestione comporta la liberazione locale di citochine che stimolano la flogosi e la fibrosi. In tal modo si ha una sofferenza diretta, per l’uso di alcol, ed una sofferenza parenchimale, legata alla presenza dell’ostacolo, nel momento dell’eliminazione del succo pancreatico. L’organo si impoverisce progressivamente di strutture secretive e si arricchisce progressivamente di tessuto fibroso. Essendo un processo che interessa i dotti, è evidente che il parenchima pancreatico esocrino è quello che soffre di più per la loro ostruzione, mentre il parenchima endocrino ne risentirà solo nella fase tardiva della malattia. Come il fegato, il pancreas finché non perde la quasi totalità della sua funzionalità (fegato 80% vs pancreas 90%) non dà sintomi di insufficienza secretiva esocrina, la quale inizia con una insufficienza di lipasi. Si deve arrivare al 95-96% di distruzione del parenchima pancreatico per avere una insufficienza esocrina totale (quindi anche di amilasi e tripsina, oltre che di lipasi) e si deve arrivare al 99% per avere il diabete, insufficienza di secrezione insulinica. La malattia è lentissima nella sua evoluzione, quindi possono anche passare decenni prima di giungere alla fase terminale, fase di insufficienza secretiva. Il paziente quindi non si recherà dal medico motivato da maldigestione, bensì giungerà a lui per il dolore. Il dolore pancreatico ha dato e continua a dare tanti problemi al medico, in quanto il paziente mostra la sua insoddisfazione alla terapia scelta, poiché insoddisfacente, non risolutiva del dolore sofferto. N.B.:Quando si ha un sintomo occorre sempre sapere da cosa dipende. Il dolore pancreatico è continuo; ciò dipende dall’interessamento dalle fibre sensitive interne al pancreas, provenienti dal ganglio celiaco. Sono tutte fibre vagali e simpatiche, coinvolte nel processo di tipo infiammatorio-cicatriziale. Il dolore della pancreatite cronica è tipicamente un’esacerbazione post-prandiale, ossia non appena inizia la secrezione acida gastrica, c’è una ipersecrezione consensuale del pancreas. Se nel pancreas ci sono dei tratti stenotici (per ragioni di calcolosi) con dilatazione a monte, si crea quella condizione per cui nelle vie pancreatiche aumenta la pressione. Tale aumento di pressione porta all’esacerbazione del dolore. Per quanto si faccia, a volte tali pazienti non vengono sollevati. Raramente la pancreatite cronica produce anche l’indurimento della testa del pancreas, simulando magari una neoplasia. Visto che tale indurimento può comprimere il coledoco, che passa attraverso la testa del pancreas, è possibile che ci sia una ostruzione del coledoco; ma ciò è veramente raro. La maldigestione ovviamente comporta poi malassorbimento. Si inizia a non digerire i grassi con la conseguente steatorrea: feci untuose, feci leggere che galleggiano, feci abbondanti, feci lucide che si appiccicano al contenitore. Poi si prosegue con la creatorrea. La conseguenza della pancreatite cronica è quindi la maldigestione, non il malassorbimento. L’assorbimento dipende dall’intestino tenue, che assorbe le molecole in cui è scomposto il cibo grazie all’azione degli enzimi. Il problema di un pancreatitico è che al suo intestino non arrivano i monomeri assorbibili, a causa del deficit enzimatico. Nel morbo celiaco, invece, il difetto risiede nell’intestino (vs pancreatitico). Pertanto il pancreatitico soffre dapprima di maldigestione, poi di malassorbimento. Il paziente pancreatitico cronico, in tale condizione, può arrivare progressivamente anche alla cachessia e alla morte. Ormai non si muore più per questo, poiché gli enzimi pancreatici si possono dare per os; quelli degli animali (porcini o bovini) funzionano benissimo anche nell’uomo, però devono arrivare vivi nell’intestino tenue, cosa non facile : il modo più serio per conseguirlo è l’utilizzo di microcapsule che liberano gli enzimi soltanto nel tenue, cosicché non vengano digeriti dall’acido dello stomaco. Nella capsula è contenuto un preparato contente quantità di enzimi sufficienti a correggere il deficit, ma la lipasi è l’enzima limitante anche in tali preparati. Mentre l’amilasi viene anche dalla saliva e le proteine vengono digerite sia con la pepsina che con l’acido, i grassi si digeriscono solo grazie alla lipasi. Per questo la steatorrea è prevalente sulle altre forme di maldigestione e quindi di malassorbimento. DIAGNOSI La pancreatite si diagnostica con la ricerca dell’amilasi. Poiché l’amilasi è una piccola molecola, per essere presente nelle urine non ha bisogno di un picco nel sangue: per questo l’amilasuria nelle 24 h è più importante dell’amilasemia. Sicuramente l’ecografia del pancreas dà una poco buona definizione morfologica, perché c’è sempre l’aria; quindi servono la TC e la RMN per vedere i piccoli dotti pancreatici, particolarmente efficace è la ColangioRMN. Se il paziente pancreatitico cronico ha dolori feroci che non si riescono a dominare con i sistemi semplici, occorre sempre chiedere la ColangioRMN per vedere le microalterazioni e la microostruzioni dei piccoli dotti, poiché attualmente è possibile mettere delle protesi intrapancreatiche per via endoscopica (CPRE). Mariaelena Occhipinti