BREVE STORIA DELLA BASILICATA
di Palma Fuccella
L’Età Moderna
Anche nella lotta tra Francia e Spagna
per il dominio sul l'Italia, apertasi con la
morte di Ferdinando d'Aragona nel 1504,
la Basilicata subì i soliti violenti assalti e,
ciò che è peggio, le ennesime spartizioni
feudali.
Con
la
consegna
del
Mezzogiorno all'imperatore Carlo V di
Spagna, tutti i feudatari ribelli o ostili al
nuovo corso furono privati dei loro
privilegi, tra questi i Caracciolo; i feudi
di Melfi, Candela, Forenza e Lagopesole
andarono così ad Andrea Doria "in
soddisfazione della rendita annua di
6.000 ducati" e in cambio dei servigi resi
alla corona, nel momento di massima
ricchezza e splendore del condottiero
genovese e della sua città.63 Maggiore il
colpo inferto ai Sanseverino, i cui
numerosi feudi furono divisi fra le
emergenti famiglie dei Carafa, Revertera,
Pignatelli e Colonna. In questo contesto
si inserisce la vicenda di Isabella Morra,
poetessa di Valsinni, chiusa nella torre
della fortezza in seguito alla fuga in
Francia del padre che, per una sospetta
relazione con il confinato Diego
Sandoval De Castro, venne infine uccisa
dagli stessi fratelli. I versi di Isabella
rappresentano una delle testimonianze
più toccanti nel panorama della poesia
femminile del suo tempo e un anelito di
libertà che getta una luce fosca su quel
"rinascimento" italiano.
Con l'avvento della nuova classe
dirigente, il cui centro di potere era
altrove, così come altrove erano ormai
spostati i mercati dell'economia europea,
le cui forze si dispiegavano nel vasto
spazio
atlantico,
più
che
nel
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Mediterraneo, la Basilicata "riinfeudata"
veniva ormai trattata alla stregua di pura
merce di scambio. Affidata alla
giurisdizione di Salerno mentre Matera e
la Murgia appartenevano alla Terra
d'Otranto, ben poco interesse veniva
dimostrato dai nuovi baroni al
miglioramento
delle
condizioni
economiche e sociali dei feudi lucani, ciò
che importava era solo la garanzia della
rendita annuale.
Nel 1528, i lanzichenecchi di Lautrec,
dopo il sacco di Roma non risparmiarono
il Sud e in Basilicata colpirono in
particolare Melfi arrecando terrore e
distruzione. Ma se i mercati dei centri
urbani riuscivano in qualche modo a
garantire un certo vigore economico, le
campagne rimanevano invece in una
condizione di generale povertà poiché
gran parte della produzione agricola era
assorbita dall'autoconsumo delle famiglie
e ben poco del prodotto si riusciva a
destinare ai mercati esterni. Su questo
retroterra di povertà il potere economico
delle
nuove
famiglie
feudali
impietosamente si intrecciava con il
potere ecclesiastico di modo che la morsa
dello
sfruttamento
si
stringeva
ulteriormente.
Simone da Firenze e da
numerosi ed accreditati artisti
locali fra cui Altobello Persio,
Giovanni Todisco, il Pietrafesa,
Antonio Stabile e, più avanti,
Carlo Sellitto e Pietro Antonio
Ferro; queste tele e pale d'altare
rappresentano un patrimonio
artistico prezioso per la
Basilicata, un tesoro perlopiù
inesplorato e sconosciuto. Nella
seconda metà del XVI sec.,
negli anni del viceregno
spagnolo, la Basilicata conobbe
un
periodo
di
relativa
tranquillità.
In questo senso
esemplare
fu
l'ascesa dei Carafa
(principi di Stigliano) che, primo fra tutti
Oliviero, abate commendatario della
Badia di Monticchio, furono i
protagonisti di oltre due secoli di politica
spagnola nel Regno, esprimendo un gran
numero di prelati e
baroni e finanche
un papa, Paolo IV.
È in questa fase del
Rinascimento che si
crea un rigoglioso
mercato
dell'arte
legato alle grandi
famiglie baronali ed
alla committenza
religiosa. Opere di
grande
pregio
saranno realizzate
da
Cima
da
Conegliano,
Nella vita sociale e politica della
regione, divisa tra vecchie e
nuove famiglie baronali, si
avvertivano i primi effetti
dell'emergere di una nuova classe
intermedia, perlopiù appartenente a
grosse famiglie locali e costituita dai
rappresentanti dei baroni, dei vescovi e
degli abati impegnati, in loro assenza,
nell'attività di amministrazione e gestione
dei feudi. Contemporaneamente al
formarsi di questo nuovo corpo sociale si
avviava un processo di autonomia dei
Comuni nei quali, secondo una
complessa macchinazione legislativa, i
cittadini potevano riscattare la propria
città pagando allo Stato la somma
altrimenti versata dal barone. In questo
modo il Comune passava al Regio
Demanio e, senza l'intermediazione del
barone, tutte le terre comprese nell'agro
divenivano di possesso
comune
e
quindi
"universali", motivo per
cui i Comuni vennero
all'epoca
definiti
Università.
Tale
processo
di
emancipazione,
infrequente in Basilicata,
aveva
trovato
nell'esperienza
di
Saponara del 1405 un
prezioso esempio. Qui, la
strenua difesa opposta
all'avanzata delle forze
reali, convinse Ladislao a
concedere al popolo un
indulto ( firmato il 14
aprile), che garantiva
un'esenzione fiscale e
l'impegno del Re a non
infeudare il Comune. Le
città Regie in Basilicata
furono pochissime e non
sempre la loro conquista
riusciva
ad
essere
duratura,
poiché
il
riscatto era molto costoso
e
comportava
un
immenso
sacrificio
economico da parte dei
cittadini; fra queste, oltre
a Saponara, è utile
ricordare
l'esperienza
Regia
di
Matera,
Lagonegro, Maratea, San Mauro e
Rivello. Nel corso del XVI sec. erano
ormai tanti i Comuni in cui si era
accresciuta
la
coscienza
politica
autonomistica, sfociando in molti casi in
rivolta contro gli abusi dei baroni. A
Matera, ad esempio, i cittadini sfiniti
dalle esose contribuzioni richieste dal
nuovo signore assegnato dal Re, il
banchiere
napoletano
Giancarlo
Tramontano, nella notte di natale del
1514 gli tesero un agguato e lo uccisero,
non consentendogli nemmeno di ultimare
il suo imponente castello.
Sebbene l'attività dei Comuni fosse
basata su una rinnovata coscienza civica
e su un certo progresso di carattere
economico, evidente nel caso di Matera e
Venosa commercialmente ben collegate
con i porti pugliesi, la situazione non
migliorava invece per le campagne e le
zone interne i cui prodotti, quando
riuscivano a superare la soglia del
consumo personale, erano nei mercati
sottoposti ad una rigorosa stagnazione
dei prezzi.
A questo si aggiungeva un sistema
fiscale votato essenzialmente alle
imposte indirette sui generi di consumo,
quindi la farina, il vino, il formaggio, la
carne continuavano ad essere fortemente
tassati, producendo seri problemi ai
contadini. Al contrario, per evitare
conflittualità con i gruppi dirigenti non
veniva per nulla adottata l'imposta diretta
sui beni e i patrimoni, introdotta
generalmente solo nel 1742 dal "Catasto
Onciario" di Carlo III. Il peso
insostenibile delle imposte creava nella
base del popolo un malcontento diffuso e
cominciavano a verificarsi le prime
manifestazioni di quel movimento
antifeudale che pochi decenni più avanti
avrebbe animato, con la "rivolta di
Masaniello", tutto il Mezzogiorno.
Nel
quadro
delle
rivendicazioni
antifeudali ed antispagnole della metà del
XVII sec., le comunità cominciarono con
più insistenza a rivendicare i diritti nei
confronti dei baroni e dello strapotere
ecclesiastico. In Basilicata l'assenza delle
dirette autorità dello Stato (poiché
sottoposta alla provincia di Salerno) e
l'isolamento di molti centri abitati,
favorirono l'organizzazione e il diffodersi
della rivolta. La sollevazione fu
generalizzata e coinvolse tutta la regione:
a Potenza il principe Celano fu costretto
a fuggire, mentre a Vaglio il principe
Salazar, uno dei capi della rivolta
fuoriuscito dal carcere napoletano, si
pose alla testa dell'esercito rivoluzionario
al fianco di Matteo Cristiano. L'offensiva
fu determinata e nel gennaio del 1648
tutta la Basilicata aveva aderito alla
Repubblica
ed
i
poteri
erano
ufficialmente
passati
al
nuovo
"governatore
delle
armi"
in
rappresentanza
del
governo
rivoluzionario di Napoli, Matteo
Cristiano.
La controffensiva spagnola e baronale fu
violenta ed implacabile; il sogno
repubblicano durò ben poche settimane e
nella primavera dello stesso 1648 i capi
rivolta erano già stati passati alle armi e
le popolazioni domate con grande
spargimento di sangue. La crisi sociale,
all'origine della rivolta repubblicana, si
era ora ulteriormente aggravata, ma un
risultato positivo il popolo lucano riuscì
ad ottenerlo e fu la decisione del governo
spagnolo di destinare una provincia
autonoma
per
la
Basilicata,
probabilmente per migliorarne le
funzioni di controllo, e la scelta cadde su
Matera.
Da quel momento, era il 1663,
finalmente la regione poteva contare su
propri uffici amministrativi e sulla
presenza del Tribunale della Regia
Udienza, che avrebbe cambiato molte
cose nel rapporto fra i baroni, le autorità
della Chiesa e le comunità, ora non più
sordamente soggette all'anarchia feudale
ed ecclesiastica. Cominciò così a
formarsi una classe dirigente di
professionisti delle discipline giuridiche,
impegnati perlopiù a difendere i diritti
delle Università e del popolo, i cosiddetti
"avvocati dei poveri". Matera era del
resto la città più operosa del tempo,
conservando ottime attività commerciali
e continui contatti con i porti pugliesi;
con una popolazione nel circondario di
circa 60.000 abitanti Matera, molto
vivace anche sul piano intellettuale,
aveva dato i natali al poeta Tommaso
Stigliani e, nel secolo dei lumi,
all'insigne musicista Egidio Romualdo
Duni che ebbe notorietà in tutti i teatri
d'Europa.
Nel XVII sec. anche la stampa faceva il
suo esordio in Basilicata, grazie al
volume del vescovo Roberto Roberti,
stampato a Tricarico nel 1613.65Questi
gli aspetti positivi del Seicento, un secolo
per altri versi drammatico, segnato
ancora da pestilenze e carestie e da un
generale riflusso demografico; un secolo
sanguinolento e crudele, in cui trionfava
l'intolleranza della Chiesa, i suoi roghi, le
sue persecuzioni.66In fondo anche la
"rivoluzione di Masaniello" si
chiudeva per il Sud con uno
scacco durissimo, provocando il
generale sopravvento delle forze
reazionarie e la conseguente
decadenza economica e sociale.
Nelle compilazioni del "Catasto
Onciario" della metà del
Settecento, si rileva che la
maggior parte della popolazione
lucana
era
composta
esclusivamente da braccianti e
contadini e se ad ogni famiglia
spettava in media un reddito di
40 once, ai feudatari o
"forestieri bonatenenti" erano
invece accertate 205 once , e
ben 326 calcolate per ogni ente
ecclesiastico, beni considerati
per la metà, secondo le direttive
del Concordato.
Con queste persistenti ed
esorbitanti disuguaglianze erano
davvero pochi gli esponenti della società
locale che riuscivano a raggiungere
posizioni economiche ragguardevoli e,
quei pochi, costituivano il nerbo della
nuova borghesia rurale che tanta parte
avrebbe avuto nella storia dei secoli
successivi. L 'influenza dei nuovi
orientamenti liberali e repubblicani
dell'epoca dei lumi fu consistente in
Basilicata, grazie soprattutto alla
vicinanza di Napoli che fu il centro
propulsore
dell'illuminismo
nel
Mezzogiorno; lì infatti operavano molti
uomini di cultura lucani che si sarebbero
distinti nei moti di fine secolo. Ruolo di
primo piano in questo senso assunse la
presenza del filogiansenista Giovanni
Andrea Serrao, nominato vescovo di
Potenza da Re Ferdinando di Borbone
nel 1783, nonostante l'opposizione del
Papa. Parte autorevole del movimento
cattolico riformatore napoletano il Serrao
fu il fautore del nuovo orientamento
liberale introdotto nella formazione del
giovane clero del Seminario di Potenza e
l'ispiratore
dei
circoli
progressisti
della
città.
L'inquietudin
e sociale, mai
sopita
nel
corso
dei
centocinquant
a
anni
trascorsi dalla
"rivoluzione
di
Masaniello",
esplose con
rinnovato
vigore
nel
1799.
Il 3 febbraio
la
popolazione
di
Potenza
scese
in
piazza e di lì i
moti
si
estesero
in
tutta
la
regione,
animati dalla
"Organizzazi
one
democratica"
guidata
dai
giovani
fratelli
Michelangelo
e Girolamo
Vaccaro
di
Avigliano.
Ad arginare
l'insurrezione generale, basata sulla
comune difesa repubblicana, tra la fine di
marzo e l'inizio di aprile si sarebbe
scagliata la terribile controffensiva
borbonica.
La
prima
durissima
repressione si verificò proprio a Potenza
dove truppe realiste assaltarono e
saccheggiarono il Seminario e il
vescovato, decapitando selvaggiamente
sia il rettore che il vescovo Serrao, i cui
corpi vennero esposti al pubblico
"ludibrio". I borbonici intanto, guidati da
Sciarpa, si ricongiungevano con le truppe
sanfediste all'ordine del cardinale Ruffo
che risaliva la penisola dalla Calabria,
assoldando anche molti briganti. A lungo
resistette Tito, dove infine gli uomini di
Sciarpa trucidarono la famiglia Cafarelli;
in aprile però tutta la parte nord
occidentale della regione opponeva
ancora forte resistenza tanto che il
cardinale Ruffo fece richiesta di altre
forze per "far crollare la costanza dei
montagnuoli di Basilicata".67
Ma l'esperienza repubblicana si spegneva
con il lungo assedio di Picerno dove si
erano concentrate tutte le forze di
resistenza insorte; il 15 maggio, caduta
Picerno, trovarono la morte i fratelli
Vaccaro e almeno altri settanta fra
uomini e donne. Occupata Potenza i
senfedisti conclusero la loro "crociata" a
Melfi dove tra il 29 ed il 31 maggio la
Basilicata potè dirsi riconquistata.
La repressione seguita alla resa fu
durissima e se a Napoli cadeva un'intera
generazione di intellettuali illuminati e
fra i tanti lucani anche Mario Pagano, in
Basilicata la lista dei "Rei di Stato"
divenne interminabile e la vendetta
sanfedista e realista si abbattè su
contadini, artigiani, sacerdoti, borghesi,
tutti coloro che avevano anche pur solo
vagheggiato la resistenza alla feudalità ed
ai borboni.
Eppure, nonostante così dura fosse stata
la repressione, gli ideali di quella rivolta
non si spensero anzi, nel decennio di
governo francese, nella legislazione che
aboliva la feudalità e la manomorta
ecclesiastica, gli animi repubblicani si
risollevarono. Fra le trasformazioni
introdotte in Basilicata da Giuseppe
Bonaparte e il reggente Gioacchino
Murat, determinante fu la decisione di
trasferire la Provincia; il fulcro delle
attività amministrative della regione si
spostava così a Potenza, pare per
l'appoggio garantito dai potentini alle
truppe di occupazione francesi, cosicché,
nel giro di pochi anni, il paese che si
estendeva ancora solo nella parte più alta,
dal Duomo alle prime case extra moenia
che erano quelle di Porta Salza, dovette
trasformarsi in città ed adeguare il suo
assetto urbanistico alle nuove importanti
funzioni amministrative; ma per questo ci
volle tempo e in tanti si spostarono a
vivere nei sottani per dar posto, magari in
affitto, agli apparati della nuova classe
dirigente. Dal 1806 al 1815, intanto, oltre
16.000 ettari di terre demaniali venivano
divise, per ordine di Giocchino Murat, in
13.000 quote assegnate ai coltivatori; si
frantumava così, per la prima volta,
l'antico e pervicace assetto feudale della
Basilicata.
La consapevolezza e la coscienza di
questi diritti non sarebbe mai più venuta
meno, come dimostreranno le lotte
contadine proseguite fino al nostro
secondo dopoguerra.
63
Cfr. Raffaele Giura Longo, op.cit., pg. 59.
Fernand Braudel, La dinamica del capitalismo,
Bologna, Il Mulino, 1981.
65
Maurizio Restivo, Origine e sviluppo della stampa
in Basilicata, Manduria, Lacaita, 1993.
66
Piero Camporesi, Il Sugo della Vita. Simbolismo e
magia del sangue, Milano, Edizioni di Comunità,
1984.
67
Raffaele Giura Longo, op.cit., pg. 115.
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