sfrenate, dipingendo anche gli dèi in modo falso e irriverente. A essi, infatti, ha attribuito i peggiori vizi umani: il furto, l'inganno, l'odio, la vendetta, l'infedeltà, la lussuria... Se i giovani leggessero queste poesie ne trarrebbero incitamento a perseguire l'ingiustizia e l'immoralità, al posto della virtù. E’ vero che queste immagini non vanno prese alla lettera; ma i giovani sono troppo inesperti per poter distinguere tra realtà e fantasia.. Ma c'è una crìtica ancora più radicale che Platone muove ad ogni attività che mira a ricreare la realtà in modo fantastico: sia essa pittura, scultura o poesia. Tali arti tendono all’imitazione. Si prenda l'esempio del pittore che dipinge un letto. Egli lo copia dal letto vero, quello prodotto dall'artigiano che fabbrica mobili il quale, a sua volta, si ispira a un modello astratto di letto, all'idea stessa di "Letto". Che cosa sono, dunque, le opere del pittore? Sono semplicemente copie di copie del vero essere. Il pittore copia l'opera dell'artigiano, che a sua volta ha copiato l'idea o modello universale. L'arte è, dunque, "copia della copia", "imitazione di imitazione": per queste ragioni essa è molto distante dalla vera realtà, che così viene trasformata e deformata dall'artista. Di siffatte deformazioni la città ideale non ha bisogno, né ne hanno bisogno i suoi giovani nella loro educazione. Essi dovranno essere istruiti a fare l’esperienza non delle copie, ma della vera realtà, quella delle idee. A loro serve perciò la filosofia, che li pone - si ricordi il mito della caverna - a contatto diretto con la luce del giorno, cioè con la verità. 1- Cose e idee per Platone Che rapporto c’è tra le idee e le cose? Le idee, infatti, appartengono al mondo sovrasensibile, le cose invece al mondo sensibile. A questa domanda, Platone ha dato tre risposte differenti, mostrandosi incerto sulla soluzione migliore. La prima risposta prevede un rapporto di mimesi: le cose imitano le idee. Ad esempio, il tavolo prodotto dall’artigiano è costruito ad immagine e somiglianza dell’idea di tavolo. Mimesi deriva dal greco mimesis (μίμησις) e significa imitazione. La seconda risposta riguarda il concetto di partecipazione o metessi (in greco μέθεξις, methexis). Le cose sensibili non sono del tutto scollegate dal mondo ideale, perché prendono parte in qualche misura alla sua perfezione. Così, è attraverso la partecipazione alla “forma del cerchio” che le cose sono circolari, alla “forma della giustizia” che le cose sono giuste, ecc. La terza risposta è quella della presenza o parusia delle idee nelle cose (in greco παρουσία, parousìa). Il mondo sensibile altro non è che una rivelazione o espressione visibile del mondo ideale. Nelle cose, perciò, si rivelano le idee: ad esempio, il volto di una bella ragazza rivela l’eterna e perfetta idea di bellezza. Al di là delle risposte differenti, Platone tende a evidenziare un rapporto stretto tra mondo ideale e mondo reale: le idee sono le cause delle cose. 2- L'arte come sogno Nello Stato ideale cambia anche la funzione dell'arte. Essa dovrà essere coerente con le finalità educative dei giovani che un giorno dovranno governare. Questi ultimi dovranno essere filosofi, cioè uomini che si sono liberati delle illusioni delle ombre e delle apparenze sensibili, per indirizzare la loro attenzione al mondo ideale. Riprendendo una metafora di Eraclito, Platone afferma che i filosofi non devono essere "dormienti", ma "svegli": devono abituarsi a guardare la realtà delle cose e non immagini false, come quelle dei sogni. Per lui la vita umana immersa nella sensibilità è come una vita di sogno, in cui abbiamo conoscenze fugaci e ingannevoli. Al contrario, i filosofi devono essere educati a contemplare la vera realtà dell'essere, rappresentata dalla conoscenza del Bene e delle altre idee, attraverso la ragione filosofica. Ecco dunque perché Platone, che fu comunque anche un grande scrittore, ha condannato l'arte: l'arte è soltanto sogno, copia sbiadita e deformante della realtà. In quanto tale è diseducativa e va eliminata dal progetto della città giusta. Nel decimo e ultimo libro della Repubblica, la domanda che Platone si pone è se le creazioni artistiche - la pittura, la scultura, la poesia - siano utili alla formazione dei giovani. Egli è consapevole di sostenere una posizione difficile e anticonformista, che mette in discussione i poeti della Grecia antica, come Esiodo e, soprattutto, Omero. Quale vantaggio pratico per la vita della città e dell'anima ha avuto la sua poesia? Quale virtù ha insegnato ai giovani? Quale miglioramento ha prodotto nella vita sociale? La risposta è chiara: egli è stato soltanto un grande creatore di fantasmi, un illusionista della parola, che ha rappresentato le passioni più Platone 3 - Cattiva maestra la poesia L’arte è utile per l’educazione? In questa condanna si riflette la polemica platonica contro la concezione tradizionale dell’educazione, incentrata essenzialmente sulla poesia e sulla mitologia: a essa va sostituita un’educazione filosofica, incentrata sulla ragione. Non più immagini, ma concetti, sembra suggerire Platone, che in tal modo pone il metodo del ragionamento e del dialogo di Socrate come erede e superamento della poesia omerica e di quella dei tragici. Platone si fa interprete della fase di transizione della cultura greca, in cui l'avvento della filosofia e del suo metodo dimostrativo e dialettico appare più rispondente ai bisogni di un'epoca di crisi dei valori tradizionali. La condanna dell’arte imitativa deve essere letta in quest’ottica pedagogica e politica, e non in riferimento al suo valore estetico. Platone dunque parla dal punto di vista dell’educatore e del legislatore politico. Le arti imitative tendono, secondo Platore, a lusingare con immagini frivole e false le coscienze dei giovani, le quali sono allettate e soddisfatte sul momento, ma poi non trovano spunti validi per comportamenti virtuosi. E si comporterebbero in maniera smodata e immorale. Per fare un esempio desunto dalla contemporaneità, riportiamo un'analoga condanna pronunciata da uno dei massimi filosofi del Novecento, Karl Popper, a proposito della televisione, da lui definita «cattiva maestra», proprio a causa del suo forte potere di suggestione sui ragazzi, che non lascia spazio alla riflessione e al ragionamento. Da D. Massaro, La comunicazione filosofica, vol. 1, Torino, Paravia, 2002, pagg. 186-7 e 208-9, rielaborato.