doc - dipartimento di economia e diritto

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Capitolo 2
Equilibrio parziale perfettamente competitivo
2.1. I regimi di mercato
Iniziamo lo studio delle tematiche del corso di Economia dell’Organizzazione Industriale da una
preliminare classificazione dei regimi (o forme) di mercato, termine con il quale facciamo
riferimento alle particolari modalità con le quali si realizzano produzione e scambio di beni nei
singoli mercati. Ancorché lo studio delle forme di mercato prescinda dalla natura del bene
considerato, sia esso un prodotto del processo produttivo o un fattore della produzione,
concentreremo in questa sede la nostra attenzione sui soli mercati degli output.
Concorrono a determinare le diverse forme di mercato principalmente i seguenti elementi:
-
il numero dei compratori e quello degli offerenti;
-
le caratteristiche del prodotto, che distinguiamo tra omogeneo e differenziato;
-
le condizioni di entrata, che esaminiamo sotto il profilo della presenza e della natura di
eventuali barriere all’ingresso nel mercato.
In relazione a tali elementi possiamo operare una prima e fondamentale distinzione fra concorrenza
perfetta ed imperfetta e, quindi, all’interno di quest’ultima, individuare distinte forme di mercato
come monopolio, monopsonio, monopolio bilaterale, oligopolio, concorrenza monopolistica. I tratti
caratteristici di ciascuna di queste forme di mercato, che sono sinteticamente indicati nella Tabella
2.1, verranno approfonditi nei successivi paragrafi di questo capitolo.
Tabella 2.1. Regimi di mercato.
Concorrenza imperfetta
Concorrenza
perfetta
Monopolio
Monopsonio
Monopolio
bilaterale
Oligopolio
Concorrenza
monopolistica
No. compratori
Moltissimi
Moltissimi
Uno
Uno
Moltissimi
moltissimi
No. produttori
Moltissimi
Uno
Moltissimi
Uno
Pochi
Molti
Tipo prodotto
Omogeneo
-
-
-
Omogeneo /
Differenziato
Differenziato
No
Si
Si
Si
Elevate
No
Barriere entrata
Domenico Tosato – Economia dell’Organizzazione Industriale, a.a. 2009-10 – Dispense per gli studenti
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2.2. Concorrenza perfetta
La concorrenza perfetta è caratterizzata (i) dalla numerosità sia dei compratori che dei venditori,
tutti piccoli rispetto alle dimensioni del mercato, (ii) dalla omogeneità del prodotto e (iii) dalla
libertà di entrata. Esaminiamo in dettaglio questi vari aspetti.
(i) Moltissimi compratori e venditori, tutti piccoli. Questo significa che la domanda di un singolo
compratore e l’offerta di un singolo venditore sono così piccole, rispetto alla quantità
complessivamente scambiata nel mercato, che la presenza o l’assenza di una tale domanda o offerta
ha un effetto trascurabile sulle condizioni del mercato stesso e, in particolare, sul prezzo. Tale
circostanza si traduce nell’ipotesi analitica di comportamento price-taking da parte di tutti gli
agenti, che formulano le loro decisioni in termini di quantità domandata o offerta in risposta agli
incentivi di prezzo e subordinatamente al vincolo di bilancio (ricchezza/reddito), i compratori, e al
vincolo delle conoscenze tecnologiche (funzione della produzione), i produttori.
(ii) Omogeneità del prodotto. Si tratta di un requisito essenziale della concorrenza perfetta.
L’omogeneità del prodotto implica, per i consumatori, la perfetta sostituibilità tra i beni offerti dai
diversi fornitori e, per i produttori, la totale indifferenza rispetto ai possibili compratori. Si noti che
la differenziazione del prodotto può essere effettiva o semplicemente percepita come tale. Può trarre
origine dal nome del produttore o dalla confezione con cui il bene viene presentato, circostanze
queste che possono ingenerare una preferenza per uno specifico tipo di bene, indipendentemente dal
prezzo, ed instaurare un rapporto di fidelizzazione nei confronti di una particolare produttore,
rapporto che il produttore è in grado di sfruttare per agire sul prezzo. Può dipendere, per i
consumatori, dal costo di raccogliere l’informazione necessaria per un confronto dei prezzi o da
quello, in termini di tempo e spese di trasporto, di recarsi da un fornitore più lontano o, per i
produttori, dal costo di approvvigionare una località di meno agevole raggiungimento. E’ a questo
fine rilevante un concetto esteso di costo, comprensivo degli elementi che vanno ad aggiungesi al
prezzo esposto al pubblico.
A rigor di logica, il concetto di omogeneità del prodotto richiede non soltanto identità delle
caratteristiche fisiche, ma anche trasparenza delle condizioni del mercato e assenza di costi di
trasporto.1 E’ palese che siffatte condizioni difficilmente sono presenti nei mercati reali: forse solo i
grandi mercati di borsa dei titoli e delle commodities si avvicinano a soddisfare pienamente tali
condizioni.2
Conseguenza immediata dell’omogeneità del prodotto è la legge del prezzo unico: non vi possono
infatti essere prezzi diversi per il medesimo bene. In caso contrario i consumatori si rivolgerebbero
1
In un contesto di certezza, un bene è infatti definito dalle sue caratteristiche fisiche, dal luogo e dal momento in cui è
disponibile.
2
Si pensi, da un lato, alla assoluta identità dei titoli con la medesima data di emissione e di scadenza e le medesime
condizioni di rendimento emessi da una certa impresa o istituzione pubblica e, dall’altro, alla attenzione con cui
vengono definiti i diversi tipi di derrate agricole e di materie prime, per consegna a pronti o a termine, proprio per
renderne possibile la contrattazione nei mercati internazionali.
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ai produttori con la quotazione più conveniente, forzando in tal modo tutti i venditori ad allinearsi a
tale prezzo.
(iii) Libertà di entrata. Il concetto di libertà di entrata ha significato decisamente più ampio di mera
negazione della presenza di barriere all’ingresso in una determinata industria. Implica, in positivo,
la piena riproducibilità delle condizioni di produzione dell’impresa più efficiente in termini di costo.
Ciò costituisce, anzi tutto, un secondo aspetto del concetto di trasparenza delle condizioni di
mercato, già sottolineato con riferimento alla conoscenza delle condizioni di offerta da parte dei
consumatori, ed ora rilevante sotto il profilo delle conoscenze della tecnologia più efficiente e della
imitabilità della stessa per l’assenza di brevetti, royalties e segreti di fabbrica. Ma si riflette anche
sull’effettiva possibilità da parte di qualsiasi impresa, già operante nell’industria o potenziale
entrante, di disporre delle risorse di capitale finanziario necessarie per adottare quella tecnologia.
Libertà di entrata richiede perciò la possibilità di accesso ad un mercato dei capitali perfetto, in cui
è, per definizione, possibile prendere (oltreché dare) a prestito alle condizioni del mercato qualsiasi
ammontare di capitali nell’ambito di un vincolo di rimborsabilità (o autoliquidazione) del debito.
La teoria della concorrenza perfetta non esclude la possibilità che nel breve periodo operino imprese
di diversa efficienza . Ma poiché tutte vendono il loro output al medesimo prezzo, il diverso grado
di efficienza si traduce in tassi di profitto diversi, più elevati per i produttori a basso costo, più bassi
per quelli a costo più alto, la cui produzione è comunque necessaria per soddisfare la domanda del
mercato. La possibile difformità dei tassi di profitto rappresenta un incentivo ad entrare3;
l’imitabilità senza impedimenti delle tecniche produttive più efficienti e l’accesso al mercato dei
capitali rendono effettivo l’incentivo all’entrata. Ne segue che nel lungo periodo i tassi di profitto si
allineano al livello dell’economia nel complesso, tenuto conto delle eventuali particolari condizioni
dell’industria in esame.4
Passiamo ora ad esaminare rapidamente le principali forma di mercato della concorrenza imperfetta,
anche perché ai regimi di mercato di monopolio e di oligopolio dedicheremo un’ampia trattazione
nel prosieguo del corso.
2.3. Monopolio
Il monopolio si caratterizza per la presenza di molti compratori e di un unico produttore del bene
considerato, nonché dall’esistenza di determinanti barriere all’entrata.
3
Eventualmente ad uscire, se il tasso di profitto è inferiore alla media dell’economia.
L’intensità del logorio del capitale e la rapidità del processo di obsolescenza tecnologica potrebbero costituire motivo
per una differenza dei tassi di profitto tra industrie. Ma la motivazione principale è in realtà data dalla presenza di gradi
di rischio diversi e conseguenti diversi premi al rischio che si sommano (o si sottraggono) al tasso medio di rendimento
dell’economia (o meglio, ad un tasso di rendimento di un’attività priva di rischio). La considerazione del rischio ci pone
tuttavia al di fuori del semplice schema teorico che stiamo considerando; la questione va dunque ripresa in altra sede.
4
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(i)Un unico produttore. In quanto unico produttore del bene5 il monopolista gode di un potere di
mercato, che si manifesta nella possibilità di fare il prezzo. Questo comportamento price-making,
che si contrappone al comportamento price-taking della concorrenza perfetta, consente al
monopolista di praticare un prezzo maggiore del costo marginale e realizzare quindi una rendita di
monopolio, o extra profitto.
Il potere di mercato del monopolista trova un limite nella domanda dei consumatori. La relazione
fra prezzo e quantità definita dalla funzione della domanda rappresenta un preciso vincolo alle
possibilità di scelta del monopolista. Il monopolista può adottare una strategia di prezzo ovvero di
quantità, ma non può scegliere indipendentemente queste grandezze. Se adotta una strategia di
prezzo, il mercato determina la quantità domandata a quel prezzo; e viceversa, se il monopolista
adotta una strategia di quantità, il mercato determina il prezzo al quale i consumatori sono disposti a
domandare quella quantità. Dal vincolo della domanda discende inoltre la circostanza che le
strategie di prezzo e di quantità conducono alla medesima condizione di massimizzazione del
profitto e quindi al medesimo risultato, come vedremo nello studio del monopolio.
(ii) Omogeneità del prodotto. La questione della omogeneità del prodotto non si pone
evidentemente nell’ambito dell’ipotesi di produzione di un dato bene. In realtà, il monopolista
produce generalmente tutta una gamma di prodotti differenziati, per meglio soddisfare la domanda
del mercato e rispondere così alle preferenze di diverse fasce di potenziali consumatori.
(iii) Barriere all’entrata. La presenza di barriere all’entrata e quindi la concentrazione della
produzione nelle mani di un’unica impresa può avere origini diverse: un’esclusiva concessa dallo
stato (in Italia, ad esempio, il monopolio del sale e dei tabacchi, del servizio ferroviario a lunga
percorrenza, della produzione di energia elettrica (oggi solo della rete di distribuzione); in Gran
Bretagna, il famoso monopolio dei traffici con l’estremo oriente concesso alla Compagnia delle
Indie); il controllo di una fonte di materie prime (la De Beers ha praticamente il monopolio sulla
produzione di diamanti grazie alla proprietà delle miniere di gran lunga più importanti al mondo in
Sud Africa); il possesso di un brevetto industriale altamente innovativo e di ardua imitabilità; la
presenza di economie di scala così importanti da rendere tecnologicamente efficiente che la
produzione venga effettuata da un’unica impresa.
Le barriere all’entrata non sono un fattore permanente. Cambia la legislazione (privatizzazione e
apertura alla competizione); vengono scoperte o divengono economicamente sfruttabili nuove
miniere; scadono, da un lato, i vecchi brevetti e, dall’altro, le innovazioni offrono di continuo nuove
opportunità in termini di prodotti simili a quelli del monopolista incombente e di tecniche
produttive che abbassano i punti di pareggio e riducono l’importanza delle economie di scala. Lo
studio delle reazioni del monopolista presente sul mercato di fronte alla minaccia posta da un
potenziale entrante costituisce uno dei temi centrali della teoria dell’organizzazione industriale, che
affronteremo più avanti nel corso.
Questa affermazione riflette l’approccio di equilibrio parziale, che adottiamo nello studio delle forme di mercato. Il
profilo analitico di tale approccio è esaminato nel capitolo 3.
5
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2.4. Monopsonio
Il monopsonio è un regime di mercato caratterizzato da uno scambio di ruoli rispetto al monopolio:
in questo caso ci troviamo in una situazione in cui vi è un unico compratore e molti venditori. Non
ci soffermiamo su questa forma di mercato, che in concreto può risultare attuale per una grande
impresa; questa potrebbe, infatti, essere l’unico acquirente di un componente del suo prodotto
finale, a sua volta fornito da più imprese. La posizione di forza dell’unico acquirente si manifesta
nella possibilità di ottenere il bene ad un prezzo inferiore al valore (o ricavo marginale) del prodotto
marginale.
2.5. Monopolio bilaterale
Nel monopolio bilaterale un unico compratore si confronta con un unico venditore. Le condizioni
dello scambio sono, in generale, determinate dai rapporti di forza. L’esempio usuale di monopolio
bilaterale è quello di un mercato del lavoro in cui si confrontano un sindacato delle imprese con un
sindacato dei lavoratori.
La situazione di monopolio bilaterale assume particolare rilevanza nello studio dell’economia
dell’organizzazione industriale con riferimento ai rapporti di fornitura in esclusiva tra imprese
distinte sotto il profilo del controllo societario, collocate all’interno di una rigida filiera produttiva.
Casi tipici di situazioni di questo genere sono l’ubicazione di un’impresa di trasformazione presso
una miniera di cui assorbe l’intera produzione o, ancora, quello classico del fornitore di carrozzerie
per auto al produttore finale.6 La rigidità del rapporto di fornitura determina una situazione di
potenziale hold-up, ossia la possibilità di una o di entrambe le imprese di sfruttare in modo
opportunistico la situazione. Appare opportuna in tale circostanza una governance unificata della
relazione con l’integrazione verticale fra fornitore ed utilizzatore.
2.6. Oligopolio
Nel regime di oligopolio pochi produttori fronteggiano un mercato costituito da molti compratori
price-takers; il prodotto può essere omogeneo, come è stato ipotizzato negli studi classici sul
duopolio (due soli produttori) o, più realisticamente, differenziato; grandi difficoltà si presentano
per l’entrata di nuove imprese nell’industria. Avremo modo di analizzare compiutamente più avanti
la teoria dell’oligopolio. Ci limitiamo qui, per completezza di trattazione, ad una breve esposizione
dei tratti salienti di tale regime di mercato.
(i)Pochi produttori. L’oligopolio si caratterizza per la presenza di pochi grandi produttori: è il
regime di mercato tipico della produzione industriale dei beni di consumo durevole (autovetture,
elettrodomestici, elettronica di consumo), dell’industria farmaceutica e di quella dei detersivi, del
Si fa qui riferimento al caso, citato negli studi sulla natura e i limiti dell’impresa, del produttore d di carrozzerie Fisher
Body e il produttore di autovetture General Motors.
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settore bancario ed assicurativo (dove un numero limitato di grandi istituti controlla la quota
largamente dominante del mercato), della grande distribuzione, del trasporto aereo, ed altri ancora.
La presenza di poche imprese di grandi dimensioni conferisce ai singoli produttori un potere di
mercato il cui esercizio, a differenza di quanto avviene nel regime di monopolio, trova un limite
nella competizione esercitata dagli altri produttori e nella reciproca, condizionante attenzione per le
azioni e le scelte dei rivali. L’influenza reciproca delle strategie – che possono essere non solo di
prezzo e/o di quantità, ma anche di pubblicità, di investimento in capacità produttiva e in ricerca e
sviluppo – di ogni impresa sulle strategie di tutte le altre, e quindi sui risultati (profitto) ottenibili,
configura una situazione di interazione strategica. Ne deriva l’esigenza di avvalersi di opportuni
strumenti analitici, propri della teoria dei giochi, per esaminare le diverse configurazioni di
equilibrio che possono determinarsi in oligopolio.
La consapevolezza dell’esistenza di un rapporto di interazione strategica può dar luogo a due tipi di
comportamenti: di natura competitiva ovvero di natura collusiva (rispettivamente di tipo non
cooperativo ovvero di tipo cooperativo nella terminologia della teoria dei giochi). Nel primo caso si
suppone che il comportamento di ogni impresa sia guidato dal principio della massimizzazione del
proprio profitto, tenuto conto della dipendenza dalle strategie, contestualmente o successivamente,
adottate dai rivali; nel secondo si suppone, invece, che intervenga un accordo vincolante tra
produttori allo scopo di adottare una strategia comune mirante alla massimizzazione del profitto
congiunto. La costituzione di un cartello per controllare le condizioni del mercato di un bene - si
pensi al cartello dei paesi produttori di petrolio (OPEC) – pone problemi di stabilità, ossia di
rispetto degli accordi stessi, come risulta dalle non infrequenti guerre di prezzo. D’altra parte,
occorre sottolineare che la teoria economica ha messo in luce come, nel contesto di una situazione
competitiva consolidata e duratura nel tempo, possano manifestarsi opportunità di cooperazione
tacita, con risultati analoghi a quelli di un formale cartello.
(ii) Prodotto omogeneo o differenziato. I modelli classici di oligopolio sono stati elaborati da
Cournot (1838) e da Bertrand (1883) sotto l’ipotesi di prodotto omogeneo. L’esempio utilizzato è
stato quello di due produttori di acque minerali. Difficilmente potremmo oggi pensare all’acqua
minerale come ad un prodotto omogeneo! Chiaramente, l’ipotesi di prodotto omogeneo appare oggi
assai meno calzante di un tempo. Ogni produttore si sforza infatti attraverso cospicue spese
pubblicitarie di tipizzare il proprio prodotto, di convincere i consumatori della superiorità di questo
rispetto ai prodotti rivali, di creare un brand che il mercato percepisca diverso. L’ipotesi di prodotto
differenziato appare pertanto più realistica nello studio dei modelli di oligopolio.
(iii) Barriere all’entrata. Le imprese operanti in regime di oligopolio sono, tipicamente, di grandi
dimensioni a motivo delle economie di scala. Queste possono derivare sia dall’andamento
decrescente dei costi marginali fino in prossimità della saturazione della capacità produttiva degli
impianti, sia dall’elevatezza dei costi fissi (per l’acquisto di macchinari ed impianti, per spese di
ricerca e sviluppo, di commercializzazione, di assistenza post-vendita), che si riflette nella
decrescenza dei costi medi totali. Ogni grande impresa gode altresì di un proprio know how
tecnologico – acquistato, consolidato e continuamente aggiornato e sviluppato nel tempo – e di un
patrimonio di consumatori fidelizzati. Entrare in un’industria oligopolistica richiede pertanto risorse
finanziarie e conoscenze tecnologiche tali da consentire un’entrata con dimensione adeguata.
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La globalizzazione dell’economie ha indubbiamente modificato le condizioni di entrata. In quello
che era un sistema piuttosto chiuso delle economie del mondo occidentale più il Giappone,
formatosi dopo la fine della seconda guerra mondiale, si sono inseriti elementi di rilevante novità.
Lo sviluppo impetuoso di alcuni grandi paesi, dotati di mercati finali potenzialmente di enormi
dimensioni, di risorse umane, di materie prime e di capitali ha cambiato le condizioni della
competizione a scala mondiale. Le joint ventures tra imprese locali e grandi imprese occidentali
hanno creato nuove grandi imprese nei paesi emergenti capaci di invadere i mercati mondiali con
prodotti a basso costo e sono divenute sempre più autonome rispetto all’iniziale rapporto di
dipendenza dal know how occidentale. La grave recessione mondiale iniziata sul finire del 2008
contribuirà indubbiamente ad una profonda ristrutturazione degli oligopoli che abbiamo conosciuto
fino al giorno d’oggi.
2.7. Concorrenza monopolistica
Questo regime di mercato si caratterizza per la molteplicità dei consumatori e dei produttori, la
differenziazione del prodotto e la libertà di entrata. E’ la forma di mercato tipica del comparto dei
servizi: in particolare, ristorazione, riparazioni, cura della persona, sevizi sanitari e legali.
Nonostante la rilevanza in concreto, questa forma di mercato non formerà oggetto di specifica
trattazione.
In estrema sintesi, la differenziazione del prodotto – in qualche caso reale (trattorie vs ristoranti di
lusso, grandi studi professionali vs singoli professionisti, e così via), più spesso semplicemente
percepita (qualità del servizio, prontezza delle risposte, cortesia del tratto) – è l’elemento
caratterizzante della concorrenza monopolistica. La denominazione intende sottolineare la
compresenza di due aspetti apparentemente contrastanti: concorrenza dovuta alla numerosità dei
fornitori, monopolio determinato da quel piccolo potere di mercato che viene proprio dalla
differenziazione del prodotto e crea pertanto un piccolo ambito in cui l’impresa può regolare il
proprio prezzo senza subire gli effetti dirompenti della concorrenza di altri produttori.
Come risulta dagli esempi fatti, le imprese sono generalmente di piccole dimensioni. Non
sussistono quindi barriere all’entrata, che è possibile anche con modeste risorse finanziarie e grazie
al know how spesso acquisito in un precedente lavoro alle dipendenze. La possibilità di esercitare un
lavoro autonomo e il miraggio di una miglior remunerazione rispetto al salario percepito alle
dipendenze costituiscono gli incentivi principali all’entrata, che dovrebbe in tal modo provocare un
tendenziale allineamento dei profitti a livello medio.
Caratteristica della concorrenza monopolistica, sottolineata dalla teoria e facilmente riscontrabile
nella realtà, è l’eccesso di capacità produttiva dell’industria, nel senso che in una configurazione di
equilibrio di lungo periodo ed assenza di extra profitti le imprese si trovano ad operare prima di
aver raggiunto il punto di minimo del costo medio. Tale elemento di inefficienza si può, secondo
numerosi studiosi, ritenere controbilanciato dal beneficio per i consumatori della varietà del
prodotto, e cioè dall’ampliamento delle possibilità di scelta.
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