Progettazione e realizzazione di protesi “custom made” per interventi di cranioplastica P. BOFFI (*) – S. CAMPANELLI (**) – E. PIERANGELI (***) – C. PIZZONI (***) – P. SOLARO (*) (*) Centro Laser S.c.r.l. – Laboratorio di Prototipazione Rapida - Valenzano (Bari) (**) Politecnico di Bari – Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Gestionale (***) Presidio Ospedaliero “Ss. Annunziata” di Taranto – Struttura Complessa di Neurochirurgia ___________________________________________________________________________ Introduzione La “cranioplastica” è un intervento chirurgico finalizzato alla riparazione di un difetto strutturale o morfologico del cranio. All’origine dei difetti cranici possono esservi molteplici cause: traumi con fratture esposte o comminute, ferite perforanti da arma da fuoco o di altra natura, incidenti d’auto o sul lavoro, infezioni con osteomieliti, craniectomie decompressive, resezioni di tumori ossei o di tumori a carico di tessuti circostanti infiltranti l’osso, riassorbimenti di osso autologo, patologie degenerative, malformazioni congenite. La cranioplastica può essere intesa come: a) riposizionamento del tassello osseo asportato durante un precedente intervento neurochirurgico (autoinnesto) e conservato in differenti modi (nel sottocute addominale del paziente, presso una banca dell’osso, ecc.), o di tessuto osseo autologo (cioè del paziente stesso) prelevato in altra sede (ad esempio, dalle costole o mediante la divisione dei tavolati esterno ed interno di un altro tassello osseo di dimensioni almeno pari al difetto, tramite un taglio lungo la diploe): va da sé che il miglior materiale impiantabile è l’osso stesso del paziente; b) alloinnesto (innesto di materiale osseo o cartilagineo prelevato da un individuo della stessa specie): questi tipi di impianti sono stati praticati intensamente durante la Prima Guerra Mondiale, con alta percentuale di infezioni e di riassorbimento; c) xenoinnesto (trapianto di tessuto osseo prelevato da animali, come la scapola di pecora): nel 1668 l’olandese J. J. Van Meckeren descrisse il primo impianto xenoplastico, dove si utilizzò un osso di cane su un nobile russo, che però fu scomunicato per essere stato operato con un osso di canide; d) ricostruzione di un deficit di sostanza ossea, tramite l’impianto di una protesi ad hoc in materiale artificiale biocompatibile. Le indicazioni a favore della cranioplastica sono essenzialmente dettate da ragioni estetiche, dalla necessità di proteggere il cervello, nonché come terapia della cosiddetta “sindrome da craniolacunia” (cefalea, difficoltà di concentrazione, ecc.), legata verosimilmente a variazioni pressorie endocraniche. Il materiale sintetico ideale per la cranioplastica deve essere: 1) disponibile ed economico; 2) biocompatibile, con minimo potenziale infettivo; 3) non riassorbibile e facilmente modellabile (in modo da riprodurre fedelmente il contorno cranico); 4) resistente, rigido, non conduttore; 5) in grado di stimolare l’osteogenesi e la rivascolarizzazione; 6) radiotrasparente ed RMN compatibile. La prassi chirurgica tradizionale prevede che la protesi sia realizzata direttamente in sala operatoria, una volta definite la natura e l’estensione della lesione: in altri termini, è il chirurgo stesso che provvede a modellare, seduta stante, il materiale eteroplastico adatto allo scopo (polietilene, polimetilmetacrilato, idrossiapatite, reti metalliche). In particolare, il metilmetacrilato è attualmente il materiale più usato: nel giro di pochi minuti s'indurisce e viene a costituire la protesi, pronta per essere impiantata. È evidente, tuttavia, come il buon esito di una tale procedura dipenda fortemente dall’abilità manuale del chirurgo, con risultati estetici non sempre confortanti, data l’enorme difficoltà nel conferire alla protesi la dovuta curvatura (anche per mani esperte). Inoltre, al termine del processo d’indurimento le protesi così realizzate presentano sovente numerose bolle d’aria, rimaste intrappolate durante la fase di miscelazione dei vari componenti (matrice di partenza, catalizzatore, additivi) che concorrono alla formazione dell’impasto finale (‘cemento osseo’). Tali microporosità sono di per sé causa di fragilità meccanica, nonché un ricettacolo di infezioni batteriche: se la protesi si infetta, va incontro a rigetto e, pertanto, deve essere rimossa e sostituita ex novo (si stima che la percentuale di fallimenti di impianti con protesi eteroplastiche per rigetto sia pari al 15% circa dei casi trattati). Un ulteriore svantaggio della preparazione del dispositivo medicale in sede di intervento chirurgico è rappresentato dal fatto che la polimerizzazione del materiale protesico avviene tramite reazione esotermica, ovvero con produzione di calore: per minimizzare il rischio di necrosi cellulare conseguente ad un brusco aumento della temperatura all’interfaccia ossocemento, le protesi approntate al momento devono essere allontanate dal sito chirurgico prima dell’indurimento finale, con il pericolo di deformazioni accidentali a danno della stabilità meccanica della protesi stessa. A ciò si aggiunga l’eventualità di infiammazioni locali acute originate dal rilascio di monomeri tossici, a causa del protrarsi del processo di polimerizzazione ancora per alcune ore dopo l’impianto della protesi. Un altro fattore di rischio è costituito dalla contaminazione del campo operatorio dai residui della lavorazione manuale della protesi, che può provocare al paziente dermatiti e reazioni allergiche. Infine, bisogna mettere in conto la dilatazione dei tempi chirurgici (e, quindi, della durata dell’anestesia), dal momento che l’intervento dovrà prevedere anche la realizzazione della protesi in concomitanza con l’intervento stesso. Alla luce delle suddette considerazioni, si comprende come la cranioplastica tradizionale possa essere utilmente adoperata solo per la correzione di piccoli difetti di discontinuità ossea. Allo stato attuale dell’arte, il materiale più indicato per la cranioplastica è l’idrossiapatite porosa preconfezionata, modellata con metodica CAD-CAM (Computer Aided Design Computer Aided Manufacturing), che però ha ancora costi troppo elevati . Vogliamo, qui, richiamare l’attenzione su una metodologia alternativa, solo di recente introdotta nel campo della chirurgia cranio-maxillo-facciale, che si avvale dell’impiego combinato della Tomografia Assiale Computerizzata (TAC) con sofisticate tecniche di elaborazione digitale 3D e di Prototipazione Rapida (Stereolitografia), per la progettazione e la realizzazione in tempi ridotti di un dispositivo protesico su misura, a beneficio di pazienti affetti da gravi ed estese craniolacunie. 2 Materiali e metodi Nel diagramma di fig. 1 è riportata la sequenza di operazioni in cui si articola il processo di fabbricazione di una protesi cranica custom made per un intervento chirurgico ottimale. 1. Scansione TAC del cranio Fig. 1 – Diagramma a blocchi del processo di progettazione e fabbricazione di una protesi cranica custom made. 2. Acquisizione ed elaborazione TAC mediante software dedicato 3. Ricostruzione digitale 3D del tassello osseo mancante 4. Realizzazione di una replica stereolitografica del tassello osseo 5. Realizzazione dello stampo per il confezionamento della protesi Il punto di partenza della procedura consiste nel sottoporre il paziente ad una scansione TAC completa del cranio, provvedendo preliminarmente a rimuovere - ove possibile - ogni oggetto che possa in qualche modo alterare la qualità dell’immagine tomografica (orecchini, piercing, capsule dentali). Le immagini TAC devono essere acquisite secondo un ben preciso protocollo (cfr. tab. 1), onde evitare di compromettere la successiva progettazione della protesi. In particolare, le immagini TAC devono coprire l'intera lacuna cranica e parte del cranio intatto (ad esempio, se la lacuna ossea è in posizione laterale, la scansione deve partire 1 cm circa sopra il difetto e terminare 1 cm circa sotto il difetto). Inoltre, per essere sicuri che la scansione copra l'intera lacuna cranica, è necessario effettuare un'immagine scout laterale della teca cranica. PARAMETRO Tipo di scan scout Angolo di scout Orientazione Lunghezza dello scout Dimensioni della matrice di risoluzione Field of view Algoritmo di ricostruzione Gantry tilt Passo dello slicing Scan mA Scan kV Formato di esportazione su CD-ROM VALORE laterale e completo 0° testa/supina tale da coprire l’intera testa 512 × 512 pixel il cranio deve riempire lo schermo (30 cm circa per adulto) standard 0° 0,5 – 2 mm 175 (non vincolante) 130 (non vincolante) DICOM 3 Tab. 1 – Protocollo di acquisizione TAC per cranioplastica. 3 La scansione TAC così acquisita viene importata all’interno di MIMICS (acronimo di Materialise’s Interactive Medical Image Control System), un pacchetto software commerciale specifico per la visualizzazione e l’interpolazione tridimensionale di immagini monoplanari ottenute mediante scanner TAC, sviluppato dall’azienda belga Materialiste N. V. (Leuven) nel 1991 con l’intento di favorire le applicazioni in campo biomedicale delle moderne tecniche di Prototipazione Rapida. In fig. 2 è riportata la caratteristica schermata dei fotogrammi TAC, quali risultano previa assegnazione di un opportuno thresholding (tutti i pixel caratterizzati da un valore di grigio superiore al valore di soglia impostato sono assunti come parti ossee e, come tali, identificati da una stessa ‘maschera’ colorata), nel caso di una paziente affetta da una vistosa craniolacunia (nella parete laterale sinistra della scatola cranica), conseguente all’asportazione di un tumore osseo. In fig. 3, invece, è possibile vedere il modello 3D del cranio ricostruito a partire dal set di immagini TAC acquisite (region growing). A questo punto, il modello digitale del cranio viene esportato, mediante un apposito tool (CTModeller System), in un conveniente formato leggibile in ambiente CAD: per i nostri scopi, il formato “.stl” (solid to layer), indicato per applicazioni stereolitografiche. Il passo successivo consiste nel creare digitalmente la copia speculare (mirrored copy) del cranio: a tal fine ci si può utilmente servire di un altro software messo a punto dalla Materialise, denominato MAGICS, ovvero di un qualunque altro software di modellazione solida, purché supporti il formato “.stl” (fig. 4). La ‘specchiatura’ servirà come guida di riferimento per ricostruire digitalmente la parte mancante di teca cranica: basterà, infatti, importare nel software MIMICS la copia speculare del cranio e sovrapporre opportunamente il contorno di quest’ultima sulla ‘maschera’ del cranio originale (fig. 5). Fig. 2 – Visualizzazione multiplanare della TAC cranica mediante software MIMICS (a sinistra: vista transaxiale; in alto a destra: vista coronale; in basso a destra: vista sagittale). La ‘maschera’ di colore giallo identifica l’involucro osseo. 4 Fig. 3 – Ricostruzione 3D della teca cranica ottenuta per interpolazione delle immagini TAC. Fig. 4 – Modelli digitali della teca cranica ricostruita a partire dalla TAC (in giallo) e della sua copia speculare (in marrone). 5 Fig. 5 – Sovrapposizione del profilo della copia speculare della teca cranica (curve bianche) sulla ‘maschera’ originale (in giallo). Apportate le dovute correzioni di posizionamento per assicurarsi che il profilo della copia speculare combaci il più possibile con quello del cranio di partenza, si può procedere ad ‘editare’ la parte ossea mancante, andando a congiungere - fotogramma per fotogramma - i lembi che delimitano la lacuna ossea, attraverso una vera e propria assegnazione di pixel all’interno dello spazio vuoto compreso tra le linee perimetrali del cranio ‘specchiato’ (fig. 6). Tale procedura necessita di una particolare attenzione, in quanto la ‘maschera’ così ottenuta andrà a costituire lo scheletro su cui costruire il modello solido virtuale del dispositivo protesico, mediante una successiva operazione di region growing (fig. 7). 6 Fig. 6 – Editing del tassello osseo mancante (‘maschera’ verde), con l’aiuto della copia speculare del cranio (curve bianche). Fig. 7 – Modello 3D del tassello osseo mancante, ottenuto per interpolazione spaziale dei pixel tracciati secondo la procedura spiegata nel testo. 7 Inoltre, il tipo di ricostruzione da effettuarsi dovrà tener conto necessariamente, oltre che della fisionomia del paziente, anche del metodo che sarà impiegato in sede d’intervento per la fissazione della protesi alla teca cranica (filo di seta, miniplates in titanio, clip in NiTinol a memoria di forma, craniofix clamps, ecc.), nonché di ogni altra indicazione fornita a riguardo dal chirurgo (ad esempio, nel caso in cui la lacuna ossea interessi la regione temporo-basale, può essere utile una riduzione locale della protesi di qualche millimetro, al fine di facilitarne il posizionamento). Una volta completata la ricostruzione virtuale, segue uno step finale di verifica in cui il modello 3D del tassello osseo mancante (eventualmente ridimensionato ed opportunamente smussato in superficie) viene assemblato graficamente con il modello 3D della teca cranica: in questo modo è possibile controllare il corretto accoppiamento del tassello con il resto del cranio, nonché il suo impatto estetico (fig. 8). Fig. 8 – Incastro virtuale del tassello osseo ricostruito con la teca cranica. Le dimensioni d’ingombro del tassello mostrato in figura ammontano a circa 80 mm × 120 mm × 100 mm (X × Y × Z). Vista laterale Vista posteriore Vista frontale 8 Terminata la fase di progettazione e modellazione solida, si provvede alla realizzazione di una replica stereolitografica del tassello in materiale povero (resina epossidica o similplastica): tale modello costituirà la base di partenza (master) per la successiva fabbricazione dello stampo in silicone, necessario per il confezionamento della protesi nel materiale finale da impianto. La Stereolitografia si configura, ad oggi, come la tecnica di Prototipazione Rapida più diffusa e matura: essa consente di costruire oggetti di qualsivoglia complessità geometrica, a partire dal loro modello CAD (in formato “.stl”), attraverso un processo di addizione di materiale per strati successivi (layer by layer manufacturing). Il principio fisico, sinteticamente descritto in fig. 9, si basa sulla reazione di fotopolimerizzazione di una resina liquida, innescata da una radiazione laser di opportuna lunghezza d’onda. Più precisamente, un fascio laser viene focalizzato, mediante un sistema ottico di scansione, sulla superficie di una vasca contenente il monomero allo stato liquido: la radiazione induce una reazione a catena di polimerizzazione, che porta alla solidificazione della zona colpita dal fascio, dando vita così al primo strato del prototipo che si intende realizzare. Una piattaforma motorizzata (elevatore) si abbassa di una quantità pari allo spessore di fotopolimero solidificato ed un sistema di ricopertura deposita altra resina liquida sulla sezione appena costruita. Il processo riprende con la solidificazione dello strato successivo, che aderisce stabilmente alla sezione sottostante, e prosegue fino alla completa realizzazione del prototipo, che verrà infine estratto dalla vasca sollevando completamente l’elevatore. Fig. 9 – Rappresentazione schematica del processo stereolitografico. Con questa tecnica è possibile riprodurre modelli 3D di qualsivoglia forma (anche in presenza di cavità, pareti sottili e sottosquadri), con elevata precisione dimensionale (la risoluzione verticale, in termini di spessore del singolo layer, può spingersi fino a 0,05 mm) e buona finitura superficiale. In fig. 11 è mostrata la copia stereolitografica del tassello osseo riprodotto in fig. 8, realizzata mediante l’apparato in dotazione presso il Laboratorio di Prototipazione Rapida del Centro Laser (fig. 10). In casi particolarmente delicati, può essere utile realizzare - con la stessa tecnologia - anche una replica anatomica della porzione di cranio contenente la lacuna ossea, 9 al fine di consentire al chirurgo di simulare le fasi operatorie di innesto della protesi ritenute più a rischio, ottenendo così una maggiore confidenza sulla prevedibilità del risultato atteso. Da ultimo si provvede a ricalcare, sulla copia stereolitografica, lo stampo in silicone all’interno del quale verrà iniettato, preferibilmente in ‘camera bianca’ (per evitare la formazione di bolle d’aria), il materiale alloplastico che – una volta polimerizzato e rifinito asportando eventuali bave in eccesso – andrà a riprodurre fedelmente la protesi cranica da impiantare (fig. 12). A tutt’oggi il materiale d’elezione per questi scopi, dato il basso costo, le sue eccellenti caratteristiche meccaniche e l’ottima tolleranza biologica, è una particolare resina acrilica, il polimetilmetacrilato (PMMA). L’operazione di colata del materiale protesico all’interno dello stampo può essere effettuata, all’occorrenza, direttamente in sala operatoria, previa sterilizzazione dello stampo stesso (a mezzo autoclave o gas plasma). Fig. 10 – Apparato stereolitografico Viper si2 (3D Systems Inc.) in dotazione presso il Laboratorio di Prototipazione Rapida del Centro Laser di Valenzano (Bari). 10 Fig. 11 – Replica stereolitografica del tassello osseo mostrato in fig. 8, in resina bianca tipo ABS (DSM Somos 14120). Fig. 12 – Stampo in silicone per il confezionamento della protesi cranica in PMMA. Conclusioni A conclusione di questa presentazione, ci preme evidenziare i punti di forza di un approccio del tipo custom made, rispetto alla prassi usuale di modellazione manuale della protesi in concomitanza con l’intervento chirurgico: - il processo assicura una ricostruzione anatomicamente molto precisa, grazie al processamento tridimensionale delle immagini tomografiche, consentendo così un ripristino dell’integrità ossea alquanto soddisfacente, non solo dal punto di vista morfologico, ma anche sotto il profilo estetico, aspetto quest’ultimo tutt’altro che trascurabile nella riparazione dei difetti di discontinuità ossea a carico del cranio; - si riducono drasticamente i tempi chirurgici (e, conseguentemente, l’eventualità di infezioni da esposizione prolungata), in quanto l’intervento si limita all’impianto di una protesi confezionata prima dell’intervento stesso: si può ragionevolmente prevedere che la durata dell’intervento possa essere portata ad una media di 30 minuti, contro gli attuali 120-150 minuti necessari per la cranioplastica tradizionale; - dal punto di vista delle prestazioni meccaniche, si ottiene una protesi più performante, priva di asimmetrie di spessore o deformazioni, e senza bolle d’aria, il che elimina di conserva il rischio di reazioni infiammatorie dovute a colonizzazioni batteriche. A ciò si aggiunga che i tempi di esecuzione dell’intero ciclo produttivo, dall’acquisizione della scansione TAC alla realizzazione dello stampo in silicone, sono relativamente contenuti 11 (in media occorrono tra le 48 e le 72 ore), grazie all’ausilio delle moderne tecniche di Prototipazione Rapida. Fatte salve le suddette considerazioni, è opportuno ricordare che l’approccio custom made trova adeguata giustificazione nelle situazioni, come quella esposta in questa sede, in cui la lacuna ossea sia particolarmente estesa (superiore a 20-25 cm2) o presenti un contorno geometricamente molto frastagliato. Sequestri ossei poco visibili alla TAC o interventi pregressi di cranioplastica rendono assai problematica la progettazione di una protesi su misura. Presso la Struttura Complessa di Neurochirurgia dell'Ospedale “Ss. Annunziata” di Taranto si eseguono numerose craniectomie decompressive salvavita (si rimuove una parte della scatola cranica per diminuire la pressione intracranica, permettendo al tessuto cerebrale sano di non essere danneggiato dagli eventi lesivi che incorrono dopo un trauma grave; fra l'altro, Taranto è uno dei centri neurochirurgici italiani che partecipano allo studio Rescue ICP sulla validazione delle craniectomie decompressive, sotto l'egida dell'Università di Cambridge), ma poche cranioplastiche, per due motivi fondamentali: a) grazie alle tecniche mini-invasive ivi utilizzate, che si avvalgono di un piccolo accesso osseo e del microscopio, con ovvi vantaggi estetici e funzionali, non ci sono praticamente mai osteomieliti, per cui l'esigenza di cranioplastica post-chirurgica è praticamente scomparsa; b) recentemente si è instaurata una collaborazione con la banca dei tessuti muscolo-scheletrici degli Istituti Ortopedici Rizzoli di Bologna, per cui gli opercoli ossei che non si riescono a conservare nel sottocute addominale del paziente, come normalmente avviene per le craniectomie decompressive, vengono conservati in congelatore per almeno cinque anni in attesa del riposizionamento. 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