L’elettroforesi Alunno: Farroni Andrea 2 Ormai da circa vent’anni, l’elettroforesi è divenuto un sistema di indagine lobulina fia di estrema praticità, tale da divenire un’analisi di routine in qualsiasi studio professionale chimico con annesso laboratorio di Ricerche e Analisi. La prima tecnica elettroforetica fu in fase libera, che verrà maggiormente specificata nelle pagine successive. Quest’ultima richiedeva costosi e complicati apparecchi, nonché tempi lunghi di risposta e svariate complicazioni tecniche. Ora, grazie all’evoluzione della scienza, si è passati all’uso di particolari supporti che hanno permesso una pratica applicazione della tecnica universalmente adottata. La carta, l’amido, l’agar, ma soprattutto l’acetato di cellulosa e la poliacrilamide sono ora i mezzi che consentono l’analisi elettroforetica di ogni settore della chimica applicata. 3 L’applicazione è ormai vastissima nei più svariati campi, dalla chimica –clinica alla chimica degli alimenti alla ricerca biochimica. Dall’elettroforesi delle proteine o per evidenziare la presenza di composti presenti in quantità piccolissime, ci si è potuti estendere allo studio di alcuni gruppi funzionali proteici, e poi al frazionamento delle emoglobine, degli isoenzimi, degli aminoacidi, della caseina, albumine alimentari, ecc. Con l’elettroforesi è possibile separare uno svariato numero di sostanze di varia natura. Le principali separazioni coinvolgono: Proteine presenti in liquidi biologici; per liquido biologico si intende un liquido di natura biologica come il siero, il plasma, il sangue, il liquor, il latte, le urine, gli estratti muscolari e cellulari, essudati, umori, virus,… Proteine vegetali; Amino-acidi; lobuli e polipeptidi; Ormoni; Vitamine; Enzimi; Coloranti; Veleni; Ioni inorganici; Alcaloidi; Fenoli; Oligonucleoti; Acidi nucleici; Porfirine; Acidi grassi. Il principio su cui si basa il metodo elettroforetico è la diversa velocità di migrazione delle varie sostanze quando esse si trovano in un campo elettrico e siano in condizioni tali da poter migrare, producendo una separazione. Questo spostamento può avvenire grazie alla presenza nelle molecole di gruppi facilmente ionizzabili quando portate in soluzione; le molecole possono avere naturalmente, o gruppi tutti acidi, o tutti basici o un insieme dei due. Questo fenomeno della ionizzazione avviene qualora si pongano soluzioni di tali sostanze in interazione con un campo elettrico. Le molecole ionizzate, a seconda delle cariche presenti, si comportano come grossi ioni e quindi si spostano verso uno dei poli generanti il campo elettrico: - Se prevale la carica negativa, le molecole si muovono verso il polo positivo; - Se prevalgono le cariche positive, verso il polo negativo; - Se sono presenti contemporaneamente sia gruppi con carica positiva che altri con carica negativa, si ha innanzi tutto un orientamento dei gruppi ionizzati verso il polo opposto del campo con distorsioni anche della struttura intramolecolare delle molecole 4 (formazione di dipolo), e quindi un movimento verso uno dei due poli del campo se si manifesta una chiara prevalenza, nella molecola ionizzata, di cariche positive o negative. Questo viene denominato fenomeno elettrocinetico, che spiega la conducibilità ionica degli elettroliti, e l’elettroforesi ne è un caso particolare, in cui gli ioni sono formati da colloidi o comunque da sostanze di notevoli dimensioni ed aventi parecchie cariche distribuite soprattutto sulla parte superficiale. La mobilità delle particelle è legata a numerosissimi fattori: - Della intensità del campo elettrico, che è data dalla tensione e dalla distanza degli elettrodi, dalla forza ionica del tampone, dalla conducibilità del supporto. - Della carica elettrostatica netta, cioè dalla differenza fra le cariche opposte alla particella; - Della temperatura dell’elettrolita; - Della viscosità, del mezzo in cui si muove; - Del peso, della dimensione e della forma della particella, ossia dalla loro mobilità elettroforetica. Questa grandezza può essere definita per ogni sostanza come distanza in cm che una particella percorre nell’unità di tempo per unità di campo elettrico; in pratica come rapporto tra velocità di una particella elettricamente carica in un mezzo viscoso e campo elettrico applicato. L’equazione per il calcolo della mobilità elettroforetica è la seguente: μ=Q/6πηγ Q = numero cariche della specie ionica considerata η = viscosità del mezzo γ = raggio ionico Dall’equazione risulta quindi che la mobilità elettroforetica di una particella, cioè la sua attitudine a muoversi in un determinato mezzo, è semplicemente una funzione del rapporto fra carica e raggio della particella e perciò è diversa da una particella ad un’altra. Su questa proprietà si basa essenzialmente il principi di separazione elettroforetica; infatti applicando un campo elettrico ad una miscela ionica si avrà la migrazione delle varie specie, con velocità diversa a seconda delle rispettive mobilità perciò dopo un certo tempo le varie particelle avranno percorso tratti diversi di soluzione, risultando in questo modo separate. Questa tecnica è difficilmente applicabile alla separazione di particelle di piccole dimensioni, in quanto queste giungerebbero agli elettrodi in un tempo troppo breve, con la conseguente riduzione del ΔV e l’aumento di ΔT ; al contrario risulta un mezzo di separazione eccellente per macromolecole ed in particolare per le proteine. Elettroforesi in fase libera o con gradiente mobile La parte essenziale dell’apparecchiatura per elettroforesi in fase libera è costituita da una cella in vetro a forma di U, di sezione traversa rettangolare, composta almeno da due parti; queste parti, a livello della sovrapposizione, sono smerigliate e possono quindi scivolare per spostamento laterale l’una sull’altra. 5 Il fondo viene riempito completamente con la soluzione proteica in esame, opportunamente diluita con una soluzione tampone a concentrazione nota e pH idoneo; uno dei bracci della parte superiore viene riempito ancora con la soluzione tampone. Applicando un’opportuna differenza di potenziale ai due bracci della cella, mediante due elettrodi di platino in contatto con la soluzione tampone che sovrasta la branche ad U della cella medesima, si ottiene la migrazione delle molecole dotate di carica netta, verso l’elettrodo di segno opposto. La velocità di migrazione dipende direttamente dalla d.d.p. applicata, dalla densità di carica netta delle molecole proteiche e dalla temperatura dell’elettrolita. Per la conversione dei gradienti di concentrazione si tiene conto del seguente schema. Da evidenziare è che, nel procedimento di elettroforesi in fase libera, non si ottiene mai una separazione completa di tutte le componenti molecolari, ma si avranno solo delle zone a diversa concentrazione di una singola componente, parzialmente o totalmente sovrapposti alle altre componenti. Questo metodo trova impiego per la determinazione: a) del punto isoelettrico di una proteina; b) della mobilità elettroforetica di campioni puri di proteine; c) dell’omogeneità di una preparazione proteica per quanto riguarda il criterio della mobilità elettroforetica Con questo tipo di elettroforesi è possibile evidenziare sul siero soltanto cinque frazioni: albumina, alfa1, alfa 2, beta e gamma lobulina. Dal punto di vista biochimico clinico questo metodo di elettroforesi non si presta ad applicazioni su larga scala, perché richiede apparecchiature costose e delicate, notevole quantità di materiale, necessità della dialisi preliminare contro tampone e lungo tempo per l’effettuazione di un’analisi; non è inoltre utilizzabile convenientemente a scopo preparativo. Elettroforesi zonale o su supporto solido L’elettroforesi zonale, o su supporto solido, si differenzia dall’eletrroforesi in fase libera perché la migrazione e la separazione avvengono fra i pori di un supporto solido, il più 6 possibile inerte, e si ottiene alla fine la separazione totale delle varie specie molecolari a diversa mobilità, che si localizzano sul supporto in posizioni diverse sotto forma di “zone” o “bande”. I materiali impiegati si possono dividere in due gruppi: nel primo gruppo il tampone è fissato al supporto per semplice capillarità, in modo tale da rendere nettamente distinguibili due fasi; appartengono a questa categoria la carta, l’acetato di cellulosa, la polvere di cellulosa, l’amido granulare. Con questi supporti è possibile evidenziare sul siero soltanto cinque frazioni: albumina, alfa1, alfa 2, beta e gamma lobulina. . Nel secondo gruppo il tampone è invece in più intimo rapporto con la sostanza allo stato di gel, in modo che si può ritenere presente un’unica fase; appartengono a questo gruppo il gel di agar, il gel d’amido, il gel di poliacrilammide. L’elettroforesi zonale presenta notevoli vantaggi nei confronti dell’eletrroforesi in fase libera, per i seguenti motivi: 1. richiede apparecchiature estremamente semplici, costituite da celle per migrazione elettroforetica che sono costruite in plastica stampata o saldata, un alimentatore, un potenziometro e un voltometro. 2. l’indagine qualitativa e quantitativa richiede un volume di materiale molto piccolo. 3. consente di separare i differenti componenti la miscela in varie zone distinte, così da poterli o rivelare con tecniche analitiche chimiche o fisiche o, in alternativa, fluire. 4. dopo la separazione elettroforetica della miscela, è possibile anche ricorrere ala combinazione di tecniche particolari come la diffusione (immunoelettroforesi). Questa tecnica è oggi la più diffusa in tutto il mondo, tale da poter essere definita la tecnica di base e dalla quale si diramano le varianti, più usate o meno di elettroforesi. Come già specificato precedentemente, le molecole che possono essere separate tramite elettroforesi devono essere ionizzate; ponendo poi le suddette in un opportuno campo elettrico, vengono separate in frazioni di differente mobilità. Il campo elettrico viene generato da un alimentatore di corrente continua che applica una tensione agli elettrodi di una camera umida, divisa in due scomparti, positivo e negativo, contenenti la soluzione tampone. Il pH e i Sali costituenti la soluzione tampone vengono scelti in funzione del tipo di sostanza da separare, mentre il circuito elettrico si chiude tramite un supporto, imbevuto di tampone sul quale si deposita il campione. La differenza di potenziale esistente agli estremi del supporto crea un passaggio di corrente inversamente proporzionale alla resistenza offerta dal supporto stesso. Questa corrente provoca un riscaldamento per effetto Joule e quindi un’evaporazione del tampone. Se la camera è a tenuta stagna si ha ben presto all’interno di essa una saturazione di vapore; di qui il nome di camera umida. In un periodo di tempo variabile da pochi minuti ad alcune ore, secondo le tecniche elettroforetiche utilizzate, la migrazione si compie e si può procedere alla colorazione specifica; le frazioni si presentano sul supporto come macchie più o meno intensamente colorate. Successivamente si procede ad una lettura fotometrica della densità ottica di ciascuna macchia; dal rapporto tra le densità ottiche delle frazioni e la densità totale si ottengono i valori percentuali dei costituenti il campione in esame. 7 - Tampone e suo pH. Il tampone serve per rendere possibile il passaggio della corrente e consente di mantenere il pH costante durante il processo elettroforetico. E’ noto che la carica assunta da alcune specie ioniche è diversa a seconda del pH della soluzione in cui sono immerse; per cui una variazione imprevista del pH, si tramuta in una variazione nella carica dello ione e di conseguenza una variazione non controllabile della sua mobilità. Anche la forza ionica del tampone investe un ruolo importante: infatti incide notevolmente sulla velocità di migrazione di una particella elettricamente carica tampone. Tamponi con forza ionica elevata, quindi con un’elevata presenza di ioni, determinano un rallentamento del movimento della particella verso l’elettrodo opposto alla sua carica; saranno perciò necessari maggiore tempo di migrazione e applicazione di una d.d.p. più elevata. Per questo motivo si preferisce lavorare con tamponi aventi bassa forza ionica. - Differenza di potenziale ed intensità di corrente. In genere un incremento della d.d.p. impostata agli elettrodi, permette di ridurre notevolmente i tempi di esecuzione di una separazione elettroforetica. Un aumento della d.d.p. è, però, direttamente proporzionale ad un aumento del calore prodotto; questo incremento, che deve essere in ogni caso contenuto entro certi limiti, causa la denaturazione delle sostanze in esame, della mobilità elettroforetica e ad un’evaporazione del solvente dalla striscia. Questi inconvenienti sono in parte ovviati tramite l’uso di camere a chiusura ermetica e di tamponi freddi o continuamente raffreddati; normalmente è consigliato applicare una d.d.p. tale che produca deboli intensità di corrente. Inoltre è consigliato utilizzare alimentatori in grado di mantenere costanti voltaggio e intensità di corrente, perché anch’essi causa dell’aumento della temperatura. - Elettroendosmosi. L’elettroendoesmosi è un fenomeno che si accompagna sempre ai processi di elettroforesi; esso è determinato dall’azione combinata della struttura fisica (pori) e di quella chimica del supporto utilizzato. Quando il supporto è imbevuto di tampone, le superfici interne dei canalicoli di esso possono assumere cariche elettriche a causa dei gruppi presenti nelle loro strutture molecolari. Si può quindi considerare che la superficie del supporto agisca come un debole scambiatore di ioni ( normalmente i supporti manifestano sulla loro superficie cariche negative), in grado di attrarre ioni di carica opposta (quindi vengono attratti catini dalla soluzione). Nell’interno della soluzione si produce quindi un eccesso di anioni che sarà sollecitato a migrare verso l’anodo. Questo fenomeno provoca un movimento osmotico del solvente nella medesima direzione, tendente a mantenere inalterata la concentrazione del tampone. L’effetto elettroosmotico esercita un’azione di disturbo sul fenomeno elettroforetico vero e proprio, perché viene trascinato via il campione insieme ala soluzione, variandone la velocità di migrazione; questa azione può assumere addirittura un carattere competitivo. 8 - Diffusione. I processi elettroforetici sono sempre accompagnati da fenomeni di diffusione delle sostanze stesse; la diffusione non incide sulla mobilità elettroforetica, ma solamente, in maniera piuttosto marcata, sulla larghezza delle bande, effetto negativo ai fini della separazione. La diffusione provoca infatti la sovrapposizione dei margini delle bande larghe. Questo fenomeno è legato alla viscosità del mezzo e di conseguenza a tutti i parametri che la possono condizionare, come concentrazione, temperatura,… 7.1 LEGGE DI OHM In un circuito formato da un generatore di corrente continua e da una resistenza, la differenza di potenziale (voltaggio) misurato agli estremi della resistenza è legata alla resistenza R e alla intensità di corrente I che passa nel circuito dalla legge di Ohm. V=IR Questa legge viene utilizzata in elettroforesi per il calcolo della corrente che scorre in una striscia cui sia applicata una certa differenza di potenziale. Durante la migrazione elettroforetica si ha una diminuzione della resistenza elettrica delle strisce. Se il voltaggio resta costante si registra una aumento di corrente proporzionale alla diminuzione della resistenza. 7.2 RESISTENZE IN SERIE E IN PARALLELO Quando si hanno due o più resistenze in serie la resistenza totale è data dalla loro somma: R = R1 + R2 Quando si hanno due o più resistenze n parallelo l’inverso della resistenza totale (conduttanza) è dato dalla somma degli inversi delle resistenze in parallelo: 9 La formula si semplifica nel caso che le resistenze siano tutte uguali; infatti nel caso di n resistenze in parallelo di valore R1 si ha: R = R1 / n Nel caso elettroforetico la corrente, a parità di voltaggio, è direttamente proporzionale al numero delle strisce. Infatti la resistenza si riduce a seconda del numero di strisce in parallelo presenti, mentre la corrente aumenta. 7.3 GRADIENTE DI POTENZIALE Dato un circuito, la differenza di potenziale misurata agli estremi è data dalla somma delle differenze di potenziale dei singoli tratti di circuito: Nel caso elettroforetico R1 e R3 rappresentano le resistenze che la corrente incontra nella camera umida prima di giungere sulle strisce elettrofretiche di resistenza R2. R1 e R3 variano quindi al variare delle caratteristiche tecniche delle camere umide, mentre R2 può variare a seconda delle dimensioni del supporto stesso. Misurando con un voltmetro il voltaggio V2 e dividendo il valore ottenuto per la lunghezza della striscia o della piastra espressa in cm, si ha il gradiente di potenziale: grad V = V / cm Conoscere il valore del gradiente di potenziale significa poter seguire ottimamente un metodo elettroforetico anche disponendo di apparecchiature differenti da quelle usate nel metodo originale. In conclusione è preferibile utilizzare strisce con lunghezza ridotta; strisce troppo lunghe implicano una diminuzione del gradiente di potenziale, poiché in questo modo si fa aumentare la resistenza R2. Inoltre anche se vengono utilizzate più strisce il gradente di potenziale diminuisce, poiché diminuisce il voltaggio. 10 7.4 GRADIENTE DI CORRENTE La corrente è proporzionale al numero di strisce elettroforetiche, naturalmente a parità di dimensioni di queste. Infatti una striscia poco larga offre una resistenza doppia di una più larga. Dividendo pertanto l’intensità di corrente per la larghezza di una striscia, espressa in cm, si ha il gradiente di corrente. 7.5 TEMPERATURA In un circuito elettrico di resistenza R, percorso dalla corrente I, si ha un effetto Joule proporzionale al quadrato della corrente secondo la formula: Q = 0.2839 R I2 t Q = quantità di calore R = resistenza I = corrente t = tempo Per limitare l’aumento di temperatura, che può produrre evaporazione eccessiva e anche parziale denaturazione del campione, si cerca o di diminuire la corrente, usando soluzioni tampone diluite, cioè a bassa forza ionica, oppure ricorrendo a sistemi di raffreddamento. 7.6 SOLUZIONE TAMPONE La tendenza di una soluzione ad opporsi alle variazioni di pH si chiama effetto tampone. Generalmente un tampone è costituito da una soluzione acquosa di un acido debole e di un suo sale con una base forte oppure da una soluzione acquosa di una base debole e di un suo sale e acido forte. La soluzione tampone viene scelta in modo opportuno come composizione di Sali, pH e forza ionica in modo da ottenere il migliore frazionamento del campione in esame. Da evidenziare e che nel sistema elettroforetico la situazione a livello delle proteine da migrare con l’uso di un pH minore al punto isoelettrico, comporta una inibizione delle cariche COO- a causa dell’eccesso di ioni H+, con il conseguente aumento della dissociazione dei gruppi basici, mentre la proteina assume carica positiva. Viceversa per pH superiori al punto isoelettrico viene inibita la dissociazione dei gruppi basici e la proteina si comporta come un acido migrando verso l’anodo. 7.7 FORZA IONICA DI UNA SOLUZIONE TAMPONE Per forza ionica di una soluzione, in cui sono disciolti uno o più elettroliti, si deve intendere l’intensità del campo elettrico generato dalle cariche degli ioni presenti nella soluzione medesima. Diluendo o concentrando, entro limiti opportuni, una soluzione tampone, il pH si mantiene costante mentre la forza ionica è direttamente proporzionale alla concentrazione degli ioni. Per tamponi costituiti da sali monovalenti, la forza ionica coincide con la molarità. Alla più alta forza ionica possibile, corrisponde una migrazione ottimale in tempi brevi. 7.8 PESO MOLECOLARE Il peso molecolare di un composto si ottiene sommando i pesi atomici degli elementi che ne costituiscono la formula. Questa quantità in peso viene espressa in grammi e si dice grammomolecola o mole. 1 mole = peso molecolare espresso in grammi. 11 7.9 EQUIVALENTE E GRAMMO EQUIVALENTE L’equivalente di un elemento o di un composto si ottiene dividendo il peso molecolare per la valenza dell’elemento. Se si tratta di un acido, una base, ecc, la valenza viene calcolata sui radicali basici o acidi. Un equivalente, espresso in grammi si dice grammo-equivalente. 7.10 SOLUZIONI NORMALI Si chiamano normali e si indicano con N le soluzioni che contengono in soluzione un equivalente di sostanza disciolta in un litro di soluzione: N = eq. / litro 7.11 SOLUZIONI MOLARI Una soluzione molare contiene una mole di sostanza disciolta in un litro di soluzione: M = Mol / litro 7.12 DISSOCIAZIONE ELETTROLITICA L’idrolisi di acidi, basi e Sali porta alla formazione degli ioni corrispondenti. Ad esempio: NaOH Na+ + OHL’eguaglianza indica l’esistenza di un equilibrio tra ioni e molecole indissociate, con l’aumento della diluizione il numero di queste ultime diminuisce fino ad annullarsi per una diluizione infinita. 7.13 ELETROLITI ANFOTERI E PUNTO ISOELETTRICO La mobilità in campo elettrico di una sostanza è condizionata al suo grado di dissociazione elettrolitica, cioè al suo grado di ionizzazione. Le proteine ed altre sostanze possono dissociarsi sia come anioni COO-, sia come cationi NH+: sono cioè delle sostanze anfotere. Una proteina in soluzione presenta ad un dato pH una dissociazione equimolare in cariche positive e negative: questo è il punto isoelettrico di quella proteina, che prende il nome di zwitterion. Ogni proteina ha un proprio punto isoelettrico espresso n gradi pH. Con l’uso di un pH minore al punto isoelettrico, viene impedita la dissociazione dei gruppi COO- , la proteina assume carica positiva e di conseguenza migra verso il polo negativo. Viceversa per pH superiori al punto isoelettrico viene inibita la dissociazione dei gruppi basici e la proteina si comporta come un acido migrando verso l’anodo. Per ottenere una migliore separazione di amminoacidi e polipeptidi si utilizzano soluzioni tampone a pH acido. Il punto isoelettrico varia anche a seconda della natura del resisduo; in generale: il punto isoelettrico degli amminoacidi che hanno una sola funzione basica ed una sola funzione acida è intorno a 6, quello con due funzioni acide è intorno a 3 e quello con due funzioni basiche è intorno a 9. 7.14 MOBILITA’ ELETROFORETICA DI UNA PARTICELLA Questa grandezza può essere definita per ogni sostanza come distanza in cm che una particella percorre nell’unità di tempo per unità di campo elettrico; in pratica come rapporto 12 tra velocità di una particella elettricamente carica in un mezzo viscoso e campo elettrico applicato. L’equazione per il calcolo della mobilità elettroforetica è la seguente: Q = numero cariche della specie ionica considerata η = viscosità del mezzo γ = raggio ionico μ=Q/6πηγ Dall’equazione risulta quindi che la mobilità elettroforetica di una particella, cioè la sua attitudine a muoversi in un determinato mezzo, è semplicemente una funzione del rapporto fra carica e raggio della particella e perciò è diversa da una particella ad un’altra. Dalla stessa equazione è facilmente riconoscibile la legge di Stokes per la forza viscosa: Fe = -6 π ή r v Fe = forza ritardo legata alla viscosità r = raggi particella (cm) ή = viscosità (poise) v = velocità a cui la particella si muove (cm sec -1) da cui |Fe| / 6 π ή r = |v| ma essendo Fe = (ΔV / l) Q = E Q ΔV = d.d.p. tra gli elettrodi L = distanza tra gli elettrodi E = campo elettrico si ha μ =(v / E) Quest’ultima definisce μ come la velocità di migrazione della particella ione sotto l’azione di un campo elettrico unitario. In pratica per ottenere una definizione netta delle bande proteiche, è opportuna una separazione veloce. Più lungo è il tempo, maggire è la diffusione radiale delle proteine, e di conseguenza minore è la definizione delle bande proteiche. E’ perciò opportuno abbreviare il tempo di elettroforesi. 8.1 ALIMENTATORE Gli alimentatori trasformano la corrente alternata della rete in corrente continua adatta per essere applicata agli elettrodi delle camere umide; inoltre è in grado di fornire una d.d.p. costante e un’intensità di corrente costante. L’alimentatore è di grande importanza, poiché regola il voltaggio e la tensione che, in sua assenza, provocherebbero la denaturazione della sostanza in esame, poiché sono causa dell’innalzamento della temperatura nella camera umida. 8.2 SUPPORTI O STRISCE PER ELETTROFORESI 13 La scelta del supporto da usare dipende dal tipo di sostanza da separare e soprattutto dal grado di risoluzione che si vuole ottenere. In genere tutti i supporti usati devono essere permeabili alle sostanze da separare, essere inerti e non interferire nelle reazioni di riconoscimento delle sostanze in esame. I principali supporti, con relative caratteristiche, sono i seguenti: Carta: è stato il primo supporto solido per separazioni elettroforetiche, ma al giorno d’oggi non più utilizzato, se non per scopi particolari, come per l’elettroforesi ad alto voltaggio di amminoacidi e peptidi. Questo supporto presenta molti inconvenienti: oltre alla richiesta di molto tempo, l’uso di carta fa precipitare le molecole proteiche, l’uniformità della superficie, nulla, rallenta la migrazione, si può avere adsorbimento di alcune costituenti proteiche sulle fibre di cellulosa e la rivelazione delle sostanze separate risulta di difficile esecuzione. Acetato di cellulosa: è il supporto oggi più utilizzato, in quanto è estremamente maneggevole, di costo ragionevole, e permette in tempi brevi un’ottima separazione di buona parte delle sostanze proteiche. Si tratta di un materiale omogeneo e con solo tracce di impurezze. Il tracciato elettroforetico può essere rapidamente analizzato con una lettura densitometrica, poiché le strisce possono essere facilmente rese trasparenti. Strato sottile: l’elettroforesi può essere eseguita in strato sottile utilizzando come supporto gel di silice o allumina. Si ricorre a questo metodo quando si vogliono separare amminoacidi e peptici. Rispetto alla carta ha un alto potere risolvente, richiede minore quantità di materiale e i tempi analitici sono minori. Agar e agarosio: l’agar è un polisaccaride ottenuto da alghe marine, mentre l’agarosio un componente purificato dell’agar. Se si porta ad ebollizione una sospensione di agar o agarosio all’1 – 2%, il polisaccaride si scioglie e, raffreddandosi, gelifica. Questi gel hanno un potere di risoluzione inferiore a quello dell’amido, ma si preparano rapidamente, si colorano e decolorano con facilità e, portati a secchezza, costituiscono una pellicola trasparente che può essere letta in un densimetro e conservata senza che si alteri. Questo supporto è utilizzato per l’analisi delle lipoproteine e per l’immunoelettroforesi ( riconoscimento degli antigeni con opportuno antisiero). Poliacrilammide: il gel di poliacrilammide determina una separazione delle sostanze in esame anche attraverso un’’azione a filtro. Infatti, questi gel, che polimerizzano in presenza di metilenbisacrilammide, hanno una struttura a pori: più i pori sono piccoli, più le sostanze a peso molecolare elevato sono rallentate o addirittura bloccate nella loro migrazione. Tramite questo supporto possono essere analizzate grandi o piccole quantità di campione, a seconda della sua disponibilità, la separazione è molto rapida e le frazioni si presentano stratificate in dischi ben distaccati gli uni dagli altri. Dopo colorazione e decolorazione delle bande i gel di poliacrilammide rimangono perfettamente trasparenti, permettendo la lettura con densitometro. Amido(blocco d’amido): è stato utilizzato per separare numerose sostanze, soprattutto a scopo preparativo in quanto è possibile deporre campioni di materiale piuttosto abbondanti e le frazioni ottenute sono facilmente recuperabili dal blocco. Più usato è il gel d’amido che ha la proprietà di separare le sostanze anche n relazione alla loro grandezza molecolare. Presenta alta risoluzione e le separazioni sono piuttosto lunghe. E’ assolutamente necessario che il gel non si surriscaldi durante il processo elettroforetico e che non si abbia evaporazione dal gel; infatti è 14 sempre protetto da un foglio di plastica che aderisca bene alla superficie superiore del gel. 8.3 CAMERA UMIDA PER ELETTROFORESI E’ una vaschetta di materiale plastico divisa da un setto in due scompartimenti in ognuno dei quali è posta la soluzione tampone. In ogni compartimento pesca un elettrodo, costituito da un filo di platino , e i due elettrodi sono collegati ai rispettivi poli dell’alimentatore. Nel tampone vengono immerse le estremità delle strisce elettroforetiche oppure i ponti di carta da filtro che assicurano il contatto del tampone con gli strati di agar o di altri supporti sui quali è stato depositato il campione. Le strisce vengono di solito appoggiate su appositi ponticelli o supporti e mantenute in tensione con accorgimenti diversi, a seconda del tipo di vasca. I principali tipi di camere umide sono: Orizzontali; Verticali; A V rovesciata; Radiali; Per elettroforesi bidimensionale; Per elettroforesi preparativa. La scelta della camera umida dipende dal tipo di fasi stazionarie utilizzate. Camera umida per elettroforesi (zonale) Una camera umida deve rispondere a determinate caratteristiche, che sono: a. Cubatura ridotta per limitare la quantità di tampone necessaria e per ridurre l’evaporazione; b. Sistema di bloccaggio per le strisce per mantenerle orizzontali; c. Ponti cavi per assicurare il contatto diretto fra gel e tampone; d. Sistema di refrigerazione, che ha il compito di contenere gli aumenti di temperatura provocati da un elevato voltaggio; e. Elettrodi di platino a filamento teso lungo tutta la parete della vasca per rendere uniforme il campo elettrico; f. Minima resistenza interna; g. Coperchio anticondensa per evitare caduta di gocce sui tracciati; h. Depositare calibrato del campione per standardizzare la quantità deposta e per ottenere un fronte di avanzamento regolare e perpendicolare all’asse di migrazione. 15 8.4 APPLICATORE L’applicatore serve per depositare una piccolissima quantità di materiale, normalmente siero, sottoforma di sottile striscia rettilinea, il più possibile regolare e perfettamente perpendicolare alla striscia elettroforetica. L’applicatore più semplice è costituito da un vetrino del tipo copri-oggetto che viene bagnato da un lato con una giusta quantità di liquido; il lato bagnato viene posto a contatto con la striscia in modo che il materiale passi dal vetrino a questa ultima secondo una linea retta e uniforme. Oggi in commercio esistono applicatori, singoli multipli in grado di deporre quantità costanti di materiale in modo uniforme, migliorando il procedimento e velocizzando i tempi. Esistono inoltre speciali applicatori per le strisce di acetato, costituiti da due sottili fili metallici paralleli. L’ applicatore viene appoggiato su una goccia di materiale e il campione si dispone per capillarità, sotto forma di sottilissimo strato fra i due filamenti; successivamente il materiale viene trasferito sulla striscia per contatto con essa in una posizione prefissata. 8.5 TECNICHE DI RIVELAZIONE Per quanto riguarda la determinazione dei componenti della miscela, si può sceglier fra due diverse tecniche: L’eluizione: è una tecnica molto semplice ed in alcuni casi è molto accurata; presenta però l’inconveniente di non essere rapida e il suo uso si limita ai casi in cui sia strettamente necessaria. Le varie frazioni individuate sulla striscia sono tagliate e poste in altrettante provette insieme ad un volume noto di solvente in grado di fluire le frazioni. Dopo l’eluizione le soluzioni vengono lette ad uno spettrofotometro, contro il bianco rappresentato dalla soluzione di eluizione di una parte della striscia dove non si trovano bande colorate. In base all’assorbanza letta per le singole soluzioni, che risulta proporzionale alla quantità di proteina contenuta in una frazione, , si può determinare la quantità delle corrispondenti frazioni normalmente calcolate in % rispetto al totale di tutte le frazioni. Lettura densitometrica: è il metodo più utilizzato in quanto si presta molto veloce e di semplice utilizzo. La striscia viene montata su un particolare carrello trasportatore ad avanzamento micrometrico, che viene fatto avanzare con velocità costante di fronte ad un fototubo. Il densitometro è un semplice fotometro a filtri oppure uno spettrofotometro costruito in modo da misurare la trasmissione della luce attraverso una striscia colorata anziché attraverso la soluzione contenuta in una cuvetta. Se il densitometro è collegato ad un registratore si ottiene un tracciato elettroforetico che, tramite opportuni calcoli, o tramite la presenza di un sistema di elaborazione del segnale, dà la quantità, espressa in % di concentrazione, delle single componenti del campione. 16 Figura di un densitometro. I protidogrammi o elettroferogrammi, cioè le strisce con le bande proteiche che vengono evidenziate immergendo le strisce in opportuni coloranti o reagenti capaci di produrre la specifica colorazione delle bande, possono venire analizzati, soprattutto per determinazioni quantitative, per mezzo di due diversi procedimenti: eluizione dal supporto e scansione cioè lettura diretta del supporto. rappresentazioni di protidogrammi Il primo metodo è stato analizzato nel punto 8.5. Per la scansione densitometrica si deve prima rendere il supporto il più possibile trasparente (processo di diafanizzazione o trasparentizzazione), diverso per ogni tipo di supporto utilizzato. 17 Dopo il procedimento di diafanizzazione la striscia viene analizzata (“scansione”) con uno speciale apparecchio, molto simile ad un fotometro; l’apparecchio consente di misurare ed eventualmente di registrare automaticamente l’assorbanza delle varie bande colorate, usando un fascio di luce di adatta lunghezza d’onda. Si ottengono in tal modo le cosiddette curve densitometriche o tracciati elettroforetici, nei quali è riportata in grafico l’assorbanza del colore presente sulla striscia. 18 Le curve densitometriche consentono di effettuare l’analisi quantitativa percentuale, in quanto l’area sottesa dalla curva è proporzionale alla quantità di colore e quindi alla quantità di proteina; quest’ultima relazione di proporzionalità non è identica per tutte le proteine dei liquidi biologici, in quanto non tutte le frazioni, a parità di peso, legano una quantità identica di colore; può quindi essere necessaria l’introduzione di fattori di correzione per ottenere risultati rigorosamente quantitativi. A parte questa eccezione, fatta uguale a 100 la somma delle aree di tutte le frazioni ( o picchi), l’area di un singolo picco ne rappresenta una percentuale; è questa la concentrazione percentuale della frazione proteica cui tale picco si riferisce. L’area sottesa al tracciato totale, o ai singoli picchi, può venire valutata manualmente mediante carta millimetrata, o ritagliando il tracciato e pesando la carta su bilancia analitica. Attualmente sono disponibili in commercio apparecchi di lettura delle strisce elettroforetiche, così perfezionati che registrano automaticamente il tracciato ed integrano l’area totale come pure quella sottesa ai singoli picchi, calcolando le concentrazioni percentuali (area di ogni frazione, divisa per l’area totale del tracciato, moltiplicata per 100) e stampano i risultati. Se si moltiplicano infine i valori delle percentuali relative di ogni frazione per il contenuto in proteine totali del liquido esaminato, in g / dl, si ottengono i valori assoluti in peso, sempre in g / dl, di ogni componente proteica. 10. La presente tesina dal titolo “ L’elettroforesi” è stata elaborata dall’alluno Andrea Farroni della classe V°CH, in vista degli esami di stato dell’anno scolastico 2006 / 2007. Si approffita per ringraziare il tutor scolastico Prof. Tifi Alfredo, che ha collaborato nella stesura della stessa. I materiali utilizzati per l’elaborazione della tesina sono: Di origine virtuale: 1. www.wikipedia.it 19 2. web.tiscali.it/diploid/igfix.html 3. www.marigoitalia.it/file/minpar01.jpg Di origine cartacea: 1. Dispense del laboratorio dove il sottoscritto ha fatto lo stage; 2. fotocopie di diversa origine; Antologie e libri: 1. “ La elettroforesi e la sua evoluzione” di “C.R.G. strumenti per il laboratorio s.p.a”; 2. “Biochimica clinica –Principi ed applicazioni-“ di L. Spandrio 3. “Diagnostica e tecniche di laboratorio – -Chimica clinica –Parte secondadi Filippo Pasquinelli 4. “Biochimica, fisiologia umana e laboratorio” di Maurizio Ronzini 5. “Chimica organica, biochimica e laboratorio” di Giuseppe Valitutti, Gabrilla Fornari e M. Teresa Gando 20