Ritiro spirituale
Don Dante Carolla
Direttore Ufficio Catechistico Diocesano
Eremo di Lecceto – Malmantile, Firenze
5 giugno 2010
“Io perseguitai a morte questa nuova dottrina” (At
22,4) (Ma) mentre stavo andando a Damasco vidi
sulla strada, o re, una luce dal cielo più
splendente del sole”. (At 26,12-13)
La Chiesa, luogo di conversione
Luca riporta addirittura tre volte il racconto della conversione di S. Paolo, una in terza
persona e le altre due in prima persona.
I brani relativi sono: At 9,1-20; At 22,1-21 discorso di Paolo rivolto ai giudei a
Gerusalemme; At 26,1-23 discorso rivolto al re Agrippa. Già questo è indice
dell'importanza che l'autore attribuisce a questo evento nella storia della Chiesa primitiva.
Tutti e tre questi racconti concordano nel descrivere la figura di Saulo, questo il suo nome
prima della conversione, come un violento, un persecutore, un assassino. Basta ricordare
alcune espressioni che appaiono sulla bocca stessa dell'Apostolo: “Ho perseguitato a
morte questa “Via” (At 22,4); “Molti dei santi li ho chiusi in carcere con l'autorizzazione
avuta dai sommi sacerdoti e quando si trattava di ucciderli, io votavo contro di loro. E in
tutte le sinagoghe molto sovente li sforzavo con supplizi a bestemmiare” (At 26, 10-11) Del
resto anche nel racconto della lapidazione di Stefano Luca annota che “i testimoni
deposero le loro vesti ai piedi di un giovane chiamato Saulo...E Saulo approvava
l'uccisione di Stefano”. (At 9, 58; At 8,1a)
Questi aspetti, di per sé sconcertanti e sconvolgenti della personalità di Saulo, dicono però
anche un uomo appassionato, fedele alle Tradizioni dei padri, “pieno di zelo per Dio” (At
22,3) anche se certo uno zelo mal riposto. Siamo comunque di fronte a una personalità
forte nel male prima e nel bene poi, perché Saulo è un uomo che vive intensamente le sue
appartenenze, appartenenza al suo popolo, appartenenza al suo gruppo, i farisei,
appartenenza al suo maestro, Gamaliele, appartenenza al suo Dio nei confronti del quale
la nuova via sembrava, a prima vista, un tradimento e una deviazione. Saulo insomma era
un uomo religioso, un credente, un osservante. E' aberrante ma possiamo dire che quello
che faceva, e di cui lui stesso si accusa, lo faceva per il suo Dio. Anche questo ci deve far
riflettere su come anche la religione, malamente intesa, può essere un pericolo invece che
un aiuto.
Non basta obbedire supinamente, occorre entrare profondamente nel mistero di Dio,
altrimenti facciamo dire a Dio quello che vogliamo e ci serviamo di Dio per i nostri miseri
obbiettivi contingenti, invece che servire a Dio.
Dobbiamo subito trarre una prima conclusione: forse è meglio, paradossalmente, vivere
con intensità e passione l'adesione all'ideale, anche a rischio di sbagliare, anziché vivere
nella tiepidezza, nella mediocrità, nell'indifferenza, magari evitando grossi sbagli. Chi vive
con passione può sbagliare, ma sicuramente ama e quando si accorge di sbagliare ha
anche il desiderio vivo di cambiare e di correggersi, ma chi vive nella tiepidezza, nella
mediocrità, nel qualunquismo, magari non sbaglia mai in maniera clamorosa, ma in fondo
sbaglia sempre! In altre parole un uomo grande può fare grandi sbagli ma, in un impeto di
verità e di amore, può anche cambiare, un uomo meschino, invece, non fa grandi sbagli,
ma non ha nemmeno grandi slanci, appunto forse non sbaglia mai perché sbaglia sempre!
Questo, dunque, era l'uomo che “sempre fremente minaccia e strage contro i discepoli del
Signore”, camminava sulla via di Damasco deciso a “condurre in catene uomini e donne,
seguaci della dottrina di Cristo, che avesse trovati”. (At 9,2)
Ma,”mentre stavo andando a Damasco, racconta Paolo al re Agrippa II, vidi sulla strada o
re, una luce dal cielo più splendente del sole”. (At 26,12-13)
Paolo, dunque, è avvolto da una luce abbagliante, “più splendente del sole”. E' un aspetto
del racconto direi, centrale, non possiamo oltrepassarlo senza fermarci.
Paolo era un credente e un credente convinto, non aveva dubbi, né esitazioni in quello
che faceva, non aveva rimorsi. All'improvviso una luce lo avvolse. La conversione di Paolo
non è il frutto di un suo ripensamento, di una sua ricerca, di una sua decisione, è
l'irruzione di Un Altro nella sua vita, è una Grazia, un Dono, una sorpresa, un Incontro, una
Novità.
Paolo è grande perché aperto alla novità. Lui, fariseo osservante, rigido, seguace delle
tradizioni è disponibile, accogliente, aperto alla Novità che gli si manifesta. Il problema non
è non sbagliare mai, il problema è seguire gioiosamente il Nuovo quando gratuitamente mi
si manifesta. La Novità qui si manifesta come luce abbagliante. Paolo si alza e non ci
vede, si ritrova cieco. Paolo deve capire che finora senza Gesù è prigioniero del buio, che
tutte le sue tradizioni e le sue leggi non hanno il potere di dargli la vista, che la sua vita è
oppressa dalle tenebre di una legge fine a se stessa, incapace perfino di cogliere le sue
stesse conseguenze e implicazioni. Gesù, infatti, era annunciato e previsto proprio da
quella Legge che lui insieme agli altri farisei voleva difendere strenuamente.
Il cielo è simbolicamente la dimora di Dio. E' da quella dimora che scoppia una luce più
splendente del sole, anche per Paolo. Non per nulla Gesù aveva detto.”Io sono la luce del
mondo”!
Da questa luce sgorga una voce:”Saulo, Saulo perché mi perseguiti”?
La ripetizione insistente, affettuosa e accorata del nome esprime una modulazione di
rapporto particolarmente intensa e stringente. Il culmine poi di questo appassionato
richiamo si raggiunge nell'espressione che segue:”Perché mi perseguiti”? Dove il clou è
rappresentato da quel “mi”. Perseguitare la Chiesa, perseguitare i cristiani, vuol dire
perseguitare Gesù stesso. Gesù si identifica con la sua Chiesa, con i suoi fedeli, con il suo
Corpo. “Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me”! Non si può separare il
Capo dal corpo. I cristiani non sono un partito, un'associazione, sono un mistero, il mistero
del Corpo di Cristo nella storia degli uomini.
“Orsù alzati”! Il verbo usato, in greco “anàsteti” è lo stesso usato in Lc 24,8 “anastènai” che
vuol dire “risorgere” dove l'angelo annunzia la risurrezione: “Perché cercate il vivente fra i
morti? Non è qui è risorto. Ricordate che disse: bisogna che il Figlio dell'uomo...sia
crocifisso e risorga il terzo giorno”. Ma in questo approccio di Gesù a Saulo si manifesta
un altro aspetto importante, quello della signoria di Cristo sugli eventi. “Orsù alzati e ti sarà
detto ciò che devi fare”! E' tutto preparato. Tu, Saulo, devi solo rispondere!
A questo punto Saulo da protagonista diventa seguace, viene condotto per mano come un
bambino. Lui, il grande dottore della legge, il grande osservante e custode delle tradizioni,
lui il grande maestro e castigatore delle deviazioni, diventa il discepolo, il sottomesso, colui
che è guidato.
Gesù affida Saulo a un discepolo, Anania il quale, fra l'altro e anche comprensibilmente,
resiste alla chiamata di Gesù, fa le sue brave obbiezioni, ha paura perché ha già sentito
parlare di questo soggetto e certo non in termini molto rassicuranti.
Ma Gesù lo rassicura con una parola sola:”Ecco sta pregando”! Anania può andare nella
casa di un certo Giuda a cercarlo perché Saulo non è più Saulo, ma è già Paolo. Paolo in
latino vuol dire “poco”. E' impressionante che il grande dottore, dopo l'incontro con Gesù,
diventi “poco”, non perché l'incontro con il Signore lo ha diminuito, ma al contrario, perché
questo incontro gli ha rivelato la sua pochezza, una pochezza in cui però vive e opera il
“molto”, la grandezza stessa del Figlio di Dio. “Vivo non più io vive in me Cristo”! “Quando
sono debole è allora che sono forte”.
E' importante anche sottolineare che Gesù rimanda Paolo appena convertito ad Anania.
Questi è il segno, il sacramento di Gesù. Per seguire Gesù occorre utilizzare la
mediazione della Chiesa, quella realtà umana, visibile, storica che è il sacramento del
Mistero di Cristo. Senza questa mediazione noi corriamo il rischio di uno spiritualismo
disincarnato estremamente pericoloso, soggettivo e dunque relativistico. Abbiamo bisogno
dell'oggettività della Chiesa per essere sicuri di seguire Cristo e non i fantasmi creati da
noi stessi.
Ma c'è un'altra parola nel dialogo tra Gesù e Anania che non dobbiamo trascurare:” Egli è
per me uno strumento eletto per portare il mio nome davanti ai popoli” (At 9, 15)
Siamo di fronte alla manifestazione dell'inesauribile fantasia di Dio. Proprio lui, il
persecutore, il violento, l'assassino doveva essere lo strumento eletto ? Non poteva
scegliere uno più adatto? Uno migliore, più santo, più equilibrato, uno che si fosse
macchiato meno di delitti così gravi? E' la provocazione dell'amore di Dio. Egli sceglie il
più lontano per farne il più vicino. Egli sceglie il meno adatto umanamente per mostrare
che è Lui che opera, che è Lui che trasforma, che tira fuori i santi anche dai più ostinati
peccatori. Questo ci dà una grande consolazione. Vuol dire che nessuno è escluso
dall'amore di Dio e dalla salvezza. Questo vuol dire non solo che Dio perdona, nonostante
i nostri pur gravissimi peccati, ma vuol dire anche che egli, nonostante tutto, ha fiducia in
noi, crede in noi e ci affida la più alta e impegnativa missione, quella di testimoniarlo
davanti a tutti gli uomini (At 22,15)
Di fronte a questa strategia divina Anania si arrende e rivolgendosi a Paolo lo
chiama:”Saulo, fratello mio”! Anzi più esplicitamente gli dice:”Ricevi il Battesimo e lavati dai
tuoi peccati invocando il suo Nome”. (At 22,16)
Paolo così riceve la sua nuova missione.” Va' perché io ti manderò lontano tra i pagani” (At
22,21). Paolo, ora che ha incontrato Gesù vivo deve andare fra i lontani, fra coloro che
non conoscono Gesù, fra i pagani. Tutto il mondo gli appartiene come dimostrerà la sua
vita futura, e non solo quel mondo giudaico a cui pure appartiene e che gli sta tanto a
cuore come dice espressamente anche nella lettera ai Romani.
Paolo, anche nell'annunciare il vangelo, mostrerà chiaramente che Gesù non è altro che il
compimento di quelle promesse contenute nell'Antico testamento di cui il mondo giudaico
era tanto geloso. “Null'altro io affermo se non quello che i profeti e Mosè dichiararono che
doveva accadere” (At 26,23). Paolo si riferisce qui al nucleo essenziale della buona
novella cioè la morte e la risurrezione di Cristo. E' qui che tutta la storia della salvezza
trova il suo pieno e perfetto compimento.