INTRODUZIONE
«Vieni, Signore Gesù»
(Ap. 22, 20)
Siamo entrati forse nell'epoca più drammatica della storia del mondo e della Chiesa.
Le dimensioni delle nostre cose coincidono ormai con le dimensioni del cosmo; la velo cità' di
trasformazione rende instabile anche una sola giornata e tutto è rimesso in questione dall'uomo che si
sente come mai attore e costruttore del suo destino e nello stesso tempo povero atomo sperduto tra le
galassie smisurate.
La Chiesa, la stessa Chiesa che nella mente e nel cuore degli uomini di ieri era come il prototipo di
ogni sicurezza e stabilità, è divenuta il campo aperto di tutte le contestazioni in superficie e nel
profondo, tanto da angosciare pontefici e vescovi e da far tremare l'ultimo cristiano sperduto tra la foll a
sempre più anonima e stranamente inquieta.
Molti si immobilizzano nell'inazione e nell'isolamento, molti si cercano un hobby qualsiasi per passare
il tempo, molti si assumono il ruolo di profeta senza avere profezia e molti, non trovando altra
soluzione, si chiudono nel passato sognando tempi in cui si pregava in latino, si andava volentieri in
processione e si ubbidiva ciecamente. Tutti naturalmente fanno del loro meglio - anche se si riempiono
la bocca di discorsi sul terzo mondo - per strappare alla vita anche una goccia sola di piacere,
contribuendo efficacemente a precipitare l'equilibrio dell'uomo nella civiltà del benessere, del sesso e
della droga: civiltà di fine impero.
Ci troviamo come dopo il passaggio di un ciclone, meglio di un terremo to, che, pur senza aver
distrutto completamente la casa, ce l'ha resa insicura facendoci scoprire le crepe e mettendoci nel cuore
una tristezza indefinita.
Direi che siamo invecchiati di secoli in pochi anni e il nostro passato spirituale ce lo sentiamo l ontano
lontano, anche se è solo di ieri. Soprattutto sentiamo lontana la nostra sicurezza, la nostra stabilità, il
nostro dogmatismo.
Dovessi rappresentare il mondo oggi con un disegno, lo rappresenterei come un astro nauta che viaggia
nel cosmo ma... con la capsula bucata da un qualsiasi frammento di meteora, e la Chiesa come Maria e
Giuseppe in viaggio dall'Egitto a Nazaret su un asinello e, tra le braccia, la debolezza e la povertà
infinita del Dio incarnato: Gesù Bambino.
Ma tutto questo è solo male? Non c'è forse nel disagio di oggi, nella crisi che ci travaglia, una radice
buona? un principio di vita?
Posso trarre qualcosa di costruttivo dallo sfacelo del mio passato? del nostro passato? Insomma, ciò
che sta avvenendo è il principio della fine o è sintomo di un nuovo parto della storia e della Chiesa?
Il crollo delle istituzioni trascinerà tutto nel caos o libererà qualcosa che sta nascendo nel profondo
della vita del mondo e della Chiesa?
E' difficile dare una risposta. Ciò che però possiamo dire per intanto è che un po' di insicurezza fa
bene a noi, cosi' abituati al dogmatismo e alla violenza delle nostre af fermazioni. Ci fa bene, soprattutto
come cristiani, perdere un tantino di prosopopea medievale che ci rendeva incapaci al dialogo, dimenticare il pensiero che bastava trovarsi sulla barca per essere al sicuro, dacché la fede era cosi salda
in noi da non poter subire oscurità alcuna.
E, come Chiesa, ci fa bene diventare un tantino più umili, più piccoli, più disarmati: non vedere più gli
altri come»gli altri», non esaltarci solo della risurrezione e del trionfo di Cristo senza accettare nello
stesso tempo la tremenda realtà della sua crocifissione e morte in noi.
E poi c'è un'altra cosa che ci fa bene e ci rende adulti, anche se è amara per parecchi:
è suonata con più forza l'ora della verità. E per tutti.
Non possiamo più nasconderci dietro i paraventi delle idee preconcette, delle leggi fat te, dell'ordine
costituito, delle tradizioni venerande.
Tutto è rimesso in questione, ripensato, giudicato alla luce di una nuova presa di coscienza e di una
fede più adulta. In tal modo il pane è il pane, e deve essere dato a tutti;
il Papa è il Papa, e non»Dio in terra»; la fede è la fede, e non sentimento o ragione; il bene comune è il
bene comune, non l'interesse di pochi; l'ubbidienza è l'ubbidienza, non prepotere di autorità o
menefreghismo di sudditi; la Chiesa è la Chiesa, non un gruppo di intoccabili.
Ma al di sopra di tutto c'è una scoperta da rifare, un punto fisso da stabilire, un incontr o da effettuare,
una fede da rinsaldare: quella in un Dio personale. Direi che in un certo mo do ognuno di noi deve
ritrovare il Dio di Abramo, il Dio di Mosè, il Dio di Elia, o il Dio del Vangelo. Per troppo tempo il
paravento della Chiesa aveva nascosto l'esaurirsi nei singoli di una fede autentica nel Dio personale.
Noi credevamo alla Chiesa e questa credeva in Dio: noi ci affidavamo alla Chiesa e questa parlava con
Dio. Eravamo divenuti come dei bambini cui la madre toglieva il difficile compito di presentarsi nudi e
poveri dinanzi alla maestà del Padre.
In molti l'ecclesiologia sostituiva la cristologia, la papalatria rimpiazzava la contemplazione personale.
del Trascendente.
Nella mia giovinezza era comune sentir dire dai migliori: mi consacro a lla Chiesa, mi consacro
all'Azione Cattolica, mi consacro all'Università Cattolica, mi consacro al mio Vescovo, senza tener
conto che non ci si consacra se non a Dio, solo a Dio.
Il paravento della Chiesa o delle cose della Chiesa occupava quasi tutto lo spazio. Poi, caduto il
paravento, meglio, reso più trasparente da una coscienza capace di concepire una più profonda gerarchia
di valori, ci siamo sentiti come le termiti, che, tratte fuori con violenza dall'oscurità cui sono abituate, si
contorcono sotto il sole, denunciando la loro vulnerabilità a lavorare alla luce.
Sì, ci siamo sentiti incapaci a parlare direttamente con Dio senza interpreti; ci siamo sentiti soli tra le
mura sfasciate di una istituzione fatta cadere da noi stessi.
Oggi molti si aggirano spaventati tra le rovine del loro passato spirituale senza più sen tire alcuna
Presenza.
Quanti, dimenticata la formula con cui pregavano da bambini, non sanno più pregare!
E poi... perché pregare se non si sente la Presenza di colui che raccogli e le nostre lacrime nell'otre
della sua misericordia? (cf. Sal. 56,.9).
E se non esiste questa Presenza?
La domanda si fa angosciosa per molti.
Non dubito nell'affermare che questa è la vera natura della crisi di oggi.
Il crollo del sacro, la spinta inesorabile della secolarizzazione ha denudato gli altari della nostra fede,
ha cancellato i»segni»che in un modo o in un altro ci aiutavano ad entrare nell'«Invisibile»e ci
indicavano la Presenza di Lui.
Ora molti di noi si aggirano tristi in questo tempio»demitizzato», si avvicinano addirittura alla parte
più intima di esso, al Sancta Sanctorum, al Tabernacolo e incominciano a chiedersi:»E' vuoto o c'è
ancora la Sua Presenza?».
Anche qui non è facile darsi subito una risposta, quando da tanto tempo non si er a più abituati alla vita
di fede, ma ci si accontentava di ricordi, di cultura o di sentimento vago.
Non è facile, distratti come siamo, immobilizzarsi dinanzi all'Assoluto Eucaristico, vero compendio di
tutti i misteri della fede e segno vivente onorato della Presenza di Dio tra di noi.
Più facile è aggirarsi al di fuori, alla ricerca di un altro modo di Presenza di Dio nel mondo.
I più buoni, i più generosi, i più vivi, si avvicinano all 'uomo di oggi e dicono: ecco qui la Sua
Presenza! E' l'uomo la presenza di Dio sulla terra!
E forse mai le parole di Gesù:»Dove sono due o tre adunati nel nome mio, ci sono io in mezzo a loro»
(Mt. 18, 20), oppure:
«Quanto avete fatto a uno dei più piccoli tra questi miei fratelli, l'avete fatto a me» ( Mt. 23, 40), sono
l'autentico Vangelo di coloro che hanno un'anima religiosa e sono alla ricerca di una spiritualità oggi.
E' interessante vedere questo fenomeno di riscoperta nel profondo dell'uomo! Questa se te di liberarlo
dalla schiavitù, dall'ignoranza, dalla fame!
E' certo la più grande speranza di oggi e la forza, meglio, la religione di coloro che non credono più o
hanno difficoltà a credere nel Dio della trascendenza.
Mi diceva un amico:»Non chiedermi di perder tempo a pregare; non chiedermi di cer care Dio nella
solitudine del tuo deserto. Per me, Dio è nell'uomo ed io cercherò il rapporto con Lui servendo l'uomo».
Che debbo rispondere? Dio volesse che tu riuscissi nel tuo intento! Dio volesse che tu fossi capace di
tanto!
Tu dici questo perché non conosci ancora l'uomo, non conosci ancora la tua debolezza nel servire
l'uomo.' Sappi che è la cosa più terribile e più impegnativa restare dinanzi al tabernacolo dell'uomo in
atteggiamento di amore e di servizio, quando hai scoperto in lui l'egoismo, la prepotenza, il t radimento!
Servire l'uomo è la cosa più facile e più difficile allo stesso tempo.
Più facile quando sei giovane o sei legato all'uomo dall'ottimismo o dal sentimento o dalla natura o
dall'interesse; più difficile quando sei abbandonato o ricacciato da tutt i, come capitò a Gesù nella notte
del tradimento. Sappi che l'uomo non è solo il fratello simpatico o la sorella interessante del tuo gruppo,
ma e Giuda, il Capitalista, l'Egoista, il Militare che ti tortura, il Bianco razzista che ti guarda con
disprezzo, il Clericale insopportabile che si sente perfetto.
L'uomo è l'uomo, tutto l'uomo: santo
o delinquente, americano o cinese, arabo o ebreo, bianco o nero, clericale o anticlericale.
Se fosse possibile all'uomo comune amare l'uomo, servire l'uomo fino in f ondo, cioè fino al sacrificio
di sé senza il Cristo, senza l'aiuto personale di Dio, sarebbe stata inutile l'Incar nazione.
Nessun uomo è capace di tanto. Presto o tardi deve scoprire in se stesso quanto è immaturo il suo
amore, quanto sia eroico amare, quanto abbia bisogno di»una forza che viene dall'Alto», e un conforto
divino per resistere alla tentazione di odiare tutti e di scappare in una grotta ove vivere il proprio
isolamento.
Sì, te lo dico chiaro perché ne ho fatta l'esperienza: solo Dio può aiut arci ad amare l'uomo; solo il
Cristo può insegnarci la difficile lezione.
Ma non sta nemmeno qui il problema.
Il vero problema è questo: Dio è una Presenza autonoma davanti a te, come la tua davanti all'Amico, lo
Sposo davanti alla Sposa, il Figlio davanti al Padre, o è solo presente nelle cose e quindi nella cosa più
grande e più interessante che è l'uomo?
Dio lo puoi incontrare come Persona sulla tua strada, prostrarti davanti a Lui come Mosè davanti al
roveto ardente, sentire la sua carezza come Elia sull'Oreb, sperimentare la sua Presenza come i profeti
nell'oscurità e nell'intimità del Tempio, o no?
Insomma, Dio è il Dio della trascendenza e quindi il Dio della preghiera, il Dio del l'al di là delle cose,
o è solo il Dio dell'Immanenza che si rivela a te solo nella evoluzione della materia, nella dinamica della
storia o nell'impegno di liberazione dell'uomo?
Qui sta il vero problema di oggi che, come sempre, è un problema di scelta.
Azione o preghiera, rivoluzione o contemplazione? Senza tener conto che, come sempre, il peccato
non è in ciò che si fa, ma in ciò che si omette.
La verità è sempre una sintesi di opposti ed è tanto difficile farla. E' più facile, molto più facile
lasciarsi portare dalla violenza dell'errore che ci spinge con accanimento e gioia agli estremi del
dilemma, facendoci dimenticare»l'altro aspetto delle cose». E così facendo costruiamo sul vuoto senza
trovare la pace.
Difatti siamo senza pace!
Gesù pronuncia nel Vangelo una frase dura che dovrebbe essere ricordata quando si park di
azione:»Senza di me non potete /are nulla» (Gv. 15, 5).
Ma chi è questo Gesù che ha il coraggio di dire agli uomini di tutti i tempi queste pa role:»Senza di me
non potete lare nulla»? E' uno dei tanti personaggi vissuti nel tempo, Scomparso con la morte e semmai
presente agli uomini col suo insegnamento, o è, come lo chiama Pietro sotto l'azione dello Spirito,»Il
Figlio del Dio vivente» (Mt. 16, 16)?
E se è vivente, come viene a me che sono vivo?
Viene a me come Persona, o viene a me come nuvoletta?
Viene a me come Persona, o viene a me con una sua frase pronunciata duemila anni fa e trasmessaci
dagli Apostoli nel Vangelo?
Ecco il problema.
La Chiesa crede, io credo che Gesù è il Figlio del Dio vivente, ed era vivo prima della Sua
incarnazione come Verbo di Dio, ed è vivo dopo la sua morte e risurrezione, avendo realizzato la sua
Alleanza con l'Umanità in termini di sposalizio.
Dio ha voluto l'alleanza con l'uomo e tale Alleanza è il contenuto e il termine di tutto
il piano della Salvezza. E l'alleanza si fa tra vivi, non tra morti; l'alleanza si fa tra Persone, non tra
concetti o simboli.
Se è vero che Dio nella sua misericordia ha voluto l'alleanza con me, deve venire sulla mia strada,
dove io possa incontrarlo.
La preghiera personale è il punto d'incontro tra me e Lui; il Sacramento è il segno visibile della mia
alleanza con l'Eterno.
Ed è per questo che credo alla preghiera personale, ed è per questo che attendo ogni giorno l'incontro
con Lui nel Sacramento. Potrei dire, senza tema di sbagliare, che pregare significa attendere il Dio che
viene.
Ogni giornata riempita di preghiera conosce l'incontro col Dio che viene; ogni notte, resa nella fede a
Lui disponibile, è onorata della Sua Presenza.
E la sua venuta e la sua presenza non sono il risultato della nostra attesa o il premio del nostro sforzo,
ma la decisione del suo amore gratuito.
La sua venuta è legata alla sua promessa, e non al nostro agire o alla nostra virtù. Non ci siamo
meritati l'incontro con Dio perché l'abbiamo servito fedelmente nei fratelli o perché abbiamo accumulato
tanta virtù da impressionare il cielo.
Dio viene spinto dal suo amore, non attirato dalla nostra bellezza. E viene anche nelle ore in cui
abbiamo tutto sbagliato, in cui non abbiamo fatto nulla; più ancora: vi ene quando abbiamo peccato.
Se è stato orgoglio pensare che la venuta di Dio era in virtù della Legge e non della Promessa, è
ancora orgoglio pensare oggi che la venuta di Dio nella preghiera è frutto di sforzo dell'uomo e non
dono dell'amore di Dio.
Ed è per questo che, in fondo, coloro che pensano di trovare Dio solo nel servizio dei fratelli fanno
inconsciamente un atto di orgoglio. Affidano l'incontro al frutto del loro impegno.
Su questa strada, come si troveranno le prostitute ed i pubblicani? Esse ed essi non han fatto nulla per
servire i fratelli, anzi... eppure hanno incontrato il Cristo ed hanno creduto in Lui, come dice il Vangelo.
E anche noi lo vogliamo incontrare così come siamo, al di là di noi stessi, al di là del nostro peccato o
delle nostre virtù.
Lo vogliamo incontrare perché è Dio, e senza Dio non possiamo vivere.
Lo vogliamo incontrare perché è Luce, e senza luce non possiamo camminare.
Lo vogliamo incontrare perché è Amore, e senza amore non c e gioia.
E anche perché, incontrandoci con Lui, rinsalderemo l'alleanza che Lui ci aveva offerto.
Tutto il resto si metterà a posto se i cristiani riprendono coscienza della loro alleanza con l'Eterno.
La crisi della Chiesa, se c'è, è crisi di cristiani, è crisi di fede, è crisi di preghiera, è crisi di
contemplazione.
Rinsaldata la fede di ognuno col Dio vivente, si riprenderà il cammino con facilità.
Riannodato il rapporto vitale e personale col Cristo, sarà facile riannodare il rapporto vitale e
personale con la Chiesa.
Prima no.
Lo stesso Concilio, che è stato l'avvenimento religioso più straordinario della nostra epoca, la
dimostrazione evidente della freschezza e vitalità della Chiesa, un vero momento di profonda gioia per
coloro che»attendevano», una meravigliosa presa di coscienza del mistero ecclesiale e della sua presenza
nel mondo, è reso inutile in chi o in coloro che perdono la fede o si allontanano dalla sor gente mai
disseccata del colloquio dell'uomo con l'Eterno.
Tutta la Bibbia termina con una invocazione, che san Giovanni mette in bocca alla sposa come
compendio di tutte le preghiere appassionate rivolte al Cielo dopo la dipartita di Cristo dalla
terra:»Vieni, Signore Gesù» (Ap. 22, 20).
Ma quale significato ha questo grido rivolto a Gesù, che dopo essere vissuto tra noi è scomparso
fisicamente dalla nostra storia con la sua morte, risurrezione e ascensione?
Tutti i cristiani lo conoscono.
E' l'invocazione per il ritorno di Cristo nella parusia finale, quando la sua seconda venuta concluderà
la storia e ci introdurrà nell'epoca messianica del festino eterno del cielo.
Ma sarebbe troppo crudele se dovessimo solo aspettare»l'ultimo giorno», se cioè la vita del cristiano
non avesse più nessun contatto con la Persona del Cristo fino alla fine del mondo!
Come il Regno di Dio verrà nell'ultimo giorno, ma nello stesso tempo è venuto ed è»in noi», così il
ritorno di Cristo, che verrà come il lampo dell'Apocalisse, viene ogni gior no, ogni sera, ogni notte in cui
mi rendo disponibile a Lui e lo cerco nel Sacramento e nella preghiera.
La sposa può incontrare lo sposo tutte le volte che lo vuole. Il Cristo della fede viene sempre a visitare
la sua sposa, e viene personalmente.
Ed è per questo che l'incontro è autentico sia nel Sacramento, sia nella preghiera.
Se per pregare intendiamo l'attesa del»Dio che viene», dobbiamo ovviamente ammettere che»viene),
non per stare fuori sulla porta, ma per entrare.
Nell'attesa del festino messianico, di cui la Messa è la proclamazione e l'annuncio, la sposa è ammessa
al “festino della sapienza», che è la contemplazione.
Dice il passo dei Proverbi (9, 1-2): “La Sapienza si è costruita la casa, ha tagliato sette colonne. Ha
preparato un festino, ucciso gli animali, servito il vino».
Alla mia fede vigilante, il Cristo risponde con la sua venuta:» Io vado e torno a voi» (Gv. 14, 28), ci
disse nell'ultima cena.
Ed ecco che torna per stare con noi nella nostra intimità e per accompagnarci ad attra versare la storia.
Si è detto che la spiritualità dell'uomo sulla terra è la spiritualità dell'Esodo, cioè del lungo viaggio che
va dalla liberazione dalla schiavitù fino alla gioia della Terra Promessa, posseduta e goduta per sempre.
Ebbene, al popolo in marcia nel deserto, Dio non regala la solitudine vuota di Lui, ma la sicurezza
della Sua Presenza enunciata dalla Nube che sovrastava il Tabernacolo.
Era il segno della presenza viva di Jahvè. Ma era anche l'annuncio di una presenza molto più
ravvicinata e amorosa che il Cristo avrebbe realizzato nella nuova Alleanza con l'umanità. E se nella
prima Alleanza Dio si era servito di parole e di simboli per convincere l'uomo, nella seconda si servirà
di un calice di sangue, “il Calice del sangue di Gesù sparso per tutti noi».
Ebbene, chi mi ha dato il suo sangue per dirmi il suo amore, starà lontano da me?
Dubitare della presenza di Gesù nella mia vita è mancanza di fede.
Ed è mancanza di fede il pensate che colui che mi porge a bere il calice del suo sacrificio non mi porga
allo stesso tempo la sua Presenza e la sua Amicizia.
Ed è per questo che alzo ancora una volta il calice della sua Alleanza, pieno del Sangue del mio Dio, e
inebriandomi di Lui gli grido con tutta la fede:»Vieni, Signore Gesù».