IL PERIODO DELLA RESISTENZA CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALL’ITALIA E ALCUNI ASPETTI DEL SECONDO DOPOGUERRA di PAOLO FRANCHI 1 PRESENTAZIONE Questo lavoro prende in esame un movimento storico della Seconda guerra mondiale: la Resistenza. Ho scelto questo argomento perchè ha visto protagonista la Val Taro e perchè ha segnato per la nostra Nazione l’inizio dell’istituzione repubblicana e la nascita di una costituzione democratica. 2 La Resistenza italiana I "quarantacinque giorni" di Badoglio. La caduta del regime fascista e l'armistizio (25 luglio e 8 settembre 1943) aprirono per l'Italia un periodo difficile e drammatico, ma anche ricco di significato e di nuove prospettive civili e politiche. Dopo vent’anni di regime dittatoriale, il Paese si trovava di fronte al compito di determinare il proprio futuro. La destituzione di Mussolini a opera del re e delle gerarchie del regime fascista rispondeva a una logica precisa: impedire che la Corona e l'intero Stato venissero travolti nel crollo del fascismo. “Il fascismo - scrive lo storico Paul Ginsborg - invece di essere rovesciato da una rivolta popolare, veniva distrutto da un colpo di stato dall'alto che preservava il predominio e la libertà d'azione dei tradizionali gruppi dirigenti della società italiana.” La monarchia e l'esercito avrebbero dovuto rappresentare la continuità delle istituzioni: per questa ragione il governo era stato affidato al maresciallo Pietro Badoglio, che dal 1919 aveva ricoperto i massimi incarichi militari. Non a caso, nei 45 giorni che intercorsero tra il 25 luglio e l'8 settembre 1943 Badoglio represse con estrema durezza ogni manifestazione popolare di carattere politico, provocando 93 morti e diverse centinaia di feriti. Mantenere l'ordine interno fu la principale preoccupazione del governo Badoglio, che, dopo avere proclamato “La guerra continua. L'Italia manterrà fede alla parola data”, trattava segretamente l’armistizio con gli Alleati. Nel frattempo, le divisioni tedesche di Rommel entravano in Italia, occupandone il territorio, secondo un piano già abbozzato nel mese di maggio. La stessa fuga di Vittorio Emanuele e di Badoglio a Brindisi ebbe il significato politico di preservare la continuità dello stato, nella figura del re: con questa decisione, peraltro, Roma e tutta la parte centrosettentrionale del Paese vennero abbandonate nelle mani dell'ex alleato. La Scelta “Mezza Italia è tedesca, mezza è inglese e non c'è più un’Italia italiana”, si legge nel diario di Lino dei primi partigiani, alla data del 9 settembre 1943. Nello sfascio generale del Paese, nello sbandamento dell'esercito, nella completa latitanza delle istituzioni molti si trovarono di fronte alla necessità di compiere una scelta fra la rassegnazione e la volontà di agire per un ideale di riscatto personale e collettivo. Da questa scelta nacque la Resistenza italiana. L'esercito, lasciato senza ordini dopo l'armistizio, si dissolse, e nella sua disgregazione si rifletteva quella del Paese. Il Comando supremo lasciò ai comandanti libertà “di assumere nei confronti dei tedeschi quell'atteggiamento che apparirà meglio adeguato alla situazione”, proibendo nel contempo di prendere “iniziativa di atti ostili contro i germanici”. Intere divisioni capitolarono senza colpo ferire: i tedeschi fecero 393000 prigionieri nei Balcani e 415000 in Italia. I 5-6000 soldati italiani che opposero resistenza ai tedeschi nei Balcani e nell'Egeo furono uccisi in battaglia e molti altri dopo la resa (5170 uomini furono fucilati a Cefalonia). Circa 700000 militari furono internati in Germania e in Polonia a lavorare per il Reich. Molti soldati gettarono armi e divise e cercarono di tornare a casa; altri ancora presero la via della montagna. “I soldati che attraversavano l'Italia affamati e seminudi - scrive Giaime Pintor, un partigiano caduto 3 nel 1943 - volevano soprattutto tornare a casa, non sentire più parlare di guerra e di fatiche. Erano un popolo vinto: ma portavano dentro il germe di un'oscura ripresa: il senso delle offese inflitte e subìte, il disgusto per l'ingiustizia in cui erano vissuti.” Oltre che dai soldati, le prime bande partigiane furono formate da militanti antifascisti, da intellettuali, operai compromessi con gli scioperi, da giovani che volevano sfuggire all'arruolamento nell'esercito della repubblica di Salò. Le file a poco a poco si ingrossarono e dai 9000 partigiani combattenti di fine 1943 si arrivò agli oltre 200000 della primavera 1945. I diversi aspetti della Resistenza La Resistenza italiana fu un fenomeno complesso, al cui interno, secondo lo storico Claudio Pavone, convissero e si intrecciarono tre tipi di conflitto: una guerra patriottica, condotta per la liberazione del Paese dall'occupazione tedesca; una guerra civile, che oppose partigiani e fascisti della repubblica di Salò; una guerra di classe, che legava l'obiettivo della lotta contro il nazifascismo alla rivoluzione sociale. Vi era nel movimento partigiano una grande eterogeneità di provenienza sociale e di appartenenza politica. Borghesi, contadini, operai, intellettuali, militari, studenti maturarono nella lotta diverse aspirazioni, esperienze, motivazioni. Taluni vi videro la realizzazione di un ideale di libertà universale; altri la militanza in favore di un principio cristiano di dignità e di fratellanza; altri l'ideale patriottico ( Documenti n°1), una volontà di "risorgere a nazione", che si poneva in continuità con il Risorgimento; altri ancora il primo passo verso la costruzione di un ordine sociale e politico più giusto. Molto spesso diverse motivazioni si mescolavano nella stessa persona. Ma al di sotto di queste differenze - che pure ebbero il loro peso - viveva un'aspirazione comune: un desiderio di riscatto, di autonomia, di libertà di scelta dopo un lungo periodo in cui avevano dominato la forzata passività, l'apatia, l'indifferenza verso una realtà in cui ogni cosa era già decisa e determinata dall'alto (Documenti n°2). Non si trattò comunque di un'adesione facile o indolore: la partecipazione alla Resistenza scrive lo storico Guido Quazza – “si configurava come la condizione in se stessa drammatica dell'uomo che in prima persona, senza il riparo e lo "scarico" di un'autorità superiore, deve decidere di fronte al dubbio, inevitabilmente tormentoso, sull’opportunità o meno di agire”. Documenti n°1 La scrittrice Natalia Ginzburg scrisse: “Le strade e le piazze delle città diventarono i luoghi che era necessario difendere. Le parole "patria" e "Italia", che ci avevano tanto nauseato fra le pareti della scuola perché sempre accompagnate dall'aggettivo "fascista". Eravamo là per difendere la patria e la patria e ognuno era pronto a perdere se stesso e la propria vita”. Documenti n°2 Lo scrittore Giacomo Ulivi scrisse: “...il più terribile, credetemi, risultato di un'opera di diseducazione ventennale, di diseducazione o di educazione negativa che martellando per vent’anni da ogni lato è riuscita a inchiodare in molti di noi dei pregiudizi. Ci siamo lasciati strappare di mano tutto da una minoranza 4 inadeguata, moralmente e intellettualmente. Questa ci ha depredato, buttato in un'avventura senza fine. Il brutto è che le parole e gli atti di quella minoranza hanno intaccato la mentalità di molti di noi”. 5 Le diverse anime del Cln Nell'estate del 1943 si erano venuti riorganizzando anche i partiti antifascisti: il partito liberale, il Psiup (Partito socialista di unità proletaria), la Democrazia cristiana (fondata nel 1942 dall'uomo politico trentino Alcide De Gasperi, 1881-1954), il Partito d'azione (erede del movimento antifascista Giustizia e Libertà fondato a Parigi nel 1929 da Carlo Rosselli), e il Partito comunista. All'indomani dell'8 settembre, questi partiti diedero vita a Roma al Comitato di liberazione nazionale (Cln), presieduto dal socialista riformista Ivanoe Bonomi (18731951), con il compito di organizzare la resistenza contro i nazifascisti e, in prospettiva, di assumere la guida politica del paese. Di questi partiti, solo i comunisti e gli azionisti avevano mantenuto in vita una struttura organizzativa clandestina durante il regime, cosa che garantiva loro un maggiore radicamento sociale, soprattutto presso gli operai del nord (i comunisti) e presso i ceti intellettuali e professionali (gli azionisti). Il Cln trovava la sua unità nel rifiuto del fascismo e del nazismo, ma esprimeva al suo interno diversi orientamenti politici. Mentre i liberali, espressione tradizionale della borghesia italiana, pensavano a un sostanziale ritorno allo stato prefascista (una volta chiusa la "parentesi" del fascismo, come ebbe a definirla Benedetto Croce), i partiti della sinistra (comunisti, socialisti e azionisti) interpretavano la lotta contro il nazifascismo come il primo momento di un grande processo popolare che portasse a una profonda trasformazione della società e dello stato. I comunisti e i socialisti si riferivano, seppure con accenti diversi, alla tradizione teorica del marxismo e del movimento socialista, mentre gli azionisti si proponevano di “fondare una nuova democrazia, basata su ampie autonomie locali e, pur accettando il sistema capitalistico, intendevano correggerne gli squilibri e le ingiustizie” (Ginsborg). Quanto alla Democrazia cristiana, essa raccoglieva uomini ed eredità del Partito popolare, collocandosi nel solco del pensiero sociale cattolico, fatto di solidarismo e di interclassismo ma contrario a profondi rivolgimenti sociali e politici. Il ruolo e il peso della Dc, assai ridotti nei primi tempi della Resistenza, vennero progressivamente crescendo grazie all'appoggio del Vaticano e al radicamento sociale assicuratole dall'Azione cattolica e da due nuove organizzazioni fondate nel 1944, la Coldiretti (associazione cattolica dei coltivatori proprietari) e le Acli, l'associazione cattolica dei lavoratori italiani. Le differenze politiche tra i partiti antifascisti ebbero già il loro peso durante la lotta di Resistenza, ma si manifestarono appieno, come vedremo, negli anni immediatamente successivi alla liberazione. L'Italia divisa: il Regno del sud Nell'ottobre 1943, quando la linea del fronte (linea Gustav) si fissò a Cassino (ove sarebbe rimasta fino al maggio 1944) la penisola risultava divisa in due parti, militarmente e politicamente. Nella parte meridionale, controllata dagli Alleati, era stato ricostituito il Regno del sud, sotto il sovrano Vittorio Emanuele III. Nella parte centro-settentrionale, occupata dai tedeschi, Mussolini, come sappiamo, aveva fondato un nuovo stato fascista, la Repubblica sociale italiana. Questa divisione del Paese caratterizzò profondamente la situazione italiana nei due anni successivi, lasciando una pesante ipoteca anche sugli sviluppi politici del dopoguerra. In sostanza, nella parte meridionale, una vera e propria lotta alla liberazione non ebbe luogo. Napoli insorse alla fine del settembre 1943, per reazione al programma di distruzioni attuato dai tedeschi in ritirata e ai rastrellamenti di manodopera; numerosi furono gli episodi di guerriglia contro i tedeschi in molte città e a Roma: è da ricordare il massacro delle Fosse ardeatine (24 6 marzo 1944), cioè l'uccisione di 335 prigionieri italiani operata dai nazisti come rappresaglia per un attentato partigiano che era costato la vita a 32 militari tedeschi. Tuttavia un movimento organizzato non fu costituito: la stessa Roma fu liberata dagli Alleati. Questi ultimi, dopo essere rimasti a lungo bloccati dai tedeschi ad Anzio e aver tentato inutilmente di sfondare la linea Gustav (in questo contesto avvenne la distruzione dell'abbazia di Montecassino, erroneamente ritenuta sede di truppe tedesche), solo nella primavera riuscirono ad avanzare verso nord e a entrare nella Capitale (giugno 1944). La monarchia, la burocrazia dello stato e gli Alleati garantirono nel Sud una sostanziale continuità istituzionale e politica. Churchill non aveva mai nascosto la propria ammirazione per Mussolini, l'uomo che, a suo giudizio, aveva salvato il popolo italiano dal bolscevismo.. E anche ora, si mostrava preoccupato soprattutto di garantire un'evoluzione in senso moderato della situazione italiana, non riconoscendo alcuna autorità al Cln e appoggiando invece il re e Badoglio. D'altro canto, la debolezza politica del Cln era molto grave: privi di una base sociale di consenso e di una legittimazione effettiva da parte degli Alleati, che di fatto determinavano la politica del Regno del Sud, i partiti antifascisti stentavano ad accreditarsi come forza dirigente. Vi era inoltre una netta spaccatura fra il Cln e il sovrano sulla questione istituzionale: mentre i partiti del Cln esigevano l'allontanamento del re, cui attribuivano gravi responsabilità nella salita al potere del fascismo e nelle successive tragiche vicende, Vittorio Emanuele III rifiutava di mettere in discussione il proprio ruolo istituzionale. La situazione politica mutò nella primavera del 1944 con il rientro in Italia dall'Urss del segretario del Partito comunista, Palmiro Togliatti (1893-1964). Giunto a Salerno, dove aveva sede in quel momento il governo, egli convinse il suo partito e le altre forze politiche del Cln (con l’eccezione del Partito d'azione) ad accantonare la "pregiudiziale repubblicana", cioè a entrare nel governo Badoglio rinviando la decisione sul destino della monarchia a liberazione avvenuta. Questa decisione di Togliatti, in cui pesò certamente l'orientamento di politica internazionale seguito in quella fase dall'Urss (che aveva riconosciuto il governo Badoglio), privilegiava l'obbiettivo della liberazione del Paese rispetto a qualunque altro: a tal fine occorreva dare al Cln l'autorità politica per guidare in modo unitario la lotta di liberazione. “Ricordarsi sempre - scrisse Togliatti ai quadri del partito nel giugno 1994 - che l'insurrezione che noi vogliamo non ha lo scopo di imporre trasformazioni sociali e politiche in senso socialista o comunista, ma ha come scopo la liberazione nazionale e la distruzione del fascismo. Tutti gli altri problemi saranno risolti dal popolo, domani, una volta liberata l'Italia tutta, attraverso una libera consultazione popolare e l'elezione di un'Assemblea costituente”. Con la cosiddetta "svolta di Salerno" la questione istituzionale venne così momentaneamente accantonata: Vittorio Emanuele III accettò di trasferire provvisoriamente i suoi poteri al figlio Umberto, che nel giugno 1944 assunse la carica di luogotenente generale del Regno. La soluzione del problema di quale forma di stato dare all'Italia, se monarchica o repubblicana, venne demandata a un futuro giudizio popolare. L'occupazione tedesca La condizione di "alleato-occupato", secondo la definizione dello storico Lutz Klinkhammer, rese particolare la situazione dell'Italia in rapporto alla Germania. Dal punto di vista tedesco, l'Italia aveva importanza strategica, come punto di resistenza nei confronti degli anglo-americani e come immenso serbatoio di manodopera per l’economia di guerra. Scartati diversi progetti di trasferimento delle industrie italiane più importanti in Germania, per difficoltà soprattutto legate ai trasporti, prevalse l’ipotesi di far funzionare l'apparato produttivo italiano in funzione degli 7 interessi tedeschi e di drenare forza-lavoro. Per ottenere tale risultato mezzi puramente coercitivi - quali la militarizzazione delle fabbriche o le deportazioni di massa - non erano adeguati, vuoi per insufficienza di militari da destinare allo scopo, vuoi per lo status di governo alleato che la repubblica di Salò formalmente possedeva. In altri termini, non si poteva fare in Italia come in Polonia e in Russia. Per tali ragioni, l'ambasciatore plenipotenziario del Reich in Italia, Rudolph Rahn, impostò una linea politica finalizzata a ottenere la collaborazione delle istituzioni italiane e a influire sull’opinione pubblica attraverso la stampa e la propaganda. Il governo collaborazionista di Salò Di fatto anche se il plenipotenziario Hitler si preoccupò di non destituire di ogni autorità il governo della Repubblica sociale, quest'ultimo risultò del tutto dipendente dall'occupante. Regolati i conti con i "traditori" del 25 luglio (il processo ai membri del Gran Consiglio che avevano votato contro Mussolini condusse a morte, tra gli altri, anche Galeazzo Ciano, genero del duce), Mussolini tentò di accreditare la Rsi come una pagina nuova della storia italiana: uno stato repubblicano e "sociale", fondato sulla socializzazione delle imprese (la partecipazione degli operai alla gestione e alla proprietà azionaria delle imprese). Ma il programma della socializzazione non decollò mai, incontrando l'opposizione degli operai, degli imprenditori e degli stessi tedeschi. L'autonomia del nuovo stato fascista fai scarsissima: un'istanza di controllo tedesca vigilava su ogni struttura amministrativa e militare italiana. Tuttavia - scrive Klinkhammer - l'impotenza del governo di Mussolini “non deve indurre erroneamente a sottovalutare né la sua capacità repressiva nei confronti della popolazione italiana, né la possibilità di ottenere atteggiamenti disposti alla collaborazione, opportunità entrambe che i tedeschi ottennero grazie all'esistenza del gruppo dirigente facente capo a Mussolini, che fu trasformato in un organo esecutivo”. La "strategia della collaborazione" seguita da Rahn registrò un certo successo presso la burocrazia e il ceto imprenditoriale, molti esponenti del quale collaborarono con l'occupante anche con l'obiettivo di salvare le loro aziende; ebbe esiti molto modesti a livello popolare, per le tragedie che il nazifascismo aveva portato e per quelle che ancora portava: rastrellamenti, violenze, massacri, tanto che l'ambizioso programma di reclutamento di manodopera volontaria per la Germania fallì totalmente e la massa di lavoratori per il Reich fu costituita in gran parte di internati militari e di deportati in seguito a rastrellamenti antipartigiani. E le chiamate di leva nell'esercito di Salò, benché la renitenza fosse punita con la pena di morte, ebbero come effetto principale quello di ingrossare le file delle formazioni partigiane. Quanto alla repressione, i fascisti della Guardia nazionale, delle Brigate nere e delle SS italiane affiancarono attivamente i tedeschi nella lotta contro i partigiani, ivi compresi molti dei veri e propri massacri di popolazione civile che l'accompagnarono. La Resistenza nell’Italia settentrionale Nell'Italia occupata la Resistenza ebbe i caratteri di guerra di liberazione, condotta da un comando militare unificato, il Corpo volontari della libertà (Cvl), riconosciuto dagli Alleati e dal governo di Roma. Vari fattori concorsero a determinare questa diversità rispetto alla parte meridionale del Paese: la necessità di lottare contro l'occupante straniero e i suoi alleati fascisti 8 per affrettare la liberazione (contrariamente alle previsioni iniziali, l'avanzata degli Alleati si rivelava infatti estremamente lenta e difficoltosa, anche perché il fronte italiano, dopo lo sbarco in Normandia, aveva assunto un ruolo secondario); la presenza di una classe operaia che aveva ritrovato forza e compattezza, sostenuta dalla rete organizzativa del Partito comunista (nel marzo 1944 ebbe luogo un grande sciopero generale, l'unico effettuato in Europa sotto la dominazione nazista). Va detto infine che nel Clnai (il Cln dell'alta Italia, che aveva la direzione politica della lotta di liberazione) risultarono minoritarie le posizioni dell'attendismo, che sostenevano la necessità di "attendere" la liberazione del Paese da parte degli Alleati, onde risparmiare distruzioni e vittime. La maggior parte degli antifascisti ritenne necessario intensificare la lotta armata, per ragioni militari ma soprattutto politiche: combattere per la liberazione del proprio paese significava ricercare un riscatto civile e morale e porre le premesse per una società nuova. All'inizio le bande, ancora molto disorganizzate, agivano prevalentemente in montagna con imboscate ai nazifascisti (Documenti n° 3); nelle città i Gap (Gruppi di azione patriottica) eseguivano lo stesso genere di azioni di guerriglia. Solo nella primavera del 1944 si passò a forme di inquadramento più rigoroso, con unità che raggruppavano diverse centinaia di uomini e si impegnavano in azioni più vaste e articolate. Le formazioni più numerose e combattive erano quelle comuniste (brigate Garibaldi) e quelle azioniste (brigate Giustizia e Libertà). Minore peso avevano le formazioni socialiste (brigate Matteotti), democristiane, indipendenti e monarchicobadogliane. Dalla metà del 1944, con il rafforzarsi del movimento partigiano, l'azione repressiva condotta dai nazifascisti conobbe una drammatica escalatíon (Documenti n° 4 ); soprattutto l'Appennino tosco-emiliano alle spalle della "linea gotica" - la nuova linea del fronte dopo la caduta di Roma e della Toscana - fu teatro di una "controguerriglia" che si estese alla popolazione civile con rappresaglie feroci, perché per dirla con le parole di un capo di stato maggiore tedesco «rappresaglie adeguate influiscono senz'altro sul morale delle bande, le quali a loro volta temono le reazioni della popolazione civile». Essere sospettati di aiuto ai "banditi" significava rischiare la deportazione in Germania o la morte: il massacro più efferato fai quello di Marzabotto, in Emilia, dove fra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944, le SS di Reder sterminarono 1836 persone. Va inoltre ricordato che i tedeschi imposero anche nell'Italia centro-settentrionale l’intensificazione della persecuzione contro gli ebrei: del resto, il programma della Rsi definiva gli ebrei come “l'appartenenti a una nazionalità nemica". Circa 7000 ebrei italiani furono deportati nei campi di sterminio. 9 Documenti n° 3 Le azioni compiute dai valorosi combattenti della Divisione “Centocroci” 4.3.1944 - Le armi possedute dal primo gruppo messo insieme a Groppo agli ordini dei Fratelli Beretta, consentirono di armare una squadra di otto uomini, tutti veterani di guerra, sui più disparati fronti, e nel cuore della notte si portano sotto la caserma di Centocroci, difesa da 22 militi armati e riforniti di ogni ben di Dio. Preceduti dalla voce popolare che i “ribelli” sono ormai numerosi e decisi, quando sgrana la prima raffica di mitra e i colpi dei fucili, compresi quelli da caccia, e le poche bombe a mano, e le munizioni ormai scarseggiano, all'intimazione di resa, l'intero presidio si consegna agli sparuti attaccanti, cui non sembra vero di fare un bottino tanto cospicuo. La sera dello stesso giorno, verso le 22, all'Albergo Alpino si incontrano il gruppo vittorioso con gli uomini di Richetto (una trentina) che si erano dislocati dalle parti di Varese, Caranza e Ranghe, alle condizioni che il comandante Gino Cacchioli e vice Richetto. 18.3.1944 - Nella vicina frazione di Caranza, sul versante Ligure, due militi, noti per le persecuzioni effettuate nei confronti dei giovani di leva renitenti, e delle minacce alle famiglie, sono catturati e fucilati, dopo sommario processo. 23.3.1944 - I 70 uomini dei due distaccamenti di Setterone (comandati da Aldo c da Elio) ricevono le ultime raccomandazioni da Richetto e poi divisi su due colonne investono il paesino di Alpe: 15 uomini con Richetto hanno per obiettivo l'attacco alla caserma, mentre gli altri avrebbero presidiato il paese e le vie di accesso a protezione da ogni possibile sorpresa. Richetto entra decisamente e subito si arrende il comandante del presidio affidato a Leone al piano terra. Senza perder tempo salgono la scala e con una raffica sulla porta fanno decidere gli occupanti ad arrendersi. Però al piano terra il rumore della raffica genera l'equivoco di soccorsi in arrivo ai militi e il sergente prigioniero si getta addosso a Leone che lo fredda. 24.3.1944 - La X Flottiglia MAS rinforzata da reparti fascisti, complessivamente 1.500 uomini, effettua un rastrellamento nella zona del passo di Centocroci. Il gruppo partigiano, che conta ormai 82 unità, apre il fuoco per oltre 4 ore dalle postazioni dislocate strategicamente sui poggi dominanti l'arteria su cui è facile il tiro a bersaglio: decine di morti e feriti (le cifre non sono accertate) e nessuna perdita fra i patrioti, quando, finite le munizioni si ritirano ordinatamente. 9.4.1944 - Secondo rastrellamento in forza (2.000?) di nazi-fascisti limitato alla zona del m. Gottero, Valle del Gotra, Centocroci. Arrivata la notizia al comando, il gruppo si sposta ordinatamente verso il m. Penna. Purtroppo 2 partigiani catturati a Montegroppo vengono fucilati sul Centocroci e 2 presi a Chiusola subiscono la stessa sorte. 10 Documenti n° 4 Le azioni compiute dai valorosi combattenti della Divisione “Centocroci” 11.6.1944 - Occupata la stazione ferroviaria di Ostia P.se, è minato il ponte parabolico in ferro sub Taro. 11-12-13-14-15.6.1944 - Vengono portate a termine azioni intese a preparare l'occupazione militare completa dell'alta Val Taro con la collaborazione degli altri reparti dislocati nella zona, e infine viene annientato il presidio nazi-fascista della stazione ferroviaria di Borgotaro. 23.6.1944 - La sera precedente i distaccamenti di Aldo e di Didòn hanno raggiunto Centocroci e saliti sull'autocarro s'avviano verso Varese, accompagnati da un osservatore di riguardo: Rosetta Solari, della 1° Julia, venuta appositamente per rendersi conto della consistenza del “valore” leggendario della Centocroci. Lasciato l'automezzo Richetto con un gruppo raggiunge il centro del paese (gli è costantemente al flanco Rosetta) e investe la caserma, mentre Aldo si tiene sulla parte opposta: intanto il maresciallo comandante la guarnigione, avvertito di ciò che sta per accadere perchè fedele collaboratore, lascia il reparto; sarà fucilato più tardi a Bardi essendo caduto nelle mani dei tedeschi. Due mitragliatrici sparano sulle finestre superiori, ma è impossibile avvicinarsi di più perchè il presidio dispone di numerose bombe, che lancia senza tregua. Aldo, ordinato un fuoco di copertura, dopo aver superato una rete di recinzione raggiunge la scaletta esterna che dà sul primo piano e, sfondata la porta, fa irruzione: esterrefatti i difensori si arrendono. Nello stesso momento gli uomini di Richetto riescono a lanciare una “ballerina” che fa tremare tutto l'edificio e la guarnigione si arrende. Avviati su ordine del comandante Beretta al passo di Centocroci, sono in parte riconosciuti appartenenti a presidi eliminati e con l'ordine di ritornare a casa, perciò sono passati per le armi. Caricato il bottino e avuto sentore dell'arrivo dei rinforzi dalla vicina Sestri, viene fatto saltare il ponte e alcuni reparti si schierano in posizione idonea per far fronte alle eventualità; in effetti i rinforzi sono respinti e per diverso tempo non si faranno più vivi nella zona. 30.6.1944 - Una colonna tedesca della “Feldgendarmerie” forte di oltre 150 uomini, trasportati su 12 automezzi, parte da Berceto con I'intenzione evidente di tastare il polso della difesa partigiana che alla periferia di Borgotaro I'attacca. Temendo il peggio il comandante decide di ritornare immediatamente alla base, cautelandosi con una ventina di ostaggi civili. Velocemente i comandi partigiani organizzano una spedizione con tutti gli automezzi disponibili; gli uomini della Centocroci sono fra i primi, e bloccano i tedeschi sul torrente Manubiola, dove il ponte fatto precedentemente saltare sulla provinciale costringe il dirottamento su Ghiare e a risalire sulla strada; una perdita di tempo preziosa per i partigiani che prendono posizione con le armi automatiche e li inchiodano sulla strada. Dopo due ore di combattimento i nazisti si arrendono lasciando catturare 80 prigionieri, 12 morti, numerosi feriti e ingente bottino, fra cui 2 mitragliatrici da 20 mm e una stazione radio. Nelle file della Resistenza si contano due morti, alcuni ostaggi uccisi e diversi feriti. 30.6.1944 - Partiti nel cuore della notte da Centocroci, all'alba i distaccamenti di Aldo e di Didòn sono attorno all'abitato di Borsa nelle cui- case sono disseminati i tedeschi del presidio; 11 Aldo decide di portarsi verso monte con I'intesa che Didòn si apposti nella parte bassa lungo il fiume Vara. Appena sono fatte fuori le sentinelle che passeggiavano sulla strada, comincia la battaglia che terminerà dieci ore dopo, quando nessun tedesco è più in grado di sparare. Fatti sloggiare casa per casa, l'ultima resistenza si polarizza in una vecchia fabbrica al limite del paese: qui una postazione di mitragliatrice impedisce ai partigiani di avvicinarsi. Aldo scende lungo un canaletto e si porta sotto il terrazzo da cui partono le raffiche micidiali senza che I'autore si scopra: eliminate questa, dal presidio non si ha più nessuna reazione. 40 morti e 15 feriti scaricati da un autocarro davanti alla farmacia del paese perchè si provveda a medicarli, dopo le prime cure del medico partigiano, per la verità studente in medicina Sartori; 5 feriti fra i partigiani completano il pesante bilancio di vite umane di questo scontro, conclusosi senza prigionieri, ma con un consistente bottino di armi e munizioni. A Borsa (Liguria) il distaccamento comandato da Aldo attacca il presidio tedesco forte di 56 uomini e lo annienta. Si lamentano 12 feriti. Bottino pesante. 8-9-10-11.7.1944 - Già dal giorno 8, Fortunin della Brigata Bill ha subito un attacco da parte di forze tedesche provenienti da Chiavari e ha chiesto rinforzi. Parte Richetto con 40 uomini su un autocarro tedesco e raggiunge il Passo del Bocco. Dopo qualche ora di combattimento sul passo, ferito il Piacentino, si ripiega su S. Maria e si invita inutilmente la popolazione a porsi in salvo: si decide quindi di retrocedere a Pelosa, dove nel frattempo è arrivato Siligato. Richetto non perde tempo e va personalmente a chiamare gli altri, che si schierano e si preparano ad accogliere degnamente il nemico. Dopo una violenta battaglia ingaggiata da posizione di vantaggio, i tedeschi caduti nella sacca hanno perso una ventina di uomini, numerosi feriti e in 70 depongono le armi: pochi riescono a sottrarsi dal campo di battaglia nascondendosi fra i cespugli del greto e a far ritorno. Il giorno successive si riprendono i combattimenti col nemico. Aldo, comandante di compagnia, ha al suo fianco Richetto, sempre presente nei momenti importanti, e scarica raffiche micidiali sul nastro della strada. La canna della mitragliatrice, una '37, rovente e un bossolo l'ha inceppata. Riesce con fatica a inserire la canna di ricambio e innesta il caricatore nuovo passatogli dall'armiere <<Parma>>; sta puntando l'arma sul bersaglio quando arriva una precisa infilata di colpi della 20 mm: un proiettile centra e spezza il caricature e fa esplodere le cartucce in un nero polverone che tinge e sfigura il volto dei presenti; sarebbe bastato uno spostamento di pochi centimetri per farli fuori tutti. Anche il nuovo <<assaggio>> della Resistenza partigiana è stato convincente circa la volontà di lotta dei combattenti che difendono la riconquistata libertà. Ma ormai le truppe destinate al più grande rastrellamento si sono schierate e il giorno 15 iniziano l'operazione a vasto raggio attaccando la Vallata da tutte le parti contemporaneamente. Evidentemente hanno atteso di completare l'aggiramento per agganciare i patrioti e farli scendere in campo aperto con la scusa di difendere un territorio preciso e così valersi della superiorità di numero e di armamento. La notte è trascorsa come al solito nelle cascine e nelle casupole del monte Ventaro1a a qualche, Km dalla gola di Pelosa; i 70 uomini si sono rifocillati coi rifornimenti arrivati puntualmente corme sempre a tutti i reparti della Centocroci e alle prime luci dell'alba la compagnia prende posizione a semicerchio sulle alture: all'estremità a valle il distaccamento Didòn e all'altra Aldo col distaccamento comando. Intanto a Richetto sono arrivate le notizie dei cedimenti dei capisaldi delle altre zone attorno alla vallata, ma non le propaga agli uomini per non influenzare il loro morale. Verso le 10 la solita colonna in marcia sulla strada si affaccia alla curva dell'osteria, accolta dallo scroscio delle automatiche individuali. Fa eco immediatamente la reazione della colonna di copertura che è salita silenziosamente a monte e Aldo riesce appena in tempo a far ripiegare le postazioni rimaste allo scoperto: ormai i tedeschi hanno imparato la lezione dei giorni precedenti e hanno mandato pattuglie di protezione ai due lati. Lentamente le squadre arretrano con ordine, combattendo; le munizioni cominciano a scarseggiare (è la piaga 12 congenita delle forze della Resistenza!) e bisogna limitare il volume di fuoco; è evidente che ormai i tedeschi passeranno; la staffetta che riporta le notizie da Lucchetti, dipendente dell'azienda elettrica C.I.E.L.I., collegata telefonicamente su un vasto raggio, recava i messaggi relativi alla situazione precipitata e disastrosa di Sesta Godano, Borgotaro, Lozzola, Albareto, Bedonia: è finito il sogno della libera Repubblica del Taro, stotto l'imperversare di uno dei più vasti rastrellamenti operati dai tedeschi con la divisioni Goering, la Monterosa e le brigate nere. Richetto, pensando al significato dei prigionieri del campo di concentramento di Compiano, come materia di scambio, per evitare più funeste conseguenze, raggiunge Guglielmo Beretta, Fontana Gino, Parmigiani e Mezzetta e con una vettura scendono precipitosamente a valle, ma sono bloccati a Campi da dove assistono allo spettacolo della colonna dei prigionieri liberati: si perde anche una residua possibilità contrattuale coi nazisti ora più forti che mai. 17.7.1944 - I tedeschi sono ritornati puntualmente e questa volta hanno parlamentato con chi di dovere, al corrente che i prigionieri erano stati notte tempo trasferiti a Zeri e si sono fissati i termini della consegna e dello scambio avvenuto regolarmente, seppure con qualche trepidazione, a Montegroppo con I'intervento del parroco .Don Romeo e della sig.na Gotelli, che portava il bracciale della Croce Rossa Internazionale. Contemporaneamente ad Albareto si gettavano le basi per un accordo coi tedeschi: i partigiani lasceranno libera la viabilità e come contropartita loro si impegnano a non molestare la popolazione civile e a far rispettare la tregua anche alle truppe italiane loro alleate. L'accordo viene siglato a Fornovo, nella sede del Comando germanico di Ramiola, dove, con una vettura messa a disposizione dai tedeschi, si sono recati: Guglielmo Beretta, Bertè e Fontana. 6.8.1944 - Di primo mattino arriva a Montegroppo una macchina del servizio pubblico (A. Pesci di Borgotaro) recante Don Checchi di Bedonia, con un messaggio del colonnello tedesco per Richetto e la minaccia di passare la valle a ferro e a fuoco per non aver mantenuto i patti firmati il mese prima. Al bivio di Gotra avviene l'incontro col comandante tedesco cui Richetto chiariva le circostanze che hanno portato alla battaglia del m. Scassella, con le responsabilità precise di chi ha rotto la tregua; viene fissato un appuntamento per il giorno successive nell'osteria Lanzarotti di Gotra. Richetto si presenta accompagnato da un paio di distaccamenti in pieno assetto di guerra e i tedeschi osservano ammirati e sbigottiti alla vista dei reparti perfettamente equipaggiati (sono ormai lontani i tempi in cui i combattenti della Resistenza portavano una foggia banditesca estemporanea e variopinta), sollevano il bicchiere invitando al brindisi hitleriano, mentre Richetto con foga inneggia all'ltalia e a Badoglio. 13 Il duro inverno 1944 La Resistenza italiana conobbe momenti di alta partecipazione popolare, ma anche altri di isolamento politico nei confronti del governo di Roma e degli Alleati. L'atteggiamento di questi ultimi mirava a sostenere la lotta partigiana nelle retrovie tedesche, evitando nel contempo che essa assumesse eccessiva importanza politica: “la strategia alleata nei confronti della Resistenza - ha scritto lo storico Ginsborg - era quella di minimizzarne il ruolo politico per quanto possibile, e di non consentirne in alcun modo iniziative incontrollabili”. Gli Alleati, e in particolare gli inglesi, temevano che, a liberazione avvenuta, si avviassero processi rivoluzionari o si instaurassero forme di potere capaci di mettere in discussione i tradizionali equilibri sociali e politici italiani: come annotò Harold MacMillan nel suo diario, il 17 novembre 1944, “come al solito il problema di questi Comitati di liberazione nazionale e di questi movimenti partigiani sta nel prevenire che si tramutino in forza meramente rivoluzionaria e politica, invece che restare una forza militare”. Per questa ragione gli Alleati si rifiutarono di riconoscere il Clnai quale governo legittimo e autonomo dei territori liberati e subordinarono la concessione di aiuti ai partigiani alla garanzia, data dal Clnai con i “protocolli di Roma" del dicembre 1944, che al momento della liberazione il potere sarebbe stato trasmesso all'amministrazione alleata e le armi sarebbero state riconsegnate. Il proclama Alexander In questo contesto si colloca anche il famoso proclama Alexander, che nel novembre 1944 inferse un duro colpo alla lotta partigiana. Nei mesi precedenti quest'ultima era cresciuta di intensità. Firenze si era liberata con una insurrezione (agosto 1944) e in alcune località erano state create libere repubbliche: nelle Langhe, a Montefiorino, nell'Ossola, nella valli di Lanzo, nel Monferrato, in Carnia. La liberazione sembrava imminente: i partigiani erano pronti a collaborare con gli Alleati nello sforzo finale. A questo punto, però, l'avanzata si arrestò e il generale Alexander, comandante in capo delle forze alleate, lanciò ai partigiani un proclama che sostanzialmente li invitava a rimanere sulla difensiva, escludendo ulteriori offensive sino alla primavera. Nel movimento partigiano, che interpretò il messaggio come un invito alla smobilitazione, si aprì una profonda crisi morale e politica: ripresero fiato le posizioni attendiste, mentre le forze tedesche del generale Kesserling iniziarono una violenta controffensiva antipartigiana. L'invito di Alexander fu respinto e la guerra di liberazione continuò, ma in difficili condizioni di isolamento politico e di difficoltà materiali, aggravate dal durissimo inverno 1944-45 (Documenti n° 5). 14 Documenti n° 5 Le azioni compiute dai valorosi combattenti della Divisione “Centocroci” 23.9.1944 - Dal Passo della Cappelletta una colonna di alpini si avvia verso Montegroppo recando in testa una vistosa bandiera bianca e con intenti presumibilmente pacifici, senza sparare. La II Compagnia, al comando di Aldo, è appostata verso Pian di Scala, mentre un distaccamento della III ha preso posizione sul m. Bertolla con un mortaio; verso la colonna fascista si muove Aldo con una squadra. Tutto sembrava procedere verso una resa importante, quando, vicino a Montegroppo la pattuglia di testa lancia un razzo di segnalazione e dalla Cappelletta l'artiglieria apre il fuoco sulla postazione del m. Bertolla, ingenuamente scoperta e al terzo colpo in rapida successione, la centra in pieno: gravemente ferito rimane Castagnoli che morirà più tardi, Varese ferito a una gamba e Osvaldo prende una scheggia nella spalla. Lo spettacolo raccapricciante si para agli occhi di Richetto accorso subito con una squadra e non resta che trasportare ad Albareto i feriti. Svanita la sorpresa da effettuarsi con la scusa della bandiera bianca, la reazione dei patrioti si fa violenta: la colonna, fatta segno a un nutrito fuoco da tutti i lati, ritorna sui suoi passi. Le perdite sono state purtroppo pesanti in rapporto all'entità dei mezzi impiegati in altre occasioni. ottobre-novembre. 1944 - Il comando Unico Parmense e la I Divisione Liguria hanno provveduto a delimitare il territorio su cui effettuare azioni di guerriglia, ad eecezione delle strade nazionali della Cisa e dell'Aurelia, verso le quali settimanalmente si effettuavano azioni di disturbo per rendere precario il traffico delle truppe tedesche dirette al fronte. E' un periodo di riorganizzazione e di preparazione per assecondare a breve scadenza l'azione massiccia che gli alleati stanno per sferrare. Anzi è stato annunciato l'arrivo di un contingente di paracadutisti che si sarebbero lanciati in una Località già contrassegnata da vistosi obrelloni colorati, di lanci precedenti, e disposti secondo una sequenza cromatica convenzionale. Ma poi è arrivato un contrordine da parte del generate Alexander; per di più si ha notizia di ammassamenti di forze in tutte le direzioni, che fanno presagire abbastanza vicino un rastrellamento. 29.12.1944 - Verso sera arriva al comando una telefonata che segnala lo spostamento da Chiavari della Divisione Monterosa che pare dapprima diretta al passo del Bocco e poi in effetti a Varese. Dato l'allarme, il grosso si sposta e prende posizione sul crinale, fra Centocroci e la Cappelletta, mentre reparti agili di manovra si schierano sulle immediate vicinanze del fondo-valle, invitando a fare altrettanto la Coduri per bloccare gli alpini già arrivati a Scurtabò e chiuderli in una morsa da cui sarebbe stato difficile avere scampo. Pare che una spia abbia fatto convincere gli alpini a dirottare su Sanega, dove è stato sorpreso e annientato il distaccamento Saetta e Virgola. Sul fare del giorno Richetto cambia schieramento, sempre sulle alture e chiede rinforzi a Montegroppo, ma gli alpini, costretti sotto il fuoco dei mortai, prendono la direzione del Passo del Bocco, inseguiti e tallonati fino a Cassego; poi ripiegano verso Bedonia e proseguono fino a Borgotaro, costantemente punzecchiati da sporadici attacchi, spesso violenti, a Tornolo e a Campi. Anzi la colonna prosegue nei suoi spostamenti, ma l'iniziativa è costantemente nelle mani dei partigiani della Centocroci, che non riescono per la terza volta a concordare un intervento di altre formazioni per chiudere loro ogni possibilità di salvezza. 15 14.1.1945 - Richetto riceve un messaggio da Gordon Lett che gli comunica che una missione alleata arrivata appositamente attraverso il fronte per una delicata operazione di salvataggio, ha bisogno dell'appoggio di un reparto partigiano particolarmente efficiente e lo indica in quello di Nino Siligato, il quale, affetto da itterizia chiede e ottiene un cavallo e si mette in marcia dalla base a Cascinette di Varese, passa a Zeri e raggiunge, con 80 uomini, la Lunigiana dove lo attendono e la missione va felicemente in porto. Con pochi sta riposando a Còdolo, quando, in seguito a una segnalazione di spionaggio, vengono attaccati. Con lui muoiono 14 russi e il loro sacrificio consente agli altri di porsi in salvo. Verrà decorato con medaglia d'oro alla memoria. 17.1.1045 - Aldo, alle prime avvisaglie di rastrellamento in Val Taro si era spostato con i suoi uomini nel versante Ligure, ma visto che il pericolo era maggiore, riattraversano il Gottero passando da Còstola e Pian di Lago: la neve altissima (diversi metri) costringe a muoversi con difficoltà; i muli sono abbandonati con i rifornimenti, fatta eccezione per le munizioni. Ogni tanto qualcuno sprofonda e rimane sepolto, occorre pazienza ma soprattutto fortuna per non rimanere congelati negli arti, ne sono coinvolti in modo più o meno grave, 300 uomini. Sulla cima del Gottero le piante sono letteralmente coperte dalla neve. Aldo, con l'esperienza e la consapevole responsabilità di comandante, rimane in fondo alla colonna per aiutare chi si trova in'difficoltà: restare indietro poteva significare la fine. Lui stesso a un Km circa dalle prime case abitate si ferma, manda avanti tutti gli uomini e viene ricuperato durante la notte con una slitta, ad opera di un anziano contadino che lo porta a casa propria, lo rifocilla con latte caldo e così si riprende, appena in tempo per l'arrivo, annunciato da una staffetta, dei mongoli. Si rimette in marcia e per tutta la giornata guida i suoi 140 uomini attraverso la neve seguendo gli spostamenti dei rastrellatori a distanza ravvicinata e finalmente li mette in salvo a Pontestrambo, al di fuori della direttrice dei tedeschi. 23-24.1.1945 - Aldo, fattosi giorno scruta col binocolo la strada di Montegroppo su cui sfila la colonna coi prigionieri, che riconosce uno per uno, diretti a Borgotaro nell'edificio del dopolavoro. Comincia allora la corsa febbrile alla ricerca dei prigionieri, anche presso altre formazioni, per effettuare lo scambio, e si riesce a stento a metterne insieme 5. Richetto figura al 2' posto nell'elenco dei prigionieri da scambiare, sotto la mediazione del parroco di Borgotaro mons. Boiardi, ma il comando tedesco ha già deciso evidentemente di trasferirlo a Piacenza, dove è ricercato e condannato a morte per aver aperto i cancelli del campo dei prigionieri alleati, subito dopo 1'8 settembre del '43. Sono invece liberati i 3 commissari politici. (Benedetto, Renzo, Severino) e due partigiani. I tedeschi non accettano di scambiare due prigionieri fascisti: i partigiani glieli regalano. 16 Insurrezione e liberazione Questa difficile fase fu tuttavia superata: la lotta venne trasferita in pianura, rinsaldando i legami con la popolazione delle campagne e intensificando la guerriglia nelle città. Nonostante la crescente durezza della repressione nazifascista - deportazioni in massa, fucilazioni - il movimento riprese forza nella primavera avviandosi verso l'insurrezione. Il 24 aprile 1945 i Clnai, attraverso un comitato formato dal socialista Sandro Pertini, dal comunista Emilio Sereni e dall'azionista Leo Valiani, lanciò l'appello all'insurrezione. Mentre le forze alleate, sfondata la linea gotica, avanzavano nella pianura padana, la mobilitazione degli operai e il convergere delle brigate sui grandi centri accelerarono la disfatta dei tedeschi (Documenti n° 6). Tra il 24 e il 26 aprile 1945 si liberarono Genova, Torino e Milano e poi via via tutte le città del Nord. Il 25aprile 1945 è la data ufficiale della liberazione dell'Italia. Si calcola che circa 50000 partigiani siano caduti nel corso della guerra di liberazione, mentre circa 10000 furono le vittime civili. Mussolini, caitturato a Dongo, sul lago di Como, mentre probabilmente tentava di sfuggire in Svizzera, venne fucilato insieme ad altri gerarchi per ordine del Comitato di liberazione. Al loro arrivo, gli Alleati trovarono le città governate dal Clnai, che avevano assunto tutti i poteri civili e militari. Si aprì subito il problema del ruolo che le forze politiche protagoniste della Resistenza avrebbero dovuto esercitare, sul piano locale come su quello nazionale, cioè il problema di quale sarebbe stato il futuro delle speranze di riscatto e di giustizia che la lotta popolare aveva portato con sé. 17 Documenti n° 6 Le azioni compiute dai valorosi combattenti della Divisione “Centocroci” 23.4.1945 - Dal Comando Unico Parmense arriva l'ordine di assumere il seguente schieramento, per la battaglia definitiva: - Raggruppamento Vecchia Centocroci, sulla sinistra Taro di fronte a Fornovo con sede del comando a Viazzàno, insieme al comando di divisione. - I Julia, a Soragna per collaborare con altre formazioni a chiudere la strada della ritirata tedesca verso il Po. - II Julia e Gruppo Valtaro, nella zona di Berceto con l'intendimento di controllare la strada nazionale della Cisa. - La Brigata di polizia, frazionata in distaccamenti, segue i vari reparti. 24.4.1945 - Arriva l'ordine a Tarsogno al comando di Raggruppamento di spostarsi verso Fornovo, a piedi, con trenta muli. A Bardi i 700 uomini dormono nel castello e il giomo dopo arrivata la notizia che la guerra è finita, tutti scaricano le armi in aria in segno di gioia e i comandanti hanno il loro daffare per calmare gli uomini e convincere che a Fornovo, i tedeschi non si sono ancora arresi. Postisi in marcia a Varsi trovano autocarri coi quali raggiungono facilmente Pellegrino e in serata arrivano a schierarsi sulla riva del Taro da Rubiano (Barbagatto) al ponte sul Taro di Fornovo (Siligato). Verso la mezzanotte arrivano le bordate di sbarramento, a caso, ad opera dei “tigre” parcheggiati davanti al Municipio di Fornovo. 26.4.1945 - Aldo constata che le postazioni SAP presso le quali aveva schierato i suoi uomini, nel corso della notte, senza preavviso, sono scomparse. Sul ponte lesionato, transitano soltanto autocarri leggeri, controllati da una postazione tedesca sistemata dentro una abitazione (Ia <<casa rossa>>) in posizione dominante su un'altura. Le staffette riportano notizie sulla consistenza delle truppe ammassate fra Piantonia e Fornovo: risulteranno poi 16 mila unità e quindi materialmente impossibile pensare ad un attacco intimidatorio; ci si limita a scaramucce di pattuglie con analoghe tedesche, dopo aver eliminate il presidio della “casa rossa” da cui era possibile controllare il traffico sul ponte. Frequentemente piccoli gruppi di tedeschi, in previsione del peggio, si arrendono, mentre sparite unità fasciste si presentano ai partigiani munite di uno strano lasciapassare fornito, non si sa perchè, da un tipografo fornovese. 27.4.1945 - Nel tardo pomeriggio una delegazione tedesca si affaccia al ponte con una bandiera alla cui vista i patrioti fanno altrettanto e si incontrano: nel breve colloquio i tedeschi affermano la volontà di non prendere iniziative belliche se non per difendersi e di arrendersi soltanto agli alleati. Preso atto di tale atteggiamento Richetto si reca in jeep a Salsomaggiore, presso il comando brasiliano alleato ed espone la situazione. Ne ritorna col capitano Pittaluga, italo americano, e nel mulino di Viazzano avviene un ulteriore incontro in presenza di un colonnello, ma viene ribadito lo stesso proposito: i tedeschi si arrendevano solo agli alleati. Contemporaneamente risulta che altri incontri si svolgeranno in località del fornovese, con gli alleati. La delegazione transitando sul ponte, alla sede del generale comandante le truppe tedesche, nel Municipio, verifica ancora una volta la posizione precedente e mentre quelli della Centocroci ritornano a piedi, il cap. Pittaluga prosegue con altri le trattative. 18 28.4.1945 - Continuano frattanto gli scontri delle pattuglie. Alle 11 due distaccamenti, quelli di Piero (Siciliano) e di Dario (Castagnoli) prendono all'insaputa del comando l'iniziativa di attraversare il Taro all'altezza dell'attuale bivio d'inizio della Fondovalle, e non trovando resistenza si addossano alla scarpata della linea ferroviaria, un vero <<vallum>> di protezione, oltre il quale si avvertono rumori confusi. Nell'incoscienza dei vent'anni i due comandanti decidono di tentare l'azione di forza allettati dal lauto bottino di prigionieri, ma arrivati in piedi fra i binari lo scenario che li attende è di una dimensione impossibile: migliaia di uomini in armi sono ammassati in un groviglio indescrivibile di automezzi e cavalli. Fortunatamente i tedeschi non sparano e si genera una mischia fatta coi fucili usati come clave e appena possono i partigiani, senza subire perdite, si rigettano nel greto del Taro e guadagnano la base. Soltanto Piero, il siciliano, resta coinvolto e isolato nella rissa, ma con sangue freddo afferra un maresciallo alle spalle e con la pistola puntata alla nuca lo costringe a salire su una delle tante autovetture disseminate lungo la strada e a pilotarlo attraverso il centro e poi il ponte, arrivando fra i commilitoni sbigottiti col prigioniero. 29.4.1945 - L'impegno più grande è quello di costudire gli oltre 600 prigionieri catturati negli ultimi giorni. A pochi minuti dalla fine delle ostilità, protratte oltre la fine ufficiale del conflitto, nello scontro fra pattuglie lasciano la vita <<Eugenio>> (Gotelli) di Varese e <<Isidoro>> (Ravella) di Montegroppo. Nel pomeriggio arrivano due colonne di brasiliani: una da Collecchio e una da Salsomaggiore che attraversa il ponte sul Taro e al suo seguito gli uomini della Siligato, mentre la Barbagatto è rimasta a presidio del ponte. I tedeschi lasciano le armi dappertutto, si arrendono e sono incolonnati verso il campo di concentramento di Ozzano. A questo punto gli uomini della Vecchia Centocroci si impegnano in un'opera di risanamento rastrellando gli ordigni pericolosi, per consentire il rientro ordinato della popolazione. Aldo ha insediato il comando nel municipio e quello della Divisione Valtaro prende posto poco lontano, provvedendo a sistemare materiale e prigionieri alle loro destinazioni legali. Fra gli altri prigionieri italiani figurano il colonnello Vicelli, comandante delle Brigate nere, il dott. Allegri e figlio, il ten. Costi, il comandante Gallo, tristamente famoso nello spezzino e successivamente fucilato, come criminale di guerra. 30.4.1945 - Completata l'opera di rastrellamento all'interno del perimetro cittadino un reparto della polizia partigiana viene inviato a presidiare i pozzi di petrolio e la raffineria, fonte di rifornimento per gli automezzi militari e civili requisiti. L'amministrazione civica viene affidata a quello che diventerà il primo sindaco della liberazione: Tanzi. 9.5.1945 - Tutti i combattenti della Resistenza conferiscono a Parma per la consegna ufficiale di quelle armi che sono servite per la conquista delle libertà democratiche suffocate dal fascismo e per la parata finale nelle strade del capoluogo della provincia. Poi i giovani montanari fanno ritomo alle loro case e tutti tirano un sospiro di sollievo per una pagina di storia che loro hanno scritto e il pensiero rivolto agli amici per i quali purtroppo non è mai arrivato il giorno del tripudio per la vittoria. 19 La situazione alla fine della guerra. Le tre fasi di intervento Il sistema economico italiano è stato profondamente trasformato dalla « percussione » della guerra. Mentre la trasformazione in economia di guerra si realizza in una fase di « ascesa » (venendo con ciò a determinare una situazione di massima pressione sui fattori materiali ed umani della produzione) diverso è il caso del passaggio dall'economia di guerra a quella di pace. L'Italia, alla fine della guerra, presentava: a) una perdita ingente nel patrimonio nazionale. Valutazioni eseguite da studiosi portano a stabilire che il patrimonio nazionale, stimato nel 1938 in 700 miliardi di lire, era uscito dalla guerra ridotto per distruzioni, danneggiamenti, asportazioni, logorio, consumo di scorte e riduzione di efficienza produttiva di quasi un terzo, per un ammontare, in valore corrente, di circa 10.000 miliardi di lire. Fra i diversi settori, danni maggiori avevano subito: 1) le abitazioni: interamente distrutti 1.740.000 vani, gravemente danneggiati 4.667.000; valutando a 3.200.000 circa i vani distrutti e, comunque inabitabili, ne conseguiva una diminuzione di abitazioni, tale da provocare gravissime ripercussioni sociali ed economiche. 2) Il naviglio mercantile: da 3.500.000 tonnellate di stazza lorda era sceso, alla fine della guerra, a 385.716 tonnellate di stazza lorda, con una perdita del 90%. 3) Le ferrovie: la rete statale aveva sofferto danni per circa un quarto dei binari, il 90 % delle linee elettrificate, il 56 % delle locomotive, il 67 % dei locomotori, l'85 % degli elettrotreni ed automotrici. 4) Il settore industriale: stime approssimative facevano salire nel 1946 a 450, miliardi il complesso di beni distrutti; i settori più colpiti erano stati il siderurgico, l'elettrico, il cantieristico, il chimico, oltre ai vari stabilimenti meccanici e metallurgici e, in minori proporzioni, le altre attività industriali. In via approssimativa, limitando le valutazioni ai soli impianti ed attrezzature, compresi gli edifici ed escluse le scorte, si può ritenere che i danni agli impianti produttivi industriali si siano aggirati intorno al 20% del valore prebellico. Secondo altre valutazioni, effettuate a cura dei singoli Ministeri, compatibilmente con le difficoltà che tali accertamenti comportavano, risultava che l'agricoltura aveva subito un danno totale di 312 miliardi e le opere pubbliche erano state distrutte per ben 843 miliardi, valori a prezzi 1945. b)Una forte diminuzione nelle possibilità produttive. Le possibilità produttive del Paese si presentavano, alla fine della guerra, inferiori di gran lunga a quelle del periodo prebellico. E ciò non soltanto in conseguenza delle distruzioni avvenute, ma anche di altri fattori. Nell'industria, influivano negativamente: - il deperimento degli impianti, la cui manutenzione nel periodo bellico era stata molto scarsa, mentre l'usura era stata assai grave; - l'obsolescenza dei macchinari, che non erano stati rinnovati da oltre un decennio; - l'esaurimento quasi completo delle scorte di lavorazioni, di cui ci si era serviti in periodo di grande carenza. 20 Tutto ciò, collegato anche alla deficienza delle materie prime (specie carbone), aveva portato ad una produzione industriale, i cui livelli variavano da un terzo della produzione del 1938 nell'industria mineraria, ad un sesto per le industrie metallurgiche e meccaniche, ad un decimo per le industrie tessili, chimiche e di materiali, da costruzione. Nell'agricoltura, i danni indiretti (omessa conciliazione ed insufficiente rinnovo dei mezzi di produzione), di eguale se non di maggiore importanza dei danni diretti, non avevano mancato di influire sulla produzione. Non soltanto l'estensione della superficie coltivata era inferiore a quella prebellica, ma anche la resa unitaria aveva sofferto considerevolmente. Di conseguenza, la produzione agricola nel 1945 si era ridotta a circa il 60% della produzioni prebellica, e quella cerealicola, così necessaria al sostenimento del paese, si era quasi dimezzata. c)Una maggiore pressione demografica ed un pericoloso squilibrio nella occupazione operaia. Alla fine della guerra la popolazione italiana veniva calcolata a 45,7 milioni di abitanti con una densità per chilometro quadrato molto elevata. L'Italia veniva ad essere uno dei paesi più densamente popolati, superato soltanto, in Europa, da alcuni Paesi con ben altre possibilità e con ben altre risorse quali il Belgio, l'Olanda e la Gran Bretagna. La pressione demografica sul mercato del lavoro, già alta in conseguenza del normale sviluppo della popolazione, risultava ulteriormente aggravata per effetto: a) della smobilitazione delle forze armate e del rientro dei prigionieri di guerra; b) della mancata emigrazione per tutto il periodo bellico; c) dell'arrivo in Italia di numerosi profughi provenienti dalle vecchie colonie italiane e dai territori metropolitani perduti. La situazione portava per se stessa ad un'alta disoccupazione, mentre la ridotta attività produttiva dava luogo alla cosiddetta « occupazione apparente » di numerosi lavoratori, impiegati soltanto formalmente, mentre, di fatto, gravavano sulla produzione senza contribuirvi. Non si hanno statistiche esatte sulla disoccupazione alla fine della guerra: le prime rilevazioni degli uffici di collocamento risalgono al 1946 e fanno ascendere a due milioni gli iscritti nelle liste di collocamento. d)Una notevole diminuzione nelle entrate statali. Queste erano andate paurosamente decrescendo per effetto della diminuita produzione, per la loro lentezza ad adeguarsi al mutato valore della moneta e per lo stato di disorganizzazione della amministrazione finanziaria. Nel 1944-45 esse, infatti, ammontavano a soli 64,6 miliardi e nell'esercizio successivo a 160,2 miliardi contro i 27 miliardi del 1938-39. Quando si pensi che i prezzi erano frattanto aumentati fra 20, e 130 volte, si rileva come le entrate si fossero in realtà contratte, rispetto all'anteguerra, a circa un decimo nel 1944-45 ed a circa un quinto nell'esercizio successivo. I fattori su accennati non avevano mancato di influire sull'apparato produttivo del Paese, che soffriva, per di più di alcuni gravi problemi di riconversione. In quasi tutti i settori, si faceva sentire la necessità non soltanto di una trasformazione delle varie attività, dalle esigenze di guerra in quelle civili, ma anche di nuove qualificazioni di metodi e di tecniche più moderni e progrediti. Tutto questo, insieme alle difficoltà di approvvigionamento, alla scarsità di mezzi finanziari, alla variabilità dei prezzi, aveva avuto l'effetto di fare aumentare fortemente i costi di produzione, creando la base della spirale inflazionistica prezzi - salari che, per quasi tre anni, doveva tanto fortemente influire sulla vita economica e sociale del Paese. Mancano dati statistici certi sull'ammontare del reddito nazionale e sul valore delle risorse disponibili nell'immediato dopoguerra. Stime attendibili indicano, per il periodo 1941-45 un reddito nazionale lordo, in lire 1938, di 119 miliardi, e di 148 miliardi per il periodo 1946-50. 21 Tuttavia, dai pochi elementi ricordati, si può desumere quale fosse la situazione italiana alla fine del 1945 e quanto arduo si presentasse il compito di un risollevamento economico e sociale del Paese, su cui gravavano, peraltro, vecchie difficoltà di natura strutturale che ne perturbavano sensibilmente l'equilibrio ed intralciavano l'avvio a un sano processo produttivo. La Prima fase della Politica postbellica: il pronto, soccorso. La prima fase della politica economica, che cronologicamente si può collocare, come si è detto, tra il dicembre 1945 ed il maggi: 1947, ha prevalentemente operato nel senso di combattere gli elementi negativi congiunturali, ossia gli enormi danni inferti dalla guerra alla agricoltura, alle industrie, ai trasporti, alle opere pubbliche, all'edilizia illustrati in precedenza. Per l'agricoltura è stato necessario compiere una vera e propria opera di risanamento delle ferite provocate alla terra dagli eventi bellici; per l'industria, sostituire il macchinario, distrutto e quello ormai superato per fenomeni di obsolescenza e dai notevoli progressi tecnici e scientifici realizzati sotto la spinta della guerra. Per il settore dei trasporti, riparare gli enormi danni riportati dalla rete stradale e da quella ferroviaria e ricostruire i parchi mobili. Il tipo iniziale di aiuto è consistito nell'invio di generi di consumo dall'estero. Quantunque i dati statistici relativi ai primi anni post-bellici presentino una scarsa attendibilità si può tuttavia rilevare che, nel 1946, le nostre importazioni sono ammontate ad, oltre 9 milioni di tonnellate, mentre è aumentato, di fronte all'anteguerra, del 100 % il volume delle importazioni alimentari. L'indirizzo è continuato nel 1947; in tale anno le importazioni sono salite ad oltre 16,5 milioni di tonnellate e di esse 2 milioni di tonnellate erano di generi alimentari. In complesso, nei due anni '46-47, circa un terzo delle nostre importazioni è costituito da prodotti alimentari. Come secondo tipo di aiuto, è stata, in pari tempo, iniziata la opera di ripristino delle costruzioni materiali nei settori maggiormente colpiti. L'industria elettrica, nel biennio 1946-47, ha compiuto un grande passo verso la sua normalizzazione: quasi interamente condotta a termine l'opera di riparazione dei danni bellici, la potenza installata delle centrali idroelettriche e termoelettriche era, già nel 1947, di 6.489.000 kw. contro i 6.449.000 del 1942. Viene, poi, quasi del tutto completato il ripristino degli impianti danneggiati nelle industrie estrattive, nelle industrie automobilistiche e nelle industrie chimiche e siderurgiche. Nel settore dei trasporti, risultano riparati, alla fine del 1947, il 78 % delle strade ferrate ed il 45 % dei ponti, il 64 % dei fabbricati di esercizio andati distrutti. La seconda fase: ricostruzione e stabilità monetaria Il secondo tempo è caratterizzato dalla stabilità monetaria e finanziaria ed inizia contemporaneamente alla ripresa produttiva (1947-50). In uno stato di grave pericolo erano venute a trovarsi, subito dopo la guerra, la moneta e le finanze del Paese; gli anni post-bellici erano caratterizzati infatti da forti squilibri fra beni e disponibilità di mezzi finanziari, con una spinta all'aumento della circolazione monetaria e dei prezzi; la spirale prezzi-salari minacciava di portare il Paese all'inflazione cartacea, impediva la ripresa e la formazione del risparmio privato ed allontanava, nel contempo, la possibilità di una sana ricostruzione. In base agli istituti legislativi preesistenti in materia - legge del '26 sulla tutela del risparmio; legge del '36 sulla difesa del risparmio e la disciplina della funzione creditizia - in una riunione presieduta da Luigi Einaudi, allora Ministro del Bilancio, fu deciso di dare pratica attuazione a quanto disposto dalla legge del 1926, nel senso che, ove i depositi superassero il ventuplo del patrimonio, l'eccedenza avrebbe dovuto essere impiegata in titoli di Stato. Si stabilì, pertanto, ai fini di tale disciplina, che la 22 percentuale da investirsi o depositarsi non dovesse eccedere, complessivamente, il 25 % dei depositi, restando utilizzabile per le aziende di credito il residuo 75% delle disponibilità raccolte. L'adozione di tale misura ebbe una importanza decisiva, dato che, con essa, veniva introdotto il sistema della riserva bancaria obbligatoria, tipica forma di controllo quantitativo del credito. L'operatività del provvedimento rivelò così alta efficacia da imporre alle Banche una sollecita revisione dei «fidi» concessi e da, ripercuotersi beneficamente sul livello dei prezzi, dato che gli «accaparramenti» non potevano essere ulteriormente finanziati attraverso eccezionali concessioni di credito. Se l'opportunità di una politica di difesa della moneta risultava indiscutibile, ugualmente necessaria si presentava l'azione più specificamente «finanziaria» tendente a conseguire il pareggio del bilancio. Non poteva evidentemente parlarsi di raggiungimento di stabilità, se non realizzando, contemporaneamente, una posizione di equilibrio nelle finanze dello Stato. La riduzione delle spese e l'aumento delle entrate erano gli obiettivi da raggiungere nel campo della finanza pubblica. In conseguenza della nuova politica, il disavanzo effettivo si riduceva progressivamente come si deduce dal seguente prospetto: Esercizio Disavanzoeffettivo in milioni di lire (*) 1945-46 1.130 1946-47 818 1947-48 896 1948-49 526 1949-50 1950-51 363 262 (*) La riduzione in L. I950-51 è stata fatta sulla base degli indici dei prezzi, all'ingrosso dello stesso anno. LO SVILUPPO ECONOMICO ITALIANO Anno Indice dei prezzi all'ingrosso Indice del costo della vita 1938 1,00 1,00 23 1947 1948 1949 1950 51,59 54,43 51,69 48,97 45,75 48,44 49,15 48,49 Il raggiungimento di questi risultati non sarebbe stato possibile se non si fosse avuta, superato il periodo del controllo alleato sul nostro commercio con l'estero, la normalizzazione degli scambi e la ripresa delle esportazioni. Queste ultime che, nel periodo dal 1931 al 1935, avevano coperto il 78 % delle nostre importazioni, ne assicuravano, nel 1950, la copertura per l'81,3%. L'adesione del nostro Paese ad ogni iniziativa internazionale diretta a rendere liberi i traffici (Unione Doganale Italo-francese, Piano Schuman, liberazione degli scambi, Unione Europea dei Pagamenti, abbassamento delle tariffe doganali) sono la riprova di una linea di politica commerciale tanto più coraggiosa quanto più cercava di raggiungere il massimo dell'equilibrio nella bilancia commerciale, senza introdurre restrizioni alle importazioni, nella convinzione che in un Paese come il nostro, dedicato prevalentemente ad attività trasformatrici, erano in definitiva le importazioni che finivano per determinare le esportazioni. Queste infatti, da 339 miliardi nel 1947 erano passate a 570 miliardi nel 1948 e a 641 miliardi nel 1949 per raggiungere i 725 miliardi nel 1950. La terza fase: politica di sviluppo basata sugli investimenti Una obiettiva critica nei confronti della polemica a suo tempo suscitata da questa seconda fase di politica economica porta, quindi, a concludere che non avrebbe potuto essere impostata la terza fase (politica di sviluppo basata sugli investimenti) se non fossero state pienamente assicurate le due fondamentali condizioni della difesa del potere di acquisto e della riduzione del disavanzo del bilancio statale. É noto, infatti, che in periodo decisamente inflazionistico gli operatori sono prevalentemente indotti a costituire ingenti scorte di beni reali, anzichè ad accantonare quote parti di reddito monetario. Il sensibile incremento segnato dall'ammontare dei depositi fiduciari presso le Banche e l'espandersi della produzione costituiscono la riprova della funzionalità dell'indirizzo di politica economica seguito nel periodo testé esaminato. Inoltre, non vanno sottaciute le numerose esigenze di carattere sociale che militavano a favore del piano antiinfiazionistico messo in atto, dal Governo prima fra tutte quella del conseguente, progressivo 24 impoverimento cui sarebbero andate soggette, a causa del fenomeno le classi sociali a più basso reddito. Nel 1950 possiamo considerare ultimato lo sforzo cui il nostro Paese si sottopose per completare la ricostruzione dell'apparato produttivo e del sistema economico in generale. Le cifre dell'aumento del reddito in questo periodo stanno a testimoniare la portata di questa ripresa. SVILUPPO DEL REDDITO IN ITALIA (11) IN MILIA D (Moneta espressa in potere d'acquisto costante 195) Anno 1938 1945 1946 1947 1948 1949 1950 Milioni di lire correnti 137.877 71.509 113.262 128.021 136.623 146.883 156.294 Miliardi di lire 1950 6.787 3.520 5.576 6.302 6.726 7.231 7.694 25 I PRIMI PASSI DELL’ITALIA REPUBBLICANA Il primo govemo dell'Italia libera presieduto da Ferruccio Parri e rimasto in carica solo pochi mesi, segui nel dicembre 1945 un nuovo gabinetto di coalizione guidato da Alcide De Gasperi. Il leader della Democrazia cristiana si propose innanzitutto di "normalizzare" la vita del paese, liquidando gli organi provvisori di governo costituiti localmente dal CLN e sostituendone i funzionari con prefetti di nomina governativa. In questo modo, nonostante la presenza del comunista Togliatti alla Giustizia e del socialista Nerini agli Esteri, la nuova compagine governativa chiuse definitivamente la prospettiva di un trasferimento sul piano politico delle suggestioni di radicale rinnovamento, delle quali il "vento del Nord" resistenziale si era fatto portatore. Il processo di ricostruzione si avviava del resto nel quadro degli accordi intervenuti tra i vincitori a Yalta e a Potsdam, che assegnavano l'Italia alla sfera di influenza occidentale, dominata da modelli politico-economici di matrice liberal capitalista. Il referendum istituzionale. Per il 2 giugno 1946 vennero indetti contemporaneamente un referendum popolare per la scelta tra monarchia e repubblica, e consultazioni elettorali per la formazione di una Assemblea costituente che stilasse la nuova legge fondamentale della nazione, in sostituzione dello Statuto albertino del 1848. Alle urne si presentarono quasi 25 milioni di italiani (l'89% degli aventi diritto al voto), che espressero una risicatissima maggioranza favorevole alla repubblica. Al termine delle lunghe e controverse operazioni di spoglio delle schede, il 12 giugno De Gasperi assunse le funzioni di capo di Stato provvisorio, mentre il giorno successivo Umberto 11, denunciando irregolarità di voto e per questo ribadendo con un proclama la sua non accettazione dei risultati, lasciò l'Italia per recarsi in esilio in Portogallo senza abdicare. La repubblica venne ufficialmente proclamata il 18 giugno; il 25 ebbero inizio i lavori della Costituente, che il 28 giugno elesse Enrico De Nicola capo provvisorio dello Stato. La stagione della Costituente. Le elezioni per l'Assemblea costituente avevano individuato protagonisti fondamentali del nuovo quadro politico italiano la Democrazia cristiana (35,2% del voti), il Partito socialista (21%) e quello comunista (19%). Abbastanza buono fu il risultato raggiunto dal Partito liberale (6,8%) e dalla lista dell"'Uomo qualunque" (un movimento conservatore capeggiato dal giornalista Guglielmo Giannini che si fece interprete delle istanze piccolo-borghesi di Roma e del Mezzogiorno), mentre il responso delle urne sancì invece la scomparsa del Partito d'azione. La nuova carta costituzionale fu il frutto del contributo e della collaborazione delle tre principali scuole di pensiero rappresentate nell'Assemblea (liberale, cattolica e socialcomunista); non limitandosi a ripristinare le libertà politiche soppresse dal fascismo, essa piuttosto riconobbe, promosse e garantì i diritti fondamentali della persona così come delle diverse realtà sociali, rigettando il lascito totalitario del precedente regime. Dichiaratamente progressista nelle sue formulazione di principio, la Costituzione ottenne l'approvazione di oltre il 90% del membri della costituente, e venne ufficialmente promulgata il 31 dicembre 1947. 26 Interventi di razionamento e mercato nero Illuse da una parte dalla possibilità di dover fronteggiare una guerra breve, consapevoli dall'altra degli effetti depressivi sul morale della popolazione di cui sarebbero state sicuramente portatrici, alimentando resistenze e impopolarità crescenti, le autorità fasciste tardarono ad adottare misure di controllo nella distribuzione di generi alimentari e di prima necessità, che pure presero a scarseggiare già poco dopo l'abbandono della non-belligeranza. A parte la quasi immediata introduzione del divieto dell'uso del caffè (interamente d'importazione, e le cui scorte esistenti furono riservate all'esercito), per il primo studio sistematico sulle difficoltà degli approvvigionamenti e la messa a punto di un sistema strutturato di razionamento bisognò attendere il marzo 1941. Da lì all'estate successiva iniziarono a essere limitate le disponibilità di zucchero, sapone, grassi alimentari, farina, riso; infine, un decreto legge stabilì l'entrata in vigore a partire dal I ottobre del razionamento del pane (in media 250 grammi a testa giornalieri, presto scesi a 200, e dal marzo 1942 a 150, con immediata catena di proteste), seguito di lì a poco da carne, legumi, olio, formaggi, sale e uova. Bollini e punti. Ogni categoria di cittadini (divisi per sesso, età e mansione svolta) ricevette una tessera da riempire con bollini riferiti al genere di beni e alle date d'acquisto: ogni bollino dava diritto a comperare, entro una certa data e a un prezzo imposto, una quantità prestabilita di un determinato genere alimentare. Anche ai ristoranti furono imposti menù fissi (da 6 a 32 lire, a seconda della categoria) con antipasto senza salumi o minestra per primo, carne o uova o salumi per secondo e frutta o formaggio per finire. Il razionamento si estese anche, col sistema dei "punti", ai prodotti di abbigliamento tessili, in pelle e in cuoio, e alle calzature. Ogni adulto disponeva di 120 punti all'anno (90 i ragazzi, 72 i bambini), da "spartirsi" tra fazzoletti (3 punti), calze (10) sino ai cappotti (80 uno tipo-lana). L’inserimento nel pacchetto dei "beni controllati" anche delle sigarette le rese oggetto di un vorticoso giro di scambi del tutto particolare. Mercato nero. Quest'ultimo prosperò immediatamente, data l'impossibilità di trovare nel negozi merce sufficiente a coprire le quote-consumo fissate dalla legge. Solo all'inizio, infatti, i prodotti delle campagne vennero consegnati agli ammassi governativi organizzati a livello provinciale. Presto i contadini si resero però conto di quanto fosse molto più conveniente recarsi personalmente in città per uno scambio diretto in denaro o altra merce, anche a costo di sfidare i controlli della polizia e una legislazione repressiva formalmente sempre più dura (sino a comminare la pena di morte per gli accaparratosi), quanto praticamente inefficace. Nonostante le proteste e i mugugni espressi pubblicamente, erano infatti spesso gli stessi acquirenti a guardarsi bene dal denunciare quanti procuravano cibo e beni altrimenti introvabili. Ancor più che per i disastri militari in Grecia, Nord-Africa o Russia, il consenso al regime si sgretolò progressivamente sotto il peso delle sconfitte da esso maturate sul fronte interno nella lotta al disagi quotidiani della gente e all'esercito di "borsaneristi" e profittatori, sordi ad ogni retorico richiamo al patriottismo. ARRANGIARSI: surrogati e autarchia Già ai tempi dell'impresa d'Etiopia, per far fronte alle sanzioni votate dalla Società delle Nazioni contro l'Italia, governo e popolo italiano si erano cimentati nell'arte dell'arrangiarsi. Le misure autarchiche avevano prodotto allora la sostituzione di seta e cotone con il rayon; le giornate dell’"oro alla patria" e le mobilitazioni popolari per la raccolta di oggetti in ferro da fondere e destinare alla produzione bellica; il divieto di vendere la carne il martedì, la chiusura di teatri e cinema alle 23 per risparmiare elettricità, la riduzione della superficie della carta da bollo. Negli 27 ultimi mesi di guerra, l'operazione si ripeté più in grande, propagandosi capillarmente nelle strade e nelle case e interessando ogni aspetto del vivere quotidiano dal vestirsi al cibarsi, al muoversi... "Ciofeche" e carri comuni. La forzata creatività della gente dovette cimentarsi soprattutto con il problema del cibo. Nelle città, dopo la messa a coltura di ogni minimo appezzamento di terra giardino, aiuola o altro - si moltiplicarono le cassette casalinghe per poter coltivare l'orto sul balcone di casa. Con l'intensificarsi dei bombardamenti e il peggiorare dei collegamenti con la campagna, caddero le disposizioni di legge che vietavano di tenere animali in casa: lo spettacolo di galline, conigli e capre nei condomini perse prestissimo ogni tratto di stranezza. Infinita fu la varietà di surrogati di uova, latte, zucchero, farina, per non parlare dell'olio, introvabile e costosissimo; battaglia persa in partenza quando a scarseggiare era invece il sale. Al centro delle stanze ricomparvero i bracieri, mentre le stufe presero a bruciare ogni genere di combustibile (comprese segatura e carta straccia), con risultati per lo più pessimi, accompagnati spesso dalla pericolosa produzione di gas nocivi. Sul fronte dei piccoli piaceri, indispensabili però a reggere il peso della giornata, cicoria, orzo, melassa di fichi, granaglie tostate costituirono la variegata collezione di ingredienti base delle "ciofeche", caffè senza caffè. Prodotti come "Conciatabac" e "Aromtabac" dovevano invece servire a riutilizzare i mozziconi di sigaretta o a permettere di fumare di tutto grazie all'applicazione di un vago odore di tabacco. Infine, i trasporti, con il trionfo delle biciclette e del "motore a energia umana", unico a disposizione della grandissima maggioranza degli italiani. TRA INFORMAZIONI E SVAGO Nel 1938, ogni italiano spendeva in media annualmente 2,2 lire in libri (prezzo medio 10 lire; spopolavano i romanzi erotici di Pitigrilli e i libri gialli della Mondadori); 2,75 lire per andare a teatro (20 milioni di biglietti, per lo più per spettacoli di varietà); 6 lire in giornali (3 milioni di quotidiani al giorno); 9,1 lire per il lotto; 15 lire per il cinema (360 milioni di biglietti venduti e una produzione che passa dai 45 film del 1938 agli 83 del 1940) e 60 lire per il fumo. NUOVI PARTITI IN CITTA’ Nel marzo 1946, dopo oltre un ventennio, gli italiani tornarono alle urne. Gli elettori di Parma e provincia vennero chiamati, tra il 10 marzo e il 7 aprile, a scegliere coloro i quali avrebbero retto le sorti del capoluogo e dei centri minori: con il sistema proporzionale in città e con il maggioritario in tutti gli altri comuni. Iniziata con la firma di documenti unitari, sottoscritti dai partiti del CLN, che garantivano l'impegno a un confronto leale, la campagna elettorale venne subito caratterizzata da aspre polemiche tra i diversi partiti che presero a contendersi anche lo spazio per la propaganda offerto loro dalla "Gazzetta". Grande "novità" dell'appuntamento elettorale fu il PCI: le poche centinaia di attivisti degli anni della clandestinità erano diventati migliaia di tesserati (circa 30000 a fine 1946) e nonostante le difficoltà organizzativi e la non facile penetrazione nell'ambiente sociale della campagna e della montagna, il PCI si presentava come un partito in vertiginosa ascesa. Conquistato il consenso durante il periodo resistenziale con il sacrificio di moltissimi militanti, il PCI scelse i propri candidati alle amministrative tra i protagonisti della Resistenza e tra i "quadri" del partito (gli avvocati Savani e Costa, Giuseppe Isola, Pietro Campanini, Virginio Barbieri, Umberto Ilariuzzi, Lino Bergamaschi). Figure di altissimo prestigio, come l'ingegner Ferrari (il comandante "Arta"), 28 scesero invece in lizza nelle elezioni di giugno per la Costituente. Legati ai comunisti da un sofferto "patto di unità di azione", i socialisti (raccolti sotto la sigla PSIUP) affrontarono le amministrative con una precaria organizzazione, nonostante l'importante tradizione che il partito vantava nel Parmense. Dopo forti momenti di crisi, nel corso del 1944 si era andata affermando la linea nenniana e una diversa gestione del partito (pilotata da un dirigente "importato", il veneto Giovanni Mazzaro), che aveva permesso ai socialisti di acquistare posizioni di prestigio in molte istituzioni politico-economiche, puntando con decisione a estendere la propria influenza nel movimento cooperativo. In generale il socialismo dimostrò una capacità di penetrazione nel tessuto sociale in alcuni casi anche superiore a quella comunista. In città, comunque, nonostante il lavoro della nuova dirigenza, l'immagine del PSI fu rappresentata dalla figura "storica" di Ferdinando Bernini, professore e uomo di cultura di tradizione riformista, direttore della "Gazzetta di Parma" e provveditore agli studi dopo la Liberazione (diverrà sottosegretario alla Pubblica Istruzione nel terzo governo De Gasperi). Alle elezioni amministrative comunisti e socialisti ottennero una straordinaria affermazione. A Parma il PCI divenne il partito di maggioranza relativa con 25699 voti (36,65% del totale) e 19 seggi. Al secondo posto il PSI, con 20 405 voti (29,09%) e 15 seggi. Successo netto anche in provincia: in decine di comuni la coalizione social-comunista si aggiudicò la quasi totalità delle amministrazioni (lasciando alla DC la maggioranza solo a Calestano, Palanzano, Tornolo, Valmozzola e Varsi). Sull'altro versante, la Democrazia cristiana, partito giovane ma forte dell'autorità del Partito popolare rappresentato in città dagli onorevoli Micheli e Corini, raccolse i consensi dell’opinione pubblica moderata e anticomunista. Terzo partito a Parma città con 18942 voti (27%) e 14 seggi, in provincia si aggiudicò cinque comuni e sfiorò il successo in altri cinque. A determinare il consenso raccolto e la sua "legittimazione democratica" contribuirono diversi fatto il prestigio della classe politica espressa dal Parti popolare, avversa al fascismo e molto attenta realtà socioculturali antiche e svantaggiate, come quelle della montagna; la coerente attività dì formazione e di "resistenza morale" mai venuta meno negli anni della dittatura (grazie all'autorità della chiesa e al particolare apporto dell'Azione cattolica e del Movimento laureati cattolici); l'impegno del clero a fianco della popolazione, accentuatosi dopo l'occupazione tedesca. Il coinvolgimento democristiano e il contributo dei cattolici alla Resistenza parmense (in termini di sacrificio personale e di lavoro organizzativo) fu infatti fondamentale, così come l'attività di personaggi importanti quali l'onorevole Micheli, Febbroni, Michele Valenti, Giuseppe Mori e di giovani come Renzo Ildebrando Bocchi (morto in Germania alla fine del 1944), Data la consistenza di PCI, PSIUP e DC, quasi simbolico divenne il peso politico degli altri tre partiti del CLN (PLI, PRI, Partito d'Azione), esponenti di quell'ambiente intellettuale raccolto intorno al periodico "L’Uomo libero". Il contributo liberale alla Resistenza (si ricorda il martirio degli studenti Giacomo Ulivi e Ottavio Ricci) non fu infatti sufficiente a "ringiovanire" una formazione politica che gli elettori associavano alla vecchia cultura dei notabili giolittiani. Ciò nonostante i liberali, guidati da Arturo Scotti, elessero al Comune di Parma Tito De Stefano, brillante figura di insegnante e giornalista, che dopo il 25 aprile condivise (in polemica "coabitazione") con Ferdinando Bernini la direzione della "Gazzetta di Parma". Entrato a far parte del Consiglio comunale con 411 preferenze, De Stefano fu di gran lunga il più votato tra i candidati dei partiti minori. In città i repubblicani furono rappresentati soprattutto da una figura storica di antifascista, il ragionier Alfredo Bottai (zio del più famoso Giuseppe). Seguito a brevissima distanza, in termini di preferenze, da Umberto Paganí, Bottai entrò a far parte dell'amministrazione del capoluogo. Il Partito d'Azíone, invece, pur avendo candidato nomi noti dell'azionismo parmense come gli avvocati Molinari e Miazzi, non riuscì a far eleggere nessuno del suoi rappresentanti. Il suo esponente più autorevole fu l'avvocato Aristide Foà, fuggito in Svizzera l'8 settembre per sottrarsi alla persecuzione antiebraica. Foà non si candidò alle amministrative. Lo spirito battagliero dell'azionismo cittadino continuò comunque a esprimersi attraverso il periodico "Pagine libere", diretto da Pierluigi Spaggiari (vi collaborarono, fra gli altri, i giovani Luca Goldoni, Giorgio Torelli, Baldassarre Molossi). Nonostante fosse un partito "in liquidazione", il Partíto d'Azione diede un importante contributo di uomini e di pensiero alla sinistra laica e social-comunista. 29 MURO CONTRO MURO Lo scacco più grosso alla campagna elettorale del Fronte popolare giunse comunque in febbraio dalla crisi di Praga, dove un colpo di stato portò a compimento la trasformazione dell'ultimo regime pluralista e democratico dell'Est europeo in una "democrazia popolare" a guida comunista. L’assassinio in circostanze misteriose del ministro degli Esteri cecoslovacco, il democratico Masaryk, ebbe un fortissimo impatto popolare, prontamente sfruttato dalla propaganda centrista. 2 GIUGNO 1946: I PARMIGIANI ALLA COSTITUENTE Dopo le elezioni primaverili per il rinnovo delle amministrazioni locali, il 2 giugno 1946 il popolo italiano venne nuovamente chiamato alle urne per eleggere i deputati alla Assemblea Costituente e per pronunciarsi sull'assetto istituzionale da adottare. Nel XIV Collegio, che comprendeva le province di Parma, Modena, Reggio Emilia e Piacenza, vennero presentate sette liste di candidati alla Costituente: Partito comunista italiano, Partito socialista italiano di unità proletaria, Democrazia cristiana, Fronte dell'uomo qualunque, Unione democratica nazionale, Partito repubblicano italiano e Concentrazione democratica repubblicana. La lista del Partito d'Azione fu dichiarata inammissibile per irregolarità formali e annullata dall'Ufficio centrale della circoscrizione. La campagna elettorale parmense fu intensa e vivace: sul palco del Teatro Regio, dal balcone di piazza Garibaldi e nelle numerose piazze della città e della provincia parlarono i dirigenti locali e nazionali di tutti i partiti in competizione. La popolazione seguiva con attenzione il dibattito sui periodici e affollava numerosa i comizi, tanto che spesso era necessario installare altoparlanti fuori dai teatri o nelle strade adiacenti i luoghi delle manifestazioni. Il 17 maggio un fatto inquietante scosse l'opinione pubblica: un'ora dopo il comizio di Giuseppe Saragat al Teatro Regio, esplose un ordigno in un palco. Non vi furono feriti perché il teatro era ormai vuoto ma "l'attentato neofascista" (come titolò la "Gazzetta di Parma") indusse il CLN, la Prefettura, la Questura, i comandi locali delle Forze Armate e dei Carabinieri, le segreterie dei partiti e le più importanti associazioni politiche a lanciare un appello alla cittadinanza affinché forme e metodi della competizione elettorale fossero "moderati e leali nel rispetto reciproco delle opinioni e delle persone, ricordando che tutte le fedi politiche debbono liberamente convivere e manifestarsi, portando la Patria a quel benessere di pace che deve essere nuovamente raggiunto” Al Teatro Regio, il I giugno, una grande manifestazione dei partiti del fronte repubblicano (PCI, PSI, DC, PRI e CDR) concluse la campagna per il referendum istituzionale. Durante il comizio l'avvocato Gustavo Ghidini (PSI) ricordò le colpe della monarchia durante il ventennio fascista. La provincia di Parma votò in maggioranza per la repubblica (160.690 voti, pari al 71,76%, contro 63.225 voti a favore della monarchia, il 28,23%). Qualche sorpresa diede invece il voto per l'Assemblea Costituente. Il PSIUP, con 73.426 voti (32,03%), risultò essere il primo partito della provincia, superando la DC di sole 433 preferenze (72.993 voti, 31,84%); al terzo posto si collocava il PCI (67.651 voti, 29,5 I%); seguivano, con quote nettamente inferiori, le altre formazioni politiche (PRI: 4887 voti, 2,13%; UDN: 4088, 1,78%; UQ: 4464, 1,94%; CDR: 1677, 0,73%). I comunisti rimasero delusi dal responso delle urne: il ruolo svolto nella lotta antifascista e nella resistenza partigiana non si era adeguatamente tradotto in consenso elettorale. Tuttavia il PCI aveva raggiunto considerevoli traguardi: era il primo partito a Parma, con un 30 radicamento sociale in tutta la provincia e una struttura organizzativa collaudata, sebbene spesso percorsa da contrasti e incertezze. Del resto, tutto il panorama politico parmense aveva subito un profondo cambiamento: solo alcuni uomini, come l'onorevole Giuseppe Micheli, segnavano una continuità con la vecchia classe politica prefascista. Erano invece scomparse le tradizioni del sindacalismo rivoluzionario di Corridoni e De Ambris, e del liberalismo moderato agrario di inizio secolo. Parma fu rappresentata all'Assemblea Costituente da sette eletti: Teresa Noce (candidata "esterna" al territorio), Giacomo Ferrari e Dante Gorreri per il PCI, Gustavo Ghidini e Ferdinando Bemini per il PSIUP, Giuseppe Micheli e Michele Valenti per la DC, personalità conosciute e rispettate dalla popolazione, in grado di rivestire un ruolo di primo piano sulla nuova scena istituzionale. Nei lavori della Costituente l'avvocato Ghidini, nominato membro della Commissione dei 75 e presidente della Terza sottocommissione per i rapporti economici, fu uno del "padri" della carta costituzionale; mentre l'onorevole Micheli si fece apprezzare come vice presidente dell'Assemblea. Nella direzione del primi govemi repubblicani ricoprirono cariche esecutive Ferrari (ministro al Trasporti nel II e III Govemo De Gasperi), Micheli (ministro della Marina nel II Governo De Gasperi) e Bernini (sottosegretario alla Pubblica Istruzione nel III Governo De Gasperi). 31 L’ONU Subito dopo la fine della seconda guerra, mondiale dalle potenze uscite vittoriose dal conflitto, mediante l’approvazione della Carta di San Francisco (26 giugno 1945), fu fondata l’ONU: Organizzazione delle nazioni unite. Il numero degli aderenti all’ONU, che era originariamente di 50, è progressivamente aumentato attraverso l’adesione dei nuovi stati indipendenti che si sono formati, soprattutto in Asia ed in Africa, in seguito alla decolonizzazione. Attualmente aderiscono all’Onu 184 stati, cioè praticamente tutti gli stati del mondo. L’Onu è quindi un’organizzazione di carattere universale. Essa ha sede a New York nel famoso “palazzo di vetro”. I suoi organi principali sono l’assemblea generale, il consiglio di sicurezza, il segretario generale e la corte di giustizia internazionale. L’assemblea generale, che si convoca una volta all’anno, riunisce tutti gli stati membri. Ogni stato ha diritto ad un voto, in omaggio al principio della parità giuridica tra gli stati. L’assemblea generale ha il potere di adottare, a maggioranza, risoluzioni di qualsiasi argomento di carattere internazionale. Ma il potere effettivo, cioè il potere di decidere concreti interventi, è riservato al consiglio di sicurezza che è un organo formato da 15 stati membri, di cui 10 sono eletti ogni 2 anni dall’assemblea generale e 5 sono membri permanenti; questi ultimi sono gli USA, la Russia (che ha preso il posto dell’Urss), la Francia, la Gran Bretagna e la Cina. Ciascuno dei 5 membri permanenti ha diritto di veto su ogni decisione del consiglio di sicurezza, può cioè impedire qualsiasi intervento. Questa regola riconosce pertanto formalmente la superiorità delle grandi potenze: qualsiasi iniziativa dell’Onu che sia in contrasto con gli interessi di una di esse, può essere fermata attraverso l’esercizio del diritto di veto (come del resto è spesso avvenuto). Il segretario generale è eletto dall’assemblea generale su proposta del consiglio di sicurezza e dura in carica 5 anni. Dirige l’apparato burocratico delle nazioni unite e cura l’esecuzione delle decisioni nel consiglio di sicurezza. La corte di giustizia internazionale, composta da 15 giudici nominati per 9 anni dall’assemblea generale, giudica sulle controversie che insorgono tra gli stati sulla base delle norme di diritto internazionale. Ha sede all’Aia (Paesi Bassi). La finalità fondamentale dell’Onu è quella di mantenere la pace e la sicurezza tra le nazioni. Per raggiungere questo, l’art. 1 dello statuto affida all’Onu il compito: di perseguire, con mezzi pacifici, la composizione o la soluzione delle controverse tra gli stati che potrebbero portare alla violazione della pace di prendere efficaci misure per prevenire e rimuovere le minacce alla pace e per reprimere gli atti di aggressione. Quando scoppia un conflitto tra due o più stati, lo statuto dell’Onu prescrive innanzi tutto che le parti debbano ricorrere a procedure pacifiche di composizione del conflitto (negoziato, mediazione, arbitrato).Se tuttavia il conflitto giunge a minacciare o violare la pace, il consiglio di sicurezza ha il potere di prendere due tipi di misure coercitive: misure che non comportano l’uso della forza militare (per esempio sanzioni economiche, interruzioni delle comunicazioni aeree, blocco navale ecc.); misure che comportano l’uso della forza militare. 32 Per mettere in pratica le misure del secondo tipo, l’Onu dispone però di un proprio esercito in pianta stabile, ma si serve di contingenti armati messi a disposizione dagli stati membri che, in tali circostanze agiscono sotto le direttive del consiglio di sicurezza (i “caschi blu”). L’Onu non si limita ad intervenire nei conflitti aperti, ma svolge una funzione generale di promozione della cooperazione internazionale in vari settori. Svolge funzioni di assistenza tecnica a favore dello sviluppo agricolo ed economico dei paesi del terzo mondo; promuove studi e iniziative per la difesa dell’ambiente; promuove la codificazione del diritto internazionale. Un aspetto particolarmente importante dell’azione dell’Onu riguarda la difesa dei diritti umani. 33 SCRITTORI DELLA RESISTENZA La Seconda guerra mondiale segna una frattura abbastanza profonda nella storia della lirica italiana, ma non una frattura fisica in quanto la maggior parte dei poeti protagonisti (Fenoglio Fortini, Quasimodo, Levi, ecc...) continua a scrivere e a mantenere un ruolo di preminenza nel nuovo panorama. Salvatore Quasimodo (1907 – 1968) si può definire uno dei più significativi esponenti dell’ermetismo, infatti sul piano stilistico si assiste ad un radicale divorzio nei confronti della lingua parlata: l’uso delle analogie e delle ellissi e la parola che, immobile nella sua luminosità e carica di valori simbolici, si chiude a ogni forma di volontà comunicativa, assumendo un valore assoluto ed enfatizzato, che tende all’astrazione. La terra siciliana, nel ricordo, diventa un luogo mitico, la casa, la madre e l’infanzia sono temi ricorrenti. Con la sezione delle raccolte del dopo guerra comincia a verificarsi un graduale mutamento: il verso si allunga e diventa più lineare, i temi si ampliano e si arricchiscono di elementi di una realtà più concreta, il rapporto fra segno e significato si fa più immediato, aprendosi verso le forme di un messaggio più facilmente accessibile e comunicativo. Dal piano metafisico, esistenziale, il discorso si trasferisce su quello più propriamente storico, attingendo anche dalla cronaca le fonti della sua ispirazione; la poesia può così diventare anche uno strumento di testimonianza politica e di polemica sociale, assumendo cadenze di tipo più discorsivo e narrativo. Si ha una conversione all’impegno ad una poesia che abbia come soggetti l’uomo e la storia. Non è certo estranea a questo mutamento d’indirizzo né la drammatica esperienza della guerra “...i morti abbandonati nelle piazze sull’erba dura di ghiaccio, al lamento d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero della madre che andava incontro al figlio crocifisso sul palo del telegrafo...” (“Alle fronde dei salici”), né la suggestione esercitata dal nuovo impegno degli intellettuali usciti dalla Resistenza e tesi a misurarsi con la tragica realtà italiana del dopoguerra e della ricostruzione. Prendono allora corpo i temi della tristezza, del dolore e della solidarietà, della schiavitù “E come potevamo noi cantare con il piede straniero sopra il cuore...” (“Alle fronde dei salici”) con accenti di realismo linguistico e di impegno comunicativo cui non manca, tuttavia, la misura espressiva. A favorire questa conversione sono i tragici avvenimenti della guerra e dell’immediato dopoguerra, che sollecitano una forma di partecipazione e di impegno, investendo anche il poeta di precise responsabilità civili. All’interno di queste variazioni si possono però riconoscere dei temi costanti, profondamente legati alla biografia dell’autore: la memoria nostalgica dell’isola natia, il senso profondo dello sradicamento e la consapevolezza dell’universalità del dolore. Franco Fortini è nasce a Firenze nel 1917 e negli anni del fascismo esprime il suo dissenso collaborando a “La riforma letteraria”, una rivista di opposizione diretta da Carocci e Noventa. Partigiano in Valdossola, alla fine della guerra si stabilisce a Milano svolgendo un’intensa attività di giornalista, traduttore e insegnante di storia della critica letteraria nell’Universistà di Siena. Muore il 28 novembre 1994. Fortini appunta la sua critica sugli aspetti deteriori e disumanizzanti delle ideologie contemporanee, attribuendo all’arte una funzione di rottura e di protesta, ma ponendo l’accento sulla carica di consapevolezza e di utopia che la letteratura può possedere. La sua poesia riflette il complesso percorso di esperienze intellettuali cercando un superamento dell’Ermetismo e aprendosi alle 34 tematiche civili e impegnate che il Neorealismo veniva allora proponendo. Rifiuta le illusioni e i facili ottimismi insistendo piuttosto sulle contraddizioni della realtà che investono la stessa ideologia letteraria. Sul piano formale i versi conservano una misura di ordine e di rigore, per così dire di classica impronta, che rifiuta ogni autonoma ricerca di soluzioni sperimentali. Si tratta di una poesia che antepone all’individualismo lirico un’attitudine meditativa e riflessiva, che conserva sempre un alto valore di testimonianza. Il tema centrale della produzione fortiniana è sicuramente la storia contemporanea. Fortini registra con amarezza la parabola della nostra storia recente: le illusioni nate con la Resistenza, l’orrore dei cadaveri abbandonati che rappresenta il venir meno di ogni umanità “Sulla spalletta del ponte Le teste degli impiccati...” (“Canto degli ultimi partigiani”), ma vale anche come testimonianza dell’amore per la libertà “...Ma noi s’è letta negli occhi dei morti E sulla terra faremo libertà...” (“Canto degli ultimi partigiani”), la cui certezza ravviva di speranza il sacrificio; la crisi della sinistra, il rinsaldarsi sempre più deciso del neocapitalismo e la conseguente mercificazione di ogni valore etico e culturale. Fortini continua ad esprimere il suo dissenso, ma nei modi che gli sono sempre stati propri, cioè quelli del costante richiamo ad una severa coscienza morale anche verso chi, come lui, è all’opposizione, per un reale rinnovamento della cultura marxista. Beppe Fenoglio (1922 – 1963) si può collocare nell’ambito del Neorealismo in quanto la sue materie predilette sono la vita contadina delle Langhe e la guerra partigiana. Come narratore della Resistenza imbocca una strada insolita in quegli anni: evita la celebrazione, la componente ideologica e sceglie una rappresentazione vera, che di quell’evento renda, senza moralismi o seriosità, la poliedricità di aspetti. Da ciò nella narrazione un tono, un piglio demistificatorio, “picaresco”, sotteso tutto dal gusto dell’avventura. Non è questa però l’unica angolazione dalla quale Fenoglio scrittore guarda la storia recente. In parecchi altri racconti “la guerra, la lotta per la sopravvivenza, la dignità ed infine la morte si elevano a paradigma non soltanto della storia di una generazione, ma di un popolo altamente drammatico di intendere la vita e la fatalità delle sue scelte”. E allora la Resistenza diventa il contesto in cui questo austero e tragico senso del vivere trova la sua collocazione; il che comporta una rappresentazione di vicende resistenziali nelle quali non c’è posto per la componente ideologica e politica, ma piuttosto per una più larga tematica esistenziale: la morte, la scelta e il caso, la violenza, l’amore sentito come struggente disperazione. Al di là della materia scelta (La Resistenza), lo specifico di Fenoglio è questo sentimento drammatico del destino, dei suoi appuntamenti e delle sue tragiche “imboscate”. Ma al centro della sua visione vi è un’indagine sulla violenza vista “come senso unico e costante di tutti i rapporti umani”. L’indagine è condotta sul mondo contadino, sulla durezza disumana della sua vita, sull’abbruttimento dei sentimenti, sulle sofferenze e le miserie che conducono all’esplosione violenta, alla follia, al suicidio, oppure alla guerra, rappresentata come un tempo d’eccezione, che consente di registrare i dati estremi della crudeltà e del dolore. Infatti la guerra, proponendo lo scontro con la violenza, la sofferenza e la morte, si offre come avventura umana ed esistenziale, come prova della dignità dell’individuo, come ricerca della propria verità interiore. Su queste manifestazioni di violenza Fenoglio indaga con ossessiva insistenza, quasi con la volontà di tracciare un panorama esaustivo delle capacità di male dell’uomo. Il contegno dello scrittore evita la deprecazione moralistica, la partecipazione emotiva scoperta, la manifestazione esplicita dello sdegno o dell’orrore: la sua visione è ferma, lucida, assolutamente oggettiva ed impassibile. La matrice di tutta la narrativa fenogliana è “Il partigiano Johnny”, vasta cronaca della guerra partigiana, dove la Resistenza si eleva ad una dimensione epica. Il linguaggio è complesso, ricco di mescolanze ardite e di forzature espressive, mirando a rappresentare immediatamente la realtà. Non vi è nulla di eroico e di retorico nella situazione descritta da Fenoglio: il narratore mette in evidenza la fatica e il carico di dolore della violenza scaturita dalla guerra; non a caso prevale l’aggettivo 35 “cieco” riferito alla marcia dei partigiani: “dopo una cieca marcia sfilacciata”; La cieca difficoltà della marcia” (“Il partigiano Johnny”). Primo Levi (1919 – 1988) entrò nelle formazioni partigiane di Giustizia e Libertà, ma fu catturato dai Tedeschi e deportato nel Lager di Auschwitz, in quanto ebreo. Le tematiche fondamentali furono quelle della persecuzione degli ebrei e delle vicende dei partigiani. Infatti il libro d’esordio dello scrittore, che si fonda sulle esperienze nei campi di sterminio nazisti, è: “Se questo è un uomo”. É un’opera che si stacca con eccezionale rilievo dallo sfondo del clima neorealistico, assurgendo alla statura di un vero e proprio classico. Il libro è una testimonianza sulla barbarie estrema dell’universo concentrazionario, sulla sua crudeltà non solo fisica, ma anche morale, che mirava prima di tutto a distruggere la sostanza umana stessa del deportato. Infatti descrive “l’inferno” della condizione degli ebrei deportati dai nazisti nei lager durante la Seconda guerra mondiale: il narratore rievoca le varie fasi del “martirio” subìto. Privati dell’acqua “sono quattro giorni che non beviamo” (“Se questo è un uomo”) e costretti a spogliarsi, vengono rasati e “disinfestati” con docce bollenti. L’ebreo deportato è un “uomo vuoto”, ridotto a triste sofferenza e privato della dignità. É questo, del resto, lo scopo del “campo di annientamento” tedesco: annichilire la dignità dell’uomo, uccidendolo prima moralmente (privandolo di tutto: vestiti, scarpe, capelli e persino del nome) e poi fisicamente (qui vi è un assoluto disprezzo per l’umanità, “demolizione” dell’uomo). Ciò che conferisce forza alla rappresentazione di Levi è l’assenza di emotività e di retorica, la sobrietà e la lucidità della scrittura, che riesce a fissare un quadro di orrore indicibile in linee ferme, essenziali. La rievocazione quindi è sorretta da un estremo rigore conoscitivo nei confronti della barbarie nazista, che fa scaturire un profondo senso di sdegno e di pietà (sdegno per la brutalità della violenza arrecata ad uomini inermi, pietà per la sorte subita senza colpa da milioni di uomini, scomparsi nei lager nazisti) e che riesce in certo qual modo a fornire un riscatto intellettuale di ciò che sarebbe mostruoso e intollerabile. La chiarezza “scientifica” dello sguardo, che porta ordine nel caos atroce della realtà. Infatti nella sua opera l’incontro tra le “due culture” di appartenenza letteraria e tecnico – scientifica, raggiunge esiti originali. Il punto di contatto è per Levi da ravvisare nella chiarezza e nell’ordine: l’abito scientifico insegna allo scrittore a dare ordine al caos informe della realtà. 36 La guerre, l’occupation allemande, la Résistance Lorsque hitler envahit la Pologne en 1939, la France et L’Angleterre déclarèrent la guerre à l’Allemagne. Mal préparée pour ce conflit, l’armée francaise fut battue après six mois par les Allemands qui, en juin 1940, pénétrèrent dans Paris. Le maréchal Pétain demanda l’armistice (suspemsion des hostilités), à la suite duquel la France fut coupée en deux zones – l’une occupée et l’autre libre – séparées par une ligne de demarcation. Le gouvernement francais s’installa à Vichy. De juin 1940 jusqu’à la Liberation les Francais se diviserent en deux camps opposés: Ceux qui se rallièrent au régime de Vichy Ceux qui répondirent à l’appel à la Résistance lancé de Londres par le général de Gaulle le 18 juin. Le régime de vichy s’inspira tant des idèes de la droite conservatrice francaise que du fascisme italien. La collaboration du régime avec les Allemands devint de plus en plus étroite: jusqu’à l’envoi de volontaires au front à coté des SS et à la partecipation directe des Francais à la persécution contre le Juifs. Les Francais de l’autre camp, au contraire, s’engagèrent dans la poursuite de la lutte contre l’occupant nazi. Charles De Gaulle constitua à Londres, avec l’accord de l’Angleterre, la France libre, mouvement à la fois militaire et politique qui entedait se battre aux cotés des Alliés pour libérer la France. A’ l’interieur se formèrent plusieurs groupes de résistants, liés aux mouvements idéologiques et aux partis democratiques. Le 2 juin 1944, la veille du débarquement allié en Normandie, le général de Gaulle constitua à Alger le GPRF (Gouvernement provisoire de la Republique francaise), première forme de pouvoir légitime à la Libération de Paris, le 25 aout 1944. 37 BIBLIOGRAFIA Titolo: “Centocroci per la Resistenza” Autore: Camillo Del Maestro Casa editrice: Associazione Partigiani “Centocroci” Anno: 1982 Titolo: “Leggere Oltre” Autori: M.T. Bongiorno - L. Bordo - S. Criscuolo - A. Morfino Casa editrice: Loffredo Anno: 1996 Titolo: “Diritto pubblico” Autori: L. Bobbio – E. Gliozzi – L. Lenti Casa editrice: Elemond Scuola & Azienda Anno: 1998 Titolo: “Dal testo alla storia dalla storia al testo” Autori: G. Baldi – S. Giusso – M. Razetti – G. Zaccaria Casa editrice: Paravia Anno: 1995 Titolo: “Il sistema letterario” Autori: S. Guglielmino – H. Grosser Casa editrice: Principato Anno: 1993 Titolo: “Progetto Terra” Autori: L. Benincaso Lojacono – F. Gamberucci – L. Davide – M. Torri Casa editrice: Markes Anno: 1999 Titolo: “Grande enciclopedia De Agostini” Casa editrice: DeAgostini Anno:1994 Titolo: “La Resistenza” Autori: S. Buonamico – P. Ghione – G. Monina – M. Morbidelli – S. Pavone – F. Pizzardi – E. Taviani – F. Tomassi Casa editrice: Gius. Laterza & Figli Anno: 1996 Titolo: “Novecento” Autore: Gianni Grana Casa editrice: Marzorati Anno: 1993 Titolo: “Litterature Francaise” Autori: Bonini - Jamet Casa editrice: Valmartina Anno: 1998 Sito Internet: www.cronologia.it 38