Introduzione alla psicopatologia - Enciclopedia di medicina popolare

Medicina popolare
per autodidatti
giugno 22, 2017
PTO 3
Introduzione alla
psicopatologia
© Peter Forster
Bianca Buser
Indice della pagina
Pagine correlate: PTIA
MmP 8.3
MmP 8
MmP 18
MmP 19
MmP 20
1.0 Psicopatologia
1.1 Funzioni “vegetative”
1.1.1 Riflessi
1.1.2 Istinto
1.1.3 Pulsioni
1.2 Sentimenti
1.2.1 Introduzione
1.2.2 Disturbi sentimentali quantitativi
1.2.3 Disturbi sentimentali qualitativi
1.2.4 Disturbi regolativi dell’affettività
1.3 Volere (intenti, volontà)
1.3.1 Coordinazione di pulsioni
1.3.2 Disturbi di “intenti”
1.4 Funzioni mentali
1.4.1 Cognizione
1.4.2 Coscienza
1.4.3 Memoria
1.4.4 Riflessione
1.4.5 Intelligenza
2.0 Psicoterapie ortomolecolari
2.1 Strumenti di lavoro
2.1.1 Psicopatologie e integratori
alimentari spesso scarsi
2.2 Procedura
2.2.1 Lista di disturbi rilevati
2.2.2 Valutazione delle sostanze
coinvolte
3.0 Strumenti didattici per il seminario
3.1 Tavole psico-ortomolecolari
3.2 Modulo di esempio
3.3 Esempio di terapia
Il fascicolo, che serve da strumento di lavoro sul tema, contiene due capitoli con gli allegati:
- una sintesi di psicopatologia (tema trattato superficialmente durante il seminario) che fornisce le basi elementari
descrittive di disturbi psichici: serve per un approccio autodidatta.
- Psicoterapie ortomolecolari: simile al secondo argomento del seminario (“Introduzione alla terapia
ortomolecolare”) contiene essenzialmente il nesso tra disturbi psichici (specificati) e sostanze ortomolecolari,
oltre che la procedura da seguire e un esempio “banale” per esercitarsi nel ramo.
- Gli strumenti di lavoro relativi a questa documentazione: tavole psico-ortomolecolari e altri moduli di lavoro.
Indice PTO 3: Psicopatologia e psicoterapia ortomolecolare
1.0 Psicopatologia
1.1 Funzioni “vegetative”
1.1.1 Riflessi
1.1.1.1 Disturbi dei riflessi
1.1.2 Istinto
1.1.2.1 Disturbi dell’istinto
1.1.3 Pulsioni
1.1.3.1 Introduzione
1.1.3.1.1 Dal fabbisogno umano alla realizzazione di un impulso
1.1.3.1.2 Classificazione delle pulsioni
1.1.3.1.2.1 Bisogni e comportamenti vitali e organici
1.1.3.1.2.2 Bisogni e comportamenti sociali e gerarchici
1.1.3.1.2.3 Bisogni e comportamenti relazionali e affettivi
1.1.3.1.2.4 Bisogni e comportamenti culturali e mentali
1.1.3.1.3 Gerarchia delle pulsioni
1.1.3.1.4 Pulsioni nel contesto psicologico
1.1.3.2 Disturbi delle pulsioni
1.1.3.2.1 Disturbi delle pulsioni sessuali
1.1.3.2.2 Disturbi dell’istinto di conservazione
1.1.3.2.2.1 Lasciarsi morire e suicidio
1.1.3.2.2.2 Anoressia e bulimia
1.1.3.2.2.3 Autolesione
1.1.3.2.3 “Manie aberrate”, attività coatte
1.1.3.2.4 Tossicodipendenze, attività, riflessioni e affetti coatti
1.2 Sentimenti
1.2.1 Introduzione
1.2.1.1 Classificazioni dei sentimenti
1.2.1.2 Affetti, emozioni e sentimenti, stati d’animo
1.2.1.3 Stati d’animo, disposizioni di spirito, umori, tendenze e inclinazioni umorali
1.2.2 Disturbi sentimentali quantitativi
1.2.2.1 Ipoaffettività apparente
1.2.2.2 Ipoaffettività costituzionale
1.2.2.3 Ipersensibilità
1.2.2.4 Ipertimia (iperaffettività)
1.2.2.5 Sentimentalità
1.2.3 Disturbi sentimentali qualitativi
1.2.3.1 Sindrome depressiva
1.2.3.1.1 Depressione e tristezza
1.2.3.1.2 Depressioni esogene
1.2.3.1.3 Depressione endogena o melanconia
1.2.3.1.4 Ansia
1.2.3.1.5 Motivazione e impulso
1.2.3.1.6 Motivazione ridotta
1.2.3.1.7 Stupor (paralisi) depressivo
1.2.3.1.8 Mania suicida
1.2.3.1.9 Depressione agitata
1.2.3.1.10 Disturbi riflessivi formali: rallentamento, impoverimento,
incanalamento
1.2.3.1.11 Disturbi riflessivi materiali: idee fisse (coatte)
1.2.3.1.12 Disturbi e sintomi somatici in depressione
1.2.3.1.13 Depressione vitale
1.2.3.1.14 Depressione larvata
1.2.3.2 Sindrome maniacale
1.2.3.2.1 Euforia
1.2.3.2.2 Aggressività
1.2.3.2.3 Motivazione smisurata
1.2.3.2.4 Idee sfuggenti
1.2.3.2.5 Impressione dello psicotico
1.2.3.2.6 Indispensabilità e difficoltà di trattamento
1.2.3.2.7 Sintomi somatici maniacali
1.2.4 Disturbi regolativi dell’affettività
1.2.4.1 Sviluppo dell’emotività
1.2.4.2 Labilità affettiva
1.2.4.3 Incontinenza affettiva
1.3 Volere (intenti, volontà)
1.3.1 Coordinazione di pulsioni
1.3.2 Disturbi di “intenti”
1.3.2.1 Disturbi d’intento nelle malattie di coazione (fisse, manie)
1.3.2.2 Disturbi d’intento nelle malattie di dipendenza
1.3.2.3 Disturbi d’intento nella schizofrenia
1.3.2.4 Disturbi d’intento nelle depressioni gravi
1.4 Funzioni mentali
1.4.1 Cognizione
1.4.1.1 Introduzione
1.4.1.2 Disturbi sensoriali e di sensazione
1.4.1.3 Disturbi cognitivi quantitativi
1.4.1.3.1 Ipersensibilità cognitiva
1.4.1.3.2 Iposensibilità cognitiva e apatia
1.4.1.4 Disturbi cognitivi qualitativi
1.4.1.4.1 Illusioni
1.4.1.4.2 Allucinazioni
1.4.1.4.2.1 Allucinazioni e chimere (“paranoie”)
1.4.1.4.2.2 Impressione della realtà
1.4.1.4.2.3 Nitidezza
1.4.1.4.2.4 Intensità
1.4.1.4.2.5 Valore affettivo
1.4.1.4.2.6 Allucinazioni acustiche, visive, olfattive,
gustative, tattili e propriocettive
1.4.1.4.3 Comportamento di terapisti e non terapisti verso chi soffre di
allucinazioni
1.4.1.4.4 Allucinazioni e sogni
1.4.1.4.5 Allucinazioni religiose
1.4.1.4.6 Pseudoallucinazioni
1.4.2 Coscienza
1.4.2.1 Introduzione
1.4.2.1.1 Coscienza sveglia
1.4.2.1.2 Autocoscienza
1.4.2.2 Disturbi di coscienza sveglia
1.4.2.2.1 Disturbi quantitativi
1.4.2.2.1.1 Stordimento, sonnolenza
1.4.2.2.1.2 Sopor, coma, ipervigilanza
1.4.2.2.2 Disturbi qualitativi
1.4.2.2.2.1 Sindrome amenziale (confusione)
1.4.2.2.2.2 Sindrome delirante
1.4.2.2.2.3 Stati di trasognanza
1.4.2.3 Disturbi di autocoscienza
1.4.2.3.1 Disturbi di attività
1.4.2.3.2 Disturbi di integrità
1.4.2.3.3 Disturbi di identità o continuità
1.4.2.3.4 Depersonalizzazione
1.4.2.3.5 Disturbi di autonomia, espropriazione
1.4.3 Memoria
1.4.3.1 Introduzione
1.4.3.1.1 “Sedi” della memoria
1.4.3.1.2 Memoria, umore, affettività
1.4.3.1.3 Memoria, ricordo, esperienza
1.4.3.1.4 Riassunto delle definizioni
1.4.3.1.5 Disturbi della memoria
1.4.3.2 Disturbi mnemonici quantitativi
1.4.3.2.1 Ipermnesie
1.4.3.2.2 Disturbi quantitativi di memoria recente
1.4.3.2.2.1 Svanimento mnemonico
1.4.3.2.2.2 Psicosindrome amnestica
1.4.3.2.2.3 Confabulazione e perseveranza
1.4.3.2.3 Disturbi quantitativi di memoria remota, demenza
1.4.3.2.3.1 Amnesie
1.4.3.2.3.2 Amnesie retrograde
1.4.3.2.3.3 Agnosie
1.4.3.2.3.4 Amnesie emotive
1.4.3.2.3.5 Scostamenti/rimozioni
1.4.3.3 Disturbi mnemonici qualitativi
1.4.3.3.1 Distorsione mnemonica
1.4.3.3.2 Illusioni e allucinazioni mnemoniche
1.4.3.3.3 Pseudologia fantastica
1.4.3.4 Disturbi di riproducibilità mnemonica
1.4.4 Riflessione
1.4.4.1 Introduzione
1.4.4.1.1 Associazioni
1.4.4.1.2 Riflessione associativa
1.4.4.1.3 Riflessione orientata
1.4.4.1.4 Immaginazione
1.4.4.1.5 Pensieri e riflessioni
1.4.4.1.6 Parole
1.4.4.1.7 Pensieri astratti
1.4.4.1.8 Riflessione e lingua
1.4.4.1.9 Termini
1.4.4.1.10 Sintassi, logica, giudizio
1.4.4.1.11 Intelletto, esperienza
1.4.4.1.12 Riflessione inconscia
1.4.4.1.13 Valutazione del significato riflessivo
1.4.4.1.14 Riflessione creativa o produttiva
1.4.4.2 Disturbi riflessivi formali
1.4.4.2.1 Ruptus riflessivo
1.4.4.2.2 Privazione riflessiva
1.4.4.2.3 Riflessione appiccicante e vagante
1.4.4.2.4 Riflessione fuggente
1.4.4.2.5 Riflessione inibita
1.4.4.2.6 Riflessione stordita
1.4.4.2.7 Neologismi
1.4.4.2.8 Senso e nonsenso della riflessione schizofrenica
1.4.4.3 Disturbi riflessivi materiali
1.4.4.3.1 Idee di sopravvalutazione
1.4.4.3.2 Idee costrittive (fisse, coatte)
1.4.4.3.3 Dipendenze riflessive
1.4.4.3.4 Idee di vaneggiamento (paranoie)
1.4.5 Intelligenza
1.4.5.1 Introduzione
1.4.5.2 Oligofrenia (ipointelligenza)
1.4.5.2.1 Ereditaria, innata, acquisita
1.4.5.2.1.1 Debilità
1.4.5.2.1.3 Idiozia
1.4.5.2.2 Personalità oligofrenica
1.4.5.3 Demenza
1.4.5.3.1 Demenza organica e apparente
1.4.5.4 Iperintelligenza
2.0 Psicoterapie ortomolecolari
2.1 Strumenti di lavoro
2.1.1 Psicopatologie e integratori alimentari spesso scarsi
2.2 Procedura
2.3 Esempio di terapia
2.3.1 Lista di disturbi rilevati
2.3.2 Valutazione di sostanze coinvolte
3.0 Strumenti didattici per il seminario
3.1 Tavole psico-ortomolecolari
3.2 Modulo di esempio
1.0
Psicopatologia
BARZ, Helmut: Psychopathologie und ihre psychologischen Grundlagen, Verlag Hans Huber, Frauenfeld 1997
JASPERS, Karl: Allgemeine Psychopathologie, Berlin 1965
SCHNEIDER, Kurt: Klinische Psychopathologie, Stuttgart 1971
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La seguente psicopatologia è descrittiva e concentrata su funzioni coscientemente accessibili. Serve come
strumento terminologico senza il quale la riflessione e la comunicazione terapeutica diventano difficili. Come
modello ho usato il testo di Helmut Barz citato sopra che consiglio vivamente di studiare, perché offre un’ottima
introduzione ben leggibile anche per l’artigiano terapeutico. Il testo seguente è una sintesi.
Di seguito, la definizione di pochi termini che riappaiono spesso nel testo:
ipo-:
“sotto-, meno-, scarso-, poco-, …”
iper-: “sopra-, più-, esagerato-, troppo-, …”
eso-: “dall’esterno, …”
endo-: “dall’interno, …”
-geno: “proveniente, …”
psichico: che concerne la gestione personale accessibile alla coscienza
vegetativo: che concerne la gestione personale automatica “inconscia”
somatico: corporeo
Nevrosi: disturbo psichico causato da conflitti scostati di sviluppo biografico che provocano alterazioni
funzionali (non strutturali) di vissuto come problemi di:
- ansia, paure
- personalità
- conversione
- organi
- coazione
- depressioni
e che possono avere come conseguenze anche disturbi somatici.
Terapie (e medicazioni) sono necessarie solo se:
- la nevrosi non è integrabile psichicamente e relazionalmente,
- la sofferenza è notevole,
- persistono impedimenti oggettivi e
- la motivazione alla terapia da parte del colpito è forte.
Psicosi: disturbi psichici con alterazioni strutturali del vissuto distinti in:
• Psicosi organiche:
- Acuta reversibile: come sindrome amenziale, delirio, … post traumatiche, …
- Cronica irreversibile: di lesioni, infezioni, intossicazioni, altri processi riduttivi cerebrali o ormonali;
si esprimono nelle più variate forme di disturbi psichici delle diverse funzioni e loro combinazioni.
• Psicosi endogene (senza precisa cognizione di cause fisiologiche):
- Schizofrenica (scissione di funzioni mentali).
- Affettiva.
- Depressioni endogene.
- Manie.
- Depressioni-maniacali.
- Affettive/schizoidi.
• Psicosi atipiche (cicloidali).
• Psicosi sperimentali: provocate da sostanze o tecniche; normalmente reversibili (se non c’era una
disposizione latente).
Spesso i pazienti psicotici non si percepiscono “psichicamente ammalati”. Se c’è il rischio di un’autolesione o
sociolesione bisogna curarli forzatamente. Le terapie sono: trattamento della malattia base, eliminazione di
influssi danneggianti, psicoterapia, socioterapia e psicofarmaci.
I temi vengono trattati più o meno secondo il seguente modello:
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1.1
Funzioni “vegetative”
I temi trattati sono i seguenti:
1.1.1 Riflessi
1.1.2 Istinto
1.1.3 Pulsioni
1.1.1 Riflessi
Un riflesso è una reazione organica a uno stimolo (esterno o interno all’organismo) che non è
dominato dalla volontà e dalle funzioni mentali.
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La maggior parte delle funzioni corporee, procede alla perfezione secondo questi meccanismi
autoregolativi: per grande fortuna non dobbiamo preoccuparci dell’adattamento dei sistemi:
- respiratori,
- digestivi,
- circolatori e
- poco del funzionamento motorio e
- gestionale del corpo stesso.
La costruzione anatomica e il funzionamento fisiologico ci liberano di questo compito enormemente
complesso e se ci sono problemi a questi livelli, se ne occupano “scientificamente” l’anatomista, il
fisiologo, il neurologo, l’endocrinologo e tanti altri dottori.
Non è strano che nella nostra cultura annoiata non manchino i tentativi di infilarsi “volutamente”
anche in questo settore (invece di assolvere i compiti che non spettano all’organismo) come lo
dimostrano certe “terapie” respiratorie, nutrizionali, meditative, sportive e alcuni addestramenti
ideologici nonché innumerevoli cerchi esoterici. Essi non hanno tutti i torti nel cercare i miracoli
della vita in questo settore, il peccato è che la loro ignoranza in merito è proporzionale alle loro
credenze magiche che tentano di vendere come “spirituali”.
Il motivo è forse che tracce di molti di questi processi le percepiamo coscientemente come affetti,
emozioni, sentimenti oppure come reazioni fisiche come ad es. il rossore, il pallore, le lacrime, il
tremolio o il sudore: tutti riflessi vegetativi ingegnosi che possono essere interpretati benissimo
come “magici” da chi non si sente di studiarli.
Certi riflessi non sono innati, ma frutto di esercizio, addestramento, abitudine. Si chiamano riflessi
relativi o condizionati. Tante abilità umane si basano su questa capacità come p.es. quelle militari,
sportive, artigianali, artistiche, …
È abbastanza sorprendente che sia la psicologia sia la psicopatologia rimangano quasi mute
davanti ai riflessi condizionati. Invece una buona parte della nostra cultura, della quale tanto ci
vantiamo, è impensabile senza la “bravura riflessiva operativa”, sia anche solo quella di saper
scrivere (a mano o a macchina). Questo aspetto sembra meno nobile di quello dell’“effervescenza”
mentale, ma si tratta solo di pigrizia operativa.
1.1.1.1 Disturbi dei riflessi
1.1.1.1 Disturbi dei riflessi
I disturbi dei riflessi organici sono importantissimi in neurologia per la diagnostica di disturbi
nervosi. In psicopatologia sono tralasciati, chissà per quale motivo.
Lo stesso vale per i riflessi e gli automatismi complessi e condizionati (per lo più risultato di
allenamento, addestramento, esercizio e disciplina) che sarebbero la base di patologie e
terapie comportamentistiche: praticamente non appaiono in letteratura. In psicologia si
notano i disturbi dei riflessi spesso negli oligofrenici (ipointelligenza L), ogni tanto anche in
persone “normali” con una relativa disposizione “reattiva”.
A volte si legge del “riflesso del finto morto” e di “panico” come reazione a un supposto
pericolo esistenziale, ma questi non sono patologici, bensì reazioni sensate spontanee e
automatiche.
1.1.2 Istinto
Lo studio dell’istinto è curato soprattutto in zoologia e in veterinaria.
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Sono detti istinti i modi di comportamento ereditati (che non devono essere appresi), consistenti in
sequenze di mosse riflessive, il cui scopo, normalmente è la conservazione dell’esistenza del
singolo o della specie. I comportamenti istintivi possono essere percepiti dalla coscienza, ma non
sono controllati da essa; succedono automaticamente. Non sono però fissi, ma adattati alla
situazione recente: singole mosse istintive sono determinate, l’attività istintiva è variabile e
adattabile.
Negli animali, diversi comportamenti istintivi sembrano “reattivi” a stimoli esterni, p.es. fuggire o
attaccare, mordere, cacciar via, minacciare, mangiare, bere, defecare, urinare, corteggiare,
copulare, fare un nido, covare, delimitare il territorio, … . Queste attività si chiamano attività
istintive finalizzate.
In tante altre occasioni il comportamento istintivo è invece controllato da fattori interni (ormoni,
umori, affetti, stati d’animo, pulsioni) in modo che all’osservatore appare come “attività autonoma”.
In queste occasioni notiamo un comportamento (istintivo) di “appetenza” che “prepara” o cerca, o
crea le condizioni o aspetta semplicemente in un posto e in un momento ben scelto che
“l’occasione accada” (appostare) per un’attività finalizzata. In pratica sono attività come la ricerca
del cibo o dell’acqua, di un posto per defecare o per urinare adatto, un compagno, un branco, un
territorio non occupato o da conquistare, un posto per dormire o riposare, …
In mancanza di stimoli esterni “reali” certe attività istintive possono essere eseguite “a vuoto” come
lo descrive Konrad LORENZ. Nel gioco infantile presso gli animali si notano inizialmente degli
allenamenti ad attività istintive, più tardi (in animali più evoluti) però anche esercizi di
apprendimento per delle attività che non sono geneticamente tramandate e quindi non istintive.
L’osservazione degli animali ci può insegnare tanto sui comportamenti istintivi, sia finalizzati, sia di
appetenza, sia di esercizio, di allenamento e di perfezionamento di questi ultimi, come anche nel
gioco e l’apprendimento di capacità non geneticamente definite.
Basta non arrivare a conclusioni azzardate o postulare analogie ridicole: si sentono spesso
generalizzazioni del tipo: “gli animali …”, scoprendo che si intende il cane, che è un mammifero
domestico il cui comportamento si distingue notevolmente già da quello di gatto, criceto, canarino,
pesciolino (anche domestici), da mucche, maiali, galline, ovini, api che sono animali di
allevamento, da volpi, topi, ratti che sono parassiti di civilizzazione umana, da civette, squali,
lombrichi, rane, insetti e coccodrilli che sono animali “selvatici”.
Al contrario, riflessioni caute e comparative potrebbero rivelare molto sui nessi tra i riflessi, gli
istinti, le pulsioni, le emozioni e sull’apprendimento (che richiede almeno una certa capacità di
memorizzazione e di cognizione). E fin lì ci arriva anche un lombrico, anche se per dei criteri umani
in misura estremamente limitata. Fino a che punto ci arrivi poi un corvo, un delfino, un gatto a
riflettere (trarre delle conclusioni) o in che modo è intelligente nel senso di una riflessione scusata,
dell’agire con uno scopo previsionale e interagire nel proprio interesse con l’ambiente naturale e
sociale è più questione di definizione che di fatto.
1.1.2.1 Disturbi dell’istinto
1.1.2.1 Disturbi dell’istinto
Se negli animali i disturbi nella sfera dell’istinto vengono studiati meticolosamente,
nell’uomo la psicopatologia non li prende nemmeno in considerazione: eppure non sono
meno importanti che per gli animali!.
Ogni tanto si legge di “reazioni primitive” come “furore omicida”, “incapacità momentanea
di connessione”, “reazioni esplosive”, … Parecchie cosiddette “manie aberrate” potrebbero
anche essere chiamate disturbi dell’istinto.
La delimitazione di istinto e pulsione è sofisticata e spesso non molto chiara. È
storicamente da capire, quando Freud ha fatto i primi tentativi di “ricondurre” delle “coltivate
mosse umane” a delle “esigenze vitali”.
1.1.3 Pulsioni
Il termine è un po’ ricercato. In tedesco si usa la parola “Trieb” che proviene da “spingere, balzare,
azionare, comandare, far girare, menare, condurre, istigare, …” È usato dopo Freud con un
significato che si distingue da “istinto”.
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Vengono trattati i seguenti temi:
1.1.3.1 Introduzione
1.1.3.2 Disturbi delle pulsioni
1.1.3.1 Introduzione
La definizione non è molto chiara, si tratta di una sensazione psichica che mira a una
soddisfazione, un impulso, un incentivo a determinati comportamenti. Finché non appare
nel cosciente è “latente”, come un potenziale ancorato nell’organismo. La psicologia
analitica (del profondo) ci insegna che queste forze “inconscie e latenti” occupano un ruolo
centrale nella motivazione e nello scatto di certe mosse. In questo contesto ci limitiamo al
caso in cui dal latente diventa concreto in forma di impulso indirizzato.
Questo “impulso” lo sentiamo inizialmente come stato ancora indefinito di “carica”,
irrequietudine, insoddisfazione, che cerca di scaricarsi, pacificarsi, soddisfarsi ma che non
è ancora direzionato o mirato a un determinato obiettivo, non sa ancora cosa vuole o cosa
manca. Con questo sono coinvolti due rami:
- L’affettività inizialmente in forme di irrequietudine, nostalgia, desiderio e voglia che si
evolve dall’impulso non ancora indirizzato.
- L’incentivo (spinta, motivazione) come potenziale energetico ipotetico a disposizione della
persona, dal quale nasce poi ogni dinamica sia organica che psichica.
Si ipotizza, che questo impulso nasca da “diversi fabbisogni” dell’organismo che si
manifestano in caso di mancanza, come appetito, brama, desiderio, voglia, bisogno,
necessità emotiva. Quando è manifesto è senz’altro un fenomeno psichico, la sua origine
però è sicuramente altrettanto organica. Una deficienza corporea che si esprime
emotivamente.
L’organismo, per funzionare, necessita di tanti ingredienti: ossigeno, acqua, cibo, sonno,
una temperatura gradevole, movimenti e tant’altro. Se il corpo non se li può procurare
autonomamente, ce li segnala come bisogni e questa percezione ci rende irrequieti e
impulsivi.
Se l”impulso latente” raggiunge un indirizzo, un obiettivo, un traguardo, si può parlare di una
“pulsione”, la pulsione di soddisfare o pacificare “l’impulso indirizzato”.
Dalla realizzazione di questa “pulsione” siamo però ben lontani, occorrono ancora:
- L’incentivo (spinta, motivazione) come capacità energetica fisica e psichica.
- “Il volere” come capacità decisionale di:
- scegliere tra diverse possibilità o diverse pulsioni eventualmente
contrastanti o concorrenti;
- subire le conseguenze e gli effetti collaterali o indesiderati prevedibili o temuti.
- Gli strumenti, “tempo e materiale” per la realizzazione (rispettivamente in un primo tempo
la loro valutazione).
Nella pratica è spesso difficile distinguere le “pulsioni” dai “sentimenti” e dagli “intenti”
perché i due ultimi sono ancora parzialmente accessibili alla coscienza, le pulsioni invece
sono “costrutti deduttivi funzionali”, indispensabili per riflettere il funzionamento psichico,
osservabili tramite le manifestazioni di sentimenti e intenti, che forse corrispondono anche
a una realtà materiale.
In questo senso Vengono trattati i seguenti temi:
1.1.3.1.1 Dal fabbisogno umano alla realizzazione di un impulso
1.1.3.1.2 Classificazione delle pulsioni
1.1.3.1.3 Gerarchia delle pulsioni
1.1.3.1.4 Pulsioni nel contesto psicologico
1.1.3.1.1 Dal fabbisogno umano alla realizzazione di un impulso
La seguente scala tenta di illustrare le tappe di un relativo processo in un
esempio “ridicolizzante” (perché molto civilizzato).
Origine
Elaborazione
realizzazione
fabbisogno di
gratificazione &
il mio capo mi
critica
? ^ <=
Trasformazione
“ragionata”
“pulsione”
“inconscio”
“cosciente”
mi sento frustrato
& cerco
soddisfazione
=>
<=
emotiva/
dispositiva/operativa:
più
voglio intraprendere
qualcosa & mi
sento & lo “voglio”
=> & lo posso: cosa?
<=
<=
o
meno
“cosciente”
vado a bere
un caffè al distributore
automatico
=>
fabbisogno organico
& relativa
deficienza
?=> bisogno organico:
?^
impulso latente, espresso come:
^
irrequietudine, malavoglia
^
& indirizzo, obiettivo, mira ?=> impulso indirizzato,
“pulsione”:
^
richiesta, desiderio
^
bisogno, brama, voglia,
^
nostalgia, …
^
& incentivo
& “volere”, intento
& “tempo, materiale”
?=> “soddisfazione”
^
(dell’impulso indirizzato)
^ <=
<=
<=
<=
L’esempio dimostra quanto può essere distante alla fine la pacificazione di una
frustrazione:
- Andare (fuga) a.
- Bere il caffè (soddisfazione olfattiva e gustativa aromatica, amara, dolce) con
esito di.
- Stimolo neurovegetativo ramo simpatico (alerte, incentivo) di un fabbisogno
(rispetto sociale) e stimolo avverso (critica).
Una mossa più diretta sarebbe quella di prendere a botte il capo o di assentarsi
definitivamente (attacco o fuga). Tutte e due inibite in questo momento per altre
pulsioni (esigenze sociali) e meccanismi decisionali inconsci (intento:
previsione di effetti indesiderati), le possibilità momentanee esterne (“tempo e
materiale”: 5 minuti, -.60 centesimi) e la “spinta” momentanea interna: qualcosa
posso fare (incentivo).
Fino a che punto questo comportamento (di compensazione) pacifichi poi la
frustrazione e per quanto tempo è un’altra questione.
Si noti anche che in pratica ci sarebbero tantissime altre possibilità di reazione
come p.es. accendersi una sigaretta, rispondere male, litigare, tentare di
convincerlo che ha torto, farlo ridere o aizzarlo con una battuta, ignorarlo,
lusingarlo o adularlo, fantasticare o pianificare delle misure di vendetta, sentirsi
in colpa, vergognarsi, incavolarsi, … o cose simili.
Si noti anche che in pratica disponiamo tutti di un ricco fondo di automatismi e
stereotipi reattivi, alcuni diventati persino rituali reattivi che:
- Da una parte sono economici perché ci evitano di rimuginare sempre le
“stesse menate” e ci permettono di concentrarci su un’opera più importante.
- Dall’altra ci fanno reagire spesso al di sotto delle nostre capacità inventive,
creative, ingegnose e ci mantengono in eterni circoli viziosi di stupidi
giochetti.
È una caratteristica di persone con una forte spinta “maniacale” disporre di
pochi stereotipi del genere e sprecare la loro inventiva in una miriade di futilità,
come è caratteristico di persone con poca spinta e “depressive” economizzarla
al punto che diventa loro impossibile liberarsene.
1.1.3.1.2 Classificazione delle pulsioni
Molteplici i tentativi di raggruppare le pulsioni p.es. in:
- Sopravvivenza o auto conservazione (respiro, fame, sete, riparo, sonno).
- Conservazione della specie (sessualità, cura della nidiata, relazioni) e di
classificare altri bisogni come derivati da questi. Famose la proposta e le
ipotesi di Freud di interpretare i bisogni culturali come “sublimazione” della
sessualità.
Innumerevoli le proposte di classificazione delle “pulsioni” nella letteratura
psicologica e scarsissimo il trattamento nella psicopatologia con l’eccezione di
SZONDI, L.: Triebpathologie, Bern/Stuttgart 1952. Di seguito mi limito quindi ad
elencare una scelta di “bisogni” dell’essere umano che sono empiricamente
constatabili, ordinati in:
- Vitali e organici che riguardano piuttosto l’individuo.
- Sociali e gerarchici che riguardano piuttosto l’integrazione sociale
dell’individuo.
- Relazionali e affettivi bilaterali che normalmente sono raggruppati sotto
“sociali” il che crea notevoli problemi terapeutici; per questo motivo li separo.
- Culturali e mentali che sembrano esclusivi per la specie umana e possono
riferirsi a degli oggetti individuali, relazionali o sociali, spesso tutti e tre in
modo indistinto.
1.1.3.1.2.1 Bisogni e comportamenti vitali e organici
1.1.3.1.2.2 Bisogni e comportamenti sociali e gerarchici
1.1.3.1.2.3 Bisogni e comportamenti relazionali e affettivi
1.1.3.1.2.4 Bisogni e comportamenti culturali e mentali
1.1.3.1.2.1 Bisogni e comportamenti vitali e organici
- Primari:
respiro, sete, fame, riparo, sonno, …
- Funzionali: covata, cura per la nidiata, …
Sicurezza, autonomia, individualità, appartenenza.
Movimento, gioco, sessualità.
Aggressività, alleanza, difesa, disinvoltura, fuga, …
Tenerezza, autoerotismo, privazione, …
Passionalità, curiosità, entusiasmo, ignoranza, …
Relativi all’“appetenza” p.es. “cercare la lite” per
poter liberarsi dell’aggressività, …
…
1.1.3.1.2.2
Bisogni e comportamenti sociali e gerarchici
(per non dover lavorare)
- Vanità, civetteria, gelosia, …
- Rango, reputazione, ambizione, competizione,
concorrenza, invidia, …
- Potere, potenza, dominio, posizione, ruolo, avidità di dominio, …
- Distinzione, solidarietà, alleanza, ignoranza, …
- Sessualità sociale, violenza, stupro, …
- Rappresaglia, vendetta, ritorsione, …
- Proprietà, avidità, avarizia, spilorceria, …
- Vendetta, ritorsione, ricatto, …
- Relativi all’“appetenza” p.es. creare condizioni di
competizione favorevoli, …
-…
1.1.3.1.2.3 Bisogni e comportamenti relazionali e affettivi
- Cura per la nidiata
- Civetteria, gelosia, …
- Coccole, tenerezza, dedizione, …
- Simpatia, antipatia, empatia, competizione, …
- Innamoramento, erotismo, …
- Distanziamento, amalgamento, rispetto, …
- Erotismo, sessualità relazionale, …
- Comprensione, distrazione, sfogo, …
- Convivenza, intesa, separazione, contrasto, …
- Amicizia, inimicizia, …
- Relativi all’“appetenza” p.es. corteggiamento, …
-…
1.1.3.1.2.4
Bisogni e comportamenti culturali e mentali
(per il gusto di attività vitali, di intento, emotive, mentali)
- Arte, artigianato, professione, mestiere.
- Sapere, conoscenza, sapienza, scienza.
- Conoscenza, riconoscimento.
- Dovere, coscienza, responsabilità, …
- Giustizia, solidarietà, etica, morale.
- Spiritualità, religiosità, “santità”, “purezza”, “umiltà”, …
- Relativi all’“appetenza” p.es. proselitismo, propaganda, …
-…
1.1.3.1.3 Gerarchia di pulsioni
Dei tentativi esplorativi per determinare una “gerarchia di pulsioni” (negli
animali) hanno dato come risultato, considerando le pulsioni vitali:
respiro
=>
cura per la nidiata =>
bevande =>
nutrimento =>
sessualità => …
1.1.3.1.4 Pulsioni nel contesto psicologico
Come scrisse FREUD (1932): “Die Trieblehre ist sozusagen unsere Mythologie.
Die Triebe sind mythische Wesen, grossartig in ihrer Unbestimmtheit. Wir
können in unserer Arbeit keinen Augenblick von ihnen absehen und sind dabei
nie sicher, sie scharf zu sehen”.
“La dottrina delle pulsioni è per così dire la nostra mitologia. Le passioni sono
esseri mitici, imponenti nella loro indeterminazione. Nel nostro lavoro non
dobbiamo perderli d’occhio neanche un momento e facendolo non siamo mai
certi di focalizzarli”.
1.1.3.2 Disturbi delle pulsioni
I disturbi delle pulsioni nella psicologia sono ritenuti la maggiore causa di nevrosi.
Come sintomi accompagnanti figurano:
- In molte malattie organiche (psicosomatiche).
- Nelle psicosi endogene (forse anche come causa collaterale).
Vengono trattati i seguenti temi:
1.1.3.2.1 Disturbi delle pulsioni sessuali
1.1.3.2.2 Disturbi dell’istinto di conservazione
1.1.3.2.3 “Manie aberrate”, attività coatte
1.1.3.2.4 Tossicodipendenze, attività, riflessioni e affetti coatti
1.1.3.2.1 Disturbi delle pulsioni sessuali
I disturbi delle pulsioni sessuali sono definiti “perversioni sessuali”. Questo
giudizio dipende in gran parte da norme e convenzioni culturali, religiose e
politiche nonché dalla morale e dalla bigotteria del singolo; in un contesto
psicologico conviene quindi rimanere molto cauti nell’esprimere simili verdetti.
Nella psicopatologia si ritiene “qualitativamente aberrante” un comportamento
sessuale che:
- danneggia o crea sofferenza al “compagno” (criterio etico)
- devia tanto della “variazione concessa”, che una grandissima maggioranza
sociale lo percepisce come rarità “ammalata” non più immedesimabile
(criterio morale-sociale).
Non sarà possibile trovare una misura “quantitativamente normale” di
sessualità, benché certe aberrazioni, sia verso “l’eccessivo” (satirismo,
ninfomania) sia verso la “deficienza” (disinteresse sessuale), siano ritenute
aberranti. In concomitanza con altre variazioni di personalità possono diventare
motivo per uno sviluppo sessuale verso la perversità qualitativa.
I disturbi funzionali sessuali come la difficoltà d’orgasmo, l’eiaculazione
precoce, l’impotenza, sono molto raramente dei disturbi di pulsione, ma sono
frequentemente delle altre inibizioni psichiche (spesso create da strane norme
di illuministi popolari) oppure disturbi fisiologici o anatomici.
Anche le attitudini sessuali che non danneggiano e non creano
apparentemente danno o sofferenza, ma sono determinate soprattutto da
relazioni di ruolo, rango o dominio non sono “perverse” nel senso “psicologico”,
ma secondo il mio parere da sanzionare socialmente, perchè ledono un alto
valore per il funzionamento di una società civilizzata: la protezione del più
debole dal despotismo del più forte.
Esiste una ricca letteratura in merito, così mi astengo da ulteriori commenti.
1.1.3.2.2 Disturbi dell’istinto di conservazione
Sotto “istinto di conservazione” si raggruppano di solito tutte le pulsioni di
genere primario o vitale.
Vengono trattati i seguenti temi:
1.1.3.2.2.1 Lasciarsi morire e suicidio
1.1.3.2.2.2 Anoressia e bulimia
1.1.3.2.2.3 Autolesione
1.1.3.2.2.1 Lasciarsi morire e suicidio
In pazienti gravemente depressi manca l’incentivo al punto tale che
senza assistenza si lasciano morire di sete, fame, soffocamento,
gelo, non fuggono nemmeno dai pericoli e non si difendono contro gli
attacchi.
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Anche un paziente moribondo si può lasciar morire
rifiutando bevande e cibo. Questo non è necessariamente una
mancanza di incentivo ma può essere una decisione, oltre che lecita,
anche “nobile” per via della motivazione a monte.
Un po’ diverso è il caso di una persona fortemente depressa, alla
quale appare per un momento la morte meno penosa della vita e le
rimane sufficiente incentivo per metterla anche in atto e suicidarsi
attivamente.
Si può classificare questo atteggiamento come:
- Mancanza d’istinto di conservazione.
- Mancanza della motivazione di vivere.
- Cedimento alla pulsione della morte (postulato da Freud), ma rimane
un giudizio puramente ipotetico davanti al fatto.
1.1.3.2.2.2 Anoressia e bulimia
Sono evidentemente dei disturbi di nutrizione con degli effetti gravi
sull’istinto di autoconservazione.
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Certi psicologi li riconducono a disturbi sessuali (riconducono tutto a
disturbi sessuali, conclusione zero!) oppure ad ambivalenze
insuperabili di pulsioni sociali/relazionali con altre vitali.
1.1.3.2.2.3 Autolesione
Si ritiene che la pulsione di aggressione per l’ambivalenza di pulsioni
culturali può essere diretta verso sé stessi.
Questo atteggiamento si trova qualche volta in oligofrenici
(ipointelligenti) e psicotici ed è ben diverso dai tentativi di suicidio.
1.1.3.2.3 “Manie aberrate”, attività coatte
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Con questo termine si designano delle “passioni” che una volta si chiamavano
“monomanie” che accompagnano ogni tanto delle nevrosi, ma anche delle
lesioni celebrali, dei disturbi ormonali o la schizofrenia come:
- Manie di pulizia (legate a criteri igienici).
- Manie di eleganza (legate al narcisismo).
- Poriomania: vagabondaggio senza piano e scopo.
- Dipsomania: bevitori periodici.
- Piromania: appiccare il fuoco nell’altrui proprietà.
- Cleptomania: rubare (come una gazza ladra) senza necessità o avarizia.
- ...
1.1.3.2.4 Tossicodipendenze e attività/riflessioni coatte
Ci sono sostanze che rendono dipendenti come:
- Alcool.
- Tabacco.
- Altre sostanze naturali come oppiacei, cocaina.
- Diverse sostanze sintetiche come certi medicamenti.
Dopo aver somministrato una certa quantità di queste sostanze per un certo
periodo di tempo, pare che si crei nell’organismo un “fabbisogno secondario”
simile ai fabbisogni di bevande e nutrizione. La loro soddisfazione per un
tossicodipendente diventa della stessa importanza come la soddisfazione di
pulsioni vitali, e per questo motivo è anche enormemente difficile staccarsene.
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Le sostanze che rendendo tossicodipendenti si distinguono per la “dose di
iniziazione” che per l’alcool supera una tonnellata (corrispondente a ca. 10’000
litri di vino o 20’000 litri di birra o 3’000 litri di grappa) mentre per le altre
sostanze come gli oppiacei bastano pochi grammi.
Parlando di dipendenza, le dosi per arrivare all’assuefazione devono essere
aumentate e le distanze tra le loro somministrazioni diventare brevi.
Raggiungere la soddisfazione diventa un processo autonomo, isolandosi da
altri desideri personali, si distacca come qualcosa di “estraneo” e diventa
un’idea e attività coatta, dominante su tutto e insaziabile.
Qualsiasi disturbo di pulsione può raggiungere dei livelli di dipendenza,
diventando passione coatta:
- Pulsioni sessuali aberrate.
- Tossicodipendenze di ogni genere.
- Anoressia, bulimia, poriomania, dipsomania, piromania, cleptomania, …
- …
1.2
Sentimenti
I sentimenti sono opposti alle funzioni mentali, specie alla riflessione. Si tratta di “costrutti psichici”
processuali (al di là della riflessione) tra me e un dato di fatto o una pulsione, il quale abbina al dato di
fatto un valore:
- Di accettazione (piacere) o di negazione (disagio).
- Sul fondo di uno “stato d’animo” (indipendente dal momentaneo affetto o cognizione) che si può riferire
a cognizioni remote o sorgere da contenuti inconsci.
Se coscienza, cognizione, memoria, riflessione e intelligenza si evolvono in particolare nella corteccia
cerebrale, l’affettività trova il suo substrato biologico soprattutto nel sistema limbico cerebrale in stretta
collaborazione non solo con le funzioni corticali, ma altrettanto con la grande massa cerebrale vegetativa
alla quale abbiamo accesso solo (percezione e cognizione cosciente) tramite delle pulsioni, degli istinti,
dei riflessi e la “volontà/testardaggine”.
Vengono trattati i seguenti temi:
1.2.1 Introduzione
1.2.2 Disturbi sentimentali quantitativi
1.2.3 Disturbi sentimentali qualitativi
1.2.4 Disturbi regolativi dell’affettività
1.2.1 Introduzione
I sentimenti vicini alle sensazioni sono abbastanza determinabili secondo la loro provenienza
(esogena) e in parte anche provocabili, mentre andando oltre e includendo anche gli “stati
d’animo” sia la loro provenienza che la loro influenzabilità volontaria diventano precari. Pare che le
loro fonti siano per lo più situate negli strati inconsci (endogeni).
Vengono trattati i seguenti temi:
1.2.1.1 Classificazioni dei sentimenti
1.2.1.2 Affetti, emozioni e sentimenti, stati d’animo
1.2.1.3 Stati d’animo, disposizioni di spirito, umori, tendenze e inclinazioni umorali
1.2.1.1 Classificazioni di sentimenti
Affetti, emozioni, sentimenti, stati d’animo sono classificati in diversi modi:
• Secondo certi autori in tre tipi di criteri contrastanti:
- Piacere e disagio.
- Eccitanti e sedativi.
- Costrittivi e liberatori.
• Altri autori classificano secondo la loro “profondità” in:
- Localizzabili sensoriamente come, dolore, desiderio, …;
equivalenti alle percezioni.
- Vitali come stanchezza, esaurimento, freschezza, …;
sentimenti dell’organismo integrale.
- “Psichici” come amore, odio, ansia, tristezza, …;
qualità esistenziali dell’ego.
- “Trascendentali” come estasi, beatitudine, disperazione, …;
stati esistenziali dell’ego.
• Simile, ma più dettagliata è la classificazione dei sentimenti:
- Determinati da sensazioni come dolore, desiderio, gusto, odore,
freddezza, calore, ...
- Determinati da pulsioni:
- Vitali come, soddisfazione e frustrazione di pulsioni, paura, ansia, orrore, panico, …
- Sociali/relazionali come invidia, gelosia, …
- Determinati da “interessi personali”, includendo una “presa di posizione”:
- Religiosi.
- Etici e morali.
- Estetici.
- Logici.
- Di simpatia, antipatia, empatia.
- Di giustizia, tatto e buoni costumi.
- Individuali secondari (o privati) che dipendono da complessi di
sentimenti sovracitati come gioia, lutto, disperazione, afflizione, ...
Personalmente e per scopi terapeutici classifico in modo “semplicistico” i sentimenti in:
- Piacevoli e spiacevoli contrapposti a indifferenti (criterio di “Es” o “Battista”).
- Giusti e ingiusti contrapposti a “non m’importa” (criterio di “Ueber-Ich o “Vaticano”).
- Utili e futili contrapposti a “non m’interessa” (criterio di “Ich” o “Io”).
Spesso si scoprono così notevoli squilibri psichici in quanto:
- Soggetti con tendenze “inquisitorie”, che valutano tutto secondo il giusto-l’ingiusto, non si
chiedono mai se è piacevole o a che cosa serve. Se non diventano farisei, sono colpiti
dai sensi di colpa:
- Soggetti con tendenze “animalesche” che dividono il sentimento in piacevole-spiacevole
con nessun altro interesse e senza scrupoli: soffrono di solito di isolazione sociale se non
diventano cinici guru, predicando l’acqua e bevendo il vino.
- Soggetti con tendenze “utilitaristiche” che perseguono esclusivamente interessi personali
a ogni costo, anche se auto- e sociolesionistici, soffrono di avversioni relazionali, se non
trovano dei compagni “vittime”.
Fortunatamente incontro raramente “prototipi” di simili tendenze;
più spesso invece “combinazioni” come:
- Inquisitorio-animalesco con deficienze “culturali”.
- Inquisitorio-utilitaristico con deficienze “vitali”.
- Animalesco-utilitaristico con deficienze “sociali”.
Tutti e tre con coloratissime sfumature psichiche personali.
Non tra i pazienti, ma tra i conoscenti, amici, compagni, la maggior parte è dotata di un ben
vivibile controllo “di interessi personali” sulle loro tendenze sia “animalistiche-biologiche”
che “inquisitorie-sociali”, senza che uno dei tre prevalga troppo, a lungo andare e
conseguentemente.
1.2.1.2 Affetti, emozioni e sentimenti, stati d’animo
In psicologia si distinguono dei percorsi sentimentali secondo la loro intensità e durata:
- “Affetti” come sentimenti intensi ma poco duraturi: ira, rabbia, entusiasmo, paura, gioia,
spavento, sdegno che trovano una loro espressione più o meno articolata secondo i
costumi culturali e le abitudini comportamentali dell’individuo. Il coinvolgimento affettivo
di un tifoso di calcio può essere spiccato senza che lo tocchi emotivamente un granché o
per un tempo lungo.
- “Emozioni e sentimenti” come affetti meno “violenti”, ma più duraturi e profondi: un film
con affetto-provocante può suscitare sentimenti meno affettivi, però emozioni complicate
del tipo della compassione impotente, l’ambivalenza non finalizzata, la rassegnazione
rinunciante che commuove.
Sia affetti che emozioni sono reazioni a eventi o pensieri precisi e hanno quindi un preciso
inizio, raggiungono un culmine e si perdono poi più o meno lentamente.
- “Stato d’animo, disposizione di spirito, umore”, al contrario di affetti e emozioni, spesso
non lasciano riconoscere un chiaro motivo: possono durare anche a lungo e possono
essere di intensità da debole a fortissima. Normalmente sono i fenomeni di un retroscena
psichico, poco cosciente, che danno un timbro particolare ad affetti ed emozioni.
1.2.1.3 Stati d’animo, disposizione di spirito, umori, tendenze e inclinazioni umorali
La “disposizione di spirito” media è individuale e fa parte dell’identità di una persona: la
poco incentiva, riservata e un po’ fredda disposizione di spirito di un “flemmatico” per un
tipo sanguigno sarebbe già leggermente “depressiva”, come la “smisurata ilarità
ipomaniaca” di una signora anziana può essere la disposizione quotidiana di una ragazza.
Lo stato d’animo varia entro certi limiti per rispettare delle condizioni fisiologiche: da attività
allegra a sottomissione, da aggressione rivendicativa, a erotica o pigra distrazione. Sono
poco durature e tornano sempre alla disposizione di spirito base individuale. Anche il
malumore dopo una frustrazione o il lutto dopo un decesso si distinguono dalle emozioni
solo perché sono più duraturi e coinvolgono maggiormente la vita psichica.
Spesso invece gli umori e gli stati d’animo sembrano senza motivo, attacchi o lente
invasioni. Li viviamo come estranei: determinano il nostro pensiero e le nostre mosse e
non siamo ben capaci di modificarli volontariamente. Il fatto ci insegna che non solo eventi
esterni e processi coscienti determinano i nostri umori e stati d’animo, ma spesso dei
meccanismi inconsci sia corticali che limbici o vegetativi.
1.2.2 Disturbi sentimentali quantitativi
I disturbi quantitativi di sentimento si trovano in una zona grigia tra normale e patologico come lo
illustrano gli esempi citati prima.
Vengono trattati i seguenti temi:
1.2.2.1 Ipoaffettività apparente
1.2.2.2 Ipoaffettività costituzionale
1.2.2.3 Ipersensibilità
1.2.2.4 Ipertimia (iperaffettività)
1.2.2.5 Sentimentalità
1.2.2.1 Ipoaffettività apparente
(per scostamento/rimozione)
Non esiste “una quantità normale” di sentimento. Persone diverse in età diverse e culture
diverse hanno le loro caratteristiche sentimentali. Da considerare anche che la valutazione
dell’affettività del prossimo dipende essenzialmente dalla propria e dai nostri riferimenti
ideali in merito.
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Non sono rare le persone che si lamentano della propria deficienza sentimentale: spesso si
tratta in questi casi di paure nevrotiche del sentimento, determinate dal vissuto e
dall’inconscio del colpito:
- Lo sviluppo dell’affetto è un processo delicato e facilmente disturbabile.
- La nostra cultura e i metodi educativi sanzionano spesso le espressioni, la formazione e
la manutenzione dei sentimenti, mentre privilegiano l’aspetto razionale.
Non c’è da meravigliarsi che questo porti il colpito ad aver paura e a detestare i sentimenti,
fino a scostarli/rimuoverli. Questo, infine, diventa un impoverimento della cultura
sentimentale (e non una deficienza dell’affetto stesso). Tutto ciò viene percepito sia dal
colpito che dai suoi vicini in modo disturbante.
1.2.2.2 Ipoaffettività costituzionale
Pare che analogamente alle differenze di intelligenza esista anche un’ ipoaffettività
costituzionale. Conosciamo tutti delle persone povere di sentimenti, con poca
compassione, pudore, onore, vergogna, pentimento e prive di coscienza, bisogna
considerare se :
- si tratta di una vera deficienza o
- di un atteggiamento iperrazionale e
- dove sia il limite tra il patologico e il socialmente accettabile.
Ciò è difficile da stabilire; anche perché la nostra cultura “bigotta” giudica da una parte le
proprietà iperrazionali come “amorali” ma d’altra parte le premia materialmente.
1.2.2.3 Ipersensibilità
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Significa una spiccata reazione emotiva a eventi e impressioni in misura tale che il colpito
ne soffre. Se è “patologica” ciò dipende dalle altre capacità del colpito: se esso non
dispone di altre qualità, diventa senz’altro miseria e impedimento e perciò patologica. Se
riesce bene a sfruttarla e integrarla, può essere una fonte di creatività.
1.2.2.4 Ipertimia (iperaffettività)
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All’ipersensibilità si aggiunge un esagerato bisogno di affetto. Ci sono delle espressioni
emozionate, litigiose, “indisciplinate”, come di serena un pò superficiale inclinazione a
relazioni senza impegno. Quando e in che misura diventa patologico è più una definizione
di norme relazionali che di sofferenza del colpito; conosciamo tutti delle persone
“appiccicose” e da bambini lo siamo stati forse anche noi e lo siamo ancora talvolta in
situazioni in cui ci necessita il sostegno del compagno o del branco. Spesso è anche una
forma di “corteggiamento a vuoto”.
1.2.2.5 Sentimentalità
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Gli attacchi sentimentali fanno parte della vita emotiva anche di persone psichicamente
sane. Diverse sono le persone cronicamente sentimentali, innamorate della loro sensibilità,
che si esprimono in forme più o meno sdolcinate e leziose: spesso, questo atteggiamento
non è tanto innocuo, ma piuttosto la maschera o il retro di una medaglia di brutalità
paurosa.
1.2.3 Disturbi sentimentali qualitativi
I disturbi qualitativi dei sentimenti sono ritenuti di solito alterazioni patologiche se superano certi
limiti.
Vengono trattati i seguenti temi:
1.2.3.1 Sindrome depressiva
1.2.3.2 Sindrome maniacale
1.2.3.1 Sindrome depressiva
Depressione, questo termine tecnico psicologico è diventato in lingua parlata un sinonimo
di “tristezza”, forse un tentativo di “patologizzare” un ingrediente scomodo, ma
indispensabile per un sano funzionamento psichico, rendendolo così un fenomeno da
evitare o da curare. Tanto più che, in fasi di tristezza, ci serve un amico e visto che
l’amicizia è fuori moda e impegnativa, conviene trasferire questo ruolo al “terapista”, il
quale viene compensato per la sua dedizione.
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Un bravo operatore curante non segue questa tendenza, ma sostiene che sentimenti di
lutto e stati d’animo di tristezza in relative circostanze non sono malattie, ma sane e
indispensabili reazioni per un ordinario funzionamento psichico. Insisterà quindi, che il
termine “depressione” o meglio “sindrome depressiva” sia usato esclusivamente per
un’irritazione di tristezza patologica, mai isolata come disturbo di sentimento, ma sempre
connessa con altre funzioni psichiche e somatiche (organiche).
La sindrome depressiva (patologica) si incontra “isolata” ma anche come espressione di
tante altre malattie come p.es.:
- Ciclotimia (depressione endogena in fasi di psicosi depressiva-maniacale).
- Disturbi organici
- Certe forme e fasi di schizofrenia.
- “Reazioni psicogene” anormali.
- Fasi nevrotiche in forma di depressione nevrotica.
Vengono trattati i seguenti temi:
1.2.3.1.1 Depressione e tristezza
1.2.3.1.2 Depressioni esogene
1.2.3.1.3 Depressione endogena o melanconia
1.2.3.1.4 Ansia
1.2.3.1.5 Motivazione e impulso
1.2.3.1.6 Motivazione ridotta
1.2.3.1.7 Stupor (paralisi) depressivo
1.2.3.1.8 Mania suicida
1.2.3.1.9 Depressione agitata
1.2.3.1.10 Disturbi riflessivi formali: rallentamento, impoverimento, incanalamento
1.2.3.1.11 Disturbi riflessivi materiali: idee fisse (coatte)
1.2.3.1.12 Disturbi e sintomi somatici in depressione
1.2.3.1.13 Depressione vitale
1.2.3.1.14 Depressione larvata
1.2.3.1.1 Depressione e tristezza
Irritazione dovuta a tristezza, smisurata come profondità ed estesa come
durata in relazione alle circostanze:
- Si parla di “depressione esogena” quando la circostanza è ancora
ragionevolmente plausibile, ma la reazione smisurata,
- di depressione “endogena” se il motivo non è rilevabile (inconscio) o
immedesimabile.
Molte volte non è tanto facile distinguere le due forme.
1.2.3.1.2 Depressioni esogene
La sindrome depressiva esogena (patologica) si incontra:
- “Isolata” in condizioni insolite di vita (eventi, traumi, …, situazioni).
- Disturbi organici p.es. ormonali (postpartum, tiroidali, …), traumi
cardiovascolari, …
- “Reazioni psicogene” anormali identificabili come tali.
- In fasi nevrotiche sotto forma di depressione nevrotica identi-ficabile come
tale.
Nelle depressioni esogene (provocate dall’esterno) è impedita l’elaborazione
psichica in maniera economica ed efficace di eventi frustranti, in modo che la
profondità e la durata della tristezza e dell’ansia non sono più in relazione
all’evento frustrante.
Da questa scarsa “capacità di elaborazione delle frustrazioni” (o di
autoregolazione) sono afflitte prevalentemente le persone che hanno delle
difficoltà di:
- Crearsi delle condizioni che le soddisfino e
- evitare delle condizioni che frustrano i loro bisogni emotivi principali.
Si tratta di una specie di “sistema immunitario” psichico e come questo si
indebolisce al punto che diventa “cronica” una continua “sopportabile”
esposizione frustrante mai portata bene a termine.
Quindi la mancata autoregolazione si basa spesso sulle seguenti difficoltà:
- lo squilibrio tra il ragionamento (corteccia cerebrale) e il sentimento (sistema
limbico):
- o il ragionamento inibisce l’espressione dei sentimenti e degli impulsi
(forme apatiche),
- o emozioni e impulsi inondano un ragionamento sensato (forme agitate)
che dipendono da fattori culturali, educativi, ereditari ma fortemente anche
dallo sviluppo personale.
- La mancante autonomia dispositiva in tempo, materiale, relazioni, ruoli e
valori che sembra determinata da circostanze ambientali, ma in realtà
contiene una forte ambivalenza tra: il bisogno di sicurezza da una parte e di
conseguenza l’accettazione di condizionamenti (tempo, materiale, emotivo, il
prestigio, la simpatia, la reputazione, …) dall’altra.
In combinazione con della difficoltà decisionali (intento) grazie alle relative
incapacità, si instaura un circolo vizioso che produce continue frustrazioni:
- l’accettazione del condizionamento (che soddisfa la sicurezza) crea
frustrazione di autonomia;
- una mossa (o tentativo) di autonomia (che soddisfa l’autostima) crea
frustrazione di sicurezza che
- inclina all’accettazione del condizionamento e così via da capo …
Finché:
- le pretese (inconscie) di sicurezza e autonomia e
- le capacità di crearsi condizioni emotive soddisfacenti (autonomia senza
grandi condizionamenti) e
- di evitare condizioni emotive frustranti (condizionamenti senza guadagno di
sicurezza), non sono equilibrate,
la situazione rimane quella del giocatore di borsa che mira al massimo profitto
a rischio zero.
Ho illustrato il “meccanismo di circolo vizioso” con l’ambivalenza “sicurezzacondizionamento” verso “l’autonomia-rischio” perchè è qualcosa che incontro
spesso in terapia, ma possono essercene tanti altri, del tipo: dedizioneimpegno, contrapposto: “disponibilità-libertà”, …
Questi esempi banalizzanti illustrano che dette problematiche sono in minor
grado dipendenti da meccanismi fisiologici piuttosto che dall’incapacità di
gestire la propria vita.
L’approccio terapeutico “causale” sarà quindi del tipo psicoterapia e/o
socioterapia (comportamentale, di discorso, umanistico, ... meno analitico o di
profondità, che vanno bene probabilmente in un secondo tempo se si tratta di
forme nevrotiche o di “reazioni psicogene”) per aumentare le capacità
“autogestionali” e di intento.
Spesso come terapista si incontrano invece quelle persone già “esaurite” di
incentivi e intenti al punto che manca l’energia per affrontare un impegno del
genere (richiede parecchia energia da parte del colpito). Quindi la prima tappa
consiste nell’aumentare l’incentivo e l’intento contemporaneamente, con piccoli
passi sintonizzati.
Spesso in fase acuta di crisi neanche questo è fattibile e occorrono delle
misure palliative di vario genere (anche farmacologiche e metaboliche) per
dare un colpo di mano al povero organismo:
- alleviando i peggiori sintomi somatici e psicosomatici
- migliorando le condizioni vegetative, relazionali e sociali quanto possibile
- rinforzando così i circuiti autoregolativi vegetativi a scapito di quelli
“inquisitori”
- restituendo man mano un minimo di autonomia al povero ego.
Sconsiglio nella fase di crisi l’intervento “laico”, specialmente se “ben
intenzionato” perché è rischioso e spesso sostiene quegli elementi che lo
hanno portato in questa situazione. Anche “metodi analitici” in questa fase sono
controindicati perché aumentano la carica che già prima non era più gestibile.
1.2.3.1.3 Depressione endogena o melanconia
In contrasto alle depressioni esogene, i motivi per le depressioni “endogene” si
sospetta provengano “dall’interno inconscio” perché apparentemente non
figurano motivi esterni. Se è così, pulsioni, istinti, impulsi, riflessi, meccanismi
neurovegetativi e ormonali mettono “l’autoregolazione limbico-corticale” a così
dura prova che non regge più.
La sindrome depressiva endogena (patologica) si incontra sola
accompagnata da altre malattie come p.es.:
- ciclotimia (depressione endogena in fasi di psicosi depressiva-maniacale)
- in certe forme e fase di schizofrenia
- “reazioni psicogene” anormali non identificabili
- in fasi nevrotiche in forma di depressione nevrotica non identificabile.
o
I sintomi e l’evoluzione sono i medesimi come nella depressione esogena. Gli
approcci terapeutici sono simili a quelli delle depressioni esogene con le
seguenti differenze:
• Nelle forme psicotiche è di primordiale importanza l’intervento farmacologico
e/o metabolico sia in fase acuta sia in fasi intermediarie. Interventi
psicoterapeutici analitici (di profondità) di solito non portano nessun effetto
(perché essenzialmente si tratta di disturbi organici-fisiologici). Interventi
psicoterapeutici di tipo comportamentale umanistico possono eventualmente
migliorare le capacità di incentivo/intento e autogestionali/autoregolative, il
che è di sollievo ma non è curativo.
• Nelle forme “nevrotiche” e di “reazioni psicogene anormali” si procede, nelle
fasi acute e di crisi, come nelle forme esogene. Nelle fasi intermediarie le
psicoterapie analitiche (di profondità) possono diventare grandi strumenti di
guarigione (della nevrosi, se si riesce a convincere il colpito a curarsi
“quando sta bene”).
1.2.3.1.4 Ansia
L’ansia (e anche paure come l’insonnia) sono un “sintomo guida” e spesso
premonitore di depressioni di tutti i tipi:
- Spesso l’ansia è vissuta come “paura fluttuante senza determinato oggetto”
e il paziente sa che non esiste un motivo ragionevole.
- Dall’ansia possono svilupparsi delle fissazioni (che sono meglio sopportabili
dell’ansia).
1.2.3.1.5 Motivazione e impulso
Nelle depressioni la motivazione (incentivo e intento) e gli impulsi sono
disturbati:
- inibiti quando l’ansia, tramite la corteccia cerebrale, inibisce gli impulsi del
sistema limbico e crea una reazione di “finto morto” fino allo stupore (paralisi
psichica);
- eccitati quando l’ansia stimola il sistema limbico in maniera tale che le
emozioni superano i controlli corticali e si esprimono in frenesia e panico.
1.2.3.1.6 Motivazione ridotta
L’incentivo come fonte di energia di mosse fisiche e psichiche diminuisce e
riduce man mano anche i relativi impulsi. Si evolve verso l’apatia insuperabile
da parte della “volontà”, del ragionamento e di altre belle funzioni (intento),
perchè i processi di regolazione non funzionano più quando manca l’energia
per la mossa. Sono ridotte le pulsioni esistenziali come gli impulsi sessuali, la
curiosità, il distanziamento, …
1.2.3.1.7 Stupor (paralisi) depressivo
L’apatia può evolversi fino allo stupore (paralisi) depressivo dove mancano le
motivazioni, l’incentivo e l’intento anche per le primitive mosse esistenziali e le
pulsioni come l’istinto di autoconservazione.
1.2.3.1.8 Mania suicida
Nelle fasi avanzate di apatia e di più ancora nello stupore depressivo sono
inibite anche le capacità di suicidio, intatto è solo il desiderio di lasciarsi morire.
Più critica la fase di passaggio (anche in senso di guarigione) quando l’intento
c’è nuovamente e il disagio persiste.
1.2.3.1.9 Depressione agitata
In certe forme depressive l’incentivo è esagerato (depressione agitata, eccitata)
perché l’ansia libera enormi affetti ed emozioni. Un dinamico irrequieto,
attaccandosi a tutto e tutti, chiede concitatamente aiuto, cura, narcosi o il colpo
di grazia. È una tortura non solo per il colpito ma per gli altri pazienti, i familiari
e il personale che lo cura.
1.2.3.1.10 Disturbi riflessivi formali: rallentamento, impoverimento,incanalamento
Spesso nella prima fase delle depressioni si notano anche dei disturbi formali di
riflessione come il rallentamento, l’impoverimento e l’incanalamento:
- Il rallentamento riflessivo si riconosce nel linguaggio lento e sottovoce in
diretta funzione ad un diminuito incentivo.
- L’impoverimento dei pensieri si deduce dalla diminuzione drastica delle
associazioni cognitive.
- L’incanalamento significa che negli stretti limiti dell’ancora pensabile si
formano ricche associazioni, ma tutte depressive.
1.2.3.1.11 Disturbi riflessivi materiali: idee fisse
In un secondo tempo e specialmente in depressioni endogene i disturbi
riflessivi diventano anche “materiali” fino a diventare disturbi qualitativi cognitivi
e fissazioni (perché meglio sopportabili dell’ansia, fornendo almeno un
“surrogato” del motivo per la malattia “depressione”).
Le fissazioni così sviluppate (in contrasto alle fissazioni in altre malattie
psichiche) sono spesso:
- Fissazioni di coscienza: di colpe e di peccati.
- Fissazioni di malattia: ipocondriaco in diverse forme di vittimismo e fissazioni
dietetiche, di inquinamento e di vita/comportamento/abitudini sani e malsani.
- Fissazioni economiche: paura della povertà.
Altre fissazioni (come di persecuzione, di amore, megalomania, …) non si
notano nelle depressioni.
1.2.3.1.12 Disturbi e sintomi somatici nelle depressioni
Già in fase di tristezza “sana” si nota che anche il corpo è in lutto e si sente
esausto e senza forze. Più in là si sente ammalato, abbattuto, debole,
decrepito, distrutto, … In casi di depressione sia esogena che soprattutto
endogena si trovano numerosi sintomi somatici come:
- Disturbi di sonno in varie forme.
- Disturbi di appetito e di digestione in varie forme.
- Irregolarità mestruali e di appetito sessuale.
- Dolori e parestesie alla testa, al cuore, allo stomaco, alla pancia, alle
estremità e nei diversi organi.
Personalmente trovo molto azzardato interpretare a “senso unico” l’asse
depressione => sintomi somatici: l’esperienza come medico naturalista e
terapista di diverse discipline mi insegna che è altrettanto frequente l’inverso:
cioé che un disturbo organico crea dei sintomi di sentimento e di altre funzioni
psichiche.
Inoltre è limitativo vederlo come “asse” nel senso di “causa -> effetto”:
normalmente nell’evoluzione della malattia si tratta di “circoli viziosi” come nella
guarigione si tratta di “circoli graziosi”. E questo significa anche che
terapeuticamente in un circolo si può intervenire in ogni punto per modificare (in
bene o in male) il funzionamento dinamico ciclico.
È una mia severa critica alla specializzazione medica (e alternativa) che
deprava e inibisce il concetto del trattamento di tali “circoli”: è come se un
agricoltore, un biochimico, un tecnologo, un operatore di produzione industriale
alimentare, un contabile, un venditore, uno specialista di marketing, un
azionista, un bancario, un legale e un assicuratore tentassero di risanare una
multinazionale (p.es. la NESTLE), uno dopo l’altro e in continua concorrenza
uno contro l’altro.
1.2.3.1.13 Depressione vitale
Il termine è qualche volta usato per esprimere nelle depressioni endogene il
fatto che i seguenti tre sintomi sono primordiali (ricavati in trent’anni da
esplorazioni sistematiche p.es. SCHNEIDER, STOERRING) :
- Disturbi di pulsioni, impulsi, istinti.
- Disturbi di “percezioni corporee”.
- Assenza di desiderio-disagio.
Oltre ai tre i sintomi sopra citati, ci sono prevalenti sintomi corporei e
probabilmente anche motivi piuttosto anatomici, fisiologici, metabolici. La
tristezza e l’ansia normalmente accompagnano questi tre disturbi.
La deduzione è convincente, la conclusione vale zero: invece di dedicarsi alle
interazioni dei fattori culturali e fisiologici, gli uni si piacciono nel ridurre il tema
alla biochimica, mentre gli altri si perdono in vani criteri “spirituali” (tutti e due a
spese della comunità e del povero depresso che rimane depresso).
1.2.3.1.14 Depressione larvata
Quando prevalgono dei sintomi “somatici” che “coprono” i sintomi di tristezza e
ansia, si parla spesso di “depressione larvata”.
Vorrei vedere il tipo sportivo con un ginocchio da anni dolente (“resistente alle
terapie” applicate, che vuol dire trattato da terapisti incapaci) che non diventa
depressivo. Il medico incapace lo manda in psicoterapia. Lo psicoterapista
accetta (in tempi di grande concorrenza) e gli massaggia l’anima con l’effetto
che d’un tratto il povero paziente si sente anche impazzito. Il tutto per
nascondere l’impotenza di guarire un ginocchio leso o almeno di ammettere
tale lacuna.
1.2.3.2 Sindrome maniacale
La sindrome maniacale, disturbo emotivo antitetico alla depressione, si incontra quasi
esclusivamente nel contesto di una psicosi depressiva-maniacale in alternanza con fasi
(endogene) depressive. La causa non la si conosce, ma si sospetta una componente
ereditaria del tipo anatomico/fisiologico.
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I sintomi maniacali sono sotto molti aspetti inversioni dei sintomi della sindrome
depressiva:
- Lo stato d’animo è eccitato al punto da disturbare l’ambiente sociale (non il maniaco).
- Intento, motivazione, impulso e incentivo sono esagerati e instancabili.
- Il ragionamento è dispersivo, accelerato, vagante, “di palo in frasca” e estremamente
creativo (almeno sotto gli aspetti quantitativi).
Vengono trattati i seguenti aspetti:
1.2.3.2.1 Euforia
1.2.3.2.2 Aggressività
1.2.3.2.3 Motivazione smisurata
1.2.3.2.4 Idee sfuggenti
1.2.3.2.5 Impressione dello psicotico
1.2.3.2.6 Indispensabilità e difficoltà di trattamento
1.2.3.2.7 Sintomi somatici maniacali
1.2.3.2.1 Euforia
Mentre il passaggio dall’“igienica tristezza” alla leggera depressione è fluttuante, i
sintomi maniacali appaiono invece all’ambiente sociale come “malattia” anche in
forme leggere (submaniacale, ipomaniacale).
Stranamente questi sintomi di continua “lunaticheria, paranoia, irascibilità,
mania, …” vengono raramente denunciati anche se spesso nelle famiglie
diventano veri e propri atti di terrorismo e dispotismo privo di qualsiasi rispetto
umano, relazionale e sociale.
Già in questa fase “euforica” si nota un piatto, non motivato umorismo, privo di
differenziazione verso sconosciuti e “superiori” e di lunaticità dispotica verso i
“piccoli” e dipendenti.
Anche l’attivismo, proveniente dall’“esagerato incentivo e intento” sembra
esaltato e il comportamento “logorroico” (interminabili monologhi a
mitragliatrice) mette a dura prova la pazienza dell’interlocutore involontario,
volontario o costretto.
1.2.3.2.2 Aggressività
In forme maniacali sviluppate l’euforia è portata all’estremo: lo spassoso
diventa aggressore verbale ed è una fortuna per i familiari, gli altri pazienti e il
personale sanitario che l’aggressione materiale si indirizza prevalentemente
verso gli oggetti. Per quanto riguarda i dipendenti e i “piccoli” è comunque un
vivere nel continuo terrore psichico (rompiscatole).
1.2.3.2.3 Motivazione smisurata
L’incentivo e l’intento esagerato obbligano il maniaco ad un continuo
dinamismo motorio, mai una cosa dopo l’altra ma possibilmente tutte
contemporaneamente e mai terminandone bene una, coinvolgendo tutte le
persone reperibili (che poi terminano probabilmente le opere iniziate) e
parlando continuamente, giudicando, criticando, emanando sentenze e ordini.
1.2.3.2.4 Idee fuggitive
Come nelle altre attività, anche la riflessione è fuggitiva: mille idee e frammenti
di pensieri vengono associate spesso in modo sorprendente, divertente,
affascinante e originale; ma mai una riflessione viene portata a termine. Come
conclusione mentale serve un giudizio o una sentenza per darsi almeno l’aria di
aver terminato formalmente il ragionamento.
1.2.3.2.5 Impressione dello psicotico
Per questi motivi e perché egli lascia apparire ancora una traccia del filo
conduttore nel discorso, in cui salta di ”palo in frasca”, all’interlocutore non
appare così spaventosamente distratto come nel caso del discorso
schizofrenico, ma appare “ammalato”, psicotico e non immedesimabile.
Al contrario, il maniaco stesso si trova finalmente “normale”, in piena forma
fisica, psichica e intellettuale, si gode il suo ottimo umore, ammira la propria
capacità riflessiva e trova bigotti gli altri che si distanziano dalla sua
disinibizione e volgarità. L’unica cosa che lo disturba narcisisticamente è che gli
altri lo trattano come un poveretto ammalato. Per questo e “perché nessuno lo
capisce” diventa rissoso e aggressivo.
1.2.3.2.6 Indispensabilità e difficoltà di trattamento
Questi pazienti sono capaci di rovinare la loro reputazione sociale,di sperperare
patrimoni (non necessariamente i propri), di distruggere l’esistenza propria e
della famiglia e di “rompere le scatole” a chiunque incontrano. Non hanno la
minima cognizione della loro malattia, anzi. È quindi un obbligo scomodissimo
per lo psichiatra curante il medicare ed eventualmente l’internare un maniaco
contro la sua volontà, e di fare vasto uso di sedativi nell’interesse dei familiari,
degli altri pazienti e del personale che lo cura, perché è insopportabile.
Trattandosi di disturbi psicotici è di primordiale importanza l’intervento
farmacologico e/o metabolico sia in fase acuta sia in fase intermediaria.
Interventi psicoterapeutici analitici (di profondità) di solito non danno nessun
effetto (perché essenzialmente si tratta di disturbi organici-fisiologici).
Interventi psicoterapeutici di tipo comportamentale o umanistico possono
eventualmente migliorare le capacità di autocontrollo e la sorveglianza di
incentivi/intenti e autogestionali/autoregolativi ciò che è di aiuto ma non
curativo. Se si riesce a convincere il colpito a curarsi e a medicarsi (anche a
deposito) “quando sta bene”, collaborando si riesce a fargli condurre una vita
emotiva, relazionale e sociale soddisfacente. Come dice il mio amico
depressivo-maniacale ben curato dal suo psichiatra e integrato socialmente da
anni senza eventi preoccupanti: “sono matto ma non scemo”.
1.2.3.2.7 Sintomi somatici maniacali
C’è solo un sintomo caratteristico per dei maniaci in crisi: l’aumento di forza
fisica con una diminuzione dell’esigenza di sonno. In casi gravi riguardanti dei
pazienti anziani forsennati da e con dei disturbi cardiovascolari, senza sedativi,
costoro possono ammazzarsi di super attività.
1.2.4 Disturbi regolativi dell’affettività
Ci sono notevoli differenze individuali relative alla regolazione affettiva circa:
- Il coinvolgimento affettivo situativo.
- La profondità e la durata della partecipazione a un evento emotivo.
- La frequenza e il tempo del cambiamento dello stato d’animo di base.
Le relative caratteristiche e la loro espressione determinano “il temperamento” di una persona.
Vengono trattati i seguenti temi:
1.2.4.1 Sviluppo dell’emotività
1.2.4.2 Labilità affettiva
1.2.4.3 Incontinenza affettiva
1.2.4.1 Sviluppo dell’emotività
Nella prima fase dello sviluppo emotivo nell’infanzia (3…4 anni) sono indispensabili degli
affetti violenti e umori e stati d’animo vacillanti a scatto.
Come adulti siamo abituati a considerare una “normale” fluttuazione di emozioni, umori,
stati d’animo e rispettivi processi di regolazione relativamente al temperamento individuale.
Perciò, riconosciamo facilmente delle aberrazioni patologiche.
1.2.4.2 Labilità affettiva
La labilità affettiva è un frequente sintomo accompagnatorio di stati di esaurimento sia
fisico che psichico.
Certe persone sono poco tolleranti a simili stati e si ipotizza una componente ereditaria in:
- “labili di affetto” e
- “psicopatici esplosivi”.
Questi sintomi possono essere anche un primo segnale di lesioni (organiche) cerebrali.
Lo stato d’animo di base reagisce molto velocemente e violentemente con pochi
meccanismi di regolazione o ammortamento anche a eventi insignificanti. Come stato
passeggero è noto a tutti da tempo come esaurimento fisico o psichico.
1.2.4.3 Incontinenza affettiva
Incontinenza affettiva, come una specie di continuo cortocircuito tra le emozioni
momentanee e le reazioni relative esagerate, si trova frequentemente in concomitanza con
lesioni cerebrali, raramente anche in schizofrenici e maniaci.
Uno stato d’animo di base non è quasi più riconoscibile: la vita sentimentale è dominata da
affetti momentanei praticamente senza coinvolgimento emotivo e sentimentale. Riso,
pianto, paura, ira, spavento, desolazione si alternano quasi senza nesso a eventi reali e
senza regolazione e controllo.
Tutto ciò viene percepito come altamente patologico.
1.3
Volere (intenti, intenzioni, volontà)
Il volere è essenzialmente la capacità decisionale di:
- Scegliere tra le diverse possibilità della realizzazione degli impulsi o diverse pulsioni eventualmente
contrastanti e/o concorrenti.
- Valutando prospettivamente l’importanza e l’urgenza di:
- piacere-disagio del complesso “istintivo” (“battista”, “Es” di Freud/Groddeck) verso
- giusto-ingiusto del complesso “culturale” (“vaticano”, “Ueber-Ich” di Freud) verso
- utile-futile dell’interesse personale (“Io”, “Ich” di Freud)
- tenendo in considerazione le attuali condizioni di incentivo (spinta, energia psicofisica),
- facendo i conti degli strumenti, “tempo e materiale” per la realizzazione (risorse),
- e prevedendo, accettando le conseguenze e gli effetti collaterali o indesiderati prevedibili o temuti.
Tutto questo ci è raramente noto perché si tratta di “automatismi decisionali”, conclusi spesso in frazioni
di secondi anche per abitudine. Secondo me, questa “capacità decisionale” è solo in parte dipendente da
eredità genetiche, ma si evolve in modo particolare dalle “eredità sociali” (modelli, osservazione,
istruzione, allenamento), in concomitanza con lo sviluppo delle altre capacità mentali e la formazione di
pulsioni culturali.
Vengono trattati i seguenti temi:
1.3.1 Coordinazione di pulsioni
1.3.2 Disturbi di “intenti”
1.3.1 Coordinazione di pulsioni
Osservando bene alcune persone, si notano enormi varietà di questo “meccanismo decisionale”
con prevalenze, valutazioni e sfumature molto individuali: anche se l’esito della mossa è
continuamente frustrante, abbiamo l’inclinazione ad usare a ripetizione sempre gli stessi schemi
decisivi-intenzionali. Ci si chiede poi, in quali circostanze ha avuto successo e cosa l’ha fatta
diventare un’abitudine a persistere in modo controproducente anche in circostanze completamente
diverse. Spesso i nostri comportamenti non sembrano molto distanti dai “riflessi di addestramento”
delle bestie.
Per un animale la coordinazione e la sincronizzazione di pulsioni è più semplice, perché:
- non deve rispettare quelle di genere culturale,
- ha però anche lui dei conflitti e contrasti tra istinti vitali (e certi anche gerarchici).
Si pretende che le bestie “decidano” meno, ma soddisfino l’impulso momentaneamente più forte
con dei meccanismi d’istinto finalizzato o di appetenza o con semplici riflessi; situazione
permettendo. La “regolazione” sarebbe “di specie”, perché chi sbaglia troppo muore e non può
procreare. Sono molto probabili anche i meccanismi di apprendimento (il ragazzo bruciato teme il
fuoco).
In molte situazioni banali mi augurerei di essere capace della scelta “momentaneamente più ardita”
invece di crearmi tante complicazioni, basate su norme e convenzioni, credenze e convinzioni
(diventate inconsce da molto tempo).
Riassumendo: “l’intento” è soprattutto un lavoro gestionale e dispositivo dinamico, con il quale (in
senso strategico, tattico e operativo), devo garantire a lungo il mio funzionamento:
- biologico,
- sociale,
- relazionale,
- culturale,
- mantenendo la mia esistenza nell’insieme serena.
Malauguratamente, tutte e cinque le condizioni devono essere mantenute. Se ciò dura a lungo,
fallisco anche solo in una:
- Mi ammazzo.
- Amici e compagne mi abbandonano.
- Vengo socialmente emarginato.
- Mi stresso al punto tale di ammalarmi seriamente e cronicamente, causando una sindrome di
adattamento ed esaurimento fisico o nervoso.
Studiando la precedente lista (frammentaria) di pulsioni/bisogni umani si capisce che la loro
quantità, qualità, ambivalenza e concorrenza pongono enormi problemi di coordinazione dinamica
(sequenziale), se il tentativo è di pacificare per un po’ l’uno, per poi dedicarsi al prossimo più
urgente e così via (temo non in eterno).
Forse abbiamo trovato così “il senso della vita” o almeno un utile compito.
Ogni tanto è faticoso, lo ammetto, ma raramente mi stanca a lungo, perché è un compito
affascinante e talmente complesso che stuzzica sempre di nuovo il mio povero “ingegno umano” e
mi salva così dalla noia mortale.
1.3.2 Disturbi di “intenti”
La difficoltà di scelta o decisione non è una malattia, ma una condizione umana e una nobile sfida.
Come terapista mi capita spesso di trovarmi di fronte a delle persone (molto a disagio e stressate
al massimo) che semplicemente non hanno imparato a gestire la loro vita nel limite delle loro
possibilità e risorse.
Tentano in continuazione di:
- Modificare quello che non è di loro competenza (biologica, relazionale, sociale, culturale).
- Di non mutare quello che invece sarebbe di loro responsabilità, capacità e risorse.
- Evitare di differenziare l’uno dall’altro.
(scusami Marco Aurelio: ho profanato la tua preghiera).
Si sono “scelti” condizioni, stile e tenore di vita più grandi o più piccoli di loro in quanto:
- I loro valori e le loro aspettative non corrispondono alle esigenze (troppe o troppo poche).
- Non sono adatti gli incentivi, gli intenti e le risorse per condurla (o troppo o troppo poco).
- Non hanno nessuna intenzione di attrezzarsi dei necessari strumenti e di imparare l’arte di vivere
in senso intimo, relazionale, professionale, sociale e di interesse culturale.
Per fare un esempio stupido: ho incontrato “alti disponenti” incapaci di organizzare il loro tempo.
Serviva loro “terapeuticamente” l’insegnamento di come tenersi un’agenda, per poterli “curare”.
Trovandosi a lungo in condizioni di vita “ingestibili” (incapacità di soddisfare le esigenze emotive
primordiali) le funzioni, sia psichiche che organiche sono disturbate, sfociando poi in malattia o
disturbo organico, psicosomatico o psichico e solo da qui in avanti si può parlare di “patologia”. In
questo caso non si tratta poi più di disturbi “gestionali di intento”, ma di solito dei correlati disturbi
affettivi a livello psichico e i sintomi vegetativi a livello somatico.
La psicopatologia ritiene “disturbi di intento” solo le seguenti malattie di:
- Coazione (mentali, emotive, attività).
- Dipendenza.
- Schizofrenia.
- Gravi depressioni.
1.3.2.1
1.3.2.2
1.3.2.3
1.3.2.4
Disturbi d’intento nelle malattie di coazione (fisse, manie)
Disturbi d’intento nelle malattie di dipendenza
Disturbi d’intento nella schizofrenia
Disturbi d’intento nelle depressioni gravi
1.3.2.1 Disturbi di intento nelle malattie di coazione (fisse, manie)
I disturbi più gravi di volere si incontrano in forme di coazione, sia del tipo mentale come
fissazioni, sia del tipo affettivo o sentimentale come nelle “manie”. L’ammalato di coazione
soffre (a chiara autopercezione) perché non può volere come intende, ma è costretto a
riflettere, sentire o agire come deve.
1.3.2.2 Disturbi di intento nelle malattie di dipendenza
Anche il dipendente come l’ammalato di coazione non può agire più come vuole: vive la
scissione del suo volere come impotenza del “proprio volere” contro un altro “estraneo” più
forte. In confronto all’ammalato di coazione ha il vantaggio, che almeno per poco tempo
riesce a soddisfare la sua “passione”.
1.3.2.3 Disturbi di intento nella schizofrenia
Essendo la sindrome di coazione anche una “paralisi dell’ego” si incontrano questi disturbi
frequentemente anche negli ammalati di ego o di personalità: gli schizofrenici. Questi si
lamentano ogni tanto che non dispongono più di volontà o perché “vuoti” o perché costretti
dall’esterno a riflettere, sentire e agire.
1.3.2.4 Disturbi di intento nelle depressioni gravi
La grave deficienza di incentivo in pazienti depressivi non contiene più l’energia psicofisica
di decidere o di scegliere, ogni intenzione è paralizzata.
1.4
Funzioni mentali
Vengono trattati i seguenti temi:
1.4.1 Cognizione
1.4.2 Coscienza
1.4.3 Memoria
1.4.4 Riflessione
1.4.5 Intelligenza
1.4.1 Cognizione
Vengono trattati i seguenti temi:
1.4.1.1 Introduzione
1.4.1.2 Disturbi sensoriali e di sensazione
1.4.1.3 Disturbi cognitivi quantitativi
1.4.1.4 Disturbi cognitivi qualitativi
1.4.1.4.1 Illusioni
1.4.1.4.2 Allucinazioni
1.4.1.4.2.1 Allucinazioni e chimere (“paranoie”)
1.4.1.4.2.2 Impressione della realtà
1.4.1.4.2.3 Nitidezza
1.4.1.4.2.4 Intensità
1.4.1.4.2.5 Valore affettivo
1.4.1.4.2.6 Allucinazioni acustiche, visive, olfattive, gustative, tattili e propriocettive
1.4.1.4.3 Comportamento di terapisti e non terapisti verso chi soffre di allucinazioni
1.4.1.4.4 Allucinazioni e sogni
1.4.1.4.5 Allucinazioni religiose
1.4.1.4.6 Pseudoallucinazioni
1.4.1.1 Introduzione
Le sensazioni, come lo dice la parola sono percezioni degli organi dei sensi che vanno
elaborate e usate dal cervello. Solo la minima parte degli stimoli sensoriali raggiunge il
livello cosciente, tutti sono sfruttati in complicatissimi processi di autoregolazione nervosa,
ormonale, immunitaria e basale inconsci e in buona parte anche sconosciuti.
Il termine “Cognizione” significa che una sensazione viene riconosciuta come tale,
identificata (con l’ausilio dell’esperienza e della memoria) e localizzata (con l’ausilio della
coscienza oggettiva).
L’immaginazione è la capacità umana di “richiamare” ogni cognizione sensoriale alla
memoria (visiva, uditiva, …). La capacità è individualmente più o meno sviluppata, ma
quasi sempre meno nitida e povera di dettagli della cognizione immediata. Le cose
immaginate non le viviamo come “reali”, anche se si presentano contro la nostra volontà e
possono essere terribili, perché ci derubano della libertà interna d’intento, ma non perché
sono confuse con la realtà.
Concezione è un riassunto sensato di cognizioni (e anche immaginazioni) in una sintesi
superiore.
Di un dipinto percepiamo come sensazioni delle macchie colorate, come cognizione
uomini, bestie e alberi, come concezione la rappresentazione di una caccia.
1.4.1.2 Disturbi sensoriali e di sensazione
Sintomi di disturbi organici come organi dei sensi, nervi, centri sensitivi, corteccia
cerebrale. Non sono trattati dalla psicopatologia ma dalle relative specialità della medicina
e dal neurologo.
È frequente invece che certi disturbi sensoriali causino dei disturbi psichici come la
diffidenza e la “paranoia” che ogni tanto sviluppano le persone sorde.
Forme come cecità psicogena, insensibilità nei catatonici, o ipersensibilità nei depressivi
sono da classificare altrettanto come i disturbi cognitivi.
1.4.1.3 Disturbi cognitivi quantitativi
Si capisce bene che della valanga di sensazioni che ci bombardano in continuazione
(anche durante il sonno) una minima parte diventa “cognitiva, cosciente” (per scelta
automatica o inconscia).
Grazie all’attenzione che rivolgiamo a una piccola parte di queste sensazioni siamo capaci
di realizzare un liscio adattamento all’ambiente che ci permette di raggiungere i nostri
obiettivi.
Disturbi cognitivi quantitativi sono quelli per cui la trasformazione da sensazione ad
attenzione è scarsa o troppo abbondante.
Se la cognizione è esagerata si parla di “ipersensibilità” (in psichiatria remota anche di
“debolezza irritata” o di irritabilità).
Se la cognizione è ridotta si parla di “apatia”, ma questa può essere anche disinteresse
emotivo, noia. Stordimento e intontimento descrivono meglio questo stato che avviene
normalmente nel passaggio dal sonno alla veglia, con stanchezza o intossicazioni (alcool,
…).
Vengono trattati i seguenti argomenti:
1.4.1.3.1 Ipersensibilità cognitiva
1.4.1.3.2 Iposensibilità cognitiva e apatia
1.4.1.3.1 Ipersensibilità cognitiva
Chi dedica troppa attenzione a troppe cose è cognitivamente ipersensibile,
“nervoso” o “irritato”.
L’ipersensibilità cognitiva si incontra spesso combinata con l’ipervigilanza:
- in diverse malattie somatiche e
- nell’esaurimento psichico.
- Può essere un sintomo di una reazione isterica,
- di uno sviluppo nevrotico o
- di una costituzione psicopatica.
- Nelle psicosi endogene, è possibile ma non caratteristica.
1.4.1.3.2 Iposensibilità cognitiva e apatia
Chi “percepisce” poco è in apatia (indifferenza emotiva) o funziona a coscienza
ridotta. Il trasognato o anche solo stanco guida pericolosamente non solo
perché gli manca la reazione pronta, ma anche perché percepisce poco.
Iposensibilità è spesso un’espressione di coscienza ridotta. Raramente è una
conseguenza di grande emozione psichica (percezione di lesioni mancanti in
stati di panico). In apatia e stupore (paralisi) è meno impedita la percezione che
la reazione ad essa (intento).
1.4.1.4 Disturbi cognitivi qualitativi
Non percependo il nostro ambiente “oggettivamente” ma “soggettivamente”, la cognizione
delle stesse cose può essere molto variabile, il che non è patologico e dipende più dalla
vita emotiva che da quella cognitiva.
Anche “anomalie di percezione” causate da intossicazioni, stati di eccitazione patologici o
dalla sindrome delirante non ci interessano qui, poiché sono più disturbi di sensazioni
determinati organicamente.
I più importanti disturbi cognitivi qualitativi sono illusioni e allucinazioni.
Vengono trattati i seguenti argomenti:
- Illusioni.
- Allucinazioni.
- Comportamento di “normali” e terapisti verso l’allucinato.
- Allucinazioni e sogni.
- Allucinazioni religiose.
- Pseudoallucinazioni.
1.4.1.4.1 Illusioni
Bisogna considerare che in psicopatologia “illusione” ha un altro significato che
nella lingua comune: illusioni sono cognizioni ingannevoli a causa di una
erronea interpretazione delle sensazioni reali, spesso sotto l’influsso di fattori
emotivi e aspettative. Questo fatto è familiare a tutti. Carica emotiva e disturbi
di coscienza le promuovono ulteriormente.
Diventa patologica se questi inganni vengono mantenuti e ampliati contro ogni
evidenza susseguente e diventano stati duraturi. Illusioni di questo tipo
patologico si incontrano nella sindrome delirante, in trasognanza e in
schizofrenia.
1.4.1.4.2 Allucinazioni
Le allucinazioni sono cognizioni che si formano senza sensazione. Per il colpito
sono “completamente reali”, per gli altri “assurde”. La maggior parte delle
allucinazioni è uditiva, ma ne esistono anche di altri tipi.
Allucinazioni a coscienza inalterata possono essere schizofreniche, da
intossicazioni (droghe, allucinogeni, alcool), e da stati isterici (psicogeni)
straordinari. Sono piuttosto acustiche che ottiche.
Allucinazioni a coscienza alterata (sindrome delirante e trasognante) sono
piuttosto legate a psicosi organiche. Sono spesso ottiche.
Vengono trattati i seguenti argomenti:
- Allucinazioni e chimere (“paranoie”)
- Impressione della realtà
- Nitidezza
- Intensità
- Valore affettivo
- Allucinazioni acustiche, visive, olfattive, gustative, tattili e propriocettive.
1.4.1.4.2.1 Allucinazioni e chimere (“paranoie”)
Le deduzioni alle quali arriva il colpito sono completamente erronee
viste dall’esterno, per lui invece sono plausibili e diventano di ferma
convinzione. Ma queste chimere o “paranoie” sono un disturbo di
“idee” non di cognizione.
1.4.1.4.2.2 Impressione della realtà
Le allucinazioni autentiche sono vissute dal colpito come una realtà:
vengono percepite dall’esterno di sé e sono localizzate (anche in
una parte del proprio corpo).
1.4.1.4.2.3 Nitidezza
Le allucinazioni autentiche sono percepite come reali e localizzabili,
ma non devono essere necessariamente chiare e nitide; si vede
forse “un cane” ma non si può dire niente sulla razza, sul colore,
sulla dimensione, sulla posizione.
1.4.1.4.2.4 Intensità
Anche l’intensità dell’allucinazione può variare notevolmente da
caso a caso.
1.4.1.4.2.5 Valore affettivo
Anche il valore affettivo può variare notevolmente da caso a caso:
se toccano profondamente si chiamano “ego-vicine”, se lasciano
indifferenti “ego-distanti”.
Di solito le allucinazioni psicogene e schizofreniche sono piuttosto
ego-vicine, mentre le organiche ego-distanti. Sembra anche una
questione di esperienza: schizofrenici con lunga esperienza
riescono spesso a scindere la realtà dalle loro allucinazioni mentre
un consumatore saltuario di droga può trovarsi in completo panico o
al culmine della felicità.
1.4.1.4.2.6 Allucinazioni acustiche, visive, olfattive, gustative,tattili e
propriocettive
Può essere percepito come allucinazione tutto ciò che è
classificabile come sensazione (BLEULER).
Le più frequenti allucinazioni sono uditive. Di solito vengono
percepite delle voci con tutte le sfumature relazionali di
comunicazione verbale. Una posizione particolare hanno le voci che
esprimono idee del colpito stesso, voci dialogizzanti e voci che
commentano le azioni del paziente come indicatore diagnostico per
la schizofrenia.
Le allucinazioni visive sono più rare e normalmente riservate ai
pazienti con una coscienza impedita come trasognati e deliranti.
Le allucinazioni olfattive, gustative, tattili e propriocettive si
incontrano nella sindrome delirante, ma anche in altre psichosi
“organiche” e nella schizofrenia, spesso accompagnate da
spiegazioni.
1.4.1.4.3 Comportamento di “normali” e terapisti verso l’allucinato
Il tentativo di convincere l’allucinato della sua chimera non è solo inutile ma
anche una noia per lui. Esprimere verbalmente o tramite il proprio
comportamento il fatto che si ritiene la sua percezione reale per lui, ma non per
sé, può essere di aiuto.
La convinzione del terapista circa le allucinazioni determinerà ulteriormente il
suo comportamento:
- Se è convinto che tutte le allucinazioni sono l’espressione di un cervello
malfunzionante (e non solo quelle riconosciute “organiche”) diventano
“pazzia” ed è meglio ignorarle.
- Se è convinto che nelle allucinazioni non organicamente determinate si
esprime qualcosa di psichico e inconscio, cercherà un approccio tramite la
psicologia dell’inconscio servendosi
nell’interpretazione dei sogni.
delle
allucinazioni
come
p.es.
1.4.1.4.4 Allucinazioni e sogni
La differenza tra i sogni e le allucinazione è solo graduale.
Entrambi sono “inganni” nel senso che non danno un diretto ritratto
dell’ambiente. Per quanto riguarda il loro significato, dicono evidentemente
qualcosa in forma simbolica sulla realtà inconscia e individuale dell’anima. La
differenza graduale è che i sogni appaiono solo nel sonno (e vanno ricordati o
meno) mentre chi soffre di allucinazioni, le deve subire anche in piena
coscienza (JUNG). Sotto questo aspetto non si può evitare di affrontare tutte le
allucinazioni con rispetto.
1.4.1.4.5 Allucinazioni religiose
Le allucinazioni di contenuto religioso non si trovano solo nella storia di
religioni, (mistici e santi) ma anche nella quotidianità delle cliniche psichiatriche.
Si trova tanto di strambo, strano e banale in loro, che ogni tanto si rivela come
significativo sotto l’aspetto simbolico. Raramente si diventa “complici”, invece di
temi talmente “grossi” che ci si deve chiedere se il paziente non è sofferente
perché deve subire espressioni che hanno qualcosa di sovrumano.
1.4.1.4.6 Pseudoallucinazioni
Pseudoallucinazioni si chiamano le percezioni (allucinazioni) che il paziente
stesso valuta come anormali, irrealei, inganno, come l’intrusione di un sogno
nella coscienza sveglia.
1.4.2 Coscienza
Vengono trattati i seguenti temi:
1.4.2.1 Introduzione
1.4.2.2 Disturbi di coscienza sveglia
1.4.2.3 Disturbi di autocoscienza
1.4.2.1 Introduzione
La coscienza non è una funzione o un aspetto particolare dell’anima umana bensì una
qualità o proprietà fondamentale psichica: so che vivo e percepisco adesso! Ma cosa so
della mia cognizione attuale?
JASPERS ha paragonato il cosciente a un palcoscenico sul quale i fenomeni psichici
vanno e vengono, a volte ben illuminati, a volte nella penombra o con fari sui singoli attori o
oggetti, Freud usa una simile analogia. Molti psicologi chiamano questa parte il “cosciente
oggettivo”, in contrasto con il “cosciente proprio” che ha come contenuto solo il sapere del
cosciente di se stesso: il cosciente sa che c’è e si chiama anche autocoscienza o
cosciente riflessivo.
La coscienza non è una qualità costante della vita psichica: nel sonno non abbiamo la
stessa coscienza come da svegli. Pensiamo di sapere parecchio della coscienza sveglia,
dobbiamo ammettere che della coscienza del sonno sappiamo poco, e ancora meno di altri
stati di coscienza, rilevabili in encefalogrammi.
L’attenzione e la concentrazione sono variabili essenziali della coscienza e possiamo
rivolgerle a diversi “oggetti” con un’intensità differente.
È necessario poter rivolgere attenzione e concentrazione sui determinati “oggetti” (esterni
o interni). Ad esempio ci serviamo della percezione per farci un’idea dell’ambiente, del
ricordo; per crearci delle reminiscenze, della riflessione per progettare le prossime mosse
ecc.
Vengono trattati i seguenti argomenti:
1.4.2.1.1 Coscienza sveglia
1.4.2.1.2 Autocoscienza
1.4.2.1.1 Coscienza sveglia
In psicopatologia e psichiatria con coscienza “oggettiva” o sveglia si intende
primordialmente.
- La vigilanza, “essere svegli, ...”
- L’orientamento: conoscenza dei dati anagrafici, luogo e tempo.
- L’attenzione come possibilità di indirizzarsi a oggetti scelti.
- Il ragionamento, “essere sensato” nel senso di vivere percezioni, idee e
emozioni nitide e conformi alla realtà e di agire proporzionatamente a loro (in
misura dell’intelligenza disponibile).
1.4.2.1.2 Autocoscienza
Coscienza propria (di sé stesso).
La coscienza di sé stesso in psichiatria e psicopatologia si definisce spesso
con quattro criteri formali proposti da JASPERS:
- Attività propria: raramente riflettuta, ma convinzione ferma di non lasciarsi
vivere, ma di vivere attivamente la propria vita (anche se spesso si è
costretti).
- Integrità propria: sicurezza di essere uno e integro pur contenendo contrasti
e relative tensioni.
- Identità o continuità di sé stesso: malgrado i mutamenti fisici e psichici della
vita svegliarmi ogni mattina “io”.
- L’autonomia propria: vedersi come qualcosa di opposto e autonomo agli altri
partecipanti della realtà.
Altri autori parlano di coscienza, vicenda, sentimento, relazione di sé stesso.
Altri li chiamano i disturbi di contenuto della personalità o disturbi soggettivi di
personalità.
1.4.2.2 Disturbi di coscienza sveglia
Aberrazioni rilevanti e/o durature e/o non motivate per circostanze passeggere di questi
criteri si definiscono patologiche. Come disturbi quantitativi si intendono anzitutto
aberrazioni della coscienza oggettiva, mentre aberrazioni di orientamento, attenzione e
ragionamento si classificano piuttosto come qualitativi.
Quasi tutti i disturbi di coscienza sveglia sono sintomi collaterali di malattie organiche. In
rari casi la trasognanza può accompagnare la schizofrenia o avere delle cause
prevalentemente psichiche. Può trattarsi di trasognanze psicogene, funzionali oppure
isteriche.
Vengono trattati i seguenti argomenti:
1.4.2.2.1 Disturbi quantitativi
1.4.2.2.2 Disturbi qualitativi
1.4.2.2.1 Disturbi quantitativi
Prevalentemente di vigilanza.
Vengono trattati i seguenti argomenti:
1.4.2.2.1.1 Stordimento, sonnolenza
1.4.2.2.1.2 Sopor, coma, ipervigilanza
1.4.2.2.1.1 Stordimento, sonnolenza
Nello stordimento il colpito reagisce in modo rallentato e lento a
stimoli esterni, la riflessione è rallentata e fa fatica a tenere il filo del
discorso visto che anche l’attenzione è diminuita. L’orientamento e il
ragionamento rimangono intatti.
Nella sonnolenza è leggermente impedito anche l’orientamento e
variata anche la psicomotricità.
Sonnolenza e stordimento sono fasi normali tra sonno e sveglia e
naturalmente non patologiche in questo contesto.
1.4.2.2.1.2 Sopor, coma, ipervigilanza
Sopor si chiama lo stato dal quale un dormiente può essere
svegliato solo con energici interventi e non si riesce a portarlo a
coscienza chiara.
In coma il paziente non è più svegliabile, spesso sono anche
diminuiti i riflessi vegetativi.
In ipervigilanza la percezione è iperchiara e nitida, il pensiero facile
e galleggiante, l’attenzione sovrasti-molata fino alla tortura e
all’ipersensibilità emotiva e non si riesce ad addormentarsi, anche
se fisicamente si è esauriti. La sindrome di ipervigilanza è spesso
accompagnatrice di avvelenamenti di droghe come la cocaina, le
anfetamine …, spesso definita come “allargamento del cosciente”.
1.4.2.2.2 Disturbi qualitativi
Si riferiscono a mutamenti della coscienza: orientamento, attenzione e
ragionamento.
Vengono trattati i seguenti argomenti:
1.4.2.2.2.1 Sindrome amenziale (confusione)
1.4.2.2.2.2 Sindrome delirante
1.4.2.2.2.3 Stati di trasognanza
1.4.2.2.2.1 Sindrome amenziale (confusione)
Il termine si usa spesso anche per indicare un disturbo riflessivo, ma
qui è inteso un disturbo di coscienza, di ragionamento e
orientamento che causa poi una confusione mentale. Pazienti con
questa sindrome possono essere molto svegli e anche emozionati.
Non sono ragionevoli e spesso non orientati sul luogo, il tempo e
loro stessi e percepiscono in modo impreciso o alterato il loro
ambiente. Diventano incoerenti anche riflessivamente e si sentono
spesso perplessi, incerti, minacciati in modo indeterminato.
1.4.2.2.2.2 Sindrome delirante
Sindrome amenziale aggravata con irrequietudine motoria e facile
spavento, con allucinazioni (normalmente ottiche) e idee fisse
illusorie fantastiche ma facilmente suggestionabili (questo manca in
stati di trasognanza o in schizzofreia).
1.4.2.2.2.3 Stati di trasognanza
Il cosciente è ridotto a poche idee, chimere, percezioni o
allucinazioni, l’attenzione indirizzata esclusivamente a loro, tutto il
resto rimane soggettivamente inesistente. Spesso cominciano “a
scatto” e perdurano da poche ore fino a settimane e raramente
mesi.
Pazienti che sono ancora orientati, per l’osservatore passeggero
non mostrano sintomi. Più da vicino si notano i comportamenti più
variati, da deprivazione fino a atti criminali non motivati.
Pazienti disorientati perdono anche l’orientamento relativo a loro
stessi, al luogo e al tempo. Possono diventare altamente
emozionati, commettere atti di violenza non motivati, vagare a
vuoto, essere apatici, cadere in stupore o beatitudine solenne.
La maggior parte degli stati trasognanti terminano con una completa
amnesia durante il relativo periodo.
1.4.2.3 Disturbi di autocoscienza
Il campo è poco approfondito e pieno di opinioni divergenti. Sono invece d’accordo quasi
tutti che certi aspetti sui disturbi di coscienza propria sono specifici per gli stati di
schizofrenia. Non è però una patologia che si incontra solo in casi di schizofrenia, ma
anche in:
- Molti disturbi nevrotici e in iperemotività e esaurimenti di “sani” (specialmente leggeri
episodi di depersonalizzazione).
- Depressivi endogeni mostrano spesso episodi di depersonalizzazione e di disturbi di
propria attività (senza il tipico elemento “schizofrenico” di sentirsi manipolato
dall’esterno).
Vengono trattati i seguenti argomenti:
1.4.2.3.1 Disturbi di attività
1.4.2.3.2 Disturbi di integrità
1.4.2.3.3 Disturbi di identità o continuità
1.4.2.3.4 Depersonalizzazione
1.4.2.3.5 Disturbi di autonomia, espropriazione
1.4.2.3.1 Disturbi di attività
Pazienti con disturbi di attività della coscienza propria dicono p.es.:
- Che non pensano, ma qualcosa “fa” i loro pensieri,
- che non si muovono ma sono mossi, e all’estremo,
- che possono osservare tutte le loro reazioni, e in realtà non vivono ma sono
vissuti.
Si noti che non si tratta di una mancanza della propria coscienza, ma di un
disturbo di percezione dell’attività del proprio ego come “passivo”.
1.4.2.3.2 Disturbi di integrità
Con questa definizione non si intende l’esperienza giornaliera di percepirsi
contemporaneamente come “agente” e “vittima” e neanche l’ambivalenza di
pulsioni o emozioni o ragionamenti contrastanti, ma l’autentica situazione
“schizofrenica” (scissione di coscienza) di viversi come “due egos” o più
frequentemente di sentire il proprio ego come scisso in due o più parti. Una
paziente descriveva lo stato come “un pazzo film doppio”, con una fatica
disumana di vivere ambedue contemporaneamente “come si deve”.
In contrasto a stati di trasognanza, non sono impediti minimamente la vigilanza,
l’orientamento, l’attenzione e il ragionamento e manca l’elemento dell’amnesia.
1.4.2.3.3 Disturbi di identità o continuità
Pazienti schizofrenici dichiarano spesso che da qualche tempo non sarebbero
più loro ma qualcun altro. Non lo intendono come mutamento o evoluzione, ma
come ricambio: riconoscono spesso “il vecchio” ma l’hanno perso o emarginato
o gli è stato distrutto o intercambiato dall’esterno.
1.4.2.3.4 Depersonalizzazione
Il paziente non percepisce più bene la sua propria persona: si trova strano,
ridicolo, non riconosce più bene la sua faccia o figura, non sente più
appartenenza ai suoi affetti e scopi.
1.4.2.3.5 Disturbi di autonomia, espropriazione
Sembra un sogno umano quello di far crollare la delimitazione tra se stesso e il
mondo esterno: si cerca di realizzarlo nell’amore, nel misticismo, nell’estasi, in
emozioni collettive e con degli stupefacenti.
Chi cade accidentalmente in certe forme di schizofrenia, soffre una tortura
difficilmente immaginabile. Si riconosce in una tovaglia o in un cane o vive il
comportamento di un altro come proprio. La depersonalizzazione è completa e
si parla del crollo della personalità o “espropriazione”.
Pare che questi disturbi siano piuttosto “funzionali”, in quanto si conoscono
tanti casi che si sono “rimessi a posto” da soli, il che lascia dedurre che non si
tratta di disturbi organici degenerativi.
1.4.3 Memoria
Vengono trattati i seguenti temi:
1.4.3.1 Introduzione
1.4.3.2 Disturbi mnemonici quantitativi
1.4.3.3 Disturbi mnemonici qualitativi
1.4.3.4 Disturbi di riproducibilità mnemonica
1.4.3.1 Introduzione
È pressoché impossibile parlare di anima o psiche senza citare direttamente o
indirettamente la memoria:
- nella cognizione l’esperienza che deve congiungersi alla sensazione
- nel cosciente come substrato di legame per orientamento e ragione come per la
continuità del cosciente proprio
- e anche l’immaginazione è una delle prestazioni mnemoniche evidenti.
KANT ha definito la memoria come “… capacità di ricordarsi volutamente del passato, …”.
Si riferiva alla parte “cosciente” della memoria e questo punto di vista è stretto. HERING
definiva (1870) “… la memoria come funzione generale di materia organizzata …”, e quindi
in maggior parte al di là di cognizione e coscienza; un’idea che nell’epoca della genetica e
degli ordinatori è diventata quasi banale.
Vengono trattati i seguenti temi:
1.4.3.1.1 “Sedi” della memoria
1.4.3.1.2 Memoria, umore, affettività
1.4.3.1.3 Memoria, ricordo, esperienza
1.4.3.1.4 Riassunto delle definizioni
1.4.3.1.5 Disturbi della memoria
1.4.3.1.1 “Sedi” della memoria
Come è strutturata e come funziona questa capacità, non è noto ma solo
ipotizzato. Non solo si trova nelle cellule nervose dell’organismo umano, ma
probabilmente anche in altri tessuti ed è ancora largamente sconosciuta.
Per la psicopatologia descrittiva bastano pochi termini per caratterizzare la
memoria:
- la memoria a breve: che registra eventi per secondi, minuti, ore. È anche
chiamata “annotativa” che non rende perfettamente l’idea, perché lascia
fraintendere che si tratta solo di memoria “cosciente”. Si chiama anche
“buffer” usando un termine tecnico degli ordinatori.
- La memoria remota che contiene i ricordi arretrati di giorni, mesi e anni. Si
chiama spesso anche capacità mnemonica o semplicemente memoria.
Con il termine capacità riproduttiva si intende la capacità di portare al cosciente
intenzionalmente dei contenuti mnemonici. Le mnemotecniche curano questa
capacità.
1.4.3.1.2 Memoria, umore, affettività
In psicopatologia è anche importante il nesso tra memoria, umore e affettività.
La capacità intenzionale di memorizzazione dipende notevolmente dall’umore
momentaneo e dall’affetto verso il tema: situazioni e impressioni piacevoli si
memorizzano meglio di quelle spiacevoli e queste meglio di quelle indifferenti e
noiose.
1.4.3.1.3 Memoria, ricordo, esperienza
Non solo la capacità di memorizzazione e la disponibilità al ricordo, ma anche
gli “engrammi” stessi sono variabili in funzione delle emozioni coinvolte. Anche
la capacità riproduttiva dipende da esse, come lo può confermare chiunque
abbia sostenuto degli esami. Nell’ambito della psicopatologia è rilevante
accentuare la mancante oggettività della memoria, risultante dalla sua
dipendenza emotiva.
I molteplici contenuti mnemonici non coscienti furono chiamati anche “memoria
d’esperienza” (dalla psicologia del cosciente) e hanno degli effetti ponderanti su
azioni, motivi, pensieri e obiettivi coscienti. Hanno una grande importanza in
psicologia analitica (FREUD) e di profondità (JUNG) perché:
- sia “gli scostamenti” come contenuti eliminati dalla “sezione cosciente”,
- sia “l’inconscio collettivo” come qualcosa nella memoria inconscia della
materia organizzata, devono avere un loro posto nella memoria.
1.4.3.1.4 Riassunto delle definizioni
Per chiudere con HERING: “Si intende con memoria spesso solo una nostra
capacità di riprodurre intenzionalmente delle immaginazioni e le loro sequenze.
Ma, quando spontaneamente figure e situazioni di giorni passati si elevano nel
nostro cosciente e lo occupano, non vuol forse anche dire ricordarci di loro?
C’è il pieno diritto di ampliare il termine di memoria a tutte le sensazioni,
immaginazioni, emozioni e mete spontanee, e dal momento che lo facciamo, la
memoria si amplia in una capacità originale che nel contempo è la fonte e il
nastro legante di tutta la nostra vita cosciente.
1.4.3.1.5 Disturbi della memoria
Per i disturbi di memoria sono usate le diverse classificazioni:
- secondo le cause sono suddivisi in organici, funzionali e psicogeni
- secondo la “portata” in disturbi della memoria breve e remota
- in quantitativi, qualitativi e di riproducibilità
I disturbi mnemonici “recenti” e persistenti sono sempre sintomi di lesioni
organiche cerebrali. Le amnesie sono spesso organiche, ma possono avere
anche cause psichiche (specie se incomplete) e quindi reversibili.
I disturbi qualitativi sono causati da forti interdipendenze di memoria e affettività
e nelle forme leggere da eventi quotidiani.
Nelle forme patologiche si trovano spesso negli schizofrenici e ogni tanto in
depressi e maniaci.
1.4.3.2 Disturbi mnemonici quantitativi
Vengono trattati i seguenti argomenti:
1.4.3.2.1 Ipermnesie
1.4.3.2.2 Disturbi quantitativi di memoria recente
1.4.3.2.3 Disturbi quantitativi di memoria remota, demenza
1.4.3.2.1 Ipermnesie
La memoria remota fornisce “troppo materiale” al cosciente e inonda contro
volontà il colpito. Capitano nei casi di delirio e sono ben distinti dalle
allucinazioni.
1.4.3.2.2 Disturbi quantitativi di memoria recente
Vengono trattati i seguenti argomenti:
1.4.3.2.2.1 Svanimento mnemonico
1.4.3.2.2.2 Psicosindrome amnestica
1.4.3.2.2.3 Confabulazione e perseveranza
1.4.3.2.2.1 Svanimento mnemonico
Lo “svanimento mnemonico “ di senescenza non è patologico, ma
un’evoluzione normale. Colpisce anzitutto la memoria recente e
molto meno la memoria remota. Si ipotizza che sia causato dalla
diminuzione di stimoli e sfide mentali e infatti allenamento ed
esercizio mentale mantengono abile la memoria fino nella
senescenza.
1.4.3.2.2.2 Psicosindrome amnestica
Disturbi di memoria recente che causano rilevanti disturbi psichici
come:
- disorientamento
- percezione impedita
- impoverimento riflessivo
- diminuzione di intelligenza
- fino all’illusione di vivere in tempi passati
sono spesso causati da processi degenerativi cerebrali, più
frequenti in età avanzata ma non necessariamente legati all’età,
perché in ogni momento della vita possono capitare.
1.4.3.2.2.3 Confabulazione e perseverazione
Sintomo di un disturbo serio di memoria recente: deficienze
memorative vengono “riempite” con:
- storie liberamente inventate
- informazioni liberamente inventate
- stereotipi e retorica vuota priva di senso e contesto
(confabulazione)
- ripetizione di un’idea, una proposta o una mossa già espressa,
anche se nel contesto dovrebbe seguirne sensatamente una
nuova (perseverazione).
Spesso l’interlocutore non troppo attento non nota niente, perché il
colpito ha sviluppato una grande bravura linguistica e
comportamentale formale per coprire le deficienze mnemoniche e
spesso anche intellettive.
1.4.3.2.3 Disturbi quantitativi di memoria remota, demenza
La demenza comincia sempre con la memoria recente e progredendo
raggiunge tempi sempre più remoti fino al punto di dimenticarsi anche del
proprio nome. Il termine “rimbambire” descrive bene questo processo di
regressione memorativa. Si tratta di una specie di “amnesia progressiva”
trattata dal medico e dal neurologo.
Vengono trattati i seguenti argomenti:
1.4.3.2.3.1 Amnesie
1.4.3.2.3.2 Amnesie retrograde
1.4.3.2.3.3 Agnosie
1.4.3.2.3.4 Amnesie emotive
1.4.3.2.3.5 Scostamenti/rimozioni
1.4.3.2.3.1 Amnesie
Deficienze mnemoniche esattamente delimitate a un tema, oppure
un periodo di tempo. Sono frequenti in concomitanza con dei periodi
o temi di cognizione disturbati come in occasione di traumi fisici o
psichici. Normalmente sono organicamente determinate.
1.4.3.2.3.2 Amnesie retrograde
Certe amnesie si chiamano “retrograde”, perché vanno oltre al
periodo ricostruibile del trauma stesso. Viene “cancellato” anche un
periodo precedente, cosa che rende difficile ogni tanto la
ricostruzione di incidenti.
1.4.3.2.3.3 Agnosie
Deficienze di memoria per determinati contesti ben delimitati
(sordità, cecità psichica), sono trattati di solito nella neurologia, ma
possono essere interpretati come disturbi mnemonici.
1.4.3.2.3.4 Amnesie emotive
Amnesie “funzionali” o psicogene” spesso non sono “complete” ma
si conservano ancora dei resti diffusi. Possono essere causate da
gravi traumi emotivi.
Ogni tanto sono ricostruibili. Somigliano tanto a =>
“scostamenti/rimozioni”.
1.4.3.2.3.5 Scostamenti/rimozioni
In psicologia analitica: amnesie emotive perché il ricordo sarebbe
insopportabili, “non è, perché non può essere”.
<< “Questo l’ho fatto” dice la memoria, “non posso averlo fatto” dice
l’orgoglio. “Alla fine cede la memoria” >> (NIETZSCHE).
1.4.3.3 Disturbi mnemonici qualitativi
La memoria non riproduce fedelmente una realtà passata ma la lega alle emozioni remote
quanto alle emozioni recenti. Il ricordo riproduce entrambe ed è alla base della valutazione,
anche degli elementi che sono apparentemente “oggettivi”. Così nel ricordo di due
persone, la medesima situazione può essere valutata in modo estremamente diverso,
senza che una delle due “menta”. Fin qui, niente di patologico.
Vengono trattati i seguenti temi:
1.4.3.3.1 Distorsione mnemonica
1.4.3.3.2 Illusioni e allucinazioni mnemoniche
1.4.3.3.3 Pseudologia fantastica
1.4.3.3.1 Distorsione mnemonica
La valutazione può “distorcere” gli eventi in modo rilevante fino al non più
riconoscimento: un depresso grave, valuta il suo passato come un unico
calvario, mentre un maniaco si ricorda delle banalissime situazioni come
fossero eventi eroici.
1.4.3.3.2 Illusioni e allucinazioni mnemoniche
La distorsione mnemonica può raggiungere forme patologiche che appaiono
all’esterno come pure “illusioni” o “allucinazioni” mnemoniche. Per il colpito
invece diventano “storia reale”.
1.4.3.3.3 Pseudologia fantastica
In gravi forme di “menzogna patologica” (pseudologia fantastica), le storie
raccontate (di vittimismo o eroismo) per desiderio di affermazione diventano
realtà mnemonica e così fanno parte dell’identità della persona. Si distingue
dalle illusioni e allucinazioni mnemoniche per l’estensione spesso su tutta la
biografia.
1.4.3.4 Disturbi di riproducibilità mnemonica
Non sono nettamente qualitativi o quantitativi in quanto mostrano un’inaffidabilità
mnemonica: “ce l’ho sulla punta della lingua, ma non mi viene”, o l’incapacità di riprodurre
dei ricordi nell’emotività di un esame.
1.4.4 Riflessione
Vengono trattati i seguenti temi:
1.4.4.1 Introduzione
1.4.4.2 Disturbi riflessivi formali
1.4.4.3 Disturbi riflessivi materiali
1.4.4.1 Introduzione
Non si può sapere cos’è la riflessione perché è soggetto della propria attività.
Coinvolti nel discorso: percezione, memoria, esperienza, immaginazione, associazione,
lingua, pensiero, parola, termine, paragone, combinazione, comprensione, giudizio, ordine,
nesso, idea, …
La riflessione:
- dipende evidentemente dai contenuti di memoria ed esperienza, dalla capacità di
riproduzione mnemonica e da immaginazioni,
- formata da percezioni remote e recenti,
- connessa tramite associazioni, emozioni, capacità e abitudini formali,
- valutata secondo i criteri di paragone come l’evidenza, i valori, …
- ogni tanto resa cosciente,
- e ogni tanto espressa con degli strumenti comunicativi come la lingua, il suono, la pittura,
la scrittura, …
Vengono trattati i seguenti temi:
1.4.4.1.1 Associazioni
1.4.4.1.2 Riflessione associativa
1.4.4.1.3 Riflessione orientata
1.4.4.1.4 Immaginazione
1.4.4.1.5 Pensieri e riflessioni
1.4.4.1.6 Parole
1.4.4.1.7 Pensieri astratti
1.4.4.1.8 Riflessione e lingua
1.4.4.1.9 Termini
1.4.4.1.10 Sintassi, logica, giudizio
1.4.4.1.11 Intelletto, esperienza
1.4.4.1.12 Riflessione inconscia
1.4.4.1.13 Valutazione del significato riflessivo
1.4.4.1.14 Riflessione creativa o produttiva
1.4.4.1.1 Associazioni
Concatenamento relazionale di contenuti di memoria.
Associazioni ordinarie e individuali:
- ordinario p.es.: sequenza temporanea, similitudine, contrasto, vicinanza
temporanea o spaziale, similtudine fonetica, nesso sociale, denominatore
comune, causa ed effetto, …
- individuale: p.es associazione “padre-assassino” in una persona:
- il cui padre è stato assassinato
- il cui padre è un assassino
- o che ha letto Freud
provoca dei nessi molto individuali.
Le associazioni ordinarie hanno un forte nesso con il vissuto sociale e culturale
di una persona (educazione e formazione, contesto sociale, valori trasmessi,
…) mentre le associazioni individuali sono determinate dal vissuto e dalle
esperienze personali. La distinzione è solo didattica: in una singola persona
sono indecifrabilmente concatenate e spesso contrastanti e ambivalenti.
Si possono promuovere un po’ le associazioni per volontà, è invece impossibile
sopprimerle.
1.4.4.1.2 Riflessione associativa
La riflessione associativa “salta di palo in frasca”, divaga senza meta e obiettivo
nel labirinto multidimensionale del cervello, servendosi soprattutto di
esperienze e di immaginazioni corrispondenti a un determinato stato emotivo. Il
movimento della riflessione associativa è guidato da percezioni e
immaginazioni istantanee. Si tratta di un fantasticare, un divagare in immagini
simile al sogno. La riflessione associativa si serve volentieri dell’immaginazione
sensuale.
1.4.4.1.3 Riflessione orientata
La riflessione orientata segue volentieri delle orme “formali” e si muove
“indirizzata” a un obiettivo, spesso anche in circolo. Per descriverla ci vogliono
elementi come la parola, il pensiero, la lingua, il termine, … La riflessione
orientata rinuncia volentieri all’immaginazione sensuale per raggiungere la
meta della riflessione in maniera economica tramite dei rappresentanti: le
parole, i termini e le relative astrazioni.
1.4.4.1.4 Immaginazione
La rappresentazione mentale di percezioni remote, desiderate, temute, … ma
anche di concetti e idee astratte.
1.4.4.1.5 Pensieri e riflessione
I pensieri sono il materiale della riflessione e non devono essere
necessariamente ricordi o immaginazioni concrete, ma anche loro
rappresentanti come le parole o i termini e legati secondo le caratteristiche
associative. In realtà sono indecifrabilmente mescolati.
1.4.4.1.6 Parole
Costrutti fonetici o grafici legati per associazione ordinaria (persone della
stessa lingua) a degli oggetti. L’immaginazione della parola stessa basta per
definire mentalmente la situazione senza necessità di doversi immaginare
anche l’oggetto.
1.4.4.1.7 Pensieri astratti
Spesso i pensieri non si rivolgono più a oggetti o eventi concreti ma si affidano
al fatto che, tramite le parole e i termini si può “ricostruire” in ogni momento la
rispettiva “realtà”.
1.4.4.1.8 Riflessione e lingua
Il pensiero astratto ha quasi esclusivamente a che fare con dei concetti e delle
idee e non con degli oggetti. In questo senso, la lingua con le sue convenzioni
strutturali e funzionali, diventa prima il substrato del pensiero astratto e poi
eventualmente anche il suo veicolo di comunicazione.
1.4.4.1.9 Termini
I termini sono parole che non simbolizzano più un oggetto concreto ma un
denominatore comune di tanti oggetti con diversissime proprietà. “Albero” è un
simbolo per il denominatore comune di conifere, latifoglie, da frutta e da
legname, bonsai e giganteschi, appena spuntati e millenari, …
1.4.4.1.10 Sintassi, logica, giudizio
La sintassi determina le regole formali funzionali dell’uso linguistico in modo
che chi parla si possa far intendere. L’inverso sembra invece meno vero; mia
nonna diceva che intendersi non è una faccenda linguistica.
La logica determina le regole formali del nesso tra i pensieri, non della validità
del contenuto o della deduzione:
- “Le persone con dei piedi grandi, secondo la statistica, hanno una probabilità
elevata di morire di un tumore al polmone. Quindi, il tumore dipende dal
numero di scarpe.” La sequenza è giusta nel senso della logica formale. È
sbagliata come deduzione, perché in realtà: “I fumatori sono tra le persone
più colpite dai tumori al polmone. I fumatori sono più frequentemente maschi.
I maschi hanno un numero di scarpe tendenzialmente più grande.” Il
pensiero logico in questo caso suggerisce un nesso associativo causa-effetto
erroneo dove la riflessione (anche logica) più completa rivela una
correlazione che dipende anche da altri nessi. La deduzione in pratica è
importante, perché in Inghilterra i fumatori pagano fino al 20% di meno di
contributi alle casse malati (perché, morendo 5…10 anni prima dei non
fumatori, creano meno costi sanitari). Se fossero tassati secondo il numero di
scarpe, …
- “Secondo la statistica, le teste calve sono più benestanti delle teste ricciolute.
Per diventare ricchi bisogna quindi rasarsi i capelli.” Erroneo, anche sotto
criteri formali di logica, perché la deduzione alla rovescia è contro le regole
anche della logica formale.
In realtà il nesso esiste tramite età-benestante ed età-calvizia.
Il giudizio in primo luogo è un impulso di accettazione o di rifiuto di un pensiero
(affettivo). Termina un pensiero orientato per ritornare all’associativo. Per
quello giudichiamo spesso in modo aleatorio prima di riflettere a fondo,
trovandoci davanti a pensieri orientati difficili o scomodi; così li evitiamo e li
scostiamo. Riflessioni di questo tipo si riconoscono perché sono spesso
contradditorie ad altre nel medesimo contesto.
Il giudizio cosciente invece paragona il risultato (deduttivo o induttivo) di una
riflessione con “l’evidenza dei fatti”, poi con le deduzioni di altre riflessioni (per
esempio altro punto di vista o altri criteri rilevanti nel contesto come
l’esperienza). Spesso una “contraddizione di giudizi impulsivi” diventa la
motivazione per una riflessione cosciente (se prima nel discorso non è stata
postulata come definitiva e non si può più ritirarsi). Solo di seguito si tirano le
conclusioni di diverse riflessioni e paragoni empirici e si arriva al dunque.
1.4.4.1.11
Intelletto, esperienza
Parecchi giudizi coscienti dopo averli valutati e raggruppati portano
a deduzioni (o induzioni) concettuali. La qualità riflessiva che
chiamiamo intelletto è la capacità di intendere singoli pensieri nel
loro significato, di paragonarli tra loro, di metterli in relazione ad altre
idee e infine di integrarli in un contesto superiore mentale,
nell’esperienza. Spesso invece si intende “esperienza” come
guazzabuglio di stupidità remote.
1.4.4.1.12 Riflessione inconscia
Al contrario di ciò che può pensare il lettore che per forza segue un
filo cosciente di argomentazioni, la maggior parte delle mie
riflessioni è inconscia e per mia grande fortuna: i risultati vengono
ogni tanto a galla (cosciente) senza che io debba preoccuparmi
della fatica della loro costruzione. Ho comunque poco tempo per
riflettere perché devo lavorare o impiegare meglio il mio tempo
prezioso.
1.4.4.1.13 Valutazione del significato riflessivo
Il giudizio orientato confronta il risultato del pensiero con l’evidenza
dei fatti (buon senso), con i costumi e le abitudini di una determinata
società (morale, etica), con il parere di esperti in materia (-crazie di
tutti i colori) o interessi particolareggiati (despotismi di tutti i colori).
Spesso sono molto contrastanti tra di loro con dei seri effetti
personali perché è una questione di potere se l’uno ha il
sopravvento sull’altro. Tendenzialmente, il buon senso individuale è
l’ultimo della classe.
Non arrendetevi, fratelli miei: le capacità di riflessione e di confronto
dell’evidenza con i fatti funzionavano molto prima dell’invenzione di
grammatica, sintassi, logica, filosofia, teologia, psicologia,
sociologia, politica, ecologia, e altre -logie. Coloro che pensano di
aver capito come funziona, non vuol dire che l’hanno inventato. E
non vuol dire nemmeno che lo sappiano applicare meglio, anzi!
1.4.4.1.14 Riflessione creativa o produttiva
La riflessione, di solito, “ri-flette” le eterne solite menate in modo
reattivo. L’atto creativo o produttivo crea del nuovo, mai pensato, in
un atto cosciente di riflessione. Ciò può essere il risultato di una
combinazione di tentativi, oppure “accade” come un lampo,
inspirazione o rivelazione. Come ci insegna l’esperienza nei millenni
di cultura, la maggior parte delle volte si è trattato di una
combinazione dell’una (transpirazione riproduttiva) con l’altra
(inspirazione creativa).
1.4.4.2 Disturbi riflessivi formali
Vengono trattati i seguenti temi:
1.4.4.2.1 Ruptus riflessivo
1.4.4.2.2 Privazione riflessiva
1.4.4.2.3 Riflessione ossessiva e vagante
1.4.4.2.4 Riflessione fuggente
1.4.4.2.5 Riflessione inibita
1.4.4.2.6 Riflessione stordita
1.4.4.2.7 Neologismi
1.4.4.2.8 Senso e nonsenso della riflessione schizofrenica
1.4.4.2.1 Raptus riflessivo
Interruzione di un pensiero per via di un altro pensiero, un’associazione, un
evento o una forte emozione. Si perde il filo. Evento molto frequente, non
patologico.
1.4.4.2.2 Privazione riflessiva
Interruzione all’improvviso di tutti i pensieri nel senso del vacuo. Viene
percepita molto diversamente dalla mancanza di concentrazione o dalla
distrazione. Ottenibile anche per ipnosi, aggeggi tecnici o esercizi di
sbarramento o di guida del pensiero. Se combinato con illusioni o fissazioni
diventa sintomo rilevante per sospetto di schizofrenia.
1.4.4.2.3 Riflessione ossessiva e vagante
Difficoltà di cambiare il pensiero da un argomento all’altro (ossessiva anche
senza particolare interesse per il tema stesso) e pensieri che trattano i minimi
dettagli senza differenziazione di rilevanza (vagante). La combinazione dei due
in forma patologica si incontra soprattutto in pazienti con lesioni cerebrali e in
certi casi di epilessia.
1.4.4.2.4 Riflessione fuggente
La riflessione fuggitiva non riesce a trattare un argomento, ma salta di palo in
frasca guidata da valanghe di associazioni. Essendo spesso sintomo di mania,
la persona è di buon umore e ha un grande incentivo e parla quindi ad alta
voce, veloce e senza interruzione (logorrea), spesso anche “spiritoso” in modo
cercato.
Queste persone non percepiscono il disturbo come tale, ma sono convinti
finalmente di riuscire a riflettere bene.
Le confidenze e le espressioni volgari del loro discorso invece non sono frutto
dei pensieri fuggitivi, ma della disinibizione connessa con lo stato maniacale.
1.4.4.2.5 Riflessione inibita
La riflessione inibita in un certo senso è il contrario della riflessione fuggitiva:
- il fuggitivo è inondato di associazioni,
- alla riflessione inibita mancano le associazioni e con esse il “materiale di
riflessione”.
È un sintomo chiave della “depressione”, che le riflessioni circondano sempre
gli stessi e pochi contenuti tristi o disperati. Le fissazioni depressive possono
svilupparsi da questo sintomo, ma sono più disturbi formali che “materiali” o di
contenuto riflessivo.
1.4.4.2.6 Riflessione stordita
Se non riusciamo più a seguire il discorso di una persona nel senso che
rimangono riconoscibili solo frammenti di idee senza associazioni
immedesimabili, si parla di riflessione stordita.
Può essere sintomo di schizofrenia.
1.4.4.2.7 Neologismi
Se questo discorso “stordito” contiene grandi quantità di “parole” che non
figurano in nessun dizionario (neologismi) e la struttura grammaticale
deperisce, si parla di riflessione altamente stordita, spesso sintomo di
schizofrenia acuta.
1.4.4.2.8 Senso e non-senso della riflessione schizofrenica
La psichiatria remota definiva questo disturbo “insalata di parole” e dichiarava
trattarsi di una malattia cerebrale. La psichiatria moderna è più differenziata, in
quanto interpreta queste comunicazioni come disperato tentativo di esprimere
qualcosa di straordinario (o percepito come straordinario) per il quale non
bastano i soliti strumenti di vocabolario e grammatica.
1.4.4.3 Disturbi riflessivi materiali
Disturbi riflessivi materiali patologici si incontrano:
- in psicosi endogene,
- lesioni cerebrali e
- in epilessia.
Idee di sopravvalutazione sono un sintomo aspecifico per dei disturbi riflessivi materiali.
Idee di vaneggiamento si incontrano:
- in schizofrenia,
- ciclotimia (sindrome depressivo-maniacale),
- psicosi organiche e
- nello sviluppo di paranoia psicogena.
Idee costrittive (fisse, coatte) nelle forme leggere sono quasi quotidiane,
- nelle forme gravi, invece, sono una seria malattia, che è meglio non chiamare “nevrosi”.
- Possono essere anche sintomi accompagnanti da psicosi endogene e organiche.
Vengono trattati i seguenti temi:
1.4.4.3.1 Idee di sopravvalutazione
1.4.4.3.2 Idee costrittive (fisse, coatte)
1.4.4.3.3 Dipendenze riflessive
1.4.4.3.4 Idee di vaneggiamento (paranoie)
1.4.4.3.1 Idee di sopravvalutazione
Idee di questo tipo non sono in sè sbagliate, ma prendono il sopravvento,
disturbano continuamente il flusso regolare del pensiero, richiedono
un’attenzione che non è oggettivamente giustificabile. Sono spesso connesse
con uno zelo missionario di divulgazione.
P. es.: Un vegetariano che propaga la sua idea con entusiasmo e impegno,
non ha di certo un’idea di sopravvalutazione, se invece:
- comincia a tirannizzare la sua famiglia con questa idea,
- non può più parlare di altro o
- rischia la sua professione e il suo stato sociale,
lo diventa, non perché l’idea è “sbagliata” ma perché riceve una carica emotiva
eccessivamente esuberante.
La maggior parte di “ideologie, verità assolute, presunzioni religiose, … si basa
su delle “idee di sopravvalutazione”. Il “trucco seduttivo” è quello di paragonarle
ad altre idee e argomentarle tra di loro. Rivelano (come la riflessione impulsiva)
invece la loro perversità nei confronti di fatti reali ed esperienze. Come disse H.
MARCUSE: “Non c’è nessuna idea, anche la più sacra, che giustifichi la tortura
di una sola persona”.
1.4.4.3.2 Idee costrittive (fisse, coatte)
Sono delle idee riconosciute dal colpito stesso come sbagliate, prive di senso o
nocive, ma c’è come una costrizione a pensarle e spesso ad agire in loro
funzione. Spesso sono relate ad ansie e paure (emozioni costrittive, coatte),
con attività coatte (costrittive) come il dover pulire in continuazione (azioni
coatte), ma esistono anche immaginazioni coatte.
Ognuno di noi (e per fortuna) ha dei rituali e delle abitudini che sono diventati
“coatti”. All’ammalato di costrizione manca la capacità di negare questo
impulso, anche se lo riconosce chiaramente come nocivo e indirizzato contro
se stesso.
1.4.4.3.3 Dipendenze riflessive
Ogni dipendenza ha caratteristiche simili alle idee coatte, ma si distingue
comunque da esse, perché la dipendenza raggiunge almeno in modo
passeggero una soddisfazione che manca all’idea costrittiva fine a sé stessa.
1.4.4.3.4 Idee di vaneggiamento (paranoie)
Le idee di vaneggiamento sono dei pensieri o giudizi erronei secondo il buon
senso (paragonato all’evidenza dei fatti), e invece per il portatore non solo
giusti, ma assolutamente vincolanti per tutti, sempre e ovunque. Non sono
quindi accessibili al discorso e rimangono incorreggibili.
Dei tanti tipi di idee di vaneggiamento, i più conosciuti (secondo il loro
contenuto) sono quelli:
- relazionali
- di persecuzione
- di impedimento
- di amore e di gelosia
- di impoverimento
- di megalomania
- di ipocondria
- di avvelenamento
- di colpa e peccato
che si chiamano anche paranoie.
1.4.5 Intelligenza
Vengono trattati i seguenti temi:
1.4.5.1 Introduzione
1.4.5.2 Oligofrenia (ipointelligenza)
1.4.5.3 Demenza
1.4.5.4 Iperintelligenza
1.4.5.1 Introduzione
In contrasto alle definizioni remote, la psicologia moderna definisce l’intelligenza come: “…
capacità composta o globale dell’individuo, di:
- agire in modo sensato
- riflettere in modo ragionato
- interagire (reagire) efficacemente con il suo ambiente”.
Per me, e in altre parole, è la capacità di coordinare bene le proprie:
- funzioni vegetative e mentali
- tramite sentimento e intento
- adatto all’incentivo e alle risorse disponibili
allo scopo di raggiungere, a condizioni variabili, sempre di nuovo degli stati di esistenza
emotivamente soddisfacenti.
L’intelligenza viene misurata con dei test e riferita all’età. Questi test hanno una grande
incidenza in diversi campi della psichiatria, anche se il discorso di cosa sia l’intelligenza
rimane aperto e acceso.
In psichiatria si sospetta che la maggior parte dei casi di oligofrenia (intelligenza ridotta)
leggera e media grave siano ereditari, mentre le forme gravi sono lesioni cerebrali da prima
infanzia. La demenza invece si ritiene causata da molteplici malattie, le cui conseguenze
sono lesioni diffuse e croniche come di senescenza, arteriosclerosi, alcoolismo, epilessia,
paralisi, …
1.4.5.2 Oligofrenia (ipointelligenza)
Le oligofrenie leggere e medie sono soprattutto ereditarie, mentre le forme gravi sono
spesso effetto di lesioni cerebrali da prima infanzia.
Vengono trattati i seguenti temi:
1.4.5.2.1 Ereditaria, innata, acquisita
1.4.5.2.2 Personalità oligofrenica
1.4.5.2.1 Ereditaria, innata, acquisita
Ereditaria non significa solo “genetica” ma anche dovuta a lesioni nel grembo
materno, durante il parto o a irregolarità durante i primi anni di vita che evitano
un ordinario sviluppo intellettuale. Perché la causa non differenzia il quadro
clinico, secondo la gravità sociale del disturbo si distingue in debilità, imbecillità
e idiozia.
Vengono trattati i seguenti temi:
1.4.5.2.1.1 Debilità
1.4.5.2.1.2 Imbecillità
1.4.5.2.1.3 Idiozia
1.4.5.2.1.1 Debilità
Il soggetto debile è in grado di seguire le classi normali delle
elementari, ripetendo diverse classi. Ogni tanto ha bisogno di scuole
speciali. Non è in grado di svolgere un mestiere autonomo. Se la
struttura affettiva, di iniziativa e di pulsioni non lo inibiscono, è
socialmente e professionalmente pienamente integrabile.
1.4.5.2.1.2 Imbecillità
Le capacità del soggetto imbecille non bastano per seguire una
scuola ordinaria. Egli impara in scuole speciali le facoltà elementari
di lettura, scrittura e calcolo, e non è di solito capace di applicarle
autonomamente e di propria iniziativa. Nelle società industrializzate,
questi “colpiti” si trovano spesso nei laboratori protetti, presso i loro
parenti o in istituti psichiatrici.
1.4.5.2.1.3 Idiozia
La capacità intellettuale non basta per le istruzioni elementari di
alfabetizzazione. Spesso non parlano o lo fanno solo in modo
telegrafico. Sono sempre bisognosi di cura, perché mancano anche
le funzioni elementari per l’autosufficienza.
1.4.5.2.2 Personalità oligofrenica
Gli oligofrenici non hanno caratteristiche individuali o di personalità meno
sviluppate di coloro che possiedono un maggior grado di intelletto. La vita con
loro ci insegna quanto sovravvalutiamo l’intelletto come funzione mentale: molti
di loro dispongono di capacità sovrasviluppate di memoria, musicalità,
imitazione, pantomimica, differenziazione affettiva, sensibilità, umorismo, .... E
molti di loro con queste doti sono capaci di crearsi più facilmente di noi delle
condizioni che:
- promuovono stati di esistenza emotivamente soddisfacenti
- evitano stati di esistenza frustranti.
Ogni tanto mi pare che questo scopo sia raggiungibile non grazie alle capacità
intellettive, ma al contrario nonostante queste.
1.4.5.3 Demenza
Deperimento progressivo di intelligenza causato da lesioni cerebrali p.es. come conseguenza
di:
- senilità
- arteriosclerosi
- alcoolismo
- epilessia, paralisi
- malattie come Mb. di Alzheimer
1.4.5.3.1 Demenza organica e apparente
1.4.5.3.1 Demenza organica e apparente
Oggigiorno “demenza” è sempre definita “organica” e irreversibile, salvo in
certe forme “apparenti” di pazienti schizofrenici dove è impedito l’intendersi tra
paziente e interlocutore.
1.4.5.4 Iperintelligenza
Non è ritenuta patologica, bensì trattata con grande ammirazione sociale.
2.0
Psicoterapie ortomolecolari
Vengono trattati i seguenti temi:
- Strumenti di lavoro.
- Procedura.
- Esempio di terapia.
- Psicopatologie e integratori alimentari spesso scarsi.
2.1
Strumenti di lavoro
Gli strumenti di lavoro concernenti gli integratori alimentari si trovano nella dispensa “PTO 2: Elementi di
terapia ortomolecolare” e nei relativi allegati. In questa dispensa si trovano in aggiunta le “Tavole
psichiatriche ortomolecolari” che sono previste per l’approfondimento delle “Tavole ortomolecolari” della
citata dispensa.
2.1.1 Psicopatologie e integratori alimentari spesso scarsi
Le abbreviazioni usate significano:
Vitamine:
A:
vitamina A o provitamine A (carotinoidi, betacarotene)
B1:
Tiamina
B2:
Riboflavina
B3:
Niacina (na: nicotinamido; an: acido nicotinico)
B6:
Piridossina
B12: Cobolamina
FOL: Acido folico
BIO: Biotina
AP:
Acido pantotenico
C:
Acido ascorbinico (cb; con bioflavonoidi)
D:
Cholecalciferole
E:
Tocoferole
VK:
Chinone (vitamina K)
Minerali:
Ca:
Calcio
Mg:
Magnesio
Na:
K:
Sodio
Potassio
Oligoelementi:
Zn:
Zinco
Fe:
Ferro
Mn:
Manganese
Mo:
Molibdeno
Cr:
Cromo
J:
Iodio
Se:
Selenio
Cu:
Rame
F:
Fluoro
Va:
Vanadio
Si:
Silicio
B:
Boro
Lipidi:
o-6: omega-6 (p.es. contenuto in olio di enotera)
o-3: omega-3 (p.es. contenuto in olio di pesce)
AL:
Acido alfa-liponico
LE:
Lecitina, colina
Aminoacidi: (l-; d-; dl- : forme , isomeri del tipo “l” oppure “d” oppure “dl”)
FA:
Fenilalanina, tirosina
TF:
Triptofane
BCCA: Leucina, isoleucina, valina
LIS: Lisina
ARG: Arginina, ornitina
MET: Metionina
CIS: Cisteina, glutatione
TAU: Taurina
TRE: Treonina, glicina
HIS: Istidina
GLU: Glutamina, acido glutammico, GABA: acido gamma-aminobutirico
CAR: Carnitina
Diverse sostanze (metaboliti, ormoni):
Q10: Coenzima Q10 (ubichinone)
DMG: Dimetilglicina
PABA: Acido paraaminobenzoico
INO: Inositole
MEL: Melatonina
Diversi preparati:
compl.B:
preparato multivitaminico B
compl.min.:
preparato multiminerale
AO: preparato antiossidante (vedi dispensa “PTO 2: Elementi di terapia ortomolecolare”).
FV:
fibre vegetali
LA:
lactobacillus acidophilus
OE: oli essenziali (di lino, sesamo, granoturco, cardo)
PB: proteine bassomolecolari
2.1.1 Psicopatologie e integratori alimentari spesso scarsi
La seguente lista elenca il nesso tra:
- disturbi neurologici e psichici da una parte e
- integratori alimentari spesso scarsi dall’altra
simile alle “Tavole ortomolecolari” descritte in una delle dispense precedenti. In altra forma, per
l’uso pratico diagnostico e terapeutico sono allegati in formato A4.
L’uso è descritto di seguito, come esempio.
Disturbi neurologici
motori
disturbi motori generali
vertigini
spasmi
tremolio
scatti
ciclici
sindrome premestruale
con cambiamento di tempo
ipoglicemia (con il cibo)
AO, PB. OE
B, LE
Na, K
B6, TRE
TF
B6
B3, E, Ca, Mg, Zn, Mn, o-6, FA
Fe
compl.min., Mg, Zn, Fe, Cr
depressione postpartum
funzionali
epilessia
convulsioni
polso accelerato
degenerative
sclerosi multipla
Zn
compl.min., B3(na), B6, E, Mg, Zn, Mn, Se, CIS, TAU, GLU,
DMG
B6, BIO
K
AO
compl.B, compl.min., B1, B6, B12, FOL, Ca Mg, Zn, Se, Cu,
o-6, o-3, d-FA
compl.B, B3, B6, FOL, C, E, Se, o-6, ld-FA, l-MET
B12, Cu, o-6, o-3, LE, BCCA, TRE
compl.B, B61, B6, B12, FOL, AP, E, Se, o-6,
morbo di Parkinson
sclerosi laterale
Mb. di Alzheimer
o-3, LE, l-CAR
disturb. personalità les. cerebr. J, Se
modif. personalità les. cerebr. B2, C, Mg
psicosi da lesioni cerebrali
B12, Zn, MET
dipendenza di medicamenti
discinesia tardiva
Mn
Sonno e veglia
difficoltà di addormentarsi
insonnia
sonno disturbato
disturbi di veglia
mancanza del ricordodei sogni
Cu
compl.B, B1, B3, B6, AP, TF, GLU, INO, MEL
B3, C, Ca, Mg, TRE, INO, MEL
FA, MEL
B6
Dolori
mal di testa
emicrania
crampi
dolori muscolari, articolari
neuropatie, parestesie
bruciore, torpidità
torpidità, formicolio
sindrome del tunnel carpale
dolori cronici
AO, PB, OE
compl.B, B1, B3, B6, AP, Fe, Cr, PABA
B6, E, Mg, Se, o-3
B6, Na, Mg, Ca
BIO, AP
compl.B, B1, B6, B12, AP, o-6, o-3, AL, LE, INO
B6
BIO, AP
B2, B3, B6, Mg, o-6
B1, B6, B12, C, E, Se, dl-FA,
Disturbi psichici
Incentivo, spinta
iperattività
debolezza
PB, OE
compl.B, compl.min., B1, B6, Ca, Mg, Zn, o-3, o-6, LE, TRE,
GLU
compl.min., C, Fe, Cr, J, Se
A, FOL, J, Se, TRE
AP, J, Se
compl.B, compl.min.,B1, B2, B3, BIO, AP, C, K, Fe, Mo, J,
Cr, Se, Cu, CAR, DMG, PABA
compl.min., FOL, C, Fe, J, Se, Cu
Atteggiamento
irritabilità
aggressività
ipersensibilità
premurosità
nervosismo
stress cronico
B3, B12, Cu, o-6, PABA
FOL
compl.B, B1, B6, B12, FOL, Ca, Mg, Zn, Fe, TRE, GLU
B3
B1, B6, Fe, GLU
PB, A, Mg, FA, BCCA, ARG, HIS, GLU, Q10, DMG
Coscienza
Ipersvegliatezza
letargicità
disorientamento, confusione
distrattezza
delirante
TF
B1, B2, Zn, J, Se, FA, MET
B3, Na
compl.B, B1, B3, B6, B12, Na, J, Se
B3
Percezione, cognizione
dist. attenz., concentraz.
allucinazioni
timore
eccitazione
FOL, J, Se, B
B3, B12
GLU
B12
esaurimento
stanchezza
fiacchezza
stanchezza cronica
Memoria
disturbi di apprendimento
debolezza di apprendimento
debolezza di concentrazione
distorsioni di memoria
demenza
Riflessione
schizofrenia
paranoia
mania
schizofren. maniaca-depressiva
stati di paura maniacali
depressione maniacale
Emotività
aggressività
ansia, irrequietezza, paure
stress cronico
umore vacillante (lunaticheria)
emozioni vacillanti
distorsione emotiva
svogliatezza
depressione, melanconia
depressioni gravi
Pulsioni
anoressia
bulimia
tabagismo
alcoolismo
impulsi suicidali
2.2
AP, J, Se, LE
compl.min., B1, B6, C, Mg, Zn, Fe, J, o-3, LE
compl.B, compl.min., B1, B3, B6, FOL, AP, C, E, Mg, Zn, Fe,
Cr, J, Se, LE
compl.B, compl.min., B1, B3, B6, FOL, AP, C, E, Zn, Fe, J,
Se, LE
compl.B, compl.min., B1, B3, FOL, AP, E, Mg, Zn, Cr, J, Se,
LE, CAR
compl.B, B3, B3, B6, FOL, C, Zn, Mn, LE,TF, BCCA
B3, B12, FOL
B12, TF
C, Zn
TRE
FOL, TF
B12, FOL, Zn, TF
compl.B, B1, na-B3, B3, B6, FOL, BIO, TF, MET, TRE
PB, A, Mg, FA, BCCA, ARG, HIS, GLU, Q10, DMG
B6, B12, BIO, Cr
B3
BIO
B2, J, Se
PB, LA, OE, compl.B, compl.min., B1, B2, B3, B6, B12, BIO,
FOL, AP, C, Mg, Zn, J, Se, o-6, FA, TF, MET, PABA
PB, LA, OE, B3
PB, LA, OE, compl.B, compl.min., FOL, BIO, Na, K, Zn
PB, LA, OE, compl.B, compl.min., BIO, Na, K, TF
AO, compl.B, B6, B12, FOL, C, E, Ca, Se, CIS
AO, compl.B, compl.min., A, B1, B2, na-B3, B6, B12, FOL,
BIO, AP, C, E, VK, Mg, K, Zn, Mn, Se, o-6, o-3, LE, CIS,
TAU, GLU, CAR, INO
B6, TF
Procedura
La procedura è formalmente ed esattamente uguale come viene descritta nella dispensa PTO 2:
“Elementi di terapie ortomolecolari”. Consiglio però di procedere secondo i seguenti passi:
- Iniziare sempre con l’anamnesi e la diagnosi (inclusa nell’estratto delle “Tavole ortomolecolari”).
- Solo se prevalgono nettamente i disturbi neurologici e psichici: aggiungere l’anamnesi e la diagnosi
(inclusa nell’estratto delle “Tavole psichiatria ortomolecolare”).
Vengono trattati i seguenti temi riferiti all’esempio del signor Pinco Pallino:
2.2.1 Lista di disturbi rilevati
2.2.2 Valutazione delle sostanze coinvolte
2.2.1 Lista di disturbi rilevati
Esempio: Anamnesi signor Pinco Pallino.
Rilevati secondo le “Tavole ortomolecolari”, sono i seguenti:
Invecchiamento precoce
fumo
tè, caffè
antiossidanti
tessuto connettivo
sintomi di ipoglicemia
spasmi, crampi muscolari
neuropatie
cura degli occhi
Disturbi visivi
eczemi
reumatismi
stomaco
ipertonia, ictus
Disturbi escretori
Aggiunte secondo le “Tavole psichiatria ortomolecolare” (dopo una valutazione e anamnesi anche
di “caratteristiche psichiche”, che inizialmente il Signor Pallino non riteneva “rilevante”) sono le
seguenti:
-
Umore vacillante (lunaticheria).
Emozioni vacillanti.
Aggressività.
Iperattività.
Irritabilità.
Stress cronico.
2.2.2 Valutazione delle sostanze coinvolte
La valutazione complessiva dei sintomi e delle sostanze mostrano il seguente quadro:
compl.B
A
B1
B2
B3
B6
B12
FOL
BIO
AP
C
D
E
VK
Ca
Mg
Na
K
Zn
Fe
Mn
Mo
Cr
J
Se
Cu
F
Va
Si
B
o-6
o-3
AL
LE
FA
TF
BCCA
LIS
ARG
MET
CIS
TAU
TRE
HIS
GLU
CAR
Q10
DMG
PABA
INO
MEL
Punteggio
6
6
5
2
4
8
5
4
2
2
7
0
7
0
4
6
2
4
8
4
4
1
3
2
4
3
0
1
1
0
6
5
3
4
1
3
1
0
3
1
4
2
2
1
6
0
3
3
2
1
3
Rango
3
3
1
2
2
3
1
3
3
-
Raccomandazione
3
3
1
2
2
3
1
3
3
L’elaborazione avviene come descritta nella dispensa PTO 2:
• Nell’anamnesi (inchiesta) con il cliente tenti …
• Valuta le sostanze coinvolte:
Contando ogni sostanza per quante volte è nominata, risultano:
- primo rango: vit.B6 & Zn: 8 volte; (precedente ranghi 2)
- secondo rango: vit.C & E: 7 volte; (precedente ranghi 1)
- terzo rango: compl.B & vit.A & Mg & o-6 & GLU: 6volte (precedente ranghi 3; 3; 4; 4; 4)
- e così via, ma non è necessario andare oltre.
• Dedurre una possibile raccomandazione: il principiante procede meccanicamente secondo i
ranghi; facendosi le ossa si può coinvolgere il buon senso e il crescente sapere. Personalmente,
non eccedo il terzo rango in questa tappa, più tardi rettifico il risultato e tolgo o aggiungo secondo
altri criteri: per il momento mi limito a: B6 & Zn & vit.C & vit.E & compl.B & Betacarotene & Mg &
o-6 & GLU.
• Studiare attentamente le caratteristiche …
• Secondo il quadro completo delle caratteristiche …
• Secondo la composizione rettificata …
• Dopo tutti questi ragionamenti per il Sig. Pinco Pallino compongo una “ricetta concreta”,
elaborata nel modo seguente: indispensabili i seguenti (in grassetto):
- 1 pastiglia effervescente di Berocca (ROCHE)
alla mattina (contiene dosi preventive di C, Zn, Mg, Ca, compl.B).
- 1 pastiglia di Zinkvital 15 mg (BURGERSTEIN)
alla mattina e a mezzogiorno (30+… mg per dì).
- 1/2 pastiglia di Vitamina B6 da 300 mg STREULI)
alla mattina e a mezzogiorno (300 mg per dì).
- 1 capsula di vitamina E 400 mg (BURGERSTEIN) alla mattina.
Discutibili (rango 3) sono i seguenti:
- 1 capsula di Betacarotene 6 mg (BURGERSTEIN)
alla mattina e a mezzogiorno (12 mg per dì).
- 1 capsula di L-Glutamina 500 mg (BURGERSTEIN)
alla mattina e a mezzogiorno (1 gr per dì).
- 2 capsule di EPO 500 mg (BURGERSTEIN)
3 volte con i pasti (3 grammi per dì).
- 5 “caramelle” di Dolomit (BURGERSTEIN)
durante il giorno (600/300 mg Ca/Mg per dì).
• Come penultimo punto calcolo i costi giornalieri …
• Come ultimo passo, mi preparo al colloquio …
Paragonando il risultato “ampliato” con il precedente (dispensa PTO 2) si nota che cambiano gli
“accenti” ma non notevolmente la tendenza.
3.0
Strumenti didattici seminario
3.1
Tavole psico-ortomolecolari
3.2 Modulo anamnesi ortomolecolare
3.3 Esempio di terapia
Programma
Novità
Scopo
Corso MmP
Struttura
Seminari
Forum
Conferenze
Collaboratori
Studio
Colleghi
Lucidi
Vari
Impressum
Dispense
Strumenti
Webmaster
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