1- - Digilander

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1- IL FARMACO
Il farmaco non nasce nel momento in cui compare in Farmacia, ma almeno 10-12 anni prima. Durante
questo periodo l’azienda farmaceutica sostiene molti costi, non produce nulla, e non incassa nulla perché
costa scoprirlo e farlo nascere (almeno 1-2 anni), isolandolo da altre sostanze simili ma meno interessanti.
Sostiene dei costi per produrlo in piccole quantità e per provarne l’efficacia (se riesce a curare quella
particolare malattia meglio dei farmaci già disponibili ) e la tollerabilità (gli effetti collaterali sono più lievi e
rari di quelli dei farmaci attuali ). Questo ciclo dura altri 4-6 anni. Sostiene anche costi per studiare le forme
farmaceutiche migliori per individuare la più adatta.
Altri costi si hanno per ottenere il nulla osta, raccogliere il materiale ed intraprendere la procedura di
registrazione presso le diverse Autorità. Ci sono poi i costi legati al lancio vero e proprio del nuovo farmaco,
pubblicizzando il prodotto attraverso i mass media, riviste specializzate, convegni, mostre, rappresentazioni,
ecc. Un’altra forma di pubblicità attuata dalle case farmaceutiche consiste nell’inviare i loro ISF (Informatori
Scientifici del Farmaco - personale altamente specializzato ed opportunamente istruito) da tutti i Medici, per
illustrare le novità e consegnare la documentazione scientifica di sostegno.
Come ogni Organizzazione capillarmente diffusa sul territorio, anche questa Rete di Informatori comporta
dei costi.
Altri costi si sostengono poi, per l'allestimento e la stampa dei materiali che accompagnano le visite degli
Informatori. Alla fine abbiamo il costo più importante, rappresentato della produzione vera e propria del
farmaco e della sua distribuzione a grossisti, farmacisti ed Ospedali.
Da un punto di vista economico, il farmaco impiega dodici anni per essere 'lanciato' e rappresenta un grosso
investimento che inizia a generare ritorni dopo molto tempo.
Se il farmaco è davvero utile ed innovativo i meccanismi economici dovrebbero 'premiare' l'Azienda che lo
ha scoperto e vi ha investito.
Questo significa, ovviamente, che i ricavi dei primi anni non potranno essere davvero considerati 'guadagni',
dal momento che debbono, innanzitutto, ripagare gli ingenti investimenti compiuti.
La presenza dei Brevetti, tutela l’azienda che mette in vendita il farmaco, se non ci fosse il brevetto, sarebbe
allora possibile per un'Azienda terza, 'copiare' i meccanismi di produzione del farmaco, fabbricare una 'copia'
identica all'originale e porla in vendita ad un prezzo inferiore. Il 'copiatore', infatti, non ha dovuto spendere
tempo e capitali nella fase di ricerca e sviluppo e, per lui, gli incassi divengono immediatamente 'utili'. Ma in
un mondo siffatto, verrebbe a mancare ogni stimolo economico per le Aziende orientate alla Ricerca: tutti
troverebbero molto più conveniente copiare che 'creare' (procedura da sempre molto onerosa) con l'evidente
risultato che, in brevissimo tempo, non vi sarebbe più nulla da copiare e, cosa più grave, alcunché di
originale ed innovativo.
In ogni Stato, esiste una precisa normativa che regola il Brevetto dei Farmaci con la quale si garantisce che
lo si può commercializzare in esclusiva per almeno 20 anni. Abbiamo affermato che ci vogliono almeno 1012 perchè il farmaco arrivi sul banco della Farmacia. Questo significa che gliene rimangono 8 per ripagarne
(complessivamente) 20. Esistono, infatti, leggi che protraggono il periodo di copertura brevettuale anche
oltre i 20 anni. Siano 20 o siano di più, dopo un sufficiente numero di anni il brevetto scade.
Il Regolamento CEE1768/92 ha istituto il SPC (Supplementary Protection Certificate). L' estensione della
brevettabilità ai prodotti farmaceutici si è avuta in Italia dopo una sentenza della Corte Costituzionale (1978),
seguita dalla ratifica della Convenzione di Monaco istitutiva del Brevetto Europeo e dalla emanazione del
DPR 338/1979 che adeguava la normativa nazionale a quella europea, con la quale si stabiliva che la durata
legale della estensione della concessione del brevetto non può superare i 5 anni.
una volta scaduto il brevetto, se il farmaco è ancora interessante da un punto di vista terapeutico (e molti lo
sono) può venir prodotto e commercializzato (ovviamente da un'Azienda autorizzata) utilizzando, anzichè il
marchio (il nome di fantasia che caratterizza i farmaci di marca- es.: Valium), il nome chimico generico (es.:
diazepam).
Quando questo accade, nasce il Diazepam Generico, un Farmaco che, costando almeno il 20% in meno
rispetto al suo 'Collega' di marca, può consentire interessanti risparmi sia al Paziente che al Servizio
Sanitario Nazionale nel suo complesso.
Ma chi ci garantisce che il Diazepam Generico (ove esista) sia effettivamente 'buono' quanto quello di
Marca?
La normativa internazionale pone, ovviamente, una serie di condizioni e di controlli il cui scopo è quello di
garantire gli standard di qualità farmacologica e farmaceutica.
La scoperta di un nuovo farmaco è il risultato di una complessa attività di ricerca e sviluppo, molto onerosa
sotto il profilo economico-finanziario e con risultati caratterizzati da un'elevata incertezza. Tali
caratteristiche fanno sì che la ricerca sia concentrata nei laboratori delle imprese di grandi dimensioni, i cui
fatturati consentano un investimento consistente (stimabile fra il 10-20% del fatturato) e costante nell'attività
di sviluppo di nuovi farmaci. Ciò comporta una progressiva concentrazione delle imprese, le quali, attraverso
fusioni, incorporazioni e alleanze strategiche, cercano di raggiungere economie di scala e volumi di vendita
adeguati a garantire un'efficace attività di ricerca e sviluppo La sperimentazione degli effetti farmacologici
di un medicinale si sviluppa attraverso diverse fasi finalizzate alla progressiva acquisizione degli elementi di
valutazione concernenti l'efficacia e la tollerabilità del farmaco.
Sono distinguibili almeno due criteri di valutazione del rapporto sicurezza/qualità:
 test di valutazione della tossicità sperimentale;
 test di sicurezza e di efficacia clinica.
Nell'ambito della tossicità sperimentale, si effettuano tre serie di sperimentazioni: la tossicità a breve e a
lungo termine, la cancerogenicità (ovvero la prevedibilità delle possibili proprietà cancerocinetiche dei
medicamenti) e la tossicologia della riproduzione, necessarie per evidenziare gli eventuali effetti tossici
indotti sulla riproduzione e sullo sviluppo della prole realizzato negli animali da laboratorio.
I test di sicurezza e di efficacia clinica si svolgono somministrando il farmaco al paziente. L'iter clinico è
distribuito su quattro fasi che sono ritenute ormai uno standard nell'organizzazione della ricerca in tutti i
paesi.
La fase I fa riferimento alla valutazione degli effetti del farmaco su un numero ristretto di volontari sani. Tale
fase, chiamata pilota, consente di stabilire con maggior precisione l'ipotesi terapeutica e di definire nel
migliore dei modi gli schemi di trattamento da utilizzare nelle fasi successive di sperimentazioni (dosi, forme
farmaceutiche, tempi di somministrazione in rapporto a studi di farmacocinetica).
La fase II consiste nella valutazione dell'attività di un farmaco su un numero ristretto di pazienti affetti da
una forma morbosa specifica: l'attività farmacologica può essere confrontata con placebo, o
con uno o
più farmaci di controllo.
La fase III amplia in maniera consistente sia il numero di pazienti sia quello dei criteri clinici coinvolti;
anche tale ciclo di studi si attua solitamente usando come controllo il placebo o altri farmaci.
La fase IV, infine, riguarda la sorveglianza da adottare allorché un farmaco è già sul mercato e, quindi,
ampiamente diffuso a livello terapeutico.
Lo scopo di questa attività, definita farmacovigilanza, risiede nella possibilità di individuare gli eventuali
effetti tossici a bassa frequenza che possono non essere emersi nell'ambito degli studi di fase II e III.
Il ciclo di vita di un prodotto farmaceutico inizia con la scoperta di un principio attivo caratterizzato da
potenzialità terapeutiche. Si è visto in precedenza come, prima che il prodotto venga lanciato sul mercato,
siano necessarie lunghe fasi di sperimentazione e controllo sull'efficacia e la sicurezza del farmaco; tali fasi
comportano che, per un periodo medio di circa dieci dodici anni, le aziende farmaceutiche non abbiano alcun
ritorno economico sugli investimenti effettuati.
L'azienda titolare dell'innovazione ha interesse a richiedere la tutela brevettuale fin dalla scoperta del
principio attivo, anche se, così agendo, il tempo effettivo di durata del brevetto risulta inevitabilmente più
limitato. Infatti, le fasi di ricerca e sviluppo successive alla scoperta iniziale erodono il tempo effettivo in cui
il prodotto gode dell'esclusività di commercializzazione. D'altro canto, tale situazione spinge l'industria a
minimizzare i tempi di immissione del prodotto sul mercato (time to market) per assicurarsi che il prodotto le
consenta di recuperare non solo l'investimento in ricerca necessario per l'ingresso sul mercato, ma anche tutti
gli investimenti su altri prodotti che, durante le fasi della ricerca, non hanno superato le prove sperimentali (e
non sono perciò divenuti farmaci)
Negli ultimi decenni la ricerca farmaceutica è stata condotta in prevalenza dall'industria; è quindi necessario
concedere la possibilità di tutelare con il brevetto gli investimenti effettuati, al fine di evitare che l'invenzione
possa essere sfruttata indiscriminatamente dalle concorrenti dell'impresa innovatrice, a tutto discapito
dell'attività di ricerca. Le industrie farmaceutiche presentano ricorso principalmente a due tipologie di
brevetto: di prodotto e di procedimento. Il primo determina la protezione di un determinato principio attivo,
mentre il secondo tutela solamente uno specifico processo di sintesi di una certa molecola. Poiché nella
maggior parte dei casi esistono possibilità alternative per sintetizzare uno stesso principio attivo, il brevetto
di prodotto è prevalente rispetto a quello di procedimento.
Fra i brevetti di prodotto è possibile introdurre un'ulteriore distinzione fra quelli di sbarramento e di
selezione. Il brevetto di sbarramento copre una famiglia di composti caratterizzati dallo stesso gruppo
funzionale di base e, presumibilmente, da effetti terapeutici similari. Il brevetto di selezione protegge, invece,
una "piccola famiglia" di composti (o addirittura una singola molecola) che rientra nella formula generale di
una "grande famiglia", ma è caratterizzata da effetti terapeutici originali. Questi due tipi di brevetto riflettono
innovazioni diverse. Il brevetto di sbarramento è utile nel caso di importanti innovazioni riguardanti la
scoperta di una nuova famiglia di molecole: la sola presenza di un brevetto di selezione permetterebbe ad
altre imprese, infatti, di produrre molecole analoghe, eliminando il vantaggio competitivo dell'impresa
innovatrice. Il brevetto di selezione, d'altra parte, è necessario per le innovazioni di sviluppo riguardanti una
modifica della formula chimica già nota, finalizzata al miglioramento in termini di farmacocinetica
(assorbimento, metabolismo ed escrezione) e tollerabilità (riduzione della tossicità e degli effetti collaterali),
oppure con differente impiego terapeutico della stessa.
L'introduzione della tutela brevettuale è stata fondamentale per favorire l'attività di ricerca innovativa,
consentendo alle imprese di recuperare gli investimenti sostenuti in ricerca.
In Italia, sulla scia di provvedimenti analoghi già in vigore in altri paesi (Stati Uniti dal 1984, Giappone dal
1988 e Francia dal 1990), ha emanato nel 1991 una legge (legge n.349 del 19 ottobre 1991) che permetteva il
recupero dei termini di tutela brevettuale erosi dai tempi necessari per le sperimentazioni e l'autorizzazione
all'immissione in commercio.
Tali disposizioni a carattere nazionale sono state di fatto abrogate dal Regolamento CEE n.1768 del 1992,
istitutivo del Supplementary Protection Certificate (SPC), il quale presenta le medesime finalità del
Certificato di Protezione Complementare (Ufficio Italiano Brevetti e Marchi, 1997).
La durata del Certificato Protettivo Supplementare è uguale al periodo, detratto di 5 anni, compreso fra la
data della domanda di brevetto e l'autorizzazione all'immissione in commercio del prodotto; l'estensione non
può comunque avere durata superiore ai 5 anni (art. 13 del Regolamento CEE n.1768).
Anche i migliori Brevetti scadono... E poi?
Dipende.
Se la 'scoperta' originariamente protetta da brevetto è ancora commercialmente interessante, chiunque lo
desideri può 'copiarla' e metterla sul mercato senza dover ottenere permessi o pagare diritti allo 'scopritore', o
meglio a chi brevettò la scoperta (d'altro canto, se la 'scoperta' è superata e, quindi, non più utile, il problema
del brevetto non si pone).
Il Brevetto, infatti, nasce come strumento per tutelare l'inventore da altri che, privi di idee ma ricchi di mezzi,
potrebbero 'rubare' l'invenzione e porla in commercio come propria, intascandone tutti i vantaggi.
2 -IL FARMACO GENERICO
Il farmaco generico è definito come imitazione di un prodotto originale privo di protezione brevettuale,
quest'ultima caratteristica permette la produzione del generico a qualsiasi impresa.
In linea teorica, il generico è messo in commercio senza un marchio commerciale definito, ma sotto la
cosiddetta Denominazione Comune Internazionale (DCI). Di fatto, nelle realtà di mercato internazionali
esistono tre categorie di farmaci generici:
 Generici branded, in altre parole copie di specialità farmaceutiche recanti un proprio marchio
distintivo;
 Generici semibranded commercializzati sotto la DCI seguita dal nome del produttore;
 Generici "puri", o unbranded.
Si tratta di prodotti che una volta erano coperti da brevetto, prodotti dalla sola azienda innovatrice, col
passare del tempo, una volta scaduto il brevetto diventano farmaci generici, prodotto potenzialmente da un
numero illimitato di imprese. Il "monopolio" che permetteva all'azienda farmaceutica innovatrice di
recuperare, tramite prezzi elevati, gli investimenti effettuati in ricerca e sviluppo, viene sostituito da un
mercato concorrenziale in cui le aziende si concentrano sui processi produttivi più efficienti per offrire il
farmaco generico ai prezzi più competitivi sul mercato.
I prodotti maturi, per i quali la copertura brevettuale è venuta meno, perdono d'importanza all'interno del
portafoglio prodotti dell'azienda, essendo commercializzati da una pluralità di soggetti a prezzi
presumibilmente più bassi. Ciò determina che l'azienda innovatrice di immettere sul mercato prodotti che
rendano obsoleti quelli per cui è scaduta la protezione brevettuale.
Fino alla entrata in vigore del DL 178/91 i farmaci generici erano considerati i galenici officinali (Elenco A
del Formulario Nazionale della Farmacopea Ufficiale). Essi potevano essere prodotti avente una officina
autorizzata e seguendo nella preparazione la monografia riportata in F. U.; i prodotti potevano essere
commercializzati, solo con il nome indicato nella monografia, senza necessità di ottenere una AIC. Dal
1/01/92 (a seguito del DL 178) questi farmaci sono stati ridefiniti, farmaci preconfezionati prodotti
industrialmente ed è stata introdotta la procedura di registrazione anche per i farmaci preconfezionati
prodotti industrialmente (molto semplificata rispetto a quella delle specialità).
Il farmaco generico, invece, è stato introdotto con la Finanziaria '96 (L. 28/12/95) che lo definisce come
"Farmaco, la cui formulazione non sia più protetta da brevetto, a denominazione generica del principio attivo
seguita dal nome del titolare della AIC". Poi, il DL 323 del 20/06/96 convertito in L. 425 del 8/08/96 ha
rielaborato ed ampliato il concetto di generico, pervenendo alla attuale definizione.
Il farmaco generico è il medicinale a base di uno o più principi attivi, prodotto industrialmente, non protetto
da brevetto o da certificato protettivo complementare, identificato dalla denominazione comune
internazionale del principio attivo o, in mancanza di questa, dalla denominazione scientifica del medicinale,
seguita dal nome del titolare dell'AIC, che sia bioequivalente rispetto ad una specialità medicinale già
autorizzata con la stessa composizione quali-quantitativa in principi attivi, la stessa forma farmaceutica e le
stesse indicazioni terapeutiche.
Lo stesso DL 323/96 stabilisce che l'immissione in commercio dei generici viene autorizzata dal Ministero
della Sanità, sulla base di una documentazione che attesti la bioequivalenza rispetto ad una specialità
medicinale già autorizzata con la stessa composizione quali-quantitativa dei principi attivi, stessa forma
farmaceutica e stesse indicazioni terapeutiche.
La documentazione di bioequivalenza non è richiesta qualora:
 La domanda di AIC venga presentata dal titolare della specialità a brevetto scaduto (o da un suo
licenziatario).
 I metodi di fabbricazione e di officina di produzione siano identici.
 La via di somministrazione (e caratteristiche della specialità) renda le variazioni di composizione qualiquantitative irrilevanti rispetto alla biodisponibilità (es. fiale e.v.).
 Seguendo la procedura di registrazione nazionale, la AIC è concessa dal Ministero della Sanità entro 30
giorni dal pronunciamento della CUF.
I procedimenti adottati per la produzione e il controllo di qualità del farmaco generico deve rispettare tutti i
principi e le linee guida delle Norme di Buona Fabbricazione, ragion per cui il farmaco generico è
formalmente un prodotto con le stesse garanzie di qualità della corrispondente specialità.
Le esperienze maturate negli altri paesi europei hanno messo in luce come la diffusione dei generici sia
direttamente correlata al coinvolgimento concreto degli attori principali del sistema.
Incentivi al commercio del generico etico possono essere rivolti:
 alle aziende, attraverso idonei meccanismi di rimborso;
 ai medici prescrittori, attraverso strumenti di responsabilizzazione sulle scelte prescrittive;
 ai farmacisti, prevedendo, contestualmente alla possibilità di esercitare il diritto di sostituzione;
Il medico dovrebbe valutare, accanto all'efficacia clinico-terapeutica della cura, le conseguenze economiche
delle scelte che effettua. Questo atteggiamento difficilmente accade se non sono introdotti meccanismi di
responsabilizzazione e di controllo della spesa (come accade in Germania e nel Regno Unito).
Le Aziende Sanitarie Locali e le Aziende Ospedaliere del SSN esercitano un controllo sull'attività
prescrittiva dei medici per verificarne la conformità con le note esplicative formulate dalla CUF.
L'espletamento di tali controlli (che richiede una fattiva collaborazione dei medici e una loro costante
aggiornamento) risulterà, tanto più incisivo quanto più appropriate saranno le azioni di informazione poste in
essere, in merito alle quali le Aziende Sanitarie Locali e Ospedaliere dovranno relazionare trimestralmente
alle regioni e al Ministero della Sanità. Anche i farmacisti possono esercitare un ruolo cruciale nella
diffusione dei generici, se fosse loro concessa la possibilità di sostituire il farmaco prescritto con uno a minor
costo considerato equivalente e esistessero gli incentivi per farlo.
La rilevanza del mercato dei farmaci generici in Italia è ancora irrisoria..
Il mercato dei generici stenta a decollare in Italia, nonostante la presenza di una pluralità di aziende
apparentemente interessate a concorrere in tale segmento. La limitata dimensione delle aziende italiane, e la
conseguente impossibilità di far concorrenza con prodotti innovativi alle grandi multinazionali, costituisce
una buona premessa per lo sviluppo di imprese genericiste nel nostro paese.
Molto spesso le differenze di prezzo dei farmaci trovano origine nel diverso confezionamento (utilizzo di
procedure o materiali più costosi ma utili, come le tecnologie a rilascio graduale), nell'adozione di forme
farmaceutiche particolari (colliri ipoallergenici, strumenti di erogazione, siringhe monouso pre riempite).
Per questo i confronti hanno un loro pieno significato (sottolineano differenze puramente economiche) solo
quando si riferiscono a identiche unità posologiche (che qui definiamo come la forma farmaceutica e la
quantità di farmaco che vi è contenuta); esempi di unità posologiche, in questo senso, sono:
 compresse da 100 mg
 compresse solubili (incluse quelle effervescenti) da 500 mg
 supposte da 200 mg
 collirio al 2%
 capsule a rilascio protratto da 100 mg
Se unità posologiche identiche (ovviamente della stessa sostanza) hanno costi che differiscono sensibilmente,
è davvero difficile oggi trovare ragioni che spingano all'acquisto delle più care: dobbiamo infatti ricordare
che si tratta, in ogni caso, di Specialità Medicinali che hanno ottenuto il pieno avallo del Ministero della
Sanità e che vengono proposte ai Cittadini come identicamente efficaci e sicure.
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