Russia Un ritorno al passato? Contributo del Prof. Carlo Boffito, Paolo Crosetto, Filippo Chiesa Questo contributo è l’ottavo capitolo della ricerca "Assetto Produttivo, Competitività e Crescita nei Paesi in Transizione", cofinanziata dalla Compagnia di San Paolo e dalla Fondazione CRT, svolta dal CIRPET (Centro Interdipartimentale di Ricerca sui Paesi Emergenti e in Transizione, C/o Dipartimento di Economia "S.Cognetti de Martiis" dell’Università di Torino, www.cirpet.unito.it, Direttore Prof. Carlo BOFFITO). La ricerca è stata presentata dal Cirpet, dalla Camera di Commercio di Torino e dal Centro Estero delle Camere di Commercio Piemontesi al “Centro Congressi Torino Incontra” a Torino il 4 marzo 2005. 0 1 1. Struttura produttiva 1. L’assetto dell’economia russa. L’economia russa è divisa in tre sezioni che la caratterizzano come un’economia esportatrice di materie prime e prodotti intermedi. Questo destino, dal quale essa non è ancora riuscita a liberarsi e che si è anzi accentuato negli ultimi 15 anni, preoccupa massimamente gli organismi finanziari multilaterali che sono i suoi tutori. I tre settori nei quali è divisa l’economia russa sono i seguenti. (a) Il commercio di importazione, che acquista all’estero beni di consumo, spesso rivenduti sul mercato russo a prezzi assai elevati rispetto alla qualità. La ragione per cui questo settore si è sviluppato è la debolezza della produzione interna di beni di consumo, caratteristica sovietica che si è estesa fino alla fine degli anni ’90. Il sistema economico sovietico non ha mai considerato prioritaria la produzione di beni di consumo, tant’è che gli investimenti nell’industria leggera e nell’edilizia abitativa hanno sempre avuto il compito di compensare eventuali frenate degli investimenti nell’economia nazionale. La debolezza dell’offerta interna e la forza della concorrenza internazionale hanno impedito il consolidamento della produzione di beni di consumo; una certa ripresa del mercato e della produzione è apparsa soltanto nel 1999, grazie alla sostituzione delle importazioni generata dalla svalutazione del cambio (circa il 75% in termini nominali), che ha avuto luogo in occasione della crisi finanziaria del 1998. Tale ripresa ha ridimensionato temporaneamente il settore importatore, che ha però rapidamente ricominciato a crescere nel 2000. Il numero degli operatori del settore importatore può essere stimato in oltre un milione di addetti (incluse le imprese individuali, individualnij trud), che ricevono un reddito annuo corrispondente a quattro volte il reddito medio. Ai titolari di queste piccole imprese è stato assegnato il nome di nuovi russi (imprenditori che tengono elevata la spesa personale di consumi, trascurando risparmi e investimenti e attribuendo valore soprattutto alle ingenti somme di denaro che sgorgano dai grandi affari commerciali). Naturalmente a questa regola ci sono eccezioni, che non bastano però a segnare un cambiamento di tendenza (si vedano oltre i paragrafi sulla piccola impresa e sull’esportazione di capitale). (b) Il settore più importante dell’economia russa è quello delle esportazioni: essenzialmente idrocarburi (petrolio greggio, gas naturale, prodotti raffinati) e metalli (ferrosi e non ferrosi). Nel complesso questi settori esportano una quota consistente della propria produzione, contribuiscono (nel 2003) per il 40% alla produzione industriale complessiva e per il 63% alle esportazioni totali. Questo settore è dunque la forza e la debolezza dell’economia russa (monocoltura produttiva e delle esportazioni). (c) La produzione per il mercato interno. L’insieme dei settori non esportatori costituisce la sezione più complessa e differenziata delle tre nelle quali si divide l’economia russa. La componente più importante della produzione nazionale destinata al mercato interno sono i servizi di pubblica utilità, offerti soprattutto dai monopoli naturali: energia elettrica, gas naturale per consumo interno, telecomunicazioni, trasporti. Le tariffe di questi servizi, fissate a livelli molto più bassi di quelli internazionali, producono effetti distorsivi. 2 In questa sezione vi sono settori che producono manufatti e servizi per un valore stimabile, nel 2003, nel 60% della produzione industriale. Si tratta di un insieme di imprese che comprende sia aziende ex-sovietiche in parte privatizzate e in parte ancora controllate dallo stato sia imprese costituite da nuovi imprenditori. La ragione per cui, dopo quasi 15 anni di riforme, l’economia russa consiste in un’economia produttrice e esportatrice di materie prime e di beni intermedi è dovuta a tre fattori: i) l’ingenuità con cui è stata avviata la transizione nel 1991; ii) la spregiudicatezza con cui è stata condotta la privatizzazione; iii) l’incapacità e il rifiuto della classe politica di spezzare l’immobilità del sistema. Nei primi anni ‘90 il tentativo di stimolare l’attività produttiva attraverso l’aumento dell’offerta di moneta si è dimostrato un fallimento che ha risuscitato gli strumenti di gestione sovietici (baratto e altre forme di pagamento non monetarie) anziché rendere concorrenziali le vecchie imprese. Nel 1992-95 la privatizzazione ha generato vaste appropriazioni illegittime delle attività produttive dello stato da parte dei seguaci del presidente Eltsin. L’accanimento con il quale sono state acquisite le proprietà statali è stato tanto feroce da suggerire un aggiornamento dei simboli usati per definire l’attività del sistema economico in modo metaforico: se ai tempi di Adam Smith si parlava della “mano invisibile” del mercato e ai tempi dell’Urss della “mano visibile” della pianificazione, ai tempi di Eltsin si è parlato della “mano che arraffa” (grabbing hand). 2. Ma le cose stanno cambiando: economia e politica. Fino alla fine degli anni ‘90 l’economia russa sembrava bloccata dalla limitatezza degli investimenti: le banche, già prima della crisi finanziaria del 1998 non erano in grado di svolgere le loro funzioni istituzionali di intermediazione; i gruppi finanziari-industriali, dominati da una nuova classe di proprietari chiamati oligarchi per il loro legame con la politica, tendevano a investire nei “propri” settori primari i cui prodotti sono più facilmente esportabili (petrolio, gas, metalli) dei complessi prodotti manufatti. Da un punto di vista politico è in corso da tempo in Russia la riabilitazione della figura di Stalin come depositario dei valori dello stato forte. Tale rivalutazione non comprende, tuttavia, i mezzi con i quali Stalin ha raggiunto il suo obiettivo. La grande novità è che economisti e uomini politici hanno cominciato già nel 2000 a elaborare soluzioni istituzionali che permettessero allo stato di intervenire nell’economia, mettendo fine al caos produttivo e alla profonda amoralità degli anni di Eltsin. Una posizione di questo genere è stata assunta tra gli altri da Grigorii Yavlinsky1, l’uomo politico russo che ha dimostrato maggiori affinità con il pensiero e l’azione degli uomini politici occidentali. Si sostiene, in sostanza, che il mercato e le altre istituzioni russe non sono abbastanza flessibili da permettere l’uso di strumenti macroeconomici indiretti, tipicamente il tasso di interesse, per regolare l’attività economica. Ciò richiede che lo sviluppo economico e sociale della Russia sia fondato sulla concentrazione delle risorse affidate alla gestione dello stato, abbandonando l’ipotesi di liberalizzare all’estremo per introdurre gli automatismi del mercato. Questi automatismi non esistono in un’economia rigida e arretrata come quella russa. Anzi, la loro introduzione e conservazione richiedono costi sociali altissimi, insostenibili dalle economie in transizione più arretrate. 1 G. Yavlinsky, Periferiinyi kapitalizm, Mosca 2004. 3 L’esperienza russa degli anni ’90 ha dimostrato che attraverso l’adozione degli automatismi del mercato imposta dall’estero non si può in alcun modo trovare una soluzione istituzionale alla transizione. Sono piuttosto le tradizioni di un paese, risorse rare e preziose, che sono verosimilmente in grado di offrire una base al rinnovo delle istituzioni. Con una battuta si potrebbe dire che le tradizioni non sono una risorsa né producibile né acquisibile rapidamente; soltanto chi già ne dispone la può utilizzare per guidare profondi cambiamenti sociali. I costi della spontaneità e degli automatismi economici sono stati anche gonfiati dalla mancanza di una strategia. Nella nuova teoria sociale che si va diffondendo in Russia c’è posto per la proprietà privata, i cui diritti saranno protetti dallo stato e che entrerà in concorrenza con i centri statali del potere economico. I diritti di proprietà dovranno tuttavia essere legittimati dalle strutture competenti dello stato. Il nuovo sistema economico sarà il risultato di una serie di misure che sono già in corso di applicazione in Russia e che hanno come obiettivo il consolidamento del settore statale. Tale rafforzamento segue due orientamenti: (a) il ricompattamento delle imprese statali e di quelle nelle quali lo stato possiede ancora una significativa partecipazione di minoranza; tali fusioni condurranno alla creazione di un consistente settore pubblico, che dovrebbe essere in grado di svolgere una funzione di leadership del sistema produttivo; (b) la concentrazione di risorse disponibili nei diversi settori, che è coerente con le esigenze attuali dell’economia russa: l’aumento degli investimenti, il quale a sua volta è coerente con la necessità di internazionalizzare l’economia e di elevare l’intensità tecnologica della produzione, al fine di migliorarne la competitività. In una recente opera meritoria la Banca mondiale2 ha cercato di descrivere il settore statale e quello delle grandi imprese private. La quota del primo è pari al 25 per cento del fatturato di 32 industrie; la quota del secondo è del 35 per cento. Il settore statale comprende la produzione di gas (Gazprom), di petrolio (Rosneft), gli oleodotti e i gasdotti (Transneft), le ferrovie (MPS), l’Aeroflot, la produzione e la distribuzione di energia elettrica (UES), l’industria degli armamenti di terra, del cielo e del mare. Un settore pubblico, dunque, di tutto rispetto. A fronte di questo settore stanno i grandi gruppi privati; i primi 23 di questi ultimi occupano 1,4 milioni di addetti e producono un fatturato annuo di circa 12 miliardi di $. L’atteggiamento dei nuovi progetti verso gli investimenti diretti esteri è meno favorevole di quanto ci si potesse aspettare. Si ritiene infatti che l’apertura agli investimenti esteri vada effettuata dopo che il sistema delle priorità produttive sia stato definito. Questo atteggiamento verso gli Ide è sorretto da esigenze strategiche, ma nasconde la volontà di favorire la crescita e il consolidamento del capitale nazionale. I nuovi orientamenti dell’economia russa limitano implicitamente anche l’attività delle Pmi: nella definizione dei nuovi orientamenti l’accento è posto sulle grandi dimensioni (alla russa o, meglio, in questo caso, alla sovietica). Tuttavia, un miglioramento dell’attività economica dovrebbe favorire, almeno in un secondo tempo, anche le piccole imprese, chiamate a collaborare alla ristrutturazione produttiva attraverso la formazione dell’indotto e il passaggio delle imprese statali dall’integrazione verticale a quella orizzontale. 2 World Bank, from Transition to Development. A country Economic Memorandum for the Russian Federation, April 2004. 4 Nuove prospettive potrebbero invece rinascere per i grandi accordi conclusi dai general contractor, che potrebbero trovare un terreno a loro congeniale dopo la rovinosa perdita di posizioni subita dopo il crollo dell’Urss. Tutti questi cambiamenti richiedono una battaglia politica tra il presidente Putin e gli oligarchi. Putin ha conquistato un sostegno elettorale grandissimo: alle elezioni parlamentari del 7 dicembre 2003 il suo partito, Edinaya Rossiya, ha ottenuto il 37,5 per cento dei voti (14 punti percentuali in più rispetto al 19 dicembre 1999), mentre alle elezioni presidenziali del 14 marzo 2004 Vladimir Putin ha ottenuto il 71,3 per cento dei voti (18 punti percentuali in più del 26 marzo 2000). Putin dispone dunque di un grande sostegno popolare e della fiducia e lealtà dei siloviki (dalle parole russe silovye ministerstva, ossia uomini dei ministeri forti: difesa, interni e sicurezza). Gli oligarchi sono deleteri per lo sviluppo sociale e economico della Russia, soprattutto perché conservano la loro ricchezza nella forma di materie prime e prodotti intermedi, per le ragioni addotte sopra. Ai gruppi industriali e finanziari degli oligarchi appartengono anche aziende industriali produttrici di manufatti, che occupano però una posizione di secondo piano e che vengono cedute (spesso a investitori esteri) invece di essere ristrutturate e potenziate non appena mostrano un indebolimento della loro profittabilità. Lo sviluppo dell’economia russa non può dunque reggersi sulle strategie degli oligarchi, ma deve essere guidato da una forza politica che lo allontani dalla condanna di rimanere un’economia produttrice di prodotti primari o semiprimari. Nei nuovi progetti di sviluppo avanzati dal presidente e dai suoi numerosi sostenitori questa forza è lo stato. I rapporti conflittuali di Putin con gli oligarchi sono cominciati nel 2000; in quell’anno agli oligarchi è stato chiesto di non occuparsi di politica ma di condurre liberamente i loro affari economici. Tuttavia la potenza degli oligarchi era ormai cresciuta in misura tale da rendere inevitabile il sostegno politico delle loro attività economiche, almeno per impedire che altri occupassero le loro posizioni. Alla minaccia di un attacco aperto da parte degli oligarchi che si preparavano ad ampliare la loro attività politica, Putin ha risposto con le armi che aveva già predisposto, consistenti in strumenti fiscali. L’azionista di maggioranza e amministratore della più moderna (quarta in base al fatturato) società petrolifera, la Yukos, è stato arrestato nel 2003 con l’accusa di evasione fiscale. Tale procedimento non consiste in un’iniziativa isolata, ma nell’avvio di una strategia economico-politica che si accompagna al rafforzamento economico dello stato e che comprende la tassazione della rendita, in particolare quella petrolifera. 5 2. Commercio Estero 1. Premessa. Negli ultimi 15 anni il commercio estero della Russia è stato caratterizzato da una crescente dipendenza dall’esportazione di materie prime energetiche. La bilancia commerciale è strutturalmente in attivo, poiché la domanda interna non riesce a raggiungere e superare il livello delle importazioni. I consistenti attivi degli ultimi anni sono imputabili, oltre alla inadeguata domanda interna, all’elevato prezzo internazionale del petrolio. Con l’eccezione delle materie prime, pochi manufatti russi sono competitivi sui mercati internazionali, ma possono essere agevolmente esportati nell’area ex-sovietica. Dal lato delle importazioni, la Russia è dipendente dall’estero per le forniture di beni di consumo (alimentari e tessili) e di macchinari. Il commercio estero si è progressivamente riorientato verso l’Ue, che in seguito all’allargamento rappresenta più del 50% del commercio estero russo. 2. Andamento del commercio estero. La bilancia commerciale russa è strutturalmente in attivo fin dall’inizio della transizione; solo nei mesi di maggior stallo precedenti la crisi del 1998 il saldo è risultato negativo per alcuni mesi. Durante gli anni di Eltsin, tuttavia, il tasso di cambio fisso e sopravvalutato e la crisi della produzione interna hanno facilitato il settore importatore, riducendo al minimo gli avanzi. La crisi del 1998 è stata accompagnata dalla svalutazione del 75% circa del tasso di cambio nominale (cfr. figura 1). La svalutazione ha avuto un effetto immediato sulle importazioni, che si sono ridotte in misura superiore alla svalutazione del cambio, e un effetto ritardato di 6 mesi sulle esportazioni, che hanno mostrato i primi segni di rimbalzo nel gennaio 1999. Il periodo successivo può essere diviso in due fasi (cfr. figura 1). La prima fase, dal 1999 al 2001, è stata caratterizzata dagli effetti positivi della svalutazione sulla bilancia commerciale: le importazioni hanno seguito lo stesso andamento del tasso di cambio reale, crescendo lentamente ma costantemente a partire dal gennaio 1999, mentre le esportazioni sono cresciute in maniera irregolare. Gli effetti della svalutazione si sono però esauriti nel corso del 2001 a causa dell’apprezzamento reale del tasso di cambio: nel dicembre 2001 l’avanzo commerciale ha toccato un nuovo minimo, generando preoccupazioni per la sostenibilità nel medio periodo della crescita dell’economia. All’inizio del 2002 si è aperta però una seconda fase, caratterizzata da una crescita senza precedenti del prezzo del petrolio: le esportazioni sono salite a livelli record, accentuando la loro dipendenza dai prezzi internazionali delle materie prime; le importazioni hanno cominciato a crescere più velocemente del tasso di cambio reale, a causa sia dell’aumento del reddito disponibile sia del forte incremento della domanda di macchinari e tecnologia da parte delle imprese russe impegnate nel processo di ristrutturazione produttiva e di restauro delle attrezzature (riparazione di oleodotti e gasdotti, di strade e ferrovie, dell’arsenale militare). La conferma di ciò si può ottenere analizzando le principali voci positive e negative del saldo della bilancia commerciale russa (cfr. tabella 1). 6 Fig.1: Andamento delle importazioni e delle esportazioni confrontate con il tasso di cambio effettivo reale, 1998-febbraio2004 Tasso di cambio reale 220 Esportazioni Importazioni 200 180 160 140 120 100 80 60 gen-04 set-03 mag-03 gen-03 set-02 mag-02 gen-02 set-01 mag-01 gen-01 set-00 mag-00 gen-00 set-99 mag-99 gen-99 set-98 mag-98 40 Fonte: Ret, Cbr, Goskomstat Dal lato delle esportazioni, la dipendenza dalle materie prime si è accentuata: l’incidenza sul saldo della bilancia commerciale di minerali e metalli è passata dal 91,17 per cento del 2000 al 115,25 per cento del 2003. Queste poste largamente positive permettono di finanziare l’importazione di macchinari, apparecchi elettrici, mezzi di trasporto necessari alla ristrutturazione. Le importazioni di questi beni sono aumentate molto in termini assoluti dal 2000 al 2003, e l’incidenza sul saldo commerciale è quadruplicata, passando dal 6,3 al 29,4 per cento. Tab.1: Principali poste positive e negative del saldo della bilancia commerciale. Saldo 2000 Saldo 2003 Mln $ % sul totale Mln$ % sul totale 39.626,68 68,33% 38.758,79 86,01% 10.809,51 18,64% 14.849,10 32,95% 13.246,99 22,84% 13.176,36 29,24% Prodotti in legno 958,07 1,65% 1.361,36 3,02% Autoveicoli -213,81 -0,37% -2.570,93 -5,70% -1.400,33 -2,41% -4.562,73 -10,12% Macchinari -2.039,37 -3,52% -6.113,54 -13,57% Prodotti alimentari -3.641,25 -6,28% -6.938,30 -15,40% Miniere e cave Prodotti Petroliferi raffinati Metalli Apparecchi elettrici di precisione 7 Totale 57.992,41 100% 45.065,26 100% Fonte: elaborazione su dati Ice Le recenti tendenze della bilancia commerciale indicano chiaramente che la diversificazione della produzione interna non è ancora avvenuta se non in misura marginale, e che si è accentuata la dipendenza dai settori esportatori; allo stesso tempo, però, la crescita delle importazioni di beni strumentali indica che la ristrutturazione delle strutture produttive ha subito un’accelerazione nel 2003. 3. Composizione merceologica. La struttura del commercio estero russo, preso nel suo insieme, è dunque assimilabile a quella di un produttore di materie prime energetiche. Materie prime e semilavorati (prodotti petroliferi raffinati, metalli) corrispondono al 76,3 per cento delle esportazioni; se si escludono i prodotti chimici e agricoli, la Russia non esporta altro. (cfr. tabella 2) Le importazioni sono più differenziate, e consistono in due grandi gruppi: beni di consumo (prodotti alimentari, prodotti agricoli, carta e editoria, autoveicoli, tessili), che coprono il 36 per cento delle importazioni, e forniture industriali (macchinari, apparecchi elettrici, metalli), pari al 35 per cento. Tab.2: Composizione merceologica delle importazioni e esportazioni russe, 2003 Esportazioni Mln $ % Miniere e cave 40.346,53 42,2% Metalli 17.471,15 Importazioni Mln $ % Prodotti alimentari 8.352,55 16,5% 18,3% Macchinari 7.915,14 15,7% 15.111,85 15,8% Prodotti chimici 6.497,08 12,8% Prodotti chimici 6.251,99 6,5% 6.316,63 12,5% Prodotti agricoli 3.127,26 3,3% Metalli 4.294,78 8,5% Carta e editoria 1.903,22 1,9% Autoveicoli 3.715,98 7,3% Macchinari 1.801,60 1,8% Prodotti agricoli 3.110,68 6,1% 1.753,90 1,8% Carta e editoria 1.984,11 3,9% Prodotti in legno 1.667,27 1,7% Miniere e cave 1.587,74 3,1% Prodotti alimentari 1.414,24 1,5% Gomma e plastica 1.446,92 2,9% Altri mezzi di trasporto 1.297,20 1,4% Prodotti tessili 1.080,29 2,1% Totale 95.611,0 100% Totale 50.545,7 100% Prodotti petroliferi raffinati Apparecchi elettrici di precisione Apparecchi elettrici di precisione Fonte: elaborazione su dati Ice 8 Caratterizzare la Russia come un’economia puramente esportatrice sarebbe però riduttivo: il sistema industriale russo non è ancora in grado di produrre beni competitivi sui mercati occidentali, ma detiene consistenti quote di mercato nei paesi emergenti e nell’area ex-sovietica. La Russia è il principale fornitore dei paesi della Csi non soltanto di energia, ma anche di beni industriali, soprattutto nell’industria pesante e nei settori legati al complesso militare-industriale. 4. Direzione del commercio. Come gli altri paesi in transizione, la Russia ha riorientato il proprio commercio estero verso occidente, anche se in misura minore rispetto all’Europa centro-orientale. Le esportazioni (cfr. tabella 3) si sono leggermente spostate verso l’Unione Europea: l’Ue a 15 è passata, dal 1997 al 2001, dal 32,3 al 33,6 per cento delle esportazioni russe totali, mentre l’Ue a 25 dal 43,3 al 44,9 per cento. Le esportazioni verso l’area ex-sovietica (Csi e stati baltici) sono scese dal 22,6 al 14,8 per cento. Tab.3: Orientamento geografico delle esportazioni russe – 1997-2001 1997 1998 1999 2000 2001 Mondo 100 100 100 100 100 Asia ex-URSS 4,96 4,34 2,55 2,93 3,60 Europa ex-URSS 17,60 17,21 15,57 15,24 11,24 Totale Ex Urss 22,56 21,55 18,13 18,17 14,84 Peco 10,97 11,06 10,44 11,88 11,37 Ue 32,29 31,47 33,28 35,81 33,56 Asia (non ex-URSS) 16,56 15,80 17,11 18,74 15,90 America Nord 5,39 7,25 6,85 4,71 3,08 Fonte: UN International Trade Statistics Yearbook, 2002 Cambiamenti più profondi hanno avuto luogo nelle importazioni (cfr. tabella 4). Mentre l’area exsovietica ha subito un calo paragonabile a quello delle esportazioni (dal 22,3 al 17,8 per cento), l’Ue a 15 ha aumentato decisamente la propria quota sulle importazioni russe, passando dal 28,9 del 1997 al 36,8 per cento del 2001 e superando il 50% nel 2003 secondo gli ultimi dati disponibili. Tab.4: Orientamento geografico delle importazioni russe, 1997-2001 1997 1998 1999 2000 2001 Mondo 100 100 100 100 100 Asia ex-URSS 6,85 4,99 5,75 8,62 6,82 Europa ex-URSS 15,49 15,38 15,66 17,77 10,96 Totale Ex Urss 22,34 20,37 21,41 26,38 17,78 Peco 5,34 4,47 3,77 3,93 5,34 Ue 28,98 26,77 27,65 24,51 36,80 Asia (non ex-URSS) 9,00 8,65 8,14 7,83 13,00 America Nord 6,50 7,35 6,32 6,37 8,31 9 Fonte: UN International Trade Statistics Yearbook, 2002 Importanti fornitori sono apparsi a sud-est della Russia: la Cina e il Giappone, con tutta l’Asia orientale, sono passati dal 9 al 13 per cento del totale delle importazioni russe tra il 2000 e il 2003; per alcuni beni, quali l’elettronica di consumo e l’abbigliamento, la Cina detiene quote di mercato elevate, e le imprese cinesi hanno di fatto colonizzato le vaste steppe orientali della Russia (cfr. più avanti, tabella 9). La disaggregazione delle esportazioni per paesi (cfr. tabella 5) è influenzata dal fatto banale che l’energia si vende a tutti: le esportazioni sono geograficamente poco concentrate. In nessun caso le esportazioni russe verso un singolo paese superano il 10 per cento delle esportazioni russe totali. Tab.5: Scomposizione per paese delle esportazioni e delle importazioni russe. Principali Peso % Peso % Principali Peso % Peso % Paesi clienti 2000 2003 Paesi fornitori 2000 2003 Paesi Bassi 4,72 8,47 Germania 12,89 14,36 Cina 4,27 7,09 Ucraina 11,75 8,33 Ucraina 5,67 6,48 Cina 3,14 6,42 10,24 6,16 Stati Uniti 8,47 5,19 Italia 8,22 5,77 Kazakistan 6,93 4,5 Polonia 5,05 3,85 Italia 4,02 4,5 Finlandia 3,5 3,84 Francia 3,96 4,34 Regno Unito 3,8 3,62 Giappone 1,88 3,57 Turchia 3,51 3,26 Finlandia 3,18 3,21 Kazakistan 2,42 3,17 Polonia 2,3 3,1 Stati Uniti 3,24 2,9 Brasile 1,3 2,91 Giappone 2,57 2,33 Regno Unito 2,55 2,66 Bielorussia 0,01 2,29 Corea del Sud 1,18 2,58 Germania Fonte: elaborazione su dati Ice Per quanto riguarda i fornitori, si notano tre fenomeni principali: (a) l’importanza crescente della Germania (macchinari, autoveicoli, forniture industriali in genere); (b) la rilevanza dell’industria di base ucraina (acciai speciali, petrolchimica), nella quale i gruppi finanziari-industriali russi hanno investito molto negli ultimi anni; (c) l’aumento del peso della Cina, soprattutto nei settori dei beni di consumo. 5. Ruolo dei paesi ex-Comecon. A seguito della caduta dell’Urss i legami commerciali del Comecon (sciolto a giugno 1991) si sono dissolti. Tutti i paesi del Comecon hanno spostato l’asse degli scambi verso occidente, ristrutturando le imprese e riorientando il commercio verso l’Ue. Tuttavia, le strutture produttive dei paesi ex-sovietici e dell’Europa centro-orientale presentano ancora importanti 10 complementarità. La riattivazione dei legami con i paesi dell’ex-Comecon potrebbe essere per la Russia il primo passo verso una migliore differenziazione del suo commercio estero. La Russia continua ad avere una grande importanza quale paese fornitore di materie prime energetiche ed altri beni dell’industria pesante per tutti i paesi dell’Europa centro-orientale (cfr. tabella 6). Tab.6: Posizione della Russia come fornitore e quote sulle importazioni dei clienti Posizione Russia 1997 1998 1999 2000 2001 Bielorussia 1 53,61 54,63 56,44 65,35 65,20 Ucraina 1 45,76 48,14 47,21 41,57 36,85 Estonia 2 14,44 11,09 13,50 14,10 12,49 Lettonia 2 15,60 11,76 10,50 11,61 9,19 Lituania 1 24,29 20,24 19,42 26,71 24,46 Polonia 3 5,33 4,16 3,43 4,61 4,31 Ungheria 4 8,63 5,96 5,82 8,07 7,03 Rep. Ceca 3 6,74 5,02 5,66 8,03 6,50 Romania 3 12,03 8,98 6,76 8,58 7,61 Bulgaria 1 33,39 28,03 20,08 20,71 24,36 Fonte: UN International Trade Statistics Yearbook, 2002 Tab.7: Posizione della Russia come cliente e quote sul le esportazioni dei fornitori Posizione Russia 1997 1998 1999 2000 2001 Bielorussia 1 64,49 65,18 54,53 50,68 53,39 Ucraina 1 51,90 41,10 40,56 47,95 49,16 Estonia 3 18,79 13,28 9,20 6,78 8,57 Lettonia 4 20,95 12,07 6,58 4,17 5,84 Lituania 1 24,48 16,52 7,01 7,11 11,02 Polonia 9 8,38 5,67 2,59 2,63 2,94 Ungheria 13 4,96 2,80 1,42 1,62 1,55 Rep. Ceca 13 3,39 2,41 1,43 1,33 1,46 Romania 22 2,96 0,97 0,55 0,86 0,73 Bulgaria 10 9,82 7,95 5,45 4,75 2,45 Fonte: UN International Trade Statistics Yearbook, 2002 11 Al contrario la rilevanza della Russia come paese di destinazione è oggi limitata (cfr. tabella 7), in quanto i paesi dell’Europa centro-orientale hanno riorientato le proprie esportazioni verso i più ricchi mercati dell’Europa occidentale. Questa tendenza aumenta spostandosi verso sud-ovest. All’interno dell’ex-Comecon si possono distinguere tre gruppi di paesi: 1. i paesi “russi” della Csi (Bielorussia, Ucraina): per questi paesi la Russia è un fornitore fondamentale, ma anche un significativo mercato di sbocco. L’integrazione della Bielorussia con la Russia è quasi totale (65,2 per cento delle importazioni, 53,39 delle esportazioni); l’Ucraina ha scelto per ragioni strategiche di diversificare il proprio commercio estero, senza peraltro riuscire a diminuire sostanzialmente la dipendenza dalla Russia. Nel commercio di questi paesi le quote delle importazioni e delle esportazioni della Russia sono simili e si aggirano intorno al 50 per cento; 2. i paesi baltici ex-sovietici (Estonia, Lettonia, Lituania): la Russia è il primo paese fornitore (con quote comprese tra il 12 e il 24 per cento), ma comincia a perdere terreno come paese di sbocco, in particolare per la Lettonia e per l’Estonia; la Lituania si trova al confine tra il gruppo 1 e il gruppo 2: la Russia è primo fornitore e primo cliente, con quote però più basse rispetto ai paesi “russi”, attorno al 25 per cento. 3. i paesi dell’allargamento (Ue-25 più Romania e Bulgaria): per questi paesi la Russia resta importante solo come paese fornitore, anche se raramente mantiene la prima posizione; negli ultimi anni la Russia ha perso quote significative su questi mercati. Dal punto di vista delle esportazioni, la Russia non rappresenta più (o, in prospettiva, non ancora) un mercato di sbocco importante. 6. Ruolo dell’Italia. L’Italia è il sesto paese fornitore e il quinto cliente della Federazione russa; l’Italia detiene il 4,5 per cento del mercato russo. Il ruolo del nostro paese riflette una storia di relazioni economiche avviate in epoca sovietica e curate con tenacia da mercanti e imprenditori italiani profondi conoscitori della Russia. L’Italia importa dalla Russia materie prime energetiche in quantità ancora maggiore della già alta media mondiale. Minerali, metalli e prodotti petroliferi raffinati coprono il 90,5 per cento delle esportazioni russe verso l’Italia. La Russia non esporta praticamente altro verso il nostro paese (cfr. tabella 8). Le esportazioni verso la Russia riflettono a loro volta la specializzazione produttiva dell’Italia nei prodotti del Made in Italy: tessili e abbigliamento, mobili, prodotti alimentari, meccanica applicata e macchinari di precisione costituiscono il 60 per cento delle esportazioni. Tab.8: Interscambio Russia-Italia: principali beni scambiati, 2000 e 2003 Miniere e cave Esportazioni russe Importazione russe vs l’Italia dall’Italia 2000 2003 78,1% 65,4% Macchinari 12 2000 2003 34,3% 39,9% Prodotti petroliferi 9,9% 16,9% Prodotti chimici 10,9% 10,7% 5,8% 8,2% Prodotti alimentari 6,4% 7,0% 1,5% 3,1% Metalli 11,1% 6,9% Prodotti chimici 0,9% 1,5% 9,4% 6,8% Prodotti in legno 0,8% 1,5% 6,9% 5,9% Prodotti agricoli 0,3% 1,5% Mobili 3,9% 5,9% Carta e editoria 0,9% 0,7% Gomma e plastica 4,3% 4,1% Totale 100% 100% Totale 100% 100% raffinati Metalli Tessili, abbigliamento e cuoio Apparecchi elettrici di precisione Tessili, abbigliamento e cuoio Fonte: elaborazione su dati Ice A dispetto della crisi esportativa che ha colpito l’Italia negli ultimi anni, la quota di mercato complessiva dei beni italiani in Russia è cresciuta, dal 4 per cento del 2000 al 4,5 per cento del 2003. L’Italia ha conquistato in Russia rilevanti quote nel mercato dei mobili, dei macchinari, dei tessili, del pellame e dell’abbigliamento, e più in generale in tutti i settori che caratterizzano il Made in Italy. (cfr. tabella 9) Nonostante alcuni punti di forza la penetrazione italiana sul mercato russo è ancora oggi una frazione di quella che potrebbe essere (cfr. tabella 9). L’Italia è il primo paese fornitore solo per i mobili, un settore che rappresenta un piccolo 0,77 per cento delle importazioni russe. Nei settori di peso, quali i macchinari, i prodotti chimici, i prodotti alimentari, gli autoveicoli, il nostro paese si piazza sovente dietro i suoi principali concorrenti (Germania, Usa, Francia, ma anche Cina). Particolarmente debole è la nostra posizione nei settori dei prodotti alimentari (2 per cento in un settore che corrisponde al 16,5 per cento delle importazioni) e degli autoveicoli (1,15 per cento contro il 21 della Germania e il 6 della Francia). Tab.9: Quote di mercato dell’Italia e dei principali concorrenti sul mercato russo, 2003 Italia Germania Ucraina Cina USA Francia Peso % Mobili 34,6 10,1 8,1 5,5 0,5 2,1 0,8 Macchinari 11,5 23,6 7,3 2,7 7,9 3,3 15,7 6,9 4,4 1,7 48,5 0,7 1,3 3,9 Minerali non metalliferi 6,6 9,4 10,5 11,8 2,9 4,8 2,0 Prodotti in gomma e plastica 6,5 20,8 5,4 6,8 4,0 4,6 2,9 Prodotti in legno 5,1 14,8 4,9 7,4 2,2 1,1 0,6 Prodotti chimici 3,7 18,6 3,2 2,3 4,4 10,5 12,8 Tessili, Abbigliamento e Cuoio 13 Apparecchi elettrici di 2,5 19,6 3,6 13,6 9,2 4,2 12,5 Prodotti alimentari 2,0 7,4 10,7 2,6 7,1 4,5 16,5 Autoveicoli 1,1 21,4 2,2 0,2 3,8 5,9 7,3 Totale 4,5 14,4 8,3 6,4 5,2 4,3 100 precisione Fonte: elaborazione su dati Ice La tabella 10 mostra la composizione merceologica dell’interscambio con la Russia dell’Italia, dell’Ue a 15 e dei paesi dell’Europa centro-orientale a confronto con la media mondiale. Dal confronto emergono i punti di forza e di debolezza del nostro paese di fronte alle potenzialità del mercato russo. Dal lato delle esportazioni russe, emergono due fattori principali: (a) la forte dipendenza energetica dell’Italia (i minerali energetici, i loro derivati e i metalli ammontano al 90 per cento delle importazioni italiane dalla Russia, (84,3 per cento per l’Ue e 74,3 per i Peco); (b) gli albori dello sviluppo di un traffico di perfezionamento passivo nei tessili (3,1 per cento contro l’uno per cento dell’Ue). La fortissima concentrazione in poche materie prime del commercio russo verso l’Italia è anche un indicatore del basso volume di Ide italiani in Russia (cfr. il paragrafo 3) e quindi dell’assenza di traffico orizzontale di beni manufatti. Tab.10: Esportazioni e importazioni della Russia per bene e per paese, 2003 Importazioni Russe da Esportazioni Russe verso Italia Ue-15 Peco Mondo Prod. Italia Ue-15 Peco Mondo 7,4 13,4 23,3 16,5 Miniere e cave 65,4 55,7 59,1 42,2 Macchinari 39,9 19,5 12,7 15,7 Metalli 8,2 13,4 6,3 18,3 Prod. Chimici 10,7 18,3 6,2 12,8 16,9 15,2 8,9 15,8 6,8 12,3 5,6 12,5 Prod. Chimici 1,5 5,2 4,8 6,5 Autoveicoli 1,9 8,6 2,7 7,3 Prod. Agricoli 1,5 2 2,8 3,3 Prod. Agricoli 3,4 2,8 2,2 6,1 Macchinari 0,1 0,7 3,3 1,9 0,2 0,7 2,1 1,8 Alimentari Prod. Petroliferi raffinati Apparecchi elettrici di precisione Tessili, Abbigliamento Apparecchi 6 2,1 1,3 3,9 e Cuoio Carta e editoria Gomma e plastica elettrici di precisione 2,3 6,2 4,5 3,9 Prod. Legno 1,5 1,8 0,2 1,7 4,1 3,7 1,7 2,9 Prod. Alimentari 0,6 0,6 2,5 1,5 14 Tessili, Mobili 5,9 1,2 0,8 0,8 Abbigliamento e 3,1 1 0,9 0,7 Cuoio Fonte: elaborazione su dati Ice Molto più interessante è l’esame comparato delle importazioni russe dall’Italia, dall’Ue e dai Peco. L’Italia esporta verso la Russia comparativamente più macchinari, più tessili, più prodotti in gomma e plastica e più mobili dei concorrenti europei e della media mondiale; comparativamente meno alimentari, autoveicoli, apparecchi elettrici, prodotti agricoli. In tutti i settori comparativamente meno importanti della media mondiale esistono possibilità di espansione per il commercio estero italiano. Il sistema-italia è forte per alcuni beni “classici” del Made in Italy, ma è superato dai concorrenti in altri beni, quali gli apparecchi di precisione, gli autoveicoli, i macchinari, i prodotti alimentari e agricoli. La debolezza italiana in questi settori è frutto della scarsa internazionalizzazione del nostro sistema produttivo, nella scarsezza delle strutture di supporto alla piccola e media impresa all’estero e si iscrive nei problemi generali del nostro paese di fronte alla globalizzazione. Per un’analisi più dettagliata si rimanda al capitolo sui distretti industriali e, all’interno del capitolo sulla Russia, al paragrafo sulla presenza italiana. 7. Conclusioni e prospettive. La Russia è principalmente un paese esportatore di materie prime ed energia, e importa i macchinari necessari alla ristrutturazione e modernizzazione delle imprese e i beni di consumo che la sua industria non riesce a produrre ad una qualità accettabile. La dipendenza dai settori esportatori e dai macchinari e beni di consumo esteri si è accentuata negli ultimi anni. Il commercio estero continuerà a contribuire molto alla crescita del Pil nel medio periodo solo in presenza di determinate condizioni. L’attivo della bilancia commerciale può essere mantenuto nel medio periodo solo se i prezzi del petrolio rimarranno al di sopra della soglia critica dei 25 dollari al barile. Le esportazioni sono altamente dipendenti dalle materie prime e dai semilavorati energetici; le importazioni stanno aumentando più velocemente delle esportazioni, e continueranno a farlo spinte dall’aumento del reddito interno e dal processo di ristrutturazione e differenziazione in corso nell’economia. Il mercato russo, in forte crescita, continuerà ad offrire ghiotte opportunità alle imprese estere, soprattutto nei settori dei beni di consumo (anche di fascia medio-alta e di lusso) e dei macchinari. 3. Investimenti Diretti Esteri 1. Premessa. La Russia è il più grande dei paesi in transizione: territorialmente, come popolazione, come dimensioni del mercato, dal punto di vista delle risorse naturali, della dotazione di capitale fisso e di infrastrutture, del peso politico internazionale. Nonostante notevoli punti di forza economici, la Russia ha svolto un ruolo marginale quale paese destinatario di investimenti. L’economia russa ha attratto finora una quantità irrisoria di Ide; la Russia è inoltre l’unico paese esportatore netto di capitali 15 di tutta l’Europa centro-orientale. La Russia, diversamente dai paesi dell’Europa centro-orientale, non ha scelto con chiarezza la via della ristrutturazione per mezzo di investimenti esteri. Si cercherà qui di analizzare i dati relativi agli investimenti esteri in Russia, per poi passare ai motivi del ritardo degli Ide in Russia, alla politica seguita dal paese e alle prospettive di sviluppo per il medio periodo. 2.1. L’Ide in Russia a confronto con gli altri paesi dell’area. La Russia ha ricevuto, nel 2002, l’8,43 per cento degli Ide totali destinati ai paesi in transizione, mentre lo stock di Ide accumulato a partire dall’inizio della transizione rappresenta soltanto il 12% dello stock di Ide dell’area3. A differenza di quanto accade nei Peco, inoltre, l’investimento diretto non è la forma preferita di entrata nel mercato russo: gli investitori esteri sembrano preferire le “altre” forme di investimento (crediti commerciali e altri crediti), mentre gli Ide coprono soltanto il 20,2% degli investimenti esteri totali4. La Russia è un late comer nel campo degli Ide secondo tutti gli indicatori comunemente usati nei confronti internazionali (cfr. Tabella 11). Lontanissima dai paesi in transizione più avanzati dal punto di vista degli Ide pro-capite, dello stock di Ide in percentuale del Pil e dell’investimento lordo totale, si trova addirittura al di sotto di paesi in transizione più arretrati come la Romania o, per certi indicatori, l’Ucraina. La scarsa importanza degli Ide in Russia è confermata basso contributo degli investimenti esteri all’investimento totale: nel 2002 gli Ide coprivano il 3,9 per cento dell’investimento, contro una media del 17,2 per cento nei Paesi dell’Europa centro-orientale. Tab. 11: Principali indicatori degli Ide: Russia ed altri paesi in transizione, 2002. Ide in entrata Stock di Ide Ide pro Ide in uscita (mld $) in % del PIL capite ($) (mld $) Russia 4,0 6,5 % 156 3,2 Ucraina 0,6 12,9 % 110 0 Ungheria 2,1 38,2 % 2441 0,2 Polonia 5,0 23,9 % 1166 0,17 Repubblica Ceca 1,3 54,8 % 3733 0,2 Slovenia 0,6 23,1 % 2537 0,1 Romania 1,1 20,5 % 394 0,01 28,7 20,8 % - 4,2 Media paesi in transizione Fonte: Unctad 2003 e Goskomstat 2002 Dati UNCTAD, World Investment Report 2003; per “area” si intendono i 19 Paesi raggruppati dall’Unctad sotto il nome di Central and Eastern European Countries – CEECs. 4 Dati Goskomstat (2002). Questa tripartizione degli investimenti esteri si discosta dalla normale suddivisione in investimenti diretti e di portafoglio, e rende problematico l’utilizzo dei dati di fonte russa, che sono peraltro essenziali in quanto raggiungono un livello di dettaglio maggiore rispetto alle fonti internazionali. In questo lavoro i dati aggregati sono tratti da Unctad 2003, mentre i dati settoriali, regionali e per paese d’origine da Goskomstat 2002 e 2003. 3 16 Per tutti gli anni ’90 gli Ide in Russia hanno svolto un ruolo del tutto marginale (cfr. Tabella 12). Gli Ide lordi in entrata non hanno mai dato un contributo decisivo all’investimento totale e il flusso netto di Ide è stato sempre negativo. Negli ultimi anni le cose sono in parte cambiate, ma l’accelerazione del 2003 (un balzo del 62 per cento degli Ide in entrata) non è stata sufficiente a dare una svolta al ruolo degli Ide, che resta marginale. Date le sue grandi potenzialità e gli scarsi risultati, l’Unctad ha inserito la Russia tra i Paesi belowpotential, che hanno cioè prospettive favorevoli ma risultati deludenti, per tutti gli anni ’90; il giudizio non è cambiato per quanto riguarda il prossimo futuro5. Tab.12: Principali indicatori per gli Ide in Russia, mln di $, 1994-2002 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 IDE in entrata annui 2479 4865 2761 3309 2714 2469 4021* 6781* IDE in uscita annui 771 3184 1270 2208 3177 2533 3284 - Stock IDE in % Pil - - - - 6,9% 6,5% 6,5% 7,7%* 2,8% 5,9% 5,7% 11,9% 6,7% 4,3% 3,9% 11%* IDE in entrata in % investimento lordo Fonte: elaborazione su dati Unctad 2003 e *Goskomstat 2003 2.2. I Paesi di origine. I principali paesi d’origine degli Ide destinati alla Russia (cfr. Figura 2) a fine 2002 erano gli Usa (20,7%), Cipro (19,3%), l’Olanda (11,8%), la Gran Bretagna (10,8%) e la Germania (8,4%), seguite dalla Svizzera (1,8%) e dal Lussemburgo (1,2%). Fig.2: Stock di Ide a fine 2002 per Paese d’origine Cipro Lussemburgo IDE accumulati a fine 2002 Germania Italia Lussemburgo Cipro Germania Italia USA Svizzera USA Giappone Gran Bretagna Francia Olanda Olanda Francia Giappone Gran Bretagna Svizzera Fonte: Goskomstat 2002 Gli investimenti provenienti da Cipro, dal Lussemburgo e dalla Svizzera sono nella quasi totalità capitali russi trasferiti all’estero per ragioni fiscali e per non dipendere dal disastrato sistema bancario 5 Per maggiori dettagli cfr. Unctad, World Investment Report, 2004. 17 russo che rientrano sotto forma di Ide; secondo la Banca mondiale6, però, anche nel caso degli Ide provenienti dagli Usa, dalla Gran Bretagna (Isole del Canale) e dall’Olanda (Antille Olandesi) si tratterebbe in parte di capitali russi. Gli investimenti nell’industria estrattiva e nei trasporti sono capitali russi di ritorno (Cipro, Svizzera, Isole Vergini, Lussemburgo), mentre i capitali non provenienti da sedi russe off-shore si concentrano nei settori dell’energia (Gran Bretagna primo investitore nel 2002, anche se il settore è controllato e gelosamente protetto dai grandi gruppi russi), alimentare (Olanda e Germania) e nel commercio (Gran Bretagna, Germania)7. Gli Ide in Russia si caratterizzano dunque per un andirivieni continuo del capitale, che esce sotto forma di fughe di capitale o di acquisizione di partecipazioni all’estero, e che rientra sotto forma di Ide proveniente dai paradisi fiscali. 2.3. Distribuzione settoriale e regionale. L’investimento estero in Russia si è concentrato nei settori del commercio (grandi magazzini, reti di piccoli negozi) e nelle telecomunicazioni, oltre che nell’industria. All’interno di quest’ultima, i settori più attrattivi sono stati il settore dei combustibili (estrazione e raffinazione di petrolio e gas), ed il settore alimentare (cfr. Tab. 13). All’interno dell’industria, sono pochi i settori in cui le imprese straniere detengono quote rilevanti; tra questi vi sono i settori della confezione, della birra, delle bevande analcoliche e del tabacco. Al di fuori di questi settori la presenza straniera è minima, e in molti casi inesistente. Gli stranieri sono entrati quindi laddove è stato loro consentito, e non hanno finora potuto inserirsi nei settori-chiave dell’economia, che sono controllati dallo stato (produzione e distribuzione di gas, condutture, cantieri navali, industria militare) o dagli oligarchi (petrolio, …)8. Tab.13: distribuzione settoriale dell’Ide in entrata, mln di $, 2002. Ide 2002 % del totale industria 1932 48,3% di cui combustibili 667 16,7% alimentare 439 11,0% metalmeccanica 262 6,5% legname 133 3,3% commercio 959 24,0% trasporti 112 2,8% comunicazioni e reti 299 7,5% Fonte: Goskomstat 2002 A dispetto della vastità del territorio, della presenza di infrastrutture, seppure fortemente deteriorate, e della differenziazione produttiva delle varie regioni, ereditata dal periodo sovietico, gli 6 Cfr. World Bank, Russia Economic report, varie uscite. Dati Goskomstat 2002. 8 cfr. World Bank, From transition to Development: a Country economic Memorandum for the Russian Federation, april 2004, pag. 96 segg. 7 18 Ide in Russia si sono concentrati principalmente a Mosca, a San Pietroburgo e, in misura minore, nelle aree in cui si svolge l’attività estrattiva e il taglio del legname. In particolare, lo stock di Ide accumulato tra il 1995 ed il 19999 a Mosca città era pari al 44,2 per cento degli Ide destinati all’intero paese; gli investimenti affluiti nella “grande Mosca”, comprendente la città e la sua regione, coprivano il 54% del totale. La concentrazione degli Ide nella capitale supera di molto l’importanza economica relativa di Mosca all’interno della Russia: la “grande Mosca” produceva nel 1998 solo il 13,6% del Pil dell’intero Paese10. Subito dopo Mosca venivano San Pietroburgo e la sua regione (8% degli Ide, 4,2% del Pil), alcune aree estrattive, quali l’isola di Sakhalin (7,4%), oggetto di grandi investimenti giapponesi ed americani, ed il Krasnodarski Krai (4%), e la zona di Samara (2,3% degli Ide, 3,2% del Pil), sede in epoca sovietica di numerose industrie meccaniche, dell’autoveicolo e aerospaziali11. 2.4. La Russia come esportatore di capitali. Se l’afflusso di Ide è stato marginale, i saldi dei movimenti di capitale sono stati per tutti gli anni ’90 fortemente negativi: la Russia è un paese esportatore netto di capitali, caso unico nell’Europa centro-orientale. Nel 2002 i flussi ufficiali di Ide in uscita (che non tengono conto delle consistenti fughe di capitale) hanno rappresentato il 78% di tutti i flussi in uscita dai paesi in transizione, e sono risultati maggiori, anche se marginalmente, degli investimenti diretti in entrata. Secondo le stime della Banca centrale (cfr. tabella 14), il flusso di capitale in uscita è stato molto consistente per tutti gli anni ’90, toccando il massimo negli anni subito successivi alla crisi del 1998 a causa dell’incertezza economica e del crollo del sistema bancario; negli ultimi anni le fughe di capitale sono costantemente diminuite, anche se i primi dati disponibili per il 2004 segnano un nuovo aumento dei capitali in uscita, probabilmente causato ai timori generati dall’affaire Yukos e dalla nuova politica interventista del governo verso gli oligarchi. Tab.14: Deflusso netto di capitali dal settore privato, dati bilancia dei pagamenti, mld $ 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 -18,2 -21,7 -20,8 -24,8 -15 -8,1 -2,3 2004 1°Sem -5,5 Fonte: Central Bank of Russia, statistiche on-line Gli Ide in uscita dalla Russia nel corso degli anni ’90 si sono principalmente diretti verso i Paesi avanzati, nei quali le grandi imprese estrattive russe (Yukos, Lukoil, Gazprom) effettuano investimenti per posizionarsi come concorrenti di primo livello nel mercato globale; i paesi della Csi e dell’Europa centro-orientale hanno raccolto invece soltanto il 10-20% dei flussi in uscita dalla Federazione Russa. A partire dal 2001 la crescita russa ha spinto a rinsaldare i vecchi legami produttivi con le repubbliche della Csi (in particolare con l’Ucraina): numerosi gruppi finanziari-industriali russi pubblici e privati 9 cfr. Broadman & Recanatini, Where has all the foreign direct investment gone in Russia?, World Bank Working Paper no.2340, Washington, 2001 10 Cfr. Fischer Foreign Direct Investment in Russia – A strategy for industrial recovery, Macmillan, Londra, 2000 11 A pochi chilometri da Samara sorge Togliatti, sede degli stabilimenti Lada. 19 hanno acquisito importanti quote di imprese metallurgiche e petrolchimiche ucraine e kazake. Queste acquisizioni, come già detto, si inseriscono nel disegno di restaurazione della forza economica dello stato e di attenzione verso la grande impresa che sembra essere seguito dal governo russo e dai principali gruppi privati. 2.5. Il ruolo dell’Italia. Il ruolo degli investimenti italiani in Russia è stato finora secondario. L’Italia è il settimo paese investitore in Russia, con un miliardo e mezzo di dollari accumulati negli ultimi 12 anni tra prestiti, partecipazioni al capitale e investimenti diretti; se però si restringe l’osservazione agli Ide, l’Italia giunge decima, con soli 194 milioni di dollari investiti in Russia (lo 0,95% del totale) a fine 2002. Secondo i dati del Goskomstat, in Russia sarebbero presenti circa 700 società miste italorusse o di totale proprietà italiana, ed altre 200 imprese italiane avrebbero a Mosca uffici di rappresentanza12. Il ruolo marginale giocato dall’Italia riflette sia la scarsa propensione all’internazionalizzazione produttiva su larga scala della nostra economia, sia il ruolo limitato giocato finora dalle piccole e medie imprese in Russia. L’Ide in Russia è stato rallentato, e alle volte reso impossibile, da barriere legislative, corruzione, scarsa trasparenza dell’amministrazione e delle relazioni commerciali, insufficiente protezione dei diritti di proprietà. Queste barriere rappresentano un costo, in termini di tempo e di denaro, per tutte le imprese che vogliano affrontare il mercato russo; nel caso di una piccola o media impresa, però, l’incidenza di questi costi è maggiore e rischia di superare la soglia critica che porta alla decisione di non investire. Un altro fattore che ha ostacolato l’investimento italiano in Russia è stata l’assenza di banche italiane con sportelli operativi nel paese. Riproponendo una strategia di wait-and-see comune a molte banche occidentali13, le banche italiane hanno aperto in Russia solo uffici di rappresentanza. L’unica eccezione è l’apertura di uno sportello operativo di Banca Intesa a Mosca, che ha avuto luogo nella primavera del 2004. 3. I motivi del ritardo russo. Pur avendo enormi potenzialità, la Russia, come abbiamo visto nella sezione precedente, è rimasta al margine dei grandi flussi di Ide diretti nei paesi in transizione, per tre ordini di ragioni: congiunturali, connesse all’andamento dell’economia russa negli anni ’90, all’andamento alterno delle riforme e ai metodi utilizzati nella privatizzazione (cfr. più sopra il par.1); strutturali, legate ai problemi di lungo periodo dell’economia russa; e politiche, correlate alla strategia delineata dal governo per guidare il paese dalla transizione alla crescita. 3.1. Fattori congiunturali. Negli anni ’90 la Russia ha attraversato una profonda recessione, terminata solo all’indomani della crisi economica e finanziaria del 1998, e durata quindi 4-5 anni più delle recessioni transizionali affrontate dall’Europa centro-orientale. 12 13 Dati Goskomstat citati in Ice, Nota congiunturale Russia, agosto 2003, Mosca 2003 Cfr. A.Vernikov, Strategies of Foreign Banks in Russia, Problems of Economics Transition, Vol.45, n.12, April 2003. 20 Questa profonda recessione ha tenuto lontani per tutti gli anni ’90 gli investimenti esteri, in particolare market-seeking, e ha tenuto la Russia al margine dei flussi internazionali di Ide, con l’eccezione di limitati resource-seeking, concentrati nei settori estrattivi. Un’altra causa del ritardo russo rispetto ai paesi dell’Europa centro-orientale riguarda il processo di privatizzazione. Gran parte degli Ide ricevuti dai paesi che hanno seguito la via aperta dall’Ungheria nei primi anni ’90, sono stati generati dai processi di privatizzazione dei “gioielli” ereditati dal comunismo tramite vendite dirette a multinazionali occidentali o tramite joint-venture. In Russia al contrario non si è mai cercato di coinvolgere nella privatizzazione investitori strategici esteri. La privatizzazione fu condotta in maniera caotica, a seguito di una selvaggia privatizzazione spontanea e senza un fine preciso; tutto il processo fu caratterizzato da furti, truffe, schemi illegittimi di appropriazione delle imprese statali. Il modello di privatizzazione scelto si basava, con alcune sostanziali varianti, sull’esperienza Ceca, e escludeva la partecipazione di stranieri. Quando, nel 1995-96, si passò al metodo della vendita diretta, lo si fece tramite programmi di scambio tra debito pubblico ed azioni (programma loan-for-shares: crediti allo stato garantiti da titoli); le aste, organizzate dalle principali banche russe, furono pilotate ad esclusivo vantaggio dei gruppi finanziariindustriali di cui le banche facevano parte e quindi a favore di una ristretta cerchia di oligarchi, che assunsero il controllo delle maggiori imprese del paese a prezzi irrisori. 3.2. Fattori strutturali. Per tutti gli anni ’90 l’economia russa non offriva condizioni favorevoli all’investimento estero, per tre ragioni: a) il Pil dipendeva sostanzialmente dallo sfruttamento delle materie prime estrattive, un settore controllato dallo stato e dagli oligarchi; b) la maggior parte delle imprese (fino al 60% nel 1998) era invischiata in reti di baratto ed in un sistema di scambi basato su mezzi di pagamento non-monetari, per esempio cambiali (veksel) emesse da grandi imprese pubbliche; c) le imprese uscite dalla privatizzazione erano in gran parte controllate in maniera non trasparente dagli insider, vecchi manager sovietici e rappresentanti dei nuovi azionisti. Ad influenzare negativamente le condizioni di investimento14 contribuivano altri fattori: la scarsa tutela dei diritti di proprietà, l’arbitrarietà delle norme e la loro disparità da regione a regione, la presenza di obblighi sociali per le imprese, retaggio della passata organizzazione socialista della società. Questi ed altri ostacoli costringevano le imprese estere che volessero entrare nel mercato russo a impiegare notevoli risorse, in termini di tempi e di costi, in rapporti con la burocrazia centrale e locale, in servizi sociali secondari rispetto all’attività principale dell’impresa, nel trovare partner e fornitori locali all’altezza delle richieste. In generale, gli investitori stranieri, pur riconoscendo l’importanza e le potenzialità della Russia, erano restii ad investire in un’economia in profonda recessione, dominata da clan di oligarchi e tendenzialmente insider-oriented e strutturalmente squilibrata. 14 Cfr. Fabry & Zeghni, Foreign direct investment in Russia: how the investment climate matters, in Communist and Postcommunist Studies, vol.35, 2002, pagg. 289-303 Il paper contiene un’attenta analisi dell’importanza dell’investment climate per comprendere l’Ide in Russia. 21 3.3 Fattori politici. In Russia non è stata seguita una politica chiara, coordinata ed efficace di attrazione degli Ide. L’agenzia per l’attrazione degli investimenti esteri non è mai decollata 15, la privatizzazione ha escluso di fatto gli stranieri, i settori principali e strategici dell’economia sono rimasti in mano allo stato o agli oligarchi. Gli Ide sono affluiti in Russia soprattutto per il grande interesse che il gigante dormiente ha suscitato nelle imprese occidentali; lo sbarco sul mercato russo è però sempre stato difficile, e le autorità russe non hanno mai concepito un disegno coordianto per appianare gli ostacoli e favorire gli investimenti esteri. Con una battuta si può dire che se le strategie di internazionalizzazione delle imprese europee non possono non tenere conto della Russia, la politica russa non ha mai considerato prioritaria l’attrazione di Ide. 4. La strategia degli investitori esteri fino a oggi. Il risultato di tutti questi ostacoli, congiunturali, strutturali e politici, è stato finora una strategia di wait-and-see da parte degli investitori esteri16: si sono mossi i primi passi sul mercato russo, tramite investimenti di posizionamento che hanno riconosciuto le potenzialità enormi del paese, ma allo steso tempo non si sono voluti avviare progetti di grandi dimensioni in un contesto di crescita vulnerabile, in quanto dipendente dal prezzo di prodotti primari e intermedi, e in mezzo a così gravi problemi strutturali. Neanche la forte ripresa iniziata nel 1999 ha finora generato un mutamento nell’atteggiamento degli investitori esteri: gli Ide in entrata sono rimasti stabili, e solo il flusso di Ide netto ha visto mutamenti positivi, passando da valori negativi per gli anni ’90 ad un saldo nullo nel 2002 e leggermente positivo nel 2003, largamente come riflesso della maggiore fiducia riposta dai russi stessi nella loro economia. Non è un caso quindi che gli investitori esteri presenti in Russia fino al 2001 fossero quelli che dovevano a tutti i costi esserci, cioè le multinazionali del petrolio ed alcuni grandi produttori di beni di consumo, che gli investimenti nella sfera della produzione di manufatti a media ed alta tecnologia fossero quasi assenti e che in molti casi gli investitori esteri mantenessero in Russia soltanto uffici di rappresentanza, in attesa di tempi migliori. Quest’atteggiamento di attesa spiega anche – in parte – la concentrazione degli Ide nelle aree di Mosca e San Pietroburgo: gli investimenti nel settore commerciale e dei beni di consumo si sono concentrati nelle zone più ricche e popolate del paese, ed anche gli Ide di posizionamento o di rappresentanza, fatti a fini di occupazione del territorio più che di sfruttamento effettivo dei vantaggi localizzativi, si sono diretti verso le aree centrali del paese. 5. Prospettive per l’Ide in Russia nel medio periodo. Le prospettive per gli Ide nel medio periodo sono diverse viste dall’occidente o viste dalla Russia. Dal punto di vista delle imprese occidentali, l’attenzione per la Russia è salita negli ultimi anni. Da molte parti si parla di un prossimo decollo degli Ide, e le attenzioni per il mercato russo si fanno sempre più vive in tutta Europa e in Italia. Quest’importante miglioramento delle aspettative è guidato da molti fattori. 15 Non esiste, ad esempio, alcun sito web centralizzato per la promozione degli investimenti esteri, né alcuna agenzia centrale. 16 Cfr. Fabry & Zeghni, ibidem. 22 In primo luogo, gli osservatori si aspettano che la Russia beneficerà, seppur in maniera indiretta, dell’allargamento dell’UE, dal momento che diverrà una nuova frontiera: da un lato i Paesi dell’allargamento potrebbero iniziare un percorso che li porti a diventare essi stessi investitori esteri nei paesi limitrofi17; d’altra parte gli aiuti finanziari ed i sostegni forniti dai paesi d’origine degli Ide agli investitori non potranno più – per ragioni di concorrenza all’interno del mercato unico – essere richiesti per progetti d’investimento nell’Europa centro-orientale, liberando così risorse per la Russia e le altre aree fin qui secondarie18. Secondariamente, dopo 4 anni di ripresa e una crescita del Pil superiore alle aspettative e prevista al di sopra del 7% per il 2003, la recessione sembra definitivamente alle spalle e gli ottimisti stanno prendendo il sopravvento nel dibattito sulla sostenibilità della crescita19. In Russia i salari reali stanno salendo più del Pil, rendendo appetibili, almeno nel medio periodo, Ide market-seeking; il bilancio dello stato mostra continui avanzi, accumulati per far fronte ad una possibile caduta del prezzo del greggio, variabile macroeconomica basilare, e per ripagare quote crescenti del debito estero. In terzo luogo, i problemi strutturali russi sembrano essere in via di risoluzione. Putin ha guidato nel corso del suo primo mandato la lotta contro lo strapotere degli oligarchi, e sta perseguendo un progetto di centralizzazione del potere, anche economico, e di uniformazione delle politiche regionali (cfr. paragrafo1); inoltre il sistema di baratto sembra essere stato abbandonato e il controllo degli insider è, seppur lentamente, in diminuzione. Da parte russa, però, l’attenzione è concentrata più sulla battaglia tra Putin e gli oligarchi e sullo sviluppo di un rinnovato controllo statale sull’economia che sull’attrazione di investimenti esteri. Come nel recente passato, gli Ide svolgono un ruolo marginale nei progetti di riforma tracciati dalle autorità russe. Nonostante i miglioramenti fatti segnare nel 2003 e il miglioramento delle aspettative, quindi, le prospettive di medio termine rimangono incerte. E’ questo uno dei punti su cui si basa l’analisi dell’Unctad, World Investment Report 2003, che vaglia le possibilità di un decollo degli Ide in Russia. 18 Circostanza confermata recentemente in più occasioni dai responsabili di Simest e Ice, e ripresa dalle direttive per il 2003 e il 2004 dal Ministero delle Attività Produttive. 19 Cfr. in merito BOFIT – Russian economy, the month in review e i Russian Economic Report della Banca Mondiale. 17 23 4. Piccole e medie imprese 1. Premessa. Le prime piccole e medie imprese sono apparse in Russia solo nel 1987, utilizzando la Legge sulle cooperative. Dopo un primo boom in epoca sovietica grazie al caos generato dalla perestrojka, e un secondo nel 1993-94, a seguito delle privatizzazioni “creative”, il numero di Pmi si è stabilizzato attorno alle 850mila unità. Le imprese individuali, a bassa produttività e concentrate nelle aree più povere del paese sono circa 4 milioni. Le Pmi costituiscono, rispetto ai paesi dell’Ue, un settore marginale dell’economia russa; occupano il 45 per cento della forza lavoro e contribuiscono al 39,3 per cento soltanto delle vendite. Le Pmi sono concentrate nel commercio e nelle costruzioni; solo una su dieci è impegnata nell’industria. Le politiche di sostegno sono state deboli e, soprattutto, discontinue; oggi le Pmi sono da tutti ricordate come una priorità, ma di fatto poste in secondo piano nei grandi dibattiti sul futuro economico della Russia e nonostante le promesse del governo (cfr. par.1). Esistono limitate prospettive di cooperazione con le Pmi italiane, concentrate all’interno del progetto “Distretti in Russia”, sponsorizzato dal Ministero per le Attività Produttive. 2. L’evoluzione delle piccole imprese negli anni ’90. L’analisi della genesi della piccola impresa in Russia permette di comprendere la struttura attuale del settore delle Pmi. Lo sviluppo delle Pmi in Russia è avvenuto a ondate, iniziate ai tempi dell’Urss. Fino alla metà degli anni ‘80 il settore delle Pmi era inesistente in Russia; l'Urss è stato il paese socialista dove più di ogni altro si è realizzato il socialismo reale con l’abolizione dell’impresa privata. La prima ondata di Pmi si è sviluppata a seguito della legge sulle cooperative (1987). La legge si proponeva di “sbloccare” il sistema sovietico rilanciando i collettivi di lavoro; di fatto ha lasciato campo libero a criminali e trafficanti provenienti dal mercato nero. Secondo l'Istituto di ricerca dell'Unione industriale russa, il 22% di questi "imprenditori" aveva precedenti penali, che risalivano agli anni antecedenti alla perestrojka. L’apporto di queste nuove imprese al progresso economico è stato modesto: il 40 per cento di questi faccendieri si limitava a importare merci dall'occidente. La seconda ondata è stata mossa dalle leggi sulla proprietà privata (1990) e sull’impresa (1991). Ad aprire piccole attività sono stati gli alti funzionari pubblici, che hanno sfruttato le opportunità offerte dall’esistenza di due mercati: il mercato socialista, che permetteva di acquistare e vendere a prezzi bassi e fissi i prodotti del settore statale ed era caratterizzato dalla scarsità spesso artificiale di molti beni; e il mercato “libero”, a prezzi liberi e quindi elevati, nel quale si scambiavano liberamente gli stessi beni. Le possibilità di arricchimento (acquisto a prezzi bassi ufficiali e vendita a prezzi liberi elevati) erano dunque assicurate. Inoltre, i funzionari più vicini ai flussi di beni utilizzarono le risorse appartenenti alle imprese socialiste per aprire commerci sul libero mercato. Queste due ondate si basarono, oltre che su atti legislativi, su un vasto movimento di privatizzazione spontanea, in cui tutti coloro che hanno potuto approfittare del caos dei primi anni ’90 si appropriarono di imprese e parti di imprese (negozi, officine, centri di ricerca, eccetera) che venivano in vario modo sottratti al controllo statale e registrati come unità produttive private. Questo processo è stato cruciale per l'economia russa: si sono formate reti di imprese fondate su conoscenze e mutua fiducia, nelle quali venivano rispettate regole non scritte; le capacità 24 imprenditoriali sono passate in secondo piano; sono state piuttosto premiate le posizioni di rendita occupate da persone che disponevano di informazioni riservate e contatti e potevano già vantare disponibilità finanziarie. La terza ondata di Pmi si verificò nel 1993-94 e portò il numero di imprese da due-trecento mila alle novecentomila attuali a seguito della privatizzazione di massa. La privatizzazione coinvolse una più larga fascia di popolazione, che occupava posizioni meno alte nella scala gerarchica rispetto ai protagonisti presentati sopra. Si svilupparono quindi le prime imprese familiari impegnate nel commercio e nei servizi. In un ambiente ormai profondamente corrotto questa generazione di piccoli imprenditori più strettamente legata alla base della società russa, si sentì autorizzata ad adottare comportamenti privi di scrupoli. D’altra parte, però, questi piccoli imprenditori che non avevano avuto l'occasione di partecipare al saccheggio dei beni pubblici, svilupparono una maggiore sensibilità per le richieste del mercato e una mentalità maggiormente orientata al profitto, piuttosto che alla rendita. L’ultima ondata di imprese, apparsa dopo la crisi del 1998, ha riguardato imprese individuali non registrate come entità legali. Le imprese individuali sono passate da 3 a 4,7 milioni negli ultimi 5 anni, con un aumento di circa 300mila unità all’anno, particolarmente concentrato nelle regioni periferiche e a reddito più basso. Tutte queste imprese sono nate seguendo due itinerari principali: o come filiazione delle imprese statali (i reparti migliori delle aziende venivano scorporati dai manager e registrati come imprese private), dalle quali ereditavano macchinari, lavoratori, infrastrutture, oppure come nuove imprese create per occupare attività e nicchie di mercato non coperte dalle vecchie imprese sovietiche (commercio, servizi alla persona, produzione di beni di consumo generici). Negli ultimi anni però si è assistito ad un declino di produttività delle piccole imprese, che si può spiegare nel modo seguente: (a) il processo delle grandi privatizzazioni, dell'accumulazione di capitale e della mobilitazione di risorse nelle grandi imprese è giunto al termine; (b) le nicchie di mercato sono state saturate, senza che vi sia stata una selezione delle imprese, in un contesto sfavorevole per le Pmi; (c) non si è creato un sistema di collaborazione fra gli imprenditori e le autorità che permettesse il rilancio delle Pmi. 3. Le piccole imprese oggi: i dati. In Russia la classificazione delle piccole e medie imprese è differente da quella seguita nei paesi europei. Sono considerate “piccole imprese” (Pi) le imprese i cui addetti non superano le 50 unità nel settore commerciale, 60 nell'economia rurale, 100 nell'industria nelle costruzioni e nei trasporti e 50 in tutti gli altri settori. Oltre alle “piccole imprese” fanno parte della più ampia categoria delle Pmi le imprese non registrate come entità legali (PBOYuL, Predprinimatel' bez obrasovanija Yuridiceskogo Liza in russo, nella quasi totalità imprese individuali) e le medie imprese, cioè le imprese con un numero di addetti inferiore a 250. L’istituto di statistica russo raccoglie dati solo per le “piccole imprese” in senso stretto; per le imprese individuali sono presenti stime di origine fiscale, mentre per le medie imprese esistono stime frammentarie prodotte da alcuni centri di ricerca. Le piccole imprese sono meno di 900 mila, ed il loro numero è stabile dal 1994 (cfr. tabella 15). A seguito della crisi del 1998 si è verificato un boom nella creazione di imprese non registrate (che sono 25 nella quasi totalità imprese individuali), specialmente nelle regioni più povere; dal 1999 le imprese non registrate sono cresciute in media di trecentomila unità all’anno. Tab.15: piccole e medie imprese nell’economia russa, 1999-2003 Piccole imprese Imprese individuali (PBOYuL) Piccole imprese agricole Medie imprese 1999 2000 2001 2002 2003 891 879 843 881 892 3.875 4.237 4.497 4.717 - 261 262 262 264 - - - 2,377 - Fonte: Goskomstat 2003, Russian Sme Resource Centre 2003, OECD 2004 La crescita delle imprese non registrate e delle imprese individuali è dovuta a tre ragioni principali: (a) problemi di ordine legislativo e statistico fanno sì che le imprese PBOYuL non debbano notificare la cessazione delle attività; ogni anno quindi le nuove imprese si sommano a quelle registrate negli anni precedenti; (b) la necessità per ampi strati della popolazione di tirare avanti con lavoretti saltuari porta alla creazione di imprese individuali “di sussistenza”:il 25 per cento delle imprese individuali sono attive in agricoltura, il 46 per cento nel commercio al dettaglio; (c) molte imprese PBOYuL nasconde muoiono nel giro di pochissimo tempo per ragioni legate al riciclaggio del denaro sporco e per motivi fiscali: un caso famoso ha coinvolto un dirigente Yukos, che risultava non avere alle proprie dipendenze alcun lavoratore, in quanto tutti erano stati registrati come imprese individuali o il caso Sibneft, una grande azienda petrolifera che risultava avere solo venti dipendenti, di cui 6 risultavano invalidi. Tab.16: principali indicatori di sviluppo delle piccole imprese in Russia e in Italia Indicatore % Indicatore % Numero medio di addetti, Pi 8 Peso sul Pil, Pi 12 Pmi sul totale delle imprese 90,4 Addetti Pmi sul totale degli occupati di cui: piccole imprese 10,3 di cui: piccole imprese imprese individuali medie imprese 55,1 25 45,1 11 imprese individuali 10,2 medie imprese 23,4 Pmi ogni 1000 abitanti 113 Vendite Pmi sul totale delle vendite 39,3 di cui: piccole imprese 12 di cui: piccole imprese 20,8 imprese individuali 67 imprese individuali 2,1 medie imprese 30 medie imprese 16,4 Fonte: Goskomstat, Russian Sme Resource Centre 2003 Nonostante i buoni tassi di crescita fatti segnare nei primi anni Novanta, le piccole e medie imprese, comprese le imprese individuali, svolgono ancora un ruolo marginale nell’economia russa se paragonato agli standard europei (cfr tabella 16). La Russia presenta indicatori vicini a quelli 26 occidentali soltanto per quanto riguarda il numero di piccole e medie imprese (90 per cento del totale), ma questo dato è falsato dall’importanza preponderante delle imprese individuali. La tabella evidenzia anche il ruolo importante della media impresa (meno di 250 addetti). A titolo di confronto, si possono paragonare i dati russi ai dati degli Stati Uniti. Durante il periodo che va dal 1991 al 1997 il peso delle piccole imprese (Pi) sul Pil era pari, in media, ad un modesto 11,3 per cento; nell’anno più favorevole, il 1993, la quota si è fermata al 15,5 per cento; durante lo stesso periodo, negli Stati Uniti le Pmi contribuivano per più del 60% al Pil, e in generale nei paesi sviluppati il settore delle Pmi produce il 60-80% del Pil. In generale, le Pmi russe esistenti oggi sono imprese la cui nascita e sviluppo possono essere ricondotti ai seguenti casi: (a) grandi imprese ex-sovietiche che in seguito alla crisi del 1998 sono state ristrutturate per mezzo di massicci licenziamenti ed ora hanno meno di 250 dipendenti; (b) medie imprese attive nei settori dell’industria leggera e del food-processing, cresciute nel corso degli anni ’90, in rari casi in collaborazione con l’estero; (c) alcune piccole imprese dinamiche, attive nel settore dei materiali da costruzione che ha beneficiato dal boom edilizio degli anni ’90; (d) piccole imprese e imprese individuali che operano nei settori del commercio, delle costruzioni e in agricoltura, in cui si svolge un’attività di sussistenza. 4. distribuzione settoriale e regionale. I settori dove si concentra l'attività delle PMI ed il loro peso non hanno subito grandi cambiamenti dall'inizio della transizione ad oggi: in generale le Pmi occupano tuttora le nicchie sfruttate agli inizi degli anni ’90. La maggior parte delle imprese è tuttora concentrata nel commercio, nelle costruzioni e nei servizi; solo il 13 per cento delle piccole imprese opera nel settore manifatturiero (cfr. tabella 17). Tab.17: distribuzione settoriale delle piccole imprese, 2000-2003 2000 2001 2002 2003 879,3 842,9 880,6 892 commercio 46,3 46 47,9 46,8 industria 15,3 14,9 13,7 13,3 costruzioni 14,4 14,4 12,8 13,1 servizi di mercato 4,1 4,1 4,4 4,4 trasporti 2,2 2,2 2,3 2,4 agricoltura 1,6 1,6 1,8 2 altro 8,9 9,4 9,2 10,2 totale imprese, migliaia di cui, % Fonte: Goskomstat, 2003, 2002, 2001 Il settore non manifatturiero è ancora oggi il più attrattivo per le Pi, perché necessita di minori investimenti, sia finanziari che in termini di capitale umano, e presenta una minore concorrenza delle merci straniere. La quota sul totale delle piccole imprese manifatturiere è scesa molto negli ultimi anni, dopo essere salita in seguito alla svalutazione del rublo successiva alla crisi del 1998. 27 Le piccole e medie imprese sono concentrate nelle aree centrali (Mosca) e nord-occidentali (San Pietroburgo) del paese. Le sole città di Mosca e San Pietroburgo concentrano nelle loro regioni il 33% delle piccole imprese. Nelle due città le piccole e medie imprese hanno anche un peso maggiore della media per numero di addetti e per vendite; le imprese individuali hanno invece un’importanza decisamente minore. Più in generale, è nell'ovest del paese che si trovano la stragrande maggioranza delle Pmi (il 70 per cento del totale). (cfr. tabella 18). Le imprese individuali invece sono più concentrate nelle aree periferiche, dove più alta è la necessità di impiegarsi svolgendo attività saltuarie nel settore commerciale o nel settore agricolo. Questi dati, oltre a evidenziare gli squilibri regionali, denunciano chiaramente la dipendenza delle Pmi rispetto non solo alle politiche regionali, ma anche alle condizioni di mercato e di domanda nelle quali si trovano ad operare. E' facile capire come in realtà più ricche e moderne dove la legalità è maggiormente tutelata, il terreno sia più fertile per lo sviluppo delle Pmi; viceversa, nelle aree rurali gli ostacoli alla nascita e alla crescita delle piccole imprese sono maggiori, il mercato è più ristretto, e, in assenza di politiche regionali o di forme di cooperazione proto-distrettuale, lo sviluppo è impedito e dominano le imprese individuali, scarsamente produttive e dedite ad attività di sussistenza. Tab.18: distribuzione regionale delle piccole e medie imprese, 2002 Addetti Distribuzione Distribuzione Piccole delle piccole delle imprese imprese imprese, individuali, ogni (2000) (2000) 1000ab. delle piccole imprese e delle imprese individuali Centro Addetti Pmi Percentuale (medie vendite Pmi imprese su vendite <250 totali incluse) 35 24,6 18,1 25,6 49,3 40 20,5 3,7 43,3 35,6 52,5 38,6 17,8 10,9 17,7 25,8 46,2 45,7 12,4 2,5 36,8 32,6 47 51,7 Sud 9,4 15 9 22,6 50,4 52,3 Volga 14,9 21 9,5 18,7 43,5 40,7 Urali 6,4 8,9 9 17,8 34,2 25,6 Siberia 11,8 14,3 9,3 19 41,3 34,5 Estremo oriente 4,7 5,3 9,5 19,8 45,7 44,7 Russia 100 100 12,5 21,7 % 45,1 % 39,3 % di cui Mosca Nord-Ovest di cui S. Pietr. Fonte: Goskomstat, Russian Sme Resource Centre 2003 5. Gli ostacoli alla crescita. Il settore delle Pmi non ha mostrato, negli ultimi anni, dinamiche importanti che lo portino ad uscire dalla marginalità, per non dire emarginazione. Lo sviluppo delle 28 Pmi in Russia è rallentato da numerosi ostacoli, sia per quanto riguarda la registrazione delle imprese (campo in cui sono stati fatti enormi passi avanti e in cui, specie a Mosca, i problemi sembrano essere stati superati), sia per lo sviluppo e la crescita delle attività avviate. Questa lentezza nello sviluppo dell’imprenditorialità diffusa è dovuta a numerosi fattori, di varia natura; in generale, però, le condizioni per lo sviluppo della piccola impresa sono assenti, la società cambia solo lentamente la sua attitudine verso l’impresa e le politiche di sostegno dello Stato sono state deboli e contraddittorie. Tra i numerosi ostacoli, otto sono considerati principali dagli imprenditori, dagli studiosi e dal governo. (a) Disinteresse sostanziale del governo. Il governo della Federazione Russa non ha incluso negli ultimi anni la promozione e lo sviluppo di piccole imprese tra le sue priorità. Numerosi osservatori ed economisti ritengono inoltre che il nodo fondamentale dell’economia russa sia rappresentato dalle grandi imprese statali da ristrutturare e dalle imprese estrattive controllate dagli oligarchi. Molti ritengono che le piccole imprese siano un utile strumento di campagna elettorale, ma che alla prova dei fatti non occupino un posto importante nell’agenda né del governo federale, né di quelli locali. A conferma di ciò, non esiste un ministero per lo sviluppo e il sostegno alle Pmi, e le competenze in materia di piccole imprese sono passate dal 1998 al Ministero per l’Antitrust. (b) Corruzione e criminalità. La corruzione e le pressioni a cui sono sottoposte le PMI sono opera tanto della criminalità organizzata quanto della burocrazia statale. I meccanismi per l’ottenimento di tangenti sono tanto diffusi quanto semplici: regole poco trasparenti e il proliferare di agenzie pubbliche di diverso livello e con diverse competenze, in un contesto di scarsa certezza del diritto, portano a frequenti controlli immotivati e ad abusi di potere da parte di molteplici funzionari. Il solo livello federale è frammentato in un elevato numero di agenzie, che possono arrivare fino a 50, prive di coordinamento e con competenze che sovente si sovrappongono; esistono poi agenzie regionali (a livello di Oblast) e municipali. A spingere gli imprenditori all'esasperazione e a costringerli a pagare le “mazzette” è un disordinato sistema fatto di continue ispezioni da parte dei vari uffici di controllo, con relative multe, blocchi alla produzione, interferenze nell’attività dell’impresa. Persino nella capitale, spesso indicata come esempio di città internazionale dove esiste un ambiente più propizio agli affari, un imprenditore può incorrere in ben 24 differenti ispezioni. Le Pmi in Russia non possono in molti casi sopravvivere senza ricorrere ad una protezione, un “amico forte” che li protegga dalle ispezioni continue e da un sistema di corruzione che non permette alle aziende di vivere, così come dalla criminalità diffusa e dalla concorrenza, che spesso ricorre a metodi violenti per eliminare un concorrente. La protezione viene chiamata “ombrello” o “tetto”, e può essere fornita da diversi soggetti: (a) grandi imprese (oligarchi, settore petrolifero, dei metalli e delle risorse naturali); (b) autorità locali (municipalità, governi regionali, cittadini influenti); (c) organizzazioni criminali (diversi tipi di mafia locale o nazionale, che alle volte si costituiscono in imprese legalmente riconosciute di “sicurezza”). La protezione da parte delle grandi imprese è efficiente, ma difficile da ottenere, così come quella delle autorità locali; anche la protezione da parte di grandi imprese, che assomigliano per potenza ai 29 poteri pubblici, è efficiente. Per tutte queste protezioni sono necessarie però importanti entrature politiche. La protezione di tipo criminale é la più accessibile e la meno costosa, anche se dipende dal settore e dalla regione in cui si opera: per queste ragioni è diffusa nel commercio al dettaglio e tra le micro-imprese. Paradossalmente, la maggioranza degli imprenditori ricorre, per difendersi dalla corruzione e “dallo stato”, a protezioni gestite dalla mafia, in quanto meno costose e più efficienti. La criminalità organizzata ha un funzionamento per molti versi preferibile a quello delle agenzie statali corrotte: il pizzo è fisso, e viene calcolato dai criminali stessi in maniera accurata secondo percentuali prefissate (circa il 3-4% del fatturato reale, che di solito è di molto superiore a quello dichiarato). Inoltre pare che sia sufficiente pagare il pizzo in una regione per essere "protetti" su tutto il territorio nazionale ed escludere automaticamente le ispezioni delle agenzie di stato. Il costo della corruzione sovente viene scaricato sul consumatore, traducendosi in un aumento dei prezzi e rendendo difficile ad una piccola impresa il compito di produrre beni di qualità a prezzi contenuti. (c) Il peso degli oligarchi. Il peso politico degli oligarchi richiede un’osservazione a parte (cfr paragrafo 1). Questi, grazie a connivenze con i poteri pubblici, esercitano una pressione sulle Pmi a livello sia locale che nazionale. Non è raro incontrare espliciti conflitti di interesse: gli stessi parlamentari che votano le leggi sulle Pmi sono padroni di imprese che sarebbero infastidite da un aumento della concorrenza. Uno dei casi più clamorosi, è rappresentato dal il sindaco di Mosca Luzhkov, padrone di una grande catena di chioschi in città. (d) Credito. Le piccole imprese segnalano grandi difficoltà nell’ottenere il credito necessario a gestire la propria attività o a effettuare investimenti. Negli anni ’90, a causa del modo in cui sono state condotte la transizione e le privatizzazioni, non è stato possibile creare un vasto strato di risparmiatori. Le vaste fortune accumulate illegalmente da pochi “nuovi russi” non sono state destinate al ciclo risparmio-credito-investimento interno, ma sono espatriate verso paradisi fiscali, trasformandosi in rendite da spendere in beni di lusso o da investire all'estero. Il sistema bancario da un lato ha sofferto per la macanza di depositi, dall’altro si è dedicato quasi esclusivamente a servire da pocket-bank per i grandi gruppi industriali e, prima della crisi del 1998, a speculare sui titoli di stato e sui cambi. Nonostante una nuova attenzione verso impieghi produttivi, successiva alla crisi del 1998, il settore finanziario è ancora debole e inaccessibile per le Pmi. La maggiore difficoltà riguarda la richiesta di collaterali: una famiglia o un imprenditore in Russia non hanno a disposizione, nelle città, proprietà immobiliari da far valere come garanzia, anche a causa dei prezzi troppo elevati. Nelle campagne la parziale privatizzazione della terra e la sua limitata compravendita limitano il mercato immobiliare e l’uso della terra come collaterale. A fronte di queste difficoltà, manca una garanzia statale sui crediti: esiste un fondo di 3 miliardi di rubli (100 milioni di dollari) a questo fine, ma i piccoli imprenditori non riescono a effettuare i rimborsi nei tempi previsti. Il costo dei finanziamenti è alto, e la loro durata breve. Nonostante il tasso ufficiale di riferimento sia sceso al 13 per cento, è impossibile trovare prestiti a meno del 30 per cento, e quasi sempre si tratta 30 di prestiti a breve: il credito a medio-lungo termine non rappresenta che il 5 per cento del totale. I piccoli e medi imprenditori devono spesso fare ricorso all’economia informale per richiedere prestiti. Anche in questo campo sono presenti da qualche tempo segnali incoraggianti: il mercato dei capitali si sta riorganizzando, le banche stanno crescendo e grazie alla caduta ed al contenimento dell’inflazione si stanno spostando (cautamente) verso prestiti a medio-lungo termine, con una maggiore fiducia nei piccoli e medi investitori, che le statistiche indicano come solventi nella quasi totalità dei casi. (e) Mercato immobiliare. Il problema del credito rimanda alla necessità dell'esistenza di un efficiente mercato immobiliare che possa fornire collaterali alle Pmi. In Russia, con l’eccezione di Mosca, la terra e gli immobili sono posseduti dalle istituzioni locali. Nella capitale, dov'è operativo il mercato immobiliare, i prezzi degli immobili troppo elevati, specie se confrontati con i livelli salariali medi, non ne consentono un vasto accesso. Nelle campagne, dove esistono piccole proprietà (dacie, orti), non esiste né la domanda sufficiente allo sviluppo della piccola impresa, né l’infrastruttura creditizia necessaria ad avviare un’attività. A questo proposito appare rilevante l’approvazione avvenuta nel corso del 2003, del Codice terriero che introduce la proprietà privata e la compravendita della terra agricola. (f) Dimensioni del mercato e cattive comunicazioni. Nel suo complesso la popolazione russa che percepisce redditi medi non esercita ancora una domanda sufficiente20 a finanziare lo sviluppo di piccole imprese manifatturiere orientate al mercato interno. Per tutti gli anni ’90, quindi, gli investimenti si sono concentrati a soddisfare le esigenze dei “nuovi russi” e della fascia ricca della popolazione. L’ampiezza di questa classe sociale è risultata sopravvalutata e molti investitori, sia russi sia stranieri, in considerazione del continuo aumento del reddito pro capite si stanno spostando verso la fascia media della domanda. Conseguentemente si parla di un’inversione di tendenza, di cui però non esiste ancora evidenza statistica: imprenditori turchi e francesi hanno aperto attività rivolte ad una fascia media di consumatori. Altrettanto hanno fatto imprese automobilistiche del calibro della Škoda. Le tendenze positive degli ultimi anni (cfr. tabella 19) sembrano confermate dai dati del 2003, durante il quale i redditi sono cresciuti a velocità più che doppia rispetto al Pil (+14% a fronte di una crescita del prodotto lordo del +6,8%), così come i salari reali (+10,5%) trascinando i consumi ad una nuova espansione (+7,9%). Tab.19: Variazione percentuale dei salari e del reddito, 1995-2003 Salari reali Reddito reale procapite 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 -28 6,4 5,7 -13,3 -22 20,9 19,9 16,2 10,5 0,8 6,3 -16,1 -12 Fonte: Goskomstat, 1996-2003 13,3 9,8 9,3 14 -16,1 20 Lo stipendio medio si aggira intorno ai 150 dollari al mese, ai quali bisogna aggiungere spesso vantaggi di altra natura o compensi in "nero". 31 Oltre alla carenza di domanda, l’assenza di una forte ed efficiente rete distributiva incentiva le imprese ad avvicinarsi il più possibile al mercato di sbocco, in particolare Mosca e San Pietroburgo, che presentano dimensioni ottimali. Per le loro caratteristiche, quindi, queste aree costituiscono veri e propri incubatori. Le imprese commerciali nascono e si sviluppano nelle grandi città, dove la domanda è più forte e l’ambiente migliore, ma non è raro rilevare fenomeni di migrazione delle imprese, ormai mature, che lasciano le grandi città per cercare realtà dove gli affitti e i salari siano meno elevati e la concorrenza meno acuta. (g) Sistema fiscale. Tra i problemi maggiormente lamentati dagli imprenditori vi è l’eccessivo carico fiscale: le aliquote sono alte a fronte di vasti fenomeni di evasione e di elusione fiscale. Il peso del mercato nero e delle imprese non registrate è allo stesso tempo ancora importante e indefinito, con conseguenze negative immaginabili, che toccano diversi ambiti: dal gettito fiscale al sistema del credito, dall’impossibilità di previsione di politiche mirate alle più generali ripercussioni sul tasso di legalità del sistema. (h) Ostacoli di ordine socio-culturale Alcune eredità culturali del periodo sovietico costituiscono un ostacolo allo sviluppo delle Pmi: in particolare, la cultura della grandezza, il mito del “grande paese” e la sfiducia verso le istituzioni associative di categoria. Nel primo caso, le Pmi sono spesso poste in secondo piano, a causa della convinzione che la Russia sia un grande stato con industrie di grandi dimensioni e grandi ambizioni, e come tale non richieda né investimenti stranieri, né tanto meno piccole e medie unità di lavoro, siano esse produttive o fornitrici di servizi. Nel secondo caso, la prassi sovietica dei sindacati come ulteriori “cinghie di trasmissione” del piano ha lasciato in eredità un certo grado di sfiducia nei confronti delle istituzioni di rappresentanza collettive (camere di commercio, unioni industriali, sindacati). Le associazioni degli imprenditori funzionano male e sono deboli, in larga misura perché non godono della fiducia degli imprenditori. 6. Le politiche russe e la proposta italiana: distretti in Russia? La politica della Federazione Russa verso le Pmi ha avuto un andamento ondivago, diviso in due fasi distinte: una prima fase fatta di iniziative crescenti e caratterizzata dall’istituzione del Ministero per le piccole imprese (fino al 1997), ed una seconda contraddistinta dallo smembramento del Ministero e dall’assegnazione delle sue competenze al Ministero per l’Antitrust. Nella prima metà degli anni novanta il governo, spinto anche dalla pressione delle istituzioni internazionali, sembrava credere nella crescita del settore delle Pmi e nel 1995 elaborò un dispositivo complesso di misure destinate a favorirne lo sviluppo. Nacque così una struttura di fornitura di servizi per le Pmi, con la creazione di agenzie regionali che avrebbero dovuto creare un ambiente legislativo propizio alle Pmi, rimuovendo gli ostacoli amministrativi. Si studiò persino un programma di agevolazioni ed incentivi che prevedevano sgravi fiscali: era previsto che nei primi due anni di attività le nuove imprese non dovessero pagare imposte sui profitti, il terzo anno ne avrebbero corrisposto solamente il 25% ed il quarto il 50%, con la restituzione del debito dal quinto anno. 32 Nella seconda metà degli anni Novanta, per un concorso di ragioni che vanno dalle pressioni degli oligarchi, alla crisi finanziaria, passando per i deludenti risultati precedenti e lo scarso peso dei piccoli imprenditori, la spinta delle istituzioni centrali cessò. I discorsi a favore delle Pmi sono ora spesso confinati nei periodi pre-elettorali, quando, tutti i candidati sembrano avere a cuore l'argomento, senza che una volta eletti diano seguito ai precedenti proclami. Gli ingenti profitti risultanti dal settore degli idrocarburi, ad esempio, non sono mai stati impiegati per fornire incentivi al settore, al contrario per far fronte ai debiti di bilancio le autorità hanno spesso accentuato la pressione fiscale sulle PMI, fino a toccare tassi del 80-90% sui ricavi. In attesa che la legislazione nazionale cambi trasferendo risorse e delegando funzioni e strumenti fiscali ai poteri locali, gli unici attori che sembrano interessati a questa materia sono appunto le regioni. Il ruolo delle Regioni (Oblast) nello sviluppo delle Pmi sta assumendo un’importanza crescente, nonostante una politica fiscale sfavorevole. Le regioni trattengono solo una parte (il 40 per cento) delle tasse pagate dalle imprese presenti sul loro territorio. Questo incentiva gli enti locali ad attrarre e favorire i grandi gruppi che possano garantire maggiori introiti fiscali per le loro casse. Una vera politica fiscale a vantaggio delle Pmi implicherebbe la rinuncia da parte dello Stato delle imposte a carico delle Pmi o almeno di gran parte di esse, con il contemporaneo trasferimento alle regioni delle funzioni e delle competenze in materia. Nonostante questi fattori alcune regioni, come vedremo più dettagliatamente in seguito, hanno iniziato ad attuare una politica localizzativa e di attrazione di investimenti e creazione di progetti. A livello regionale si sta sviluppando una forte consapevolezza delle esigenze del territorio. In questo contesto l’Italia, all’interno delle iniziative di supporto all’internazionalizzazione, ha avviato un progetto per “esportare” l’esperienza distrettuale in Russia, in partenariato con il ministero russo dell’economia e soprattutto con le potenti autorità locali sparse per la Federazione. Il progetto discende da due considerazioni principali. Da un lato, l’Italia si trova in una posizione anomala nei confronti della Russia (cfr. paragrafi 2 e 3): l’Italia è un fondamentale partner commerciale, ma uno scarso investitore, con una quota degli Ide pari a 1 miliardo e mezzo di dollari. La cifra, già bassa rispetto a quella degli altri paesi investitori, diminuisce se si considera che il 90% é rappresentato da crediti, mentre gli investimenti diretti accumulati superano di poco i 200 milioni di dollari. Il sistema produttivo italiano, per non perdere le quote che detiene sul mercato russo, deve avviare processi di collaborazione più stretta, che prevedano investimenti e partenariato, con la Russia. D’altra parte, si è registrata una mutazione nei convincimenti e nelle politiche degli imprenditori italiani, che sembrano aver capito che l'approccio passivo al mercato, la mancanza di insediamenti produttivi, o anche solo di reti distributive e di vendita, sedi di rappresentanza e commerciali, li espone al mutare dei fattori di costo, come si è verificato con la svalutazione del rublo del 1998. Il periodo dei guadagni facili, dove bastava andare in Russia "a bordo di un furgone" è ormai definitivamente tramontato e la concorrenza estera decisamente agguerrita. 33 Per guidare il processo di internazionalizzazione verso la Russia di cui l’economia italiana ha bisogno e che sembra essere richiesto dagli imprenditori è stato avviato il progetto congiunto italorusso “Distretti in Russia”, tra il Dipartimento del commercio estero presso il Ministero delle attività produttive e il Ministero dell’economia russo. Il progetto è fondato sul tentativo di sviluppare i distretti industriali in Russia: data l’impossibilità di riprodurre un modello unico, che affonda le sue radici nella storia dell’Italia, i russi cercano di attrarre Pmi distrettuali italiane attorno alle quali sviluppare territori per la promozione di Pmi russe. Il progetto prevede visite incrociate di delegazioni di imprenditori e funzionari, formazione, promozione delle regioni russe e la messa a disposizione delle imprese impegnate nel progetto di alcune linee di credito dedicate, gestite dalla banca statale Vneshtorgbank, che ha aperto linee di credito di 10 mln € con Bnl, 30 mln € con Intesa, 10 mln € con SanPaolo Imi, oltre ad aver stipulato vari accordi con Sace e Simest. Infine, esistono misure specifiche a favore delle entità collettive (regioni, CCIAA, distretti, ecc...) grazie alle quali i loro rappresentanti possono richiedere finanziamenti fino al 75% dell'investimento per studi di fattibilità, a patto che questi siano “collettivi”. Finora sono stati avviati 4 progetti, due dei quali costituiscono notevoli successi. Il progetto “Distretti in Russia” nel suo insieme, incontra però difficoltà sia dal lato russo sia, e soprattutto, dal lato italiano, a causa della difficoltà delle nostre istituzioni nell’adottare politiche di indirizzo per realtà spontanee e frammentate come i distretti industriali. 5. Conclusioni In Russia è sempre così: si comincia con l’entusiasmo e si finisce con la delusione e l’abbattimento, in attesa di nuove prospettive. Le note positive e le aspettative ottimistiche fanno presto a convertirsi nel loro contrario, in Russia. L’affare Yukos ha confermato l’inadeguatezza del sistema giudiziario nella difesa dei diritti di proprietà, ha sovvertito le attese favorevoli della prima metà del 2003 facendo addirittura invertire la rotta e rovesciando l’andamento degli Ide diretti in Russia. Nella prima metà del 2003 erano attesi in Russia 12 miliardi di dollari di investimenti e crediti esteri. Ad agosto di quest’anno il ministro dell’economia German Gref ha detto che le uscite di capitale aumenteranno da 2,9 mld $ nel 2003 a 8,5 mld $ nel 2004, ben al di sopra delle previsioni della Banca Centrale (6,5 mld $). Inoltre il ritorno netto di capitali deve essere rimandato al 2006-07. Con il petrolio a 40 dollari al barile, le riserve della Russia avrebbero potuto crescere nettamente conquistando la fiducia degli investitori; ma gli esportatori russi hanno preferito elevare le loro attività finanziarie estere, anziché favorire la ripresa degli investimenti interni. Gli investimenti esteri netti costituiscono un indicatore che non si limita a segnalare gli Ide che affluiscono in Russia ma è anche un indicatore che verifica l’afflusso di capitali russi che ritornano in patria (si vedano le statistiche degli Ide). Se l’uscita netta di capitali aumenta vuol dire che diminuiscono i capitali disponibili sia per gli investitori esteri sia per quelli nazionali. Inoltre, la strage di Beslan può avere conseguenze avverse alla politica di Putin, che aveva annunciato nel 2003 la battaglia contro gli oligarchi, principali esportatori di capitali. Questa battaglia 34 (com’è avvenuto già diverse volte in Russia nei secoli) ha contrapposto il potere centrale ai poteri periferici (lo zar ai boiardi) che tendono a ostacolare e indebolire il potere centrale. Ora, la base politica e sociale del titolare del potere centrale, il presidente Vladimir Putin, è costituita dai funzionari dei servizi segreti e più in generale della sicurezza. Scegliendo tale sostegno, al di là di quello anonimo dell’elettorato, egli aspirava a fondare il uso potere su una forza unica, neutra e ubbidiente che avrebbe risposto soltanto al suo capo. Tuttavia i ministeri della forza hanno dimostrato a Beslan tutta la loro inefficienza, svogliatezza e disinteresse per le aspirazioni popolari. Putin è dunque costretto a costruire una nuova base sociale, cosa apparentemente impossibile; oppure a disciplinare l’attività dei siloviki, riconquistandone la lealtà e inducendoli a riconoscere la loro funzione storica di forza rinnovatrice dell’economia e della società russa, cosa altrettanto difficile. 35 Bibliografia essenziale Boffito, Carlo, L’atteggiamento delle imprese italiane verso gli investimenti in Russia, Ice e Bci, Milano, gennaio 2001, disponibile ondine presso http://www.ice.gov.it/ Fischer, Paul, Foreign Direct Investment in Russia – A strategy for industrial recovery, Macmillan, Londra, 2000 Goskomstat R.F., Sozialno-economicheskoie polozhenie rossii, Mosca, 2002-2004 Global Insight, Planecon Report, varie uscite periodiche, Washington, 2003-2004 Kihlgren, Alessandro, Small business in Russia – factors that slowed its development: an analysis, Commmunist and Post-Communist Studies, n°36, 2003, pagg. 193-207 Yavlinsky, Grigorii, Periferiinyi kapitalizm, Mosca 2004 World Bank, From Transition to Development – a country economic memorandum for the Russian Federation, Mosca, aprile 2004, disponibile online: www.worldbank.org.ru Siti di riferimento Ufficio di mosca della Banca mondiale, www.worldbank.org.ru; Russian Economics Trends, dati macro e microeconomici, www.recep.ru/phase4/en/ret/; Center for Economic and Financial research CEFIR, Mosca, www.cefir.org; Johnson Russia’s List, raccolta di notizie politiche, economiche e sociali aggiornate quotidianamente, www.cdi.org/russia/johnson/; Imepi, Istituto di ricerche di politica ed economia internazionale, www.transecon.ru; Interviste Nel corso del viaggio a Mosca (gennaio 2004) sono stati condotti interviste, incontri e seminari presso le seguenti istituzioni: Tsemì, Istituto centrale di economia matematica; Cefir, Centro per la ricerca economica e finanziaria, Mosca; Moscow High School of Economics, Mosca; Nisse, Istituto nazionale di ricerche sistemiche sui problemi dell’impresa, Mosca; Imepi, Istituto di ricerche di politica ed economia internazionale, Mosca; KMB, Banca per la piccola impresa, Mosca; Camera di Commercio di Mosca; Ministero dello sviluppo economico e del commercio, Dipartimento dei Paesi Europa. 36 37