Russia
Un ritorno al passato?
Contributo del Prof. Carlo Boffito, Paolo Crosetto, Filippo Chiesa
Questo contributo è l’ottavo capitolo della ricerca "Assetto Produttivo, Competitività e Crescita
nei Paesi in Transizione", cofinanziata dalla Compagnia di San Paolo e dalla Fondazione CRT,
svolta dal CIRPET (Centro Interdipartimentale di Ricerca sui Paesi Emergenti e in Transizione,
C/o Dipartimento di Economia "S.Cognetti de Martiis" dell’Università di Torino,
www.cirpet.unito.it, Direttore Prof. Carlo BOFFITO).
La ricerca è stata presentata dal Cirpet, dalla Camera di Commercio di Torino e dal Centro
Estero delle Camere di Commercio Piemontesi al “Centro Congressi Torino Incontra” a Torino
il 4 marzo 2005.
0
1
1. Struttura produttiva
1. L’assetto dell’economia russa. L’economia russa è divisa in tre sezioni che la caratterizzano come
un’economia esportatrice di materie prime e prodotti intermedi. Questo destino, dal quale essa non è
ancora riuscita a liberarsi e che si è anzi accentuato negli ultimi 15 anni, preoccupa massimamente gli
organismi finanziari multilaterali che sono i suoi tutori. I tre settori nei quali è divisa l’economia russa
sono i seguenti.
(a) Il commercio di importazione, che acquista all’estero beni di consumo, spesso rivenduti sul
mercato russo a prezzi assai elevati rispetto alla qualità. La ragione per cui questo settore si è
sviluppato è la debolezza della produzione interna di beni di consumo, caratteristica sovietica che si è
estesa fino alla fine degli anni ’90. Il sistema economico sovietico non ha mai considerato prioritaria la
produzione di beni di consumo, tant’è che gli investimenti nell’industria leggera e nell’edilizia
abitativa hanno sempre avuto il compito di compensare eventuali frenate degli investimenti
nell’economia nazionale. La debolezza dell’offerta interna e la forza della concorrenza internazionale
hanno impedito il consolidamento della produzione di beni di consumo; una certa ripresa del mercato
e della produzione è apparsa soltanto nel 1999, grazie alla sostituzione delle importazioni generata
dalla svalutazione del cambio (circa il 75% in termini nominali), che ha avuto luogo in occasione della
crisi finanziaria del 1998. Tale ripresa ha ridimensionato temporaneamente il settore importatore, che
ha però rapidamente ricominciato a crescere nel 2000.
Il numero degli operatori del settore importatore può essere stimato in oltre un milione di addetti
(incluse le imprese individuali, individualnij trud), che ricevono un reddito annuo corrispondente a
quattro volte il reddito medio. Ai titolari di queste piccole imprese è stato assegnato il nome di nuovi
russi (imprenditori che tengono elevata la spesa personale di consumi, trascurando risparmi e
investimenti e attribuendo valore soprattutto alle ingenti somme di denaro che sgorgano dai grandi
affari commerciali). Naturalmente a questa regola ci sono eccezioni, che non bastano però a segnare
un cambiamento di tendenza (si vedano oltre i paragrafi sulla piccola impresa e sull’esportazione di
capitale).
(b) Il settore più importante dell’economia russa è quello delle esportazioni: essenzialmente
idrocarburi (petrolio greggio, gas naturale, prodotti raffinati) e metalli (ferrosi e non ferrosi). Nel
complesso questi settori esportano una quota consistente della propria produzione, contribuiscono (nel
2003) per il 40% alla produzione industriale complessiva e per il 63% alle esportazioni totali. Questo
settore è dunque la forza e la debolezza dell’economia russa (monocoltura produttiva e delle
esportazioni).
(c) La produzione per il mercato interno. L’insieme dei settori non esportatori costituisce la
sezione più complessa e differenziata delle tre nelle quali si divide l’economia russa. La componente
più importante della produzione nazionale destinata al mercato interno sono i servizi di pubblica
utilità, offerti soprattutto dai monopoli naturali: energia elettrica, gas naturale per consumo interno,
telecomunicazioni, trasporti. Le tariffe di questi servizi, fissate a livelli molto più bassi di quelli
internazionali, producono effetti distorsivi.
2
In questa sezione vi sono settori che producono manufatti e servizi per un valore stimabile, nel
2003, nel 60% della produzione industriale. Si tratta di un insieme di imprese che comprende sia
aziende ex-sovietiche in parte privatizzate e in parte ancora controllate dallo stato sia imprese
costituite da nuovi imprenditori.
La ragione per cui, dopo quasi 15 anni di riforme, l’economia russa consiste in un’economia
produttrice e esportatrice di materie prime e di beni intermedi è dovuta a tre fattori: i) l’ingenuità con
cui è stata avviata la transizione nel 1991; ii) la spregiudicatezza con cui è stata condotta la
privatizzazione; iii) l’incapacità e il rifiuto della classe politica di spezzare l’immobilità del sistema.
Nei primi anni ‘90 il tentativo di stimolare l’attività produttiva attraverso l’aumento dell’offerta di
moneta si è dimostrato un fallimento che ha risuscitato gli strumenti di gestione sovietici (baratto e
altre forme di pagamento non monetarie) anziché rendere concorrenziali le vecchie imprese.
Nel 1992-95 la privatizzazione ha generato vaste appropriazioni illegittime delle attività produttive
dello stato da parte dei seguaci del presidente Eltsin. L’accanimento con il quale sono state acquisite le
proprietà statali è stato tanto feroce da suggerire un aggiornamento dei simboli usati per definire
l’attività del sistema economico in modo metaforico: se ai tempi di Adam Smith si parlava della
“mano invisibile” del mercato e ai tempi dell’Urss della “mano visibile” della pianificazione, ai tempi
di Eltsin si è parlato della “mano che arraffa” (grabbing hand).
2. Ma le cose stanno cambiando: economia e politica. Fino alla fine degli anni ‘90 l’economia russa
sembrava bloccata dalla limitatezza degli investimenti: le banche, già prima della crisi finanziaria del
1998 non erano in grado di svolgere le loro funzioni istituzionali di intermediazione; i gruppi
finanziari-industriali, dominati da una nuova classe di proprietari chiamati oligarchi per il loro legame
con la politica, tendevano a investire nei “propri” settori primari i cui prodotti sono più facilmente
esportabili (petrolio, gas, metalli) dei complessi prodotti manufatti.
Da un punto di vista politico è in corso da tempo in Russia la riabilitazione della figura di Stalin
come depositario dei valori dello stato forte. Tale rivalutazione non comprende, tuttavia, i mezzi con i
quali Stalin ha raggiunto il suo obiettivo. La grande novità è che economisti e uomini politici hanno
cominciato già nel 2000 a elaborare soluzioni istituzionali che permettessero allo stato di intervenire
nell’economia, mettendo fine al caos produttivo e alla profonda amoralità degli anni di Eltsin. Una
posizione di questo genere è stata assunta tra gli altri da Grigorii Yavlinsky1, l’uomo politico russo che
ha dimostrato maggiori affinità con il pensiero e l’azione degli uomini politici occidentali. Si sostiene,
in sostanza, che il mercato e le altre istituzioni russe non sono abbastanza flessibili da permettere l’uso
di strumenti macroeconomici indiretti, tipicamente il tasso di interesse, per regolare l’attività
economica. Ciò richiede che lo sviluppo economico e sociale della Russia sia fondato sulla
concentrazione delle risorse affidate alla gestione dello stato, abbandonando l’ipotesi di liberalizzare
all’estremo per introdurre gli automatismi del mercato. Questi automatismi non esistono in
un’economia rigida e arretrata come quella russa. Anzi, la loro introduzione e conservazione
richiedono costi sociali altissimi, insostenibili dalle economie in transizione più arretrate.
1
G. Yavlinsky, Periferiinyi kapitalizm, Mosca 2004.
3
L’esperienza russa degli anni ’90 ha dimostrato che attraverso l’adozione degli automatismi del
mercato imposta dall’estero non si può in alcun modo trovare una soluzione istituzionale alla
transizione. Sono piuttosto le tradizioni di un paese, risorse rare e preziose, che sono verosimilmente
in grado di offrire una base al rinnovo delle istituzioni. Con una battuta si potrebbe dire che le
tradizioni non sono una risorsa né producibile né acquisibile rapidamente; soltanto chi già ne dispone
la può utilizzare per guidare profondi cambiamenti sociali. I costi della spontaneità e degli
automatismi economici sono stati anche gonfiati dalla mancanza di una strategia.
Nella nuova teoria sociale che si va diffondendo in Russia c’è posto per la proprietà privata, i cui
diritti saranno protetti dallo stato e che entrerà in concorrenza con i centri statali del potere economico.
I diritti di proprietà dovranno tuttavia essere legittimati dalle strutture competenti dello stato.
Il nuovo sistema economico sarà il risultato di una serie di misure che sono già in corso di
applicazione in Russia e che hanno come obiettivo il consolidamento del settore statale. Tale
rafforzamento segue due orientamenti: (a) il ricompattamento delle imprese statali e di quelle nelle
quali lo stato possiede ancora una significativa partecipazione di minoranza; tali fusioni condurranno
alla creazione di un consistente settore pubblico, che dovrebbe essere in grado di svolgere una
funzione di leadership del sistema produttivo; (b) la concentrazione di risorse disponibili nei diversi
settori, che è coerente con le esigenze attuali dell’economia russa: l’aumento degli investimenti, il
quale a sua volta è coerente con la necessità di internazionalizzare l’economia e di elevare l’intensità
tecnologica della produzione, al fine di migliorarne la competitività.
In una recente opera meritoria la Banca mondiale2 ha cercato di descrivere il settore statale e
quello delle grandi imprese private. La quota del primo è pari al 25 per cento del fatturato di 32
industrie; la quota del secondo è del 35 per cento. Il settore statale comprende la produzione di gas
(Gazprom), di petrolio (Rosneft), gli oleodotti e i gasdotti (Transneft), le ferrovie (MPS), l’Aeroflot, la
produzione e la distribuzione di energia elettrica (UES), l’industria degli armamenti di terra, del cielo
e del mare. Un settore pubblico, dunque, di tutto rispetto. A fronte di questo settore stanno i grandi
gruppi privati; i primi 23 di questi ultimi occupano 1,4 milioni di addetti e producono un fatturato
annuo di circa 12 miliardi di $.
L’atteggiamento dei nuovi progetti verso gli investimenti diretti esteri è meno favorevole di quanto
ci si potesse aspettare. Si ritiene infatti che l’apertura agli investimenti esteri vada effettuata dopo che
il sistema delle priorità produttive sia stato definito. Questo atteggiamento verso gli Ide è sorretto da
esigenze strategiche, ma nasconde la volontà di favorire la crescita e il consolidamento del capitale
nazionale.
I nuovi orientamenti dell’economia russa limitano implicitamente anche l’attività delle Pmi: nella
definizione dei nuovi orientamenti l’accento è posto sulle grandi dimensioni (alla russa o, meglio, in
questo caso, alla sovietica). Tuttavia, un miglioramento dell’attività economica dovrebbe favorire,
almeno in un secondo tempo, anche le piccole imprese, chiamate a collaborare alla ristrutturazione
produttiva attraverso la formazione dell’indotto e il passaggio delle imprese statali dall’integrazione
verticale a quella orizzontale.
2
World Bank, from Transition to Development. A country Economic Memorandum for the Russian Federation, April 2004.
4
Nuove prospettive potrebbero invece rinascere per i grandi accordi conclusi dai general
contractor, che potrebbero trovare un terreno a loro congeniale dopo la rovinosa perdita di posizioni
subita dopo il crollo dell’Urss.
Tutti questi cambiamenti richiedono una battaglia politica tra il presidente Putin e gli oligarchi.
Putin ha conquistato un sostegno elettorale grandissimo: alle elezioni parlamentari del 7 dicembre
2003 il suo partito, Edinaya Rossiya, ha ottenuto il 37,5 per cento dei voti (14 punti percentuali in più
rispetto al 19 dicembre 1999), mentre alle elezioni presidenziali del 14 marzo 2004 Vladimir Putin ha
ottenuto il 71,3 per cento dei voti (18 punti percentuali in più del 26 marzo 2000). Putin dispone
dunque di un grande sostegno popolare e della fiducia e lealtà dei siloviki (dalle parole russe silovye
ministerstva, ossia uomini dei ministeri forti: difesa, interni e sicurezza).
Gli oligarchi sono deleteri per lo sviluppo sociale e economico della Russia, soprattutto perché
conservano la loro ricchezza nella forma di materie prime e prodotti intermedi, per le ragioni addotte
sopra. Ai gruppi industriali e finanziari degli oligarchi appartengono anche aziende industriali
produttrici di manufatti, che occupano però una posizione di secondo piano e che vengono cedute
(spesso a investitori esteri) invece di essere ristrutturate e potenziate non appena mostrano un
indebolimento della loro profittabilità. Lo sviluppo dell’economia russa non può dunque reggersi sulle
strategie degli oligarchi, ma deve essere guidato da una forza politica che lo allontani dalla condanna
di rimanere un’economia produttrice di prodotti primari o semiprimari. Nei nuovi progetti di sviluppo
avanzati dal presidente e dai suoi numerosi sostenitori questa forza è lo stato.
I rapporti conflittuali di Putin con gli oligarchi sono cominciati nel 2000; in quell’anno agli
oligarchi è stato chiesto di non occuparsi di politica ma di condurre liberamente i loro affari
economici. Tuttavia la potenza degli oligarchi era ormai cresciuta in misura tale da rendere inevitabile
il sostegno politico delle loro attività economiche, almeno per impedire che altri occupassero le loro
posizioni. Alla minaccia di un attacco aperto da parte degli oligarchi che si preparavano ad ampliare la
loro attività politica, Putin ha risposto con le armi che aveva già predisposto, consistenti in strumenti
fiscali. L’azionista di maggioranza e amministratore della più moderna (quarta in base al fatturato)
società petrolifera, la Yukos, è stato arrestato nel 2003 con l’accusa di evasione fiscale. Tale
procedimento non consiste in un’iniziativa isolata, ma nell’avvio di una strategia economico-politica
che si accompagna al rafforzamento economico dello stato e che comprende la tassazione della
rendita, in particolare quella petrolifera.
5
2. Commercio Estero
1. Premessa. Negli ultimi 15 anni il commercio estero della Russia è stato caratterizzato da una
crescente dipendenza dall’esportazione di materie prime energetiche. La bilancia commerciale è
strutturalmente in attivo, poiché la domanda interna non riesce a raggiungere e superare il livello delle
importazioni. I consistenti attivi degli ultimi anni sono imputabili, oltre alla inadeguata domanda
interna, all’elevato prezzo internazionale del petrolio. Con l’eccezione delle materie prime, pochi
manufatti russi sono competitivi sui mercati internazionali, ma possono essere agevolmente esportati
nell’area ex-sovietica. Dal lato delle importazioni, la Russia è dipendente dall’estero per le forniture di
beni di consumo (alimentari e tessili) e di macchinari. Il commercio estero si è progressivamente
riorientato verso l’Ue, che in seguito all’allargamento rappresenta più del 50% del commercio estero
russo.
2. Andamento del commercio estero. La bilancia commerciale russa è strutturalmente in attivo fin
dall’inizio della transizione; solo nei mesi di maggior stallo precedenti la crisi del 1998 il saldo è
risultato negativo per alcuni mesi. Durante gli anni di Eltsin, tuttavia, il tasso di cambio fisso e
sopravvalutato e la crisi della produzione interna hanno facilitato il settore importatore, riducendo al
minimo gli avanzi.
La crisi del 1998 è stata accompagnata dalla svalutazione del 75% circa del tasso di cambio
nominale (cfr. figura 1). La svalutazione ha avuto un effetto immediato sulle importazioni, che si sono
ridotte in misura superiore alla svalutazione del cambio, e un effetto ritardato di 6 mesi sulle
esportazioni, che hanno mostrato i primi segni di rimbalzo nel gennaio 1999. Il periodo successivo può
essere diviso in due fasi (cfr. figura 1).
La prima fase, dal 1999 al 2001, è stata caratterizzata dagli effetti positivi della svalutazione sulla
bilancia commerciale: le importazioni hanno seguito lo stesso andamento del tasso di cambio reale,
crescendo lentamente ma costantemente a partire dal gennaio 1999, mentre le esportazioni sono
cresciute in maniera irregolare. Gli effetti della svalutazione si sono però esauriti nel corso del 2001 a
causa dell’apprezzamento reale del tasso di cambio: nel dicembre 2001 l’avanzo commerciale ha
toccato un nuovo minimo, generando preoccupazioni per la sostenibilità nel medio periodo della
crescita dell’economia.
All’inizio del 2002 si è aperta però una seconda fase, caratterizzata da una crescita senza
precedenti del prezzo del petrolio: le esportazioni sono salite a livelli record, accentuando la loro
dipendenza dai prezzi internazionali delle materie prime; le importazioni hanno cominciato a crescere
più velocemente del tasso di cambio reale, a causa sia dell’aumento del reddito disponibile sia del
forte incremento della domanda di macchinari e tecnologia da parte delle imprese russe impegnate nel
processo di ristrutturazione produttiva e di restauro delle attrezzature (riparazione di oleodotti e
gasdotti, di strade e ferrovie, dell’arsenale militare).
La conferma di ciò si può ottenere analizzando le principali voci positive e negative del saldo della
bilancia commerciale russa (cfr. tabella 1).
6
Fig.1: Andamento delle importazioni e delle esportazioni confrontate con il tasso di
cambio effettivo reale, 1998-febbraio2004
Tasso di cambio reale
220
Esportazioni
Importazioni
200
180
160
140
120
100
80
60
gen-04
set-03
mag-03
gen-03
set-02
mag-02
gen-02
set-01
mag-01
gen-01
set-00
mag-00
gen-00
set-99
mag-99
gen-99
set-98
mag-98
40
Fonte: Ret, Cbr, Goskomstat
Dal lato delle esportazioni, la dipendenza dalle materie prime si è accentuata: l’incidenza sul saldo
della bilancia commerciale di minerali e metalli è passata dal 91,17 per cento del 2000 al 115,25 per
cento del 2003. Queste poste largamente positive permettono di finanziare l’importazione di
macchinari, apparecchi elettrici, mezzi di trasporto necessari alla ristrutturazione. Le importazioni di
questi beni sono aumentate molto in termini assoluti dal 2000 al 2003, e l’incidenza sul saldo
commerciale è quadruplicata, passando dal 6,3 al 29,4 per cento.
Tab.1: Principali poste positive e negative del saldo della bilancia commerciale.
Saldo 2000
Saldo 2003
Mln $
% sul totale
Mln$
% sul totale
39.626,68
68,33%
38.758,79
86,01%
10.809,51
18,64%
14.849,10
32,95%
13.246,99
22,84%
13.176,36
29,24%
Prodotti in legno
958,07
1,65%
1.361,36
3,02%
Autoveicoli
-213,81
-0,37%
-2.570,93
-5,70%
-1.400,33
-2,41%
-4.562,73
-10,12%
Macchinari
-2.039,37
-3,52%
-6.113,54
-13,57%
Prodotti alimentari
-3.641,25
-6,28%
-6.938,30
-15,40%
Miniere e cave
Prodotti Petroliferi
raffinati
Metalli
Apparecchi elettrici di
precisione
7
Totale
57.992,41
100%
45.065,26
100%
Fonte: elaborazione su dati Ice
Le recenti tendenze della bilancia commerciale indicano chiaramente che la diversificazione della
produzione interna non è ancora avvenuta se non in misura marginale, e che si è accentuata la
dipendenza dai settori esportatori; allo stesso tempo, però, la crescita delle importazioni di beni
strumentali indica che la ristrutturazione delle strutture produttive ha subito un’accelerazione nel 2003.
3. Composizione merceologica. La struttura del commercio estero russo, preso nel suo insieme, è
dunque assimilabile a quella di un produttore di materie prime energetiche. Materie prime e
semilavorati (prodotti petroliferi raffinati, metalli) corrispondono al 76,3 per cento delle esportazioni;
se si escludono i prodotti chimici e agricoli, la Russia non esporta altro. (cfr. tabella 2)
Le importazioni sono più differenziate, e consistono in due grandi gruppi: beni di consumo
(prodotti alimentari, prodotti agricoli, carta e editoria, autoveicoli, tessili), che coprono il 36 per cento
delle importazioni, e forniture industriali (macchinari, apparecchi elettrici, metalli), pari al 35 per
cento.
Tab.2: Composizione merceologica delle importazioni e esportazioni russe, 2003
Esportazioni
Mln $
%
Miniere e cave
40.346,53
42,2%
Metalli
17.471,15
Importazioni
Mln $
%
Prodotti alimentari
8.352,55
16,5%
18,3%
Macchinari
7.915,14
15,7%
15.111,85
15,8%
Prodotti chimici
6.497,08
12,8%
Prodotti chimici
6.251,99
6,5%
6.316,63
12,5%
Prodotti agricoli
3.127,26
3,3%
Metalli
4.294,78
8,5%
Carta e editoria
1.903,22
1,9%
Autoveicoli
3.715,98
7,3%
Macchinari
1.801,60
1,8%
Prodotti agricoli
3.110,68
6,1%
1.753,90
1,8%
Carta e editoria
1.984,11
3,9%
Prodotti in legno
1.667,27
1,7%
Miniere e cave
1.587,74
3,1%
Prodotti alimentari
1.414,24
1,5%
Gomma e plastica
1.446,92
2,9%
Altri mezzi di trasporto
1.297,20
1,4%
Prodotti tessili
1.080,29
2,1%
Totale
95.611,0
100%
Totale
50.545,7
100%
Prodotti petroliferi
raffinati
Apparecchi elettrici di
precisione
Apparecchi elettrici di
precisione
Fonte: elaborazione su dati Ice
8
Caratterizzare la Russia come un’economia puramente esportatrice sarebbe però riduttivo: il
sistema industriale russo non è ancora in grado di produrre beni competitivi sui mercati occidentali,
ma detiene consistenti quote di mercato nei paesi emergenti e nell’area ex-sovietica. La Russia è il
principale fornitore dei paesi della Csi non soltanto di energia, ma anche di beni industriali, soprattutto
nell’industria pesante e nei settori legati al complesso militare-industriale.
4. Direzione del commercio. Come gli altri paesi in transizione, la Russia ha riorientato il proprio
commercio estero verso occidente, anche se in misura minore rispetto all’Europa centro-orientale.
Le esportazioni (cfr. tabella 3) si sono leggermente spostate verso l’Unione Europea: l’Ue a 15 è
passata, dal 1997 al 2001, dal 32,3 al 33,6 per cento delle esportazioni russe totali, mentre l’Ue a 25
dal 43,3 al 44,9 per cento. Le esportazioni verso l’area ex-sovietica (Csi e stati baltici) sono scese dal
22,6 al 14,8 per cento.
Tab.3: Orientamento geografico delle esportazioni russe – 1997-2001
1997
1998
1999
2000
2001
Mondo
100
100
100
100
100
Asia ex-URSS
4,96
4,34
2,55
2,93
3,60
Europa ex-URSS
17,60
17,21
15,57
15,24
11,24
Totale Ex Urss
22,56
21,55
18,13
18,17
14,84
Peco
10,97
11,06
10,44
11,88
11,37
Ue
32,29
31,47
33,28
35,81
33,56
Asia (non ex-URSS)
16,56
15,80
17,11
18,74
15,90
America Nord
5,39
7,25
6,85
4,71
3,08
Fonte: UN International Trade Statistics Yearbook, 2002
Cambiamenti più profondi hanno avuto luogo nelle importazioni (cfr. tabella 4). Mentre l’area exsovietica ha subito un calo paragonabile a quello delle esportazioni (dal 22,3 al 17,8 per cento), l’Ue a
15 ha aumentato decisamente la propria quota sulle importazioni russe, passando dal 28,9 del 1997 al
36,8 per cento del 2001 e superando il 50% nel 2003 secondo gli ultimi dati disponibili.
Tab.4: Orientamento geografico delle importazioni russe, 1997-2001
1997
1998
1999
2000
2001
Mondo
100
100
100
100
100
Asia ex-URSS
6,85
4,99
5,75
8,62
6,82
Europa ex-URSS
15,49
15,38
15,66
17,77
10,96
Totale Ex Urss
22,34
20,37
21,41
26,38
17,78
Peco
5,34
4,47
3,77
3,93
5,34
Ue
28,98
26,77
27,65
24,51
36,80
Asia (non ex-URSS)
9,00
8,65
8,14
7,83
13,00
America Nord
6,50
7,35
6,32
6,37
8,31
9
Fonte: UN International Trade Statistics Yearbook, 2002
Importanti fornitori sono apparsi a sud-est della Russia: la Cina e il Giappone, con tutta l’Asia
orientale, sono passati dal 9 al 13 per cento del totale delle importazioni russe tra il 2000 e il 2003; per
alcuni beni, quali l’elettronica di consumo e l’abbigliamento, la Cina detiene quote di mercato elevate,
e le imprese cinesi hanno di fatto colonizzato le vaste steppe orientali della Russia (cfr. più avanti,
tabella 9).
La disaggregazione delle esportazioni per paesi (cfr. tabella 5) è influenzata dal fatto banale che
l’energia si vende a tutti: le esportazioni sono geograficamente poco concentrate. In nessun caso le
esportazioni russe verso un singolo paese superano il 10 per cento delle esportazioni russe totali.
Tab.5: Scomposizione per paese delle esportazioni e delle importazioni russe.
Principali
Peso %
Peso %
Principali
Peso %
Peso %
Paesi clienti
2000
2003
Paesi fornitori
2000
2003
Paesi Bassi
4,72
8,47
Germania
12,89
14,36
Cina
4,27
7,09
Ucraina
11,75
8,33
Ucraina
5,67
6,48
Cina
3,14
6,42
10,24
6,16
Stati Uniti
8,47
5,19
Italia
8,22
5,77
Kazakistan
6,93
4,5
Polonia
5,05
3,85
Italia
4,02
4,5
Finlandia
3,5
3,84
Francia
3,96
4,34
Regno Unito
3,8
3,62
Giappone
1,88
3,57
Turchia
3,51
3,26
Finlandia
3,18
3,21
Kazakistan
2,42
3,17
Polonia
2,3
3,1
Stati Uniti
3,24
2,9
Brasile
1,3
2,91
Giappone
2,57
2,33
Regno Unito
2,55
2,66
Bielorussia
0,01
2,29
Corea del Sud
1,18
2,58
Germania
Fonte: elaborazione su dati Ice
Per quanto riguarda i fornitori, si notano tre fenomeni principali: (a) l’importanza crescente della
Germania (macchinari, autoveicoli, forniture industriali in genere); (b) la rilevanza dell’industria di
base ucraina (acciai speciali, petrolchimica), nella quale i gruppi finanziari-industriali russi hanno
investito molto negli ultimi anni; (c) l’aumento del peso della Cina, soprattutto nei settori dei beni di
consumo.
5. Ruolo dei paesi ex-Comecon. A seguito della caduta dell’Urss i legami commerciali del Comecon
(sciolto a giugno 1991) si sono dissolti. Tutti i paesi del Comecon hanno spostato l’asse degli scambi
verso occidente, ristrutturando le imprese e riorientando il commercio verso l’Ue. Tuttavia, le strutture
produttive dei paesi ex-sovietici e dell’Europa centro-orientale presentano ancora importanti
10
complementarità. La riattivazione dei legami con i paesi dell’ex-Comecon potrebbe essere per la
Russia il primo passo verso una migliore differenziazione del suo commercio estero.
La Russia continua ad avere una grande importanza quale paese fornitore di materie prime
energetiche ed altri beni dell’industria pesante per tutti i paesi dell’Europa centro-orientale (cfr. tabella
6).
Tab.6: Posizione della Russia come fornitore e quote sulle importazioni dei clienti
Posizione
Russia
1997
1998
1999
2000
2001
Bielorussia
1
53,61
54,63
56,44
65,35
65,20
Ucraina
1
45,76
48,14
47,21
41,57
36,85
Estonia
2
14,44
11,09
13,50
14,10
12,49
Lettonia
2
15,60
11,76
10,50
11,61
9,19
Lituania
1
24,29
20,24
19,42
26,71
24,46
Polonia
3
5,33
4,16
3,43
4,61
4,31
Ungheria
4
8,63
5,96
5,82
8,07
7,03
Rep. Ceca
3
6,74
5,02
5,66
8,03
6,50
Romania
3
12,03
8,98
6,76
8,58
7,61
Bulgaria
1
33,39
28,03
20,08
20,71
24,36
Fonte: UN International Trade Statistics Yearbook, 2002
Tab.7: Posizione della Russia come cliente e quote sul le esportazioni dei fornitori
Posizione
Russia
1997
1998
1999
2000
2001
Bielorussia
1
64,49
65,18
54,53
50,68
53,39
Ucraina
1
51,90
41,10
40,56
47,95
49,16
Estonia
3
18,79
13,28
9,20
6,78
8,57
Lettonia
4
20,95
12,07
6,58
4,17
5,84
Lituania
1
24,48
16,52
7,01
7,11
11,02
Polonia
9
8,38
5,67
2,59
2,63
2,94
Ungheria
13
4,96
2,80
1,42
1,62
1,55
Rep. Ceca
13
3,39
2,41
1,43
1,33
1,46
Romania
22
2,96
0,97
0,55
0,86
0,73
Bulgaria
10
9,82
7,95
5,45
4,75
2,45
Fonte: UN International Trade Statistics Yearbook, 2002
11
Al contrario la rilevanza della Russia come paese di destinazione è oggi limitata (cfr. tabella 7), in
quanto i paesi dell’Europa centro-orientale hanno riorientato le proprie esportazioni verso i più ricchi
mercati dell’Europa occidentale. Questa tendenza aumenta spostandosi verso sud-ovest.
All’interno dell’ex-Comecon si possono distinguere tre gruppi di paesi:
1. i paesi “russi” della Csi (Bielorussia, Ucraina): per questi paesi la Russia è un fornitore
fondamentale, ma anche un significativo mercato di sbocco. L’integrazione della Bielorussia con
la Russia è quasi totale (65,2 per cento delle importazioni, 53,39 delle esportazioni); l’Ucraina ha
scelto per ragioni strategiche di diversificare il proprio commercio estero, senza peraltro riuscire a
diminuire sostanzialmente la dipendenza dalla Russia. Nel commercio di questi paesi le quote
delle importazioni e delle esportazioni della Russia sono simili e si aggirano intorno al 50 per
cento;
2. i paesi baltici ex-sovietici (Estonia, Lettonia, Lituania): la Russia è il primo paese fornitore (con
quote comprese tra il 12 e il 24 per cento), ma comincia a perdere terreno come paese di sbocco, in
particolare per la Lettonia e per l’Estonia; la Lituania si trova al confine tra il gruppo 1 e il gruppo
2: la Russia è primo fornitore e primo cliente, con quote però più basse rispetto ai paesi “russi”,
attorno al 25 per cento.
3. i paesi dell’allargamento (Ue-25 più Romania e Bulgaria): per questi paesi la Russia resta
importante solo come paese fornitore, anche se raramente mantiene la prima posizione; negli
ultimi anni la Russia ha perso quote significative su questi mercati. Dal punto di vista delle
esportazioni, la Russia non rappresenta più (o, in prospettiva, non ancora) un mercato di sbocco
importante.
6. Ruolo dell’Italia. L’Italia è il sesto paese fornitore e il quinto cliente della Federazione russa; l’Italia
detiene il 4,5 per cento del mercato russo. Il ruolo del nostro paese riflette una storia di relazioni
economiche avviate in epoca sovietica e curate con tenacia da mercanti e imprenditori italiani profondi
conoscitori della Russia.
L’Italia importa dalla Russia materie prime energetiche in quantità ancora maggiore della già alta
media mondiale. Minerali, metalli e prodotti petroliferi raffinati coprono il 90,5 per cento delle
esportazioni russe verso l’Italia. La Russia non esporta praticamente altro verso il nostro paese (cfr.
tabella 8).
Le esportazioni verso la Russia riflettono a loro volta la specializzazione produttiva dell’Italia nei
prodotti del Made in Italy: tessili e abbigliamento, mobili, prodotti alimentari, meccanica applicata e
macchinari di precisione costituiscono il 60 per cento delle esportazioni.
Tab.8: Interscambio Russia-Italia: principali beni scambiati, 2000 e 2003
Miniere e cave
Esportazioni russe
Importazione russe
vs l’Italia
dall’Italia
2000
2003
78,1%
65,4%
Macchinari
12
2000
2003
34,3%
39,9%
Prodotti petroliferi
9,9%
16,9%
Prodotti chimici
10,9%
10,7%
5,8%
8,2%
Prodotti alimentari
6,4%
7,0%
1,5%
3,1%
Metalli
11,1%
6,9%
Prodotti chimici
0,9%
1,5%
9,4%
6,8%
Prodotti in legno
0,8%
1,5%
6,9%
5,9%
Prodotti agricoli
0,3%
1,5%
Mobili
3,9%
5,9%
Carta e editoria
0,9%
0,7%
Gomma e plastica
4,3%
4,1%
Totale
100%
100%
Totale
100%
100%
raffinati
Metalli
Tessili, abbigliamento e
cuoio
Apparecchi elettrici di
precisione
Tessili, abbigliamento e
cuoio
Fonte: elaborazione su dati Ice
A dispetto della crisi esportativa che ha colpito l’Italia negli ultimi anni, la quota di mercato
complessiva dei beni italiani in Russia è cresciuta, dal 4 per cento del 2000 al 4,5 per cento del 2003.
L’Italia ha conquistato in Russia rilevanti quote nel mercato dei mobili, dei macchinari, dei tessili, del
pellame e dell’abbigliamento, e più in generale in tutti i settori che caratterizzano il Made in Italy. (cfr.
tabella 9)
Nonostante alcuni punti di forza la penetrazione italiana sul mercato russo è ancora oggi una
frazione di quella che potrebbe essere (cfr. tabella 9). L’Italia è il primo paese fornitore solo per i
mobili, un settore che rappresenta un piccolo 0,77 per cento delle importazioni russe. Nei settori di
peso, quali i macchinari, i prodotti chimici, i prodotti alimentari, gli autoveicoli, il nostro paese si
piazza sovente dietro i suoi principali concorrenti (Germania, Usa, Francia, ma anche Cina).
Particolarmente debole è la nostra posizione nei settori dei prodotti alimentari (2 per cento in un
settore che corrisponde al 16,5 per cento delle importazioni) e degli autoveicoli (1,15 per cento contro
il 21 della Germania e il 6 della Francia).
Tab.9: Quote di mercato dell’Italia e dei principali concorrenti sul mercato russo, 2003
Italia
Germania
Ucraina
Cina
USA
Francia
Peso %
Mobili
34,6
10,1
8,1
5,5
0,5
2,1
0,8
Macchinari
11,5
23,6
7,3
2,7
7,9
3,3
15,7
6,9
4,4
1,7
48,5
0,7
1,3
3,9
Minerali non metalliferi
6,6
9,4
10,5
11,8
2,9
4,8
2,0
Prodotti in gomma e plastica
6,5
20,8
5,4
6,8
4,0
4,6
2,9
Prodotti in legno
5,1
14,8
4,9
7,4
2,2
1,1
0,6
Prodotti chimici
3,7
18,6
3,2
2,3
4,4
10,5
12,8
Tessili, Abbigliamento e
Cuoio
13
Apparecchi elettrici di
2,5
19,6
3,6
13,6
9,2
4,2
12,5
Prodotti alimentari
2,0
7,4
10,7
2,6
7,1
4,5
16,5
Autoveicoli
1,1
21,4
2,2
0,2
3,8
5,9
7,3
Totale
4,5
14,4
8,3
6,4
5,2
4,3
100
precisione
Fonte: elaborazione su dati Ice
La tabella 10 mostra la composizione merceologica dell’interscambio con la Russia dell’Italia,
dell’Ue a 15 e dei paesi dell’Europa centro-orientale a confronto con la media mondiale. Dal confronto
emergono i punti di forza e di debolezza del nostro paese di fronte alle potenzialità del mercato russo.
Dal lato delle esportazioni russe, emergono due fattori principali: (a) la forte dipendenza
energetica dell’Italia (i minerali energetici, i loro derivati e i metalli ammontano al 90 per cento delle
importazioni italiane dalla Russia, (84,3 per cento per l’Ue e 74,3 per i Peco); (b) gli albori dello
sviluppo di un traffico di perfezionamento passivo nei tessili (3,1 per cento contro l’uno per cento
dell’Ue). La fortissima concentrazione in poche materie prime del commercio russo verso l’Italia è
anche un indicatore del basso volume di Ide italiani in Russia (cfr. il paragrafo 3) e quindi dell’assenza
di traffico orizzontale di beni manufatti.
Tab.10: Esportazioni e importazioni della Russia per bene e per paese, 2003
Importazioni Russe da
Esportazioni Russe verso
Italia Ue-15 Peco Mondo
Prod.
Italia Ue-15 Peco Mondo
7,4
13,4
23,3
16,5
Miniere e cave
65,4
55,7
59,1
42,2
Macchinari
39,9
19,5
12,7
15,7
Metalli
8,2
13,4
6,3
18,3
Prod. Chimici
10,7
18,3
6,2
12,8
16,9
15,2
8,9
15,8
6,8
12,3
5,6
12,5
Prod. Chimici
1,5
5,2
4,8
6,5
Autoveicoli
1,9
8,6
2,7
7,3
Prod. Agricoli
1,5
2
2,8
3,3
Prod. Agricoli
3,4
2,8
2,2
6,1
Macchinari
0,1
0,7
3,3
1,9
0,2
0,7
2,1
1,8
Alimentari
Prod. Petroliferi
raffinati
Apparecchi
elettrici di
precisione
Tessili,
Abbigliamento
Apparecchi
6
2,1
1,3
3,9
e Cuoio
Carta e
editoria
Gomma e
plastica
elettrici di
precisione
2,3
6,2
4,5
3,9
Prod. Legno
1,5
1,8
0,2
1,7
4,1
3,7
1,7
2,9
Prod. Alimentari
0,6
0,6
2,5
1,5
14
Tessili,
Mobili
5,9
1,2
0,8
0,8
Abbigliamento e
3,1
1
0,9
0,7
Cuoio
Fonte: elaborazione su dati Ice
Molto più interessante è l’esame comparato delle importazioni russe dall’Italia, dall’Ue e dai Peco.
L’Italia esporta verso la Russia comparativamente più macchinari, più tessili, più prodotti in gomma e
plastica e più mobili dei concorrenti europei e della media mondiale; comparativamente meno
alimentari, autoveicoli, apparecchi elettrici, prodotti agricoli. In tutti i settori comparativamente meno
importanti della media mondiale esistono possibilità di espansione per il commercio estero italiano.
Il sistema-italia è forte per alcuni beni “classici” del Made in Italy, ma è superato dai concorrenti
in altri beni, quali gli apparecchi di precisione, gli autoveicoli, i macchinari, i prodotti alimentari e
agricoli. La debolezza italiana in questi settori è frutto della scarsa internazionalizzazione del nostro
sistema produttivo, nella scarsezza delle strutture di supporto alla piccola e media impresa all’estero e
si iscrive nei problemi generali del nostro paese di fronte alla globalizzazione. Per un’analisi più
dettagliata si rimanda al capitolo sui distretti industriali e, all’interno del capitolo sulla Russia, al
paragrafo sulla presenza italiana.
7. Conclusioni e prospettive. La Russia è principalmente un paese esportatore di materie prime ed
energia, e importa i macchinari necessari alla ristrutturazione e modernizzazione delle imprese e i beni
di consumo che la sua industria non riesce a produrre ad una qualità accettabile. La dipendenza dai
settori esportatori e dai macchinari e beni di consumo esteri si è accentuata negli ultimi anni.
Il commercio estero continuerà a contribuire molto alla crescita del Pil nel medio periodo solo in
presenza di determinate condizioni. L’attivo della bilancia commerciale può essere mantenuto nel
medio periodo solo se i prezzi del petrolio rimarranno al di sopra della soglia critica dei 25 dollari al
barile. Le esportazioni sono altamente dipendenti dalle materie prime e dai semilavorati energetici; le
importazioni stanno aumentando più velocemente delle esportazioni, e continueranno a farlo spinte
dall’aumento del reddito interno e dal processo di ristrutturazione e differenziazione in corso
nell’economia.
Il mercato russo, in forte crescita, continuerà ad offrire ghiotte opportunità alle imprese estere,
soprattutto nei settori dei beni di consumo (anche di fascia medio-alta e di lusso) e dei macchinari.
3. Investimenti Diretti Esteri
1. Premessa. La Russia è il più grande dei paesi in transizione: territorialmente, come popolazione,
come dimensioni del mercato, dal punto di vista delle risorse naturali, della dotazione di capitale fisso
e di infrastrutture, del peso politico internazionale. Nonostante notevoli punti di forza economici, la
Russia ha svolto un ruolo marginale quale paese destinatario di investimenti. L’economia russa ha
attratto finora una quantità irrisoria di Ide; la Russia è inoltre l’unico paese esportatore netto di capitali
15
di tutta l’Europa centro-orientale. La Russia, diversamente dai paesi dell’Europa centro-orientale, non
ha scelto con chiarezza la via della ristrutturazione per mezzo di investimenti esteri.
Si cercherà qui di analizzare i dati relativi agli investimenti esteri in Russia, per poi passare ai
motivi del ritardo degli Ide in Russia, alla politica seguita dal paese e alle prospettive di sviluppo per il
medio periodo.
2.1. L’Ide in Russia a confronto con gli altri paesi dell’area. La Russia ha ricevuto, nel 2002, l’8,43
per cento degli Ide totali destinati ai paesi in transizione, mentre lo stock di Ide accumulato a partire
dall’inizio della transizione rappresenta soltanto il 12% dello stock di Ide dell’area3.
A differenza di quanto accade nei Peco, inoltre, l’investimento diretto non è la forma preferita di
entrata nel mercato russo: gli investitori esteri sembrano preferire le “altre” forme di investimento
(crediti commerciali e altri crediti), mentre gli Ide coprono soltanto il 20,2% degli investimenti esteri
totali4.
La Russia è un late comer nel campo degli Ide secondo tutti gli indicatori comunemente usati nei
confronti internazionali (cfr. Tabella 11). Lontanissima dai paesi in transizione più avanzati dal punto
di vista degli Ide pro-capite, dello stock di Ide in percentuale del Pil e dell’investimento lordo totale, si
trova addirittura al di sotto di paesi in transizione più arretrati come la Romania o, per certi indicatori,
l’Ucraina. La scarsa importanza degli Ide in Russia è confermata basso contributo degli investimenti
esteri all’investimento totale: nel 2002 gli Ide coprivano il 3,9 per cento dell’investimento, contro una
media del 17,2 per cento nei Paesi dell’Europa centro-orientale.
Tab. 11: Principali indicatori degli Ide: Russia ed altri paesi in transizione, 2002.
Ide in entrata
Stock di Ide
Ide pro
Ide in uscita
(mld $)
in % del PIL
capite ($)
(mld $)
Russia
4,0
6,5 %
156
3,2
Ucraina
0,6
12,9 %
110
0
Ungheria
2,1
38,2 %
2441
0,2
Polonia
5,0
23,9 %
1166
0,17
Repubblica Ceca
1,3
54,8 %
3733
0,2
Slovenia
0,6
23,1 %
2537
0,1
Romania
1,1
20,5 %
394
0,01
28,7
20,8 %
-
4,2
Media paesi in
transizione
Fonte: Unctad 2003 e Goskomstat 2002
Dati UNCTAD, World Investment Report 2003; per “area” si intendono i 19 Paesi raggruppati dall’Unctad sotto il nome di
Central and Eastern European Countries – CEECs.
4 Dati Goskomstat (2002). Questa tripartizione degli investimenti esteri si discosta dalla normale suddivisione in investimenti
diretti e di portafoglio, e rende problematico l’utilizzo dei dati di fonte russa, che sono peraltro essenziali in quanto
raggiungono un livello di dettaglio maggiore rispetto alle fonti internazionali. In questo lavoro i dati aggregati sono tratti da
Unctad 2003, mentre i dati settoriali, regionali e per paese d’origine da Goskomstat 2002 e 2003.
3
16
Per tutti gli anni ’90 gli Ide in Russia hanno svolto un ruolo del tutto marginale (cfr. Tabella 12).
Gli Ide lordi in entrata non hanno mai dato un contributo decisivo all’investimento totale e il flusso
netto di Ide è stato sempre negativo. Negli ultimi anni le cose sono in parte cambiate, ma
l’accelerazione del 2003 (un balzo del 62 per cento degli Ide in entrata) non è stata sufficiente a dare
una svolta al ruolo degli Ide, che resta marginale.
Date le sue grandi potenzialità e gli scarsi risultati, l’Unctad ha inserito la Russia tra i Paesi belowpotential, che hanno cioè prospettive favorevoli ma risultati deludenti, per tutti gli anni ’90; il giudizio
non è cambiato per quanto riguarda il prossimo futuro5.
Tab.12: Principali indicatori per gli Ide in Russia, mln di $, 1994-2002
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
IDE in entrata annui
2479
4865
2761
3309
2714
2469
4021*
6781*
IDE in uscita annui
771
3184
1270
2208
3177
2533
3284
-
Stock IDE in % Pil
-
-
-
-
6,9%
6,5%
6,5%
7,7%*
2,8%
5,9%
5,7%
11,9%
6,7%
4,3%
3,9%
11%*
IDE in entrata in %
investimento lordo
Fonte: elaborazione su dati Unctad 2003 e *Goskomstat 2003
2.2. I Paesi di origine. I principali paesi d’origine degli Ide destinati alla Russia (cfr. Figura 2) a fine
2002 erano gli Usa (20,7%), Cipro (19,3%), l’Olanda (11,8%), la Gran Bretagna (10,8%) e la
Germania (8,4%), seguite dalla Svizzera (1,8%) e dal Lussemburgo (1,2%).
Fig.2: Stock di Ide a fine 2002 per Paese d’origine
Cipro
Lussemburgo
IDE accumulati a fine 2002
Germania
Italia
Lussemburgo
Cipro
Germania
Italia
USA
Svizzera
USA
Giappone
Gran Bretagna
Francia
Olanda
Olanda
Francia
Giappone
Gran Bretagna
Svizzera
Fonte: Goskomstat 2002
Gli investimenti provenienti da Cipro, dal Lussemburgo e dalla Svizzera sono nella quasi totalità
capitali russi trasferiti all’estero per ragioni fiscali e per non dipendere dal disastrato sistema bancario
5
Per maggiori dettagli cfr. Unctad, World Investment Report, 2004.
17
russo che rientrano sotto forma di Ide; secondo la Banca mondiale6, però, anche nel caso degli Ide
provenienti dagli Usa, dalla Gran Bretagna (Isole del Canale) e dall’Olanda (Antille Olandesi) si
tratterebbe in parte di capitali russi.
Gli investimenti nell’industria estrattiva e nei trasporti sono capitali russi di ritorno (Cipro,
Svizzera, Isole Vergini, Lussemburgo), mentre i capitali non provenienti da sedi russe off-shore si
concentrano nei settori dell’energia (Gran Bretagna primo investitore nel 2002, anche se il settore è
controllato e gelosamente protetto dai grandi gruppi russi), alimentare (Olanda e Germania) e nel
commercio (Gran Bretagna, Germania)7.
Gli Ide in Russia si caratterizzano dunque per un andirivieni continuo del capitale, che esce sotto
forma di fughe di capitale o di acquisizione di partecipazioni all’estero, e che rientra sotto forma di Ide
proveniente dai paradisi fiscali.
2.3. Distribuzione settoriale e regionale. L’investimento estero in Russia si è concentrato nei settori
del commercio (grandi magazzini, reti di piccoli negozi) e nelle telecomunicazioni, oltre che
nell’industria. All’interno di quest’ultima, i settori più attrattivi sono stati il settore dei combustibili
(estrazione e raffinazione di petrolio e gas), ed il settore alimentare (cfr. Tab. 13).
All’interno dell’industria, sono pochi i settori in cui le imprese straniere detengono quote rilevanti;
tra questi vi sono i settori della confezione, della birra, delle bevande analcoliche e del tabacco. Al di
fuori di questi settori la presenza straniera è minima, e in molti casi inesistente. Gli stranieri sono
entrati quindi laddove è stato loro consentito, e non hanno finora potuto inserirsi nei settori-chiave
dell’economia, che sono controllati dallo stato (produzione e distribuzione di gas, condutture, cantieri
navali, industria militare) o dagli oligarchi (petrolio, …)8.
Tab.13: distribuzione settoriale dell’Ide in entrata, mln di $, 2002.
Ide 2002
% del totale
industria
1932
48,3%
di cui combustibili
667
16,7%
alimentare
439
11,0%
metalmeccanica
262
6,5%
legname
133
3,3%
commercio
959
24,0%
trasporti
112
2,8%
comunicazioni e reti
299
7,5%
Fonte: Goskomstat 2002
A dispetto della vastità del territorio, della presenza di infrastrutture, seppure fortemente
deteriorate, e della differenziazione produttiva delle varie regioni, ereditata dal periodo sovietico, gli
6
Cfr. World Bank, Russia Economic report, varie uscite.
Dati Goskomstat 2002.
8 cfr. World Bank, From transition to Development: a Country economic Memorandum for the Russian Federation, april
2004, pag. 96 segg.
7
18
Ide in Russia si sono concentrati principalmente a Mosca, a San Pietroburgo e, in misura minore, nelle
aree in cui si svolge l’attività estrattiva e il taglio del legname. In particolare, lo stock di Ide
accumulato tra il 1995 ed il 19999 a Mosca città era pari al 44,2 per cento degli Ide destinati all’intero
paese; gli investimenti affluiti nella “grande Mosca”, comprendente la città e la sua regione, coprivano
il 54% del totale. La concentrazione degli Ide nella capitale supera di molto l’importanza economica
relativa di Mosca all’interno della Russia: la “grande Mosca” produceva nel 1998 solo il 13,6% del Pil
dell’intero Paese10. Subito dopo Mosca venivano San Pietroburgo e la sua regione (8% degli Ide, 4,2%
del Pil), alcune aree estrattive, quali l’isola di Sakhalin (7,4%), oggetto di grandi investimenti
giapponesi ed americani, ed il Krasnodarski Krai (4%), e la zona di Samara (2,3% degli Ide, 3,2% del
Pil), sede in epoca sovietica di numerose industrie meccaniche, dell’autoveicolo e aerospaziali11.
2.4. La Russia come esportatore di capitali. Se l’afflusso di Ide è stato marginale, i saldi dei
movimenti di capitale sono stati per tutti gli anni ’90 fortemente negativi: la Russia è un paese
esportatore netto di capitali, caso unico nell’Europa centro-orientale. Nel 2002 i flussi ufficiali di Ide
in uscita (che non tengono conto delle consistenti fughe di capitale) hanno rappresentato il 78% di tutti
i flussi in uscita dai paesi in transizione, e sono risultati maggiori, anche se marginalmente, degli
investimenti diretti in entrata.
Secondo le stime della Banca centrale (cfr. tabella 14), il flusso di capitale in uscita è stato molto
consistente per tutti gli anni ’90, toccando il massimo negli anni subito successivi alla crisi del 1998 a
causa dell’incertezza economica e del crollo del sistema bancario; negli ultimi anni le fughe di capitale
sono costantemente diminuite, anche se i primi dati disponibili per il 2004 segnano un nuovo aumento
dei capitali in uscita, probabilmente causato ai timori generati dall’affaire Yukos e dalla nuova politica
interventista del governo verso gli oligarchi.
Tab.14: Deflusso netto di capitali dal settore privato, dati bilancia dei pagamenti, mld $
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
-18,2
-21,7
-20,8
-24,8
-15
-8,1
-2,3
2004
1°Sem
-5,5
Fonte: Central Bank of Russia, statistiche on-line
Gli Ide in uscita dalla Russia nel corso degli anni ’90 si sono principalmente diretti verso i Paesi
avanzati, nei quali le grandi imprese estrattive russe (Yukos, Lukoil, Gazprom) effettuano investimenti
per posizionarsi come concorrenti di primo livello nel mercato globale; i paesi della Csi e dell’Europa
centro-orientale hanno raccolto invece soltanto il 10-20% dei flussi in uscita dalla Federazione Russa.
A partire dal 2001 la crescita russa ha spinto a rinsaldare i vecchi legami produttivi con le repubbliche
della Csi (in particolare con l’Ucraina): numerosi gruppi finanziari-industriali russi pubblici e privati
9
cfr. Broadman & Recanatini, Where has all the foreign direct investment gone in Russia?, World Bank Working Paper
no.2340, Washington, 2001
10 Cfr. Fischer Foreign Direct Investment in Russia – A strategy for industrial recovery, Macmillan, Londra, 2000
11 A pochi chilometri da Samara sorge Togliatti, sede degli stabilimenti Lada.
19
hanno acquisito importanti quote di imprese metallurgiche e petrolchimiche ucraine e kazake. Queste
acquisizioni, come già detto, si inseriscono nel disegno di restaurazione della forza economica dello
stato e di attenzione verso la grande impresa che sembra essere seguito dal governo russo e dai
principali gruppi privati.
2.5. Il ruolo dell’Italia. Il ruolo degli investimenti italiani in Russia è stato finora secondario. L’Italia è
il settimo paese investitore in Russia, con un miliardo e mezzo di dollari accumulati negli ultimi 12
anni tra prestiti, partecipazioni al capitale e investimenti diretti; se però si restringe l’osservazione agli
Ide, l’Italia giunge decima, con soli 194 milioni di dollari investiti in Russia (lo 0,95% del totale) a
fine 2002. Secondo i dati del Goskomstat, in Russia sarebbero presenti circa 700 società miste italorusse o di totale proprietà italiana, ed altre 200 imprese italiane avrebbero a Mosca uffici di
rappresentanza12.
Il ruolo marginale giocato dall’Italia riflette sia la scarsa propensione all’internazionalizzazione
produttiva su larga scala della nostra economia, sia il ruolo limitato giocato finora dalle piccole e
medie imprese in Russia. L’Ide in Russia è stato rallentato, e alle volte reso impossibile, da barriere
legislative, corruzione, scarsa trasparenza dell’amministrazione e delle relazioni commerciali,
insufficiente protezione dei diritti di proprietà. Queste barriere rappresentano un costo, in termini di
tempo e di denaro, per tutte le imprese che vogliano affrontare il mercato russo; nel caso di una
piccola o media impresa, però, l’incidenza di questi costi è maggiore e rischia di superare la soglia
critica che porta alla decisione di non investire.
Un altro fattore che ha ostacolato l’investimento italiano in Russia è stata l’assenza di banche
italiane con sportelli operativi nel paese. Riproponendo una strategia di wait-and-see comune a molte
banche occidentali13, le banche italiane hanno aperto in Russia solo uffici di rappresentanza. L’unica
eccezione è l’apertura di uno sportello operativo di Banca Intesa a Mosca, che ha avuto luogo nella
primavera del 2004.
3. I motivi del ritardo russo. Pur avendo enormi potenzialità, la Russia, come abbiamo visto nella
sezione precedente, è rimasta al margine dei grandi flussi di Ide diretti nei paesi in transizione, per tre
ordini di ragioni: congiunturali, connesse all’andamento dell’economia russa negli anni ’90,
all’andamento alterno delle riforme e ai metodi utilizzati nella privatizzazione (cfr. più sopra il par.1);
strutturali, legate ai problemi di lungo periodo dell’economia russa; e politiche, correlate alla strategia
delineata dal governo per guidare il paese dalla transizione alla crescita.
3.1. Fattori congiunturali. Negli anni ’90 la Russia ha attraversato una profonda recessione, terminata
solo all’indomani della crisi economica e finanziaria del 1998, e durata quindi 4-5 anni più delle
recessioni transizionali affrontate dall’Europa centro-orientale.
12
13
Dati Goskomstat citati in Ice, Nota congiunturale Russia, agosto 2003, Mosca 2003
Cfr. A.Vernikov, Strategies of Foreign Banks in Russia, Problems of Economics Transition, Vol.45, n.12, April 2003.
20
Questa profonda recessione ha tenuto lontani per tutti gli anni ’90 gli investimenti esteri, in
particolare market-seeking, e ha tenuto la Russia al margine dei flussi internazionali di Ide, con
l’eccezione di limitati resource-seeking, concentrati nei settori estrattivi.
Un’altra causa del ritardo russo rispetto ai paesi dell’Europa centro-orientale riguarda il processo
di privatizzazione. Gran parte degli Ide ricevuti dai paesi che hanno seguito la via aperta dall’Ungheria
nei primi anni ’90, sono stati generati dai processi di privatizzazione dei “gioielli” ereditati dal
comunismo tramite vendite dirette a multinazionali occidentali o tramite joint-venture.
In Russia al contrario non si è mai cercato di coinvolgere nella privatizzazione investitori
strategici esteri. La privatizzazione fu condotta in maniera caotica, a seguito di una selvaggia
privatizzazione spontanea e senza un fine preciso; tutto il processo fu caratterizzato da furti, truffe,
schemi illegittimi di appropriazione delle imprese statali. Il modello di privatizzazione scelto si
basava, con alcune sostanziali varianti, sull’esperienza Ceca, e escludeva la partecipazione di stranieri.
Quando, nel 1995-96, si passò al metodo della vendita diretta, lo si fece tramite programmi di scambio
tra debito pubblico ed azioni (programma loan-for-shares: crediti allo stato garantiti da titoli); le aste,
organizzate dalle principali banche russe, furono pilotate ad esclusivo vantaggio dei gruppi finanziariindustriali di cui le banche facevano parte e quindi a favore di una ristretta cerchia di oligarchi, che
assunsero il controllo delle maggiori imprese del paese a prezzi irrisori.
3.2. Fattori strutturali. Per tutti gli anni ’90 l’economia russa non offriva condizioni favorevoli
all’investimento estero, per tre ragioni: a) il Pil dipendeva sostanzialmente dallo sfruttamento delle
materie prime estrattive, un settore controllato dallo stato e dagli oligarchi; b) la maggior parte delle
imprese (fino al 60% nel 1998) era invischiata in reti di baratto ed in un sistema di scambi basato su
mezzi di pagamento non-monetari, per esempio cambiali (veksel) emesse da grandi imprese pubbliche;
c) le imprese uscite dalla privatizzazione erano in gran parte controllate in maniera non trasparente
dagli insider, vecchi manager sovietici e rappresentanti dei nuovi azionisti.
Ad influenzare negativamente le condizioni di investimento14 contribuivano altri fattori: la scarsa
tutela dei diritti di proprietà, l’arbitrarietà delle norme e la loro disparità da regione a regione, la
presenza di obblighi sociali per le imprese, retaggio della passata organizzazione socialista della
società. Questi ed altri ostacoli costringevano le imprese estere che volessero entrare nel mercato russo
a impiegare notevoli risorse, in termini di tempi e di costi, in rapporti con la burocrazia centrale e
locale, in servizi sociali secondari rispetto all’attività principale dell’impresa, nel trovare partner e
fornitori locali all’altezza delle richieste. In generale, gli investitori stranieri, pur riconoscendo
l’importanza e le potenzialità della Russia, erano restii ad investire in un’economia in profonda
recessione, dominata da clan di oligarchi e tendenzialmente insider-oriented e strutturalmente
squilibrata.
14
Cfr. Fabry & Zeghni, Foreign direct investment in Russia: how the investment climate matters, in Communist and Postcommunist Studies, vol.35, 2002, pagg. 289-303 Il paper contiene un’attenta analisi dell’importanza dell’investment climate
per comprendere l’Ide in Russia.
21
3.3 Fattori politici. In Russia non è stata seguita una politica chiara, coordinata ed efficace di
attrazione degli Ide. L’agenzia per l’attrazione degli investimenti esteri non è mai decollata 15, la
privatizzazione ha escluso di fatto gli stranieri, i settori principali e strategici dell’economia sono
rimasti in mano allo stato o agli oligarchi. Gli Ide sono affluiti in Russia soprattutto per il grande
interesse che il gigante dormiente ha suscitato nelle imprese occidentali; lo sbarco sul mercato russo è
però sempre stato difficile, e le autorità russe non hanno mai concepito un disegno coordianto per
appianare gli ostacoli e favorire gli investimenti esteri. Con una battuta si può dire che se le strategie
di internazionalizzazione delle imprese europee non possono non tenere conto della Russia, la politica
russa non ha mai considerato prioritaria l’attrazione di Ide.
4. La strategia degli investitori esteri fino a oggi. Il risultato di tutti questi ostacoli, congiunturali,
strutturali e politici, è stato finora una strategia di wait-and-see da parte degli investitori esteri16: si
sono mossi i primi passi sul mercato russo, tramite investimenti di posizionamento che hanno
riconosciuto le potenzialità enormi del paese, ma allo steso tempo non si sono voluti avviare progetti
di grandi dimensioni in un contesto di crescita vulnerabile, in quanto dipendente dal prezzo di prodotti
primari e intermedi, e in mezzo a così gravi problemi strutturali. Neanche la forte ripresa iniziata nel
1999 ha finora generato un mutamento nell’atteggiamento degli investitori esteri: gli Ide in entrata
sono rimasti stabili, e solo il flusso di Ide netto ha visto mutamenti positivi, passando da valori
negativi per gli anni ’90 ad un saldo nullo nel 2002 e leggermente positivo nel 2003, largamente come
riflesso della maggiore fiducia riposta dai russi stessi nella loro economia.
Non è un caso quindi che gli investitori esteri presenti in Russia fino al 2001 fossero quelli che
dovevano a tutti i costi esserci, cioè le multinazionali del petrolio ed alcuni grandi produttori di beni di
consumo, che gli investimenti nella sfera della produzione di manufatti a media ed alta tecnologia
fossero quasi assenti e che in molti casi gli investitori esteri mantenessero in Russia soltanto uffici di
rappresentanza, in attesa di tempi migliori. Quest’atteggiamento di attesa spiega anche – in parte – la
concentrazione degli Ide nelle aree di Mosca e San Pietroburgo: gli investimenti nel settore
commerciale e dei beni di consumo si sono concentrati nelle zone più ricche e popolate del paese, ed
anche gli Ide di posizionamento o di rappresentanza, fatti a fini di occupazione del territorio più che di
sfruttamento effettivo dei vantaggi localizzativi, si sono diretti verso le aree centrali del paese.
5. Prospettive per l’Ide in Russia nel medio periodo. Le prospettive per gli Ide nel medio periodo sono
diverse viste dall’occidente o viste dalla Russia.
Dal punto di vista delle imprese occidentali, l’attenzione per la Russia è salita negli ultimi anni.
Da molte parti si parla di un prossimo decollo degli Ide, e le attenzioni per il mercato russo si fanno
sempre più vive in tutta Europa e in Italia.
Quest’importante miglioramento delle aspettative è guidato da molti fattori.
15
Non esiste, ad esempio, alcun sito web centralizzato per la promozione degli investimenti esteri, né alcuna agenzia
centrale.
16 Cfr. Fabry & Zeghni, ibidem.
22
In primo luogo, gli osservatori si aspettano che la Russia beneficerà, seppur in maniera indiretta,
dell’allargamento dell’UE, dal momento che diverrà una nuova frontiera: da un lato i Paesi
dell’allargamento potrebbero iniziare un percorso che li porti a diventare essi stessi investitori esteri
nei paesi limitrofi17; d’altra parte gli aiuti finanziari ed i sostegni forniti dai paesi d’origine degli Ide
agli investitori non potranno più – per ragioni di concorrenza all’interno del mercato unico – essere
richiesti per progetti d’investimento nell’Europa centro-orientale, liberando così risorse per la Russia e
le altre aree fin qui secondarie18.
Secondariamente, dopo 4 anni di ripresa e una crescita del Pil superiore alle aspettative e prevista
al di sopra del 7% per il 2003, la recessione sembra definitivamente alle spalle e gli ottimisti stanno
prendendo il sopravvento nel dibattito sulla sostenibilità della crescita19. In Russia i salari reali stanno
salendo più del Pil, rendendo appetibili, almeno nel medio periodo, Ide market-seeking; il bilancio
dello stato mostra continui avanzi, accumulati per far fronte ad una possibile caduta del prezzo del
greggio, variabile macroeconomica basilare, e per ripagare quote crescenti del debito estero.
In terzo luogo, i problemi strutturali russi sembrano essere in via di risoluzione. Putin ha guidato
nel corso del suo primo mandato la lotta contro lo strapotere degli oligarchi, e sta perseguendo un
progetto di centralizzazione del potere, anche economico, e di uniformazione delle politiche regionali
(cfr. paragrafo1); inoltre il sistema di baratto sembra essere stato abbandonato e il controllo degli
insider è, seppur lentamente, in diminuzione.
Da parte russa, però, l’attenzione è concentrata più sulla battaglia tra Putin e gli oligarchi e sullo
sviluppo di un rinnovato controllo statale sull’economia che sull’attrazione di investimenti esteri.
Come nel recente passato, gli Ide svolgono un ruolo marginale nei progetti di riforma tracciati dalle
autorità russe.
Nonostante i miglioramenti fatti segnare nel 2003 e il miglioramento delle aspettative, quindi, le
prospettive di medio termine rimangono incerte.
E’ questo uno dei punti su cui si basa l’analisi dell’Unctad, World Investment Report 2003, che vaglia le possibilità di un
decollo degli Ide in Russia.
18 Circostanza confermata recentemente in più occasioni dai responsabili di Simest e Ice, e ripresa dalle direttive per il 2003 e
il 2004 dal Ministero delle Attività Produttive.
19 Cfr. in merito BOFIT – Russian economy, the month in review e i Russian Economic Report della Banca Mondiale.
17
23
4. Piccole e medie imprese
1. Premessa. Le prime piccole e medie imprese sono apparse in Russia solo nel 1987, utilizzando la
Legge sulle cooperative. Dopo un primo boom in epoca sovietica grazie al caos generato dalla
perestrojka, e un secondo nel 1993-94, a seguito delle privatizzazioni “creative”, il numero di Pmi si è
stabilizzato attorno alle 850mila unità. Le imprese individuali, a bassa produttività e concentrate nelle
aree più povere del paese sono circa 4 milioni. Le Pmi costituiscono, rispetto ai paesi dell’Ue, un
settore marginale dell’economia russa; occupano il 45 per cento della forza lavoro e contribuiscono al
39,3 per cento soltanto delle vendite. Le Pmi sono concentrate nel commercio e nelle costruzioni; solo
una su dieci è impegnata nell’industria. Le politiche di sostegno sono state deboli e, soprattutto,
discontinue; oggi le Pmi sono da tutti ricordate come una priorità, ma di fatto poste in secondo piano
nei grandi dibattiti sul futuro economico della Russia e nonostante le promesse del governo (cfr.
par.1). Esistono limitate prospettive di cooperazione con le Pmi italiane, concentrate all’interno del
progetto “Distretti in Russia”, sponsorizzato dal Ministero per le Attività Produttive.
2. L’evoluzione delle piccole imprese negli anni ’90. L’analisi della genesi della piccola impresa in
Russia permette di comprendere la struttura attuale del settore delle Pmi. Lo sviluppo delle Pmi in
Russia è avvenuto a ondate, iniziate ai tempi dell’Urss. Fino alla metà degli anni ‘80 il settore delle
Pmi era inesistente in Russia; l'Urss è stato il paese socialista dove più di ogni altro si è realizzato il
socialismo reale con l’abolizione dell’impresa privata.
La prima ondata di Pmi si è sviluppata a seguito della legge sulle cooperative (1987). La legge si
proponeva di “sbloccare” il sistema sovietico rilanciando i collettivi di lavoro; di fatto ha lasciato
campo libero a criminali e trafficanti provenienti dal mercato nero. Secondo l'Istituto di ricerca
dell'Unione industriale russa, il 22% di questi "imprenditori" aveva precedenti penali, che risalivano
agli anni antecedenti alla perestrojka. L’apporto di queste nuove imprese al progresso economico è
stato modesto: il 40 per cento di questi faccendieri si limitava a importare merci dall'occidente.
La seconda ondata è stata mossa dalle leggi sulla proprietà privata (1990) e sull’impresa (1991).
Ad aprire piccole attività sono stati gli alti funzionari pubblici, che hanno sfruttato le opportunità
offerte dall’esistenza di due mercati: il mercato socialista, che permetteva di acquistare e vendere a
prezzi bassi e fissi i prodotti del settore statale ed era caratterizzato dalla scarsità spesso artificiale di
molti beni; e il mercato “libero”, a prezzi liberi e quindi elevati, nel quale si scambiavano liberamente
gli stessi beni. Le possibilità di arricchimento (acquisto a prezzi bassi ufficiali e vendita a prezzi liberi
elevati) erano dunque assicurate. Inoltre, i funzionari più vicini ai flussi di beni utilizzarono le risorse
appartenenti alle imprese socialiste per aprire commerci sul libero mercato.
Queste due ondate si basarono, oltre che su atti legislativi, su un vasto movimento di
privatizzazione spontanea, in cui tutti coloro che hanno potuto approfittare del caos dei primi anni ’90
si appropriarono di imprese e parti di imprese (negozi, officine, centri di ricerca, eccetera) che
venivano in vario modo sottratti al controllo statale e registrati come unità produttive private.
Questo processo è stato cruciale per l'economia russa: si sono formate reti di imprese fondate su
conoscenze e mutua fiducia, nelle quali venivano rispettate regole non scritte; le capacità
24
imprenditoriali sono passate in secondo piano; sono state piuttosto premiate le posizioni di rendita
occupate da persone che disponevano di informazioni riservate e contatti e potevano già vantare
disponibilità finanziarie.
La terza ondata di Pmi si verificò nel 1993-94 e portò il numero di imprese da due-trecento mila
alle novecentomila attuali a seguito della privatizzazione di massa. La privatizzazione coinvolse una
più larga fascia di popolazione, che occupava posizioni meno alte nella scala gerarchica rispetto ai
protagonisti presentati sopra. Si svilupparono quindi le prime imprese familiari impegnate nel
commercio e nei servizi. In un ambiente ormai profondamente corrotto questa generazione di piccoli
imprenditori più strettamente legata alla base della società russa, si sentì autorizzata ad adottare
comportamenti privi di scrupoli. D’altra parte, però, questi piccoli imprenditori che non avevano avuto
l'occasione di partecipare al saccheggio dei beni pubblici, svilupparono una maggiore sensibilità per le
richieste del mercato e una mentalità maggiormente orientata al profitto, piuttosto che alla rendita.
L’ultima ondata di imprese, apparsa dopo la crisi del 1998, ha riguardato imprese individuali non
registrate come entità legali. Le imprese individuali sono passate da 3 a 4,7 milioni negli ultimi 5 anni,
con un aumento di circa 300mila unità all’anno, particolarmente concentrato nelle regioni periferiche e
a reddito più basso.
Tutte queste imprese sono nate seguendo due itinerari principali: o come filiazione delle imprese
statali (i reparti migliori delle aziende venivano scorporati dai manager e registrati come imprese
private), dalle quali ereditavano macchinari, lavoratori, infrastrutture, oppure come nuove imprese
create per occupare attività e nicchie di mercato non coperte dalle vecchie imprese sovietiche
(commercio, servizi alla persona, produzione di beni di consumo generici).
Negli ultimi anni però si è assistito ad un declino di produttività delle piccole imprese, che si può
spiegare nel modo seguente: (a) il processo delle grandi privatizzazioni, dell'accumulazione di capitale
e della mobilitazione di risorse nelle grandi imprese è giunto al termine; (b) le nicchie di mercato sono
state saturate, senza che vi sia stata una selezione delle imprese, in un contesto sfavorevole per le Pmi;
(c) non si è creato un sistema di collaborazione fra gli imprenditori e le autorità che permettesse il
rilancio delle Pmi.
3. Le piccole imprese oggi: i dati. In Russia la classificazione delle piccole e medie imprese è
differente da quella seguita nei paesi europei. Sono considerate “piccole imprese” (Pi) le imprese i cui
addetti non superano le 50 unità nel settore commerciale, 60 nell'economia rurale, 100 nell'industria
nelle costruzioni e nei trasporti e 50 in tutti gli altri settori. Oltre alle “piccole imprese” fanno parte
della più ampia categoria delle Pmi le imprese non registrate come entità legali (PBOYuL,
Predprinimatel' bez obrasovanija Yuridiceskogo Liza in russo, nella quasi totalità imprese individuali)
e le medie imprese, cioè le imprese con un numero di addetti inferiore a 250. L’istituto di statistica
russo raccoglie dati solo per le “piccole imprese” in senso stretto; per le imprese individuali sono
presenti stime di origine fiscale, mentre per le medie imprese esistono stime frammentarie prodotte da
alcuni centri di ricerca.
Le piccole imprese sono meno di 900 mila, ed il loro numero è stabile dal 1994 (cfr. tabella 15). A
seguito della crisi del 1998 si è verificato un boom nella creazione di imprese non registrate (che sono
25
nella quasi totalità imprese individuali), specialmente nelle regioni più povere; dal 1999 le imprese
non registrate sono cresciute in media di trecentomila unità all’anno.
Tab.15: piccole e medie imprese nell’economia russa, 1999-2003
Piccole imprese
Imprese individuali (PBOYuL)
Piccole imprese agricole
Medie imprese
1999
2000
2001
2002
2003
891
879
843
881
892
3.875
4.237
4.497
4.717
-
261
262
262
264
-
-
-
2,377
-
Fonte: Goskomstat 2003, Russian Sme Resource Centre 2003, OECD 2004
La crescita delle imprese non registrate e delle imprese individuali è dovuta a tre ragioni principali:
(a) problemi di ordine legislativo e statistico fanno sì che le imprese PBOYuL non debbano notificare
la cessazione delle attività; ogni anno quindi le nuove imprese si sommano a quelle registrate negli
anni precedenti; (b) la necessità per ampi strati della popolazione di tirare avanti con lavoretti saltuari
porta alla creazione di imprese individuali “di sussistenza”:il 25 per cento delle imprese individuali
sono attive in agricoltura, il 46 per cento nel commercio al dettaglio; (c) molte imprese PBOYuL
nasconde muoiono nel giro di pochissimo tempo per ragioni legate al riciclaggio del denaro sporco e
per motivi fiscali: un caso famoso ha coinvolto un dirigente Yukos, che risultava non avere alle
proprie dipendenze alcun lavoratore, in quanto tutti erano stati registrati come imprese individuali o il
caso Sibneft, una grande azienda petrolifera che risultava avere solo venti dipendenti, di cui 6
risultavano invalidi.
Tab.16: principali indicatori di sviluppo delle piccole imprese in Russia e in Italia
Indicatore
%
Indicatore
%
Numero medio di addetti, Pi
8
Peso sul Pil, Pi
12
Pmi sul totale delle imprese
90,4
Addetti Pmi sul totale degli occupati
di cui: piccole imprese
10,3
di cui: piccole imprese
imprese individuali
medie imprese
55,1
25
45,1
11
imprese individuali
10,2
medie imprese
23,4
Pmi ogni 1000 abitanti
113
Vendite Pmi sul totale delle vendite
39,3
di cui: piccole imprese
12
di cui: piccole imprese
20,8
imprese individuali
67
imprese individuali
2,1
medie imprese
30
medie imprese
16,4
Fonte: Goskomstat, Russian Sme Resource Centre 2003
Nonostante i buoni tassi di crescita fatti segnare nei primi anni Novanta, le piccole e medie
imprese, comprese le imprese individuali, svolgono ancora un ruolo marginale nell’economia russa se
paragonato agli standard europei (cfr tabella 16). La Russia presenta indicatori vicini a quelli
26
occidentali soltanto per quanto riguarda il numero di piccole e medie imprese (90 per cento del totale),
ma questo dato è falsato dall’importanza preponderante delle imprese individuali. La tabella evidenzia
anche il ruolo importante della media impresa (meno di 250 addetti).
A titolo di confronto, si possono paragonare i dati russi ai dati degli Stati Uniti. Durante il periodo
che va dal 1991 al 1997 il peso delle piccole imprese (Pi) sul Pil era pari, in media, ad un modesto
11,3 per cento; nell’anno più favorevole, il 1993, la quota si è fermata al 15,5 per cento; durante lo
stesso periodo, negli Stati Uniti le Pmi contribuivano per più del 60% al Pil, e in generale nei paesi
sviluppati il settore delle Pmi produce il 60-80% del Pil.
In generale, le Pmi russe esistenti oggi sono imprese la cui nascita e sviluppo possono essere
ricondotti ai seguenti casi: (a) grandi imprese ex-sovietiche che in seguito alla crisi del 1998 sono state
ristrutturate per mezzo di massicci licenziamenti ed ora hanno meno di 250 dipendenti; (b) medie
imprese attive nei settori dell’industria leggera e del food-processing, cresciute nel corso degli anni
’90, in rari casi in collaborazione con l’estero; (c) alcune piccole imprese dinamiche, attive nel settore
dei materiali da costruzione che ha beneficiato dal boom edilizio degli anni ’90; (d) piccole imprese e
imprese individuali che operano nei settori del commercio, delle costruzioni e in agricoltura, in cui si
svolge un’attività di sussistenza.
4. distribuzione settoriale e regionale. I settori dove si concentra l'attività delle PMI ed il loro peso
non hanno subito grandi cambiamenti dall'inizio della transizione ad oggi: in generale le Pmi occupano
tuttora le nicchie sfruttate agli inizi degli anni ’90. La maggior parte delle imprese è tuttora
concentrata nel commercio, nelle costruzioni e nei servizi; solo il 13 per cento delle piccole imprese
opera nel settore manifatturiero (cfr. tabella 17).
Tab.17: distribuzione settoriale delle piccole imprese, 2000-2003
2000
2001
2002
2003
879,3
842,9
880,6
892
commercio
46,3
46
47,9
46,8
industria
15,3
14,9
13,7
13,3
costruzioni
14,4
14,4
12,8
13,1
servizi di mercato
4,1
4,1
4,4
4,4
trasporti
2,2
2,2
2,3
2,4
agricoltura
1,6
1,6
1,8
2
altro
8,9
9,4
9,2
10,2
totale imprese, migliaia
di cui, %
Fonte: Goskomstat, 2003, 2002, 2001
Il settore non manifatturiero è ancora oggi il più attrattivo per le Pi, perché necessita di minori
investimenti, sia finanziari che in termini di capitale umano, e presenta una minore concorrenza delle
merci straniere. La quota sul totale delle piccole imprese manifatturiere è scesa molto negli ultimi
anni, dopo essere salita in seguito alla svalutazione del rublo successiva alla crisi del 1998.
27
Le piccole e medie imprese sono concentrate nelle aree centrali (Mosca) e nord-occidentali (San
Pietroburgo) del paese. Le sole città di Mosca e San Pietroburgo concentrano nelle loro regioni il 33%
delle piccole imprese. Nelle due città le piccole e medie imprese hanno anche un peso maggiore della
media per numero di addetti e per vendite; le imprese individuali hanno invece un’importanza
decisamente minore. Più in generale, è nell'ovest del paese che si trovano la stragrande maggioranza
delle Pmi (il 70 per cento del totale). (cfr. tabella 18).
Le imprese individuali invece sono più concentrate nelle aree periferiche, dove più alta è la
necessità di impiegarsi svolgendo attività saltuarie nel settore commerciale o nel settore agricolo.
Questi dati, oltre a evidenziare gli squilibri regionali, denunciano chiaramente la dipendenza delle
Pmi rispetto non solo alle politiche regionali, ma anche alle condizioni di mercato e di domanda nelle
quali si trovano ad operare. E' facile capire come in realtà più ricche e moderne dove la legalità è
maggiormente tutelata, il terreno sia più fertile per lo sviluppo delle Pmi; viceversa, nelle aree rurali
gli ostacoli alla nascita e alla crescita delle piccole imprese sono maggiori, il mercato è più ristretto, e,
in assenza di politiche regionali o di forme di cooperazione proto-distrettuale, lo sviluppo è impedito e
dominano le imprese individuali, scarsamente produttive e dedite ad attività di sussistenza.
Tab.18: distribuzione regionale delle piccole e medie imprese, 2002
Addetti
Distribuzione
Distribuzione
Piccole
delle piccole
delle imprese
imprese
imprese,
individuali,
ogni
(2000)
(2000)
1000ab.
delle
piccole
imprese e
delle
imprese
individuali
Centro
Addetti
Pmi
Percentuale
(medie
vendite Pmi
imprese
su vendite
<250
totali
incluse)
35
24,6
18,1
25,6
49,3
40
20,5
3,7
43,3
35,6
52,5
38,6
17,8
10,9
17,7
25,8
46,2
45,7
12,4
2,5
36,8
32,6
47
51,7
Sud
9,4
15
9
22,6
50,4
52,3
Volga
14,9
21
9,5
18,7
43,5
40,7
Urali
6,4
8,9
9
17,8
34,2
25,6
Siberia
11,8
14,3
9,3
19
41,3
34,5
Estremo oriente
4,7
5,3
9,5
19,8
45,7
44,7
Russia
100
100
12,5
21,7 %
45,1 %
39,3 %
di cui Mosca
Nord-Ovest
di cui S. Pietr.
Fonte: Goskomstat, Russian Sme Resource Centre 2003
5. Gli ostacoli alla crescita. Il settore delle Pmi non ha mostrato, negli ultimi anni, dinamiche
importanti che lo portino ad uscire dalla marginalità, per non dire emarginazione. Lo sviluppo delle
28
Pmi in Russia è rallentato da numerosi ostacoli, sia per quanto riguarda la registrazione delle imprese
(campo in cui sono stati fatti enormi passi avanti e in cui, specie a Mosca, i problemi sembrano essere
stati superati), sia per lo sviluppo e la crescita delle attività avviate. Questa lentezza nello sviluppo
dell’imprenditorialità diffusa è dovuta a numerosi fattori, di varia natura; in generale, però, le
condizioni per lo sviluppo della piccola impresa sono assenti, la società cambia solo lentamente la sua
attitudine verso l’impresa e le politiche di sostegno dello Stato sono state deboli e contraddittorie.
Tra i numerosi ostacoli, otto sono considerati principali dagli imprenditori, dagli studiosi e dal
governo.
(a) Disinteresse sostanziale del governo. Il governo della Federazione Russa non ha incluso negli
ultimi anni la promozione e lo sviluppo di piccole imprese tra le sue priorità. Numerosi osservatori ed
economisti ritengono inoltre che il nodo fondamentale dell’economia russa sia rappresentato dalle
grandi imprese statali da ristrutturare e dalle imprese estrattive controllate dagli oligarchi. Molti
ritengono che le piccole imprese siano un utile strumento di campagna elettorale, ma che alla prova
dei fatti non occupino un posto importante nell’agenda né del governo federale, né di quelli locali. A
conferma di ciò, non esiste un ministero per lo sviluppo e il sostegno alle Pmi, e le competenze in
materia di piccole imprese sono passate dal 1998 al Ministero per l’Antitrust.
(b) Corruzione e criminalità. La corruzione e le pressioni a cui sono sottoposte le PMI sono opera
tanto della criminalità organizzata quanto della burocrazia statale. I meccanismi per l’ottenimento di
tangenti sono tanto diffusi quanto semplici: regole poco trasparenti e il proliferare di agenzie
pubbliche di diverso livello e con diverse competenze, in un contesto di scarsa certezza del diritto,
portano a frequenti controlli immotivati e ad abusi di potere da parte di molteplici funzionari. Il solo
livello federale è frammentato in un elevato numero di agenzie, che possono arrivare fino a 50, prive
di coordinamento e con competenze che sovente si sovrappongono; esistono poi agenzie regionali (a
livello di Oblast) e municipali. A spingere gli imprenditori all'esasperazione e a costringerli a pagare le
“mazzette” è un disordinato sistema fatto di continue ispezioni da parte dei vari uffici di controllo, con
relative multe, blocchi alla produzione, interferenze nell’attività dell’impresa. Persino nella capitale,
spesso indicata come esempio di città internazionale dove esiste un ambiente più propizio agli affari,
un imprenditore può incorrere in ben 24 differenti ispezioni.
Le Pmi in Russia non possono in molti casi sopravvivere senza ricorrere ad una protezione, un
“amico forte” che li protegga dalle ispezioni continue e da un sistema di corruzione che non permette
alle aziende di vivere, così come dalla criminalità diffusa e dalla concorrenza, che spesso ricorre a
metodi violenti per eliminare un concorrente.
La protezione viene chiamata “ombrello” o “tetto”, e può essere fornita da diversi soggetti: (a)
grandi imprese (oligarchi, settore petrolifero, dei metalli e delle risorse naturali); (b) autorità locali
(municipalità, governi regionali, cittadini influenti); (c) organizzazioni criminali (diversi tipi di mafia
locale o nazionale, che alle volte si costituiscono in imprese legalmente riconosciute di “sicurezza”).
La protezione da parte delle grandi imprese è efficiente, ma difficile da ottenere, così come quella
delle autorità locali; anche la protezione da parte di grandi imprese, che assomigliano per potenza ai
29
poteri pubblici, è efficiente. Per tutte queste protezioni sono necessarie però importanti entrature
politiche. La protezione di tipo criminale é la più accessibile e la meno costosa, anche se dipende dal
settore e dalla regione in cui si opera: per queste ragioni è diffusa nel commercio al dettaglio e tra le
micro-imprese.
Paradossalmente, la maggioranza degli imprenditori ricorre, per difendersi dalla corruzione e
“dallo stato”, a protezioni gestite dalla mafia, in quanto meno costose e più efficienti. La criminalità
organizzata ha un funzionamento per molti versi preferibile a quello delle agenzie statali corrotte: il
pizzo è fisso, e viene calcolato dai criminali stessi in maniera accurata secondo percentuali prefissate
(circa il 3-4% del fatturato reale, che di solito è di molto superiore a quello dichiarato). Inoltre pare
che sia sufficiente pagare il pizzo in una regione per essere "protetti" su tutto il territorio nazionale ed
escludere automaticamente le ispezioni delle agenzie di stato.
Il costo della corruzione sovente viene scaricato sul consumatore, traducendosi in un aumento dei
prezzi e rendendo difficile ad una piccola impresa il compito di produrre beni di qualità a prezzi
contenuti.
(c) Il peso degli oligarchi. Il peso politico degli oligarchi richiede un’osservazione a parte (cfr
paragrafo 1). Questi, grazie a connivenze con i poteri pubblici, esercitano una pressione sulle Pmi a
livello sia locale che nazionale. Non è raro incontrare espliciti conflitti di interesse: gli stessi
parlamentari che votano le leggi sulle Pmi sono padroni di imprese che sarebbero infastidite da un
aumento della concorrenza. Uno dei casi più clamorosi, è rappresentato dal il sindaco di Mosca
Luzhkov, padrone di una grande catena di chioschi in città.
(d) Credito. Le piccole imprese segnalano grandi difficoltà nell’ottenere il credito necessario a gestire
la propria attività o a effettuare investimenti. Negli anni ’90, a causa del modo in cui sono state
condotte la transizione e le privatizzazioni, non è stato possibile creare un vasto strato di risparmiatori.
Le vaste fortune accumulate illegalmente da pochi “nuovi russi” non sono state destinate al ciclo
risparmio-credito-investimento interno, ma sono espatriate verso paradisi fiscali, trasformandosi in
rendite da spendere in beni di lusso o da investire all'estero. Il sistema bancario da un lato ha sofferto
per la macanza di depositi, dall’altro si è dedicato quasi esclusivamente a servire da pocket-bank per i
grandi gruppi industriali e, prima della crisi del 1998, a speculare sui titoli di stato e sui cambi.
Nonostante una nuova attenzione verso impieghi produttivi, successiva alla crisi del 1998, il
settore finanziario è ancora debole e inaccessibile per le Pmi. La maggiore difficoltà riguarda la
richiesta di collaterali: una famiglia o un imprenditore in Russia non hanno a disposizione, nelle città,
proprietà immobiliari da far valere come garanzia, anche a causa dei prezzi troppo elevati. Nelle
campagne la parziale privatizzazione della terra e la sua limitata compravendita limitano il mercato
immobiliare e l’uso della terra come collaterale. A fronte di queste difficoltà, manca una garanzia
statale sui crediti: esiste un fondo di 3 miliardi di rubli (100 milioni di dollari) a questo fine, ma i
piccoli imprenditori non riescono a effettuare i rimborsi nei tempi previsti.
Il costo dei finanziamenti è alto, e la loro durata breve. Nonostante il tasso ufficiale di riferimento
sia sceso al 13 per cento, è impossibile trovare prestiti a meno del 30 per cento, e quasi sempre si tratta
30
di prestiti a breve: il credito a medio-lungo termine non rappresenta che il 5 per cento del totale. I
piccoli e medi imprenditori devono spesso fare ricorso all’economia informale per richiedere prestiti.
Anche in questo campo sono presenti da qualche tempo segnali incoraggianti: il mercato dei
capitali si sta riorganizzando, le banche stanno crescendo e grazie alla caduta ed al contenimento
dell’inflazione si stanno spostando (cautamente) verso prestiti a medio-lungo termine, con una
maggiore fiducia nei piccoli e medi investitori, che le statistiche indicano come solventi nella quasi
totalità dei casi.
(e) Mercato immobiliare. Il problema del credito rimanda alla necessità dell'esistenza di un efficiente
mercato immobiliare che possa fornire collaterali alle Pmi. In Russia, con l’eccezione di Mosca, la
terra e gli immobili sono posseduti dalle istituzioni locali. Nella capitale, dov'è operativo il mercato
immobiliare, i prezzi degli immobili troppo elevati, specie se confrontati con i livelli salariali medi,
non ne consentono un vasto accesso. Nelle campagne, dove esistono piccole proprietà (dacie, orti),
non esiste né la domanda sufficiente allo sviluppo della piccola impresa, né l’infrastruttura creditizia
necessaria ad avviare un’attività. A questo proposito appare rilevante l’approvazione avvenuta nel
corso del 2003, del Codice terriero che introduce la proprietà privata e la compravendita della terra
agricola.
(f) Dimensioni del mercato e cattive comunicazioni. Nel suo complesso la popolazione russa che
percepisce redditi medi non esercita ancora una domanda sufficiente20 a finanziare lo sviluppo di
piccole imprese manifatturiere orientate al mercato interno. Per tutti gli anni ’90, quindi, gli
investimenti si sono concentrati a soddisfare le esigenze dei “nuovi russi” e della fascia ricca della
popolazione. L’ampiezza di questa classe sociale è risultata sopravvalutata e molti investitori, sia russi
sia stranieri, in considerazione del continuo aumento del reddito pro capite si stanno spostando verso
la fascia media della domanda. Conseguentemente si parla di un’inversione di tendenza, di cui però
non esiste ancora evidenza statistica: imprenditori turchi e francesi hanno aperto attività rivolte ad una
fascia media di consumatori. Altrettanto hanno fatto imprese automobilistiche del calibro della Škoda.
Le tendenze positive degli ultimi anni (cfr. tabella 19) sembrano confermate dai dati del 2003, durante
il quale i redditi sono cresciuti a velocità più che doppia rispetto al Pil (+14% a fronte di una crescita
del prodotto lordo del +6,8%), così come i salari reali (+10,5%) trascinando i consumi ad una nuova
espansione (+7,9%).
Tab.19: Variazione percentuale dei salari e del reddito, 1995-2003
Salari reali
Reddito reale procapite
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
-28
6,4
5,7
-13,3
-22
20,9
19,9
16,2
10,5
0,8
6,3
-16,1
-12
Fonte: Goskomstat, 1996-2003
13,3
9,8
9,3
14
-16,1
20
Lo stipendio medio si aggira intorno ai 150 dollari al mese, ai quali bisogna aggiungere spesso vantaggi di altra natura o
compensi in "nero".
31
Oltre alla carenza di domanda, l’assenza di una forte ed efficiente rete distributiva incentiva le
imprese ad avvicinarsi il più possibile al mercato di sbocco, in particolare Mosca e San Pietroburgo,
che presentano dimensioni ottimali. Per le loro caratteristiche, quindi, queste aree costituiscono veri e
propri incubatori. Le imprese commerciali nascono e si sviluppano nelle grandi città, dove la domanda
è più forte e l’ambiente migliore, ma non è raro rilevare fenomeni di migrazione delle imprese, ormai
mature, che lasciano le grandi città per cercare realtà dove gli affitti e i salari siano meno elevati e la
concorrenza meno acuta.
(g) Sistema fiscale. Tra i problemi maggiormente lamentati dagli imprenditori vi è l’eccessivo carico
fiscale: le aliquote sono alte a fronte di vasti fenomeni di evasione e di elusione fiscale. Il peso del
mercato nero e delle imprese non registrate è allo stesso tempo ancora importante e indefinito, con
conseguenze negative immaginabili, che toccano diversi ambiti: dal gettito fiscale al sistema del
credito, dall’impossibilità di previsione di politiche mirate alle più generali ripercussioni sul tasso di
legalità del sistema.
(h) Ostacoli di ordine socio-culturale Alcune eredità culturali del periodo sovietico costituiscono un
ostacolo allo sviluppo delle Pmi: in particolare, la cultura della grandezza, il mito del “grande paese” e
la sfiducia verso le istituzioni associative di categoria.
Nel primo caso, le Pmi sono spesso poste in secondo piano, a causa della convinzione che la
Russia sia un grande stato con industrie di grandi dimensioni e grandi ambizioni, e come tale non
richieda né investimenti stranieri, né tanto meno piccole e medie unità di lavoro, siano esse produttive
o fornitrici di servizi. Nel secondo caso, la prassi sovietica dei sindacati come ulteriori “cinghie di
trasmissione” del piano ha lasciato in eredità un certo grado di sfiducia nei confronti delle istituzioni di
rappresentanza collettive (camere di commercio, unioni industriali, sindacati). Le associazioni degli
imprenditori funzionano male e sono deboli, in larga misura perché non godono della fiducia degli
imprenditori.
6. Le politiche russe e la proposta italiana: distretti in Russia? La politica della Federazione Russa
verso le Pmi ha avuto un andamento ondivago, diviso in due fasi distinte: una prima fase fatta di
iniziative crescenti e caratterizzata dall’istituzione del Ministero per le piccole imprese (fino al 1997),
ed una seconda contraddistinta dallo smembramento del Ministero e dall’assegnazione delle sue
competenze al Ministero per l’Antitrust. Nella prima metà degli anni novanta il governo, spinto anche
dalla pressione delle istituzioni internazionali, sembrava credere nella crescita del settore delle Pmi e
nel 1995 elaborò un dispositivo complesso di misure destinate a favorirne lo sviluppo. Nacque così
una struttura di fornitura di servizi per le Pmi, con la creazione di agenzie regionali che avrebbero
dovuto creare un ambiente legislativo propizio alle Pmi, rimuovendo gli ostacoli amministrativi. Si
studiò persino un programma di agevolazioni ed incentivi che prevedevano sgravi fiscali: era previsto
che nei primi due anni di attività le nuove imprese non dovessero pagare imposte sui profitti, il terzo
anno ne avrebbero corrisposto solamente il 25% ed il quarto il 50%, con la restituzione del debito dal
quinto anno.
32
Nella seconda metà degli anni Novanta, per un concorso di ragioni che vanno dalle pressioni degli
oligarchi, alla crisi finanziaria, passando per i deludenti risultati precedenti e lo scarso peso dei piccoli
imprenditori, la spinta delle istituzioni centrali cessò. I discorsi a favore delle Pmi sono ora spesso
confinati nei periodi pre-elettorali, quando, tutti i candidati sembrano avere a cuore l'argomento, senza
che una volta eletti diano seguito ai precedenti proclami. Gli ingenti profitti risultanti dal settore degli
idrocarburi, ad esempio, non sono mai stati impiegati per fornire incentivi al settore, al contrario per
far fronte ai debiti di bilancio le autorità hanno spesso accentuato la pressione fiscale sulle PMI, fino a
toccare tassi del 80-90% sui ricavi.
In attesa che la legislazione nazionale cambi trasferendo risorse e delegando funzioni e strumenti
fiscali ai poteri locali, gli unici attori che sembrano interessati a questa materia sono appunto le
regioni.
Il ruolo delle Regioni (Oblast) nello sviluppo delle Pmi sta assumendo un’importanza crescente,
nonostante una politica fiscale sfavorevole. Le regioni trattengono solo una parte (il 40 per cento) delle
tasse pagate dalle imprese presenti sul loro territorio. Questo incentiva gli enti locali ad attrarre e
favorire i grandi gruppi che possano garantire maggiori introiti fiscali per le loro casse. Una vera
politica fiscale a vantaggio delle Pmi implicherebbe la rinuncia da parte dello Stato delle imposte a
carico delle Pmi o almeno di gran parte di esse, con il contemporaneo trasferimento alle regioni delle
funzioni e delle competenze in materia. Nonostante questi fattori alcune regioni, come vedremo più
dettagliatamente in seguito, hanno iniziato ad attuare una politica localizzativa e di attrazione di
investimenti e creazione di progetti. A livello regionale si sta sviluppando una forte consapevolezza
delle esigenze del territorio.
In questo contesto l’Italia, all’interno delle iniziative di supporto all’internazionalizzazione, ha
avviato un progetto per “esportare” l’esperienza distrettuale in Russia, in partenariato con il ministero
russo dell’economia e soprattutto con le potenti autorità locali sparse per la Federazione.
Il progetto discende da due considerazioni principali.
Da un lato, l’Italia si trova in una posizione anomala nei confronti della Russia (cfr. paragrafi 2 e
3): l’Italia è un fondamentale partner commerciale, ma uno scarso investitore, con una quota degli Ide
pari a 1 miliardo e mezzo di dollari. La cifra, già bassa rispetto a quella degli altri paesi investitori,
diminuisce se si considera che il 90% é rappresentato da crediti, mentre gli investimenti diretti
accumulati superano di poco i 200 milioni di dollari. Il sistema produttivo italiano, per non perdere le
quote che detiene sul mercato russo, deve avviare processi di collaborazione più stretta, che prevedano
investimenti e partenariato, con la Russia.
D’altra parte, si è registrata una mutazione nei convincimenti e nelle politiche degli imprenditori
italiani, che sembrano aver capito che l'approccio passivo al mercato, la mancanza di insediamenti
produttivi, o anche solo di reti distributive e di vendita, sedi di rappresentanza e commerciali, li espone
al mutare dei fattori di costo, come si è verificato con la svalutazione del rublo del 1998. Il periodo dei
guadagni facili, dove bastava andare in Russia "a bordo di un furgone" è ormai definitivamente
tramontato e la concorrenza estera decisamente agguerrita.
33
Per guidare il processo di internazionalizzazione verso la Russia di cui l’economia italiana ha
bisogno e che sembra essere richiesto dagli imprenditori è stato avviato il progetto congiunto italorusso “Distretti in Russia”, tra il Dipartimento del commercio estero presso il Ministero delle attività
produttive e il Ministero dell’economia russo. Il progetto è fondato sul tentativo di sviluppare i distretti
industriali in Russia: data l’impossibilità di riprodurre un modello unico, che affonda le sue radici
nella storia dell’Italia, i russi cercano di attrarre Pmi distrettuali italiane attorno alle quali sviluppare
territori per la promozione di Pmi russe.
Il progetto prevede visite incrociate di delegazioni di imprenditori e funzionari, formazione,
promozione delle regioni russe e la messa a disposizione delle imprese impegnate nel progetto di
alcune linee di credito dedicate, gestite dalla banca statale Vneshtorgbank, che ha aperto linee di
credito di 10 mln € con Bnl, 30 mln € con Intesa, 10 mln € con SanPaolo Imi, oltre ad aver stipulato
vari accordi con Sace e Simest. Infine, esistono misure specifiche a favore delle entità collettive
(regioni, CCIAA, distretti, ecc...) grazie alle quali i loro rappresentanti possono richiedere
finanziamenti fino al 75% dell'investimento per studi di fattibilità, a patto che questi siano “collettivi”.
Finora sono stati avviati 4 progetti, due dei quali costituiscono notevoli successi. Il progetto
“Distretti in Russia” nel suo insieme, incontra però difficoltà sia dal lato russo sia, e soprattutto, dal
lato italiano, a causa della difficoltà delle nostre istituzioni nell’adottare politiche di indirizzo per
realtà spontanee e frammentate come i distretti industriali.
5. Conclusioni
In Russia è sempre così: si comincia con l’entusiasmo e si finisce con la delusione e l’abbattimento, in
attesa di nuove prospettive. Le note positive e le aspettative ottimistiche fanno presto a convertirsi nel
loro contrario, in Russia. L’affare Yukos ha confermato l’inadeguatezza del sistema giudiziario nella
difesa dei diritti di proprietà, ha sovvertito le attese favorevoli della prima metà del 2003 facendo
addirittura invertire la rotta e rovesciando l’andamento degli Ide diretti in Russia. Nella prima metà del
2003 erano attesi in Russia 12 miliardi di dollari di investimenti e crediti esteri. Ad agosto di
quest’anno il ministro dell’economia German Gref ha detto che le uscite di capitale aumenteranno da
2,9 mld $ nel 2003 a 8,5 mld $ nel 2004, ben al di sopra delle previsioni della Banca Centrale (6,5 mld
$). Inoltre il ritorno netto di capitali deve essere rimandato al 2006-07. Con il petrolio a 40 dollari al
barile, le riserve della Russia avrebbero potuto crescere nettamente conquistando la fiducia degli
investitori; ma gli esportatori russi hanno preferito elevare le loro attività finanziarie estere, anziché
favorire la ripresa degli investimenti interni.
Gli investimenti esteri netti costituiscono un indicatore che non si limita a segnalare gli Ide che
affluiscono in Russia ma è anche un indicatore che verifica l’afflusso di capitali russi che ritornano in
patria (si vedano le statistiche degli Ide). Se l’uscita netta di capitali aumenta vuol dire che
diminuiscono i capitali disponibili sia per gli investitori esteri sia per quelli nazionali.
Inoltre, la strage di Beslan può avere conseguenze avverse alla politica di Putin, che aveva
annunciato nel 2003 la battaglia contro gli oligarchi, principali esportatori di capitali. Questa battaglia
34
(com’è avvenuto già diverse volte in Russia nei secoli) ha contrapposto il potere centrale ai poteri
periferici (lo zar ai boiardi) che tendono a ostacolare e indebolire il potere centrale. Ora, la base
politica e sociale del titolare del potere centrale, il presidente Vladimir Putin, è costituita dai
funzionari dei servizi segreti e più in generale della sicurezza. Scegliendo tale sostegno, al di là di
quello anonimo dell’elettorato, egli aspirava a fondare il uso potere su una forza unica, neutra e
ubbidiente che avrebbe risposto soltanto al suo capo. Tuttavia i ministeri della forza hanno dimostrato
a Beslan tutta la loro inefficienza, svogliatezza e disinteresse per le aspirazioni popolari.
Putin è dunque costretto a costruire una nuova base sociale, cosa apparentemente impossibile;
oppure a disciplinare l’attività dei siloviki, riconquistandone la lealtà e inducendoli a riconoscere la
loro funzione storica di forza rinnovatrice dell’economia e della società russa, cosa altrettanto difficile.
35
Bibliografia essenziale
Boffito, Carlo, L’atteggiamento delle imprese italiane verso gli investimenti in Russia, Ice e Bci,
Milano, gennaio 2001, disponibile ondine presso http://www.ice.gov.it/
Fischer, Paul, Foreign Direct Investment in Russia – A strategy for industrial recovery, Macmillan,
Londra, 2000
Goskomstat R.F., Sozialno-economicheskoie polozhenie rossii, Mosca, 2002-2004
Global Insight, Planecon Report, varie uscite periodiche, Washington, 2003-2004
Kihlgren, Alessandro, Small business in Russia – factors that slowed its development: an analysis,
Commmunist and Post-Communist Studies, n°36, 2003, pagg. 193-207
Yavlinsky, Grigorii, Periferiinyi kapitalizm, Mosca 2004
World Bank, From Transition to Development – a country economic memorandum for the Russian
Federation, Mosca, aprile 2004, disponibile online: www.worldbank.org.ru
Siti di riferimento
Ufficio di mosca della Banca mondiale, www.worldbank.org.ru;
Russian Economics Trends, dati macro e microeconomici, www.recep.ru/phase4/en/ret/;
Center for Economic and Financial research CEFIR, Mosca, www.cefir.org;
Johnson Russia’s List, raccolta di notizie politiche, economiche e sociali aggiornate quotidianamente,
www.cdi.org/russia/johnson/;
Imepi, Istituto di ricerche di politica ed economia internazionale, www.transecon.ru;
Interviste
Nel corso del viaggio a Mosca (gennaio 2004) sono stati condotti interviste, incontri e seminari presso
le seguenti istituzioni: Tsemì, Istituto centrale di economia matematica; Cefir, Centro per la ricerca
economica e finanziaria, Mosca; Moscow High School of Economics, Mosca; Nisse, Istituto
nazionale di ricerche sistemiche sui problemi dell’impresa, Mosca; Imepi, Istituto di ricerche di
politica ed economia internazionale, Mosca; KMB, Banca per la piccola impresa, Mosca; Camera di
Commercio di Mosca; Ministero dello sviluppo economico e del commercio, Dipartimento dei
Paesi Europa.
36
37