5 Scientifico A trattazione sintetica argomenti di fisica 2014 – 2015

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SCUOLA SUPERIORE ANNO SCOLASTICO 2014-2015
CLASSE 5 scientifico A
Argomenti di fisica svolti durante l’anno 2013-2014
( insegnante M. Grazia Bevitori)
Rappresentanti di classe:
Gian Luca Berti - Mattia Censoni
1. La luce: Onda elettromagnetica. Le onde elettromagnetiche (luce, onde radio, microonde, onde TV) si propagano
anche nel vuoto con la velocita' C = 3x10 8 m/s, non hanno bisogno di mezzo di trasmissione perché ciò che vibra è un
campo elettromagnetico. Le onde descritte da una funzione seno o coseno (sinusoidale o cosinusoidale), sono dette
armoniche. Grandezze caratteristiche di un'onda sono: ampiezza A in metri, periodo T in secondi, (tempo in cui avviene
una oscillazione completa), frequenza  = 1/T in Hz, (Hertz) numero di oscillazioni al secondo, lunghezza d'onda  in
metri, ( distanza minima fra due punti che vibrano in fase); v = x , velocita' dell'onda.
Luce visibile rosso:  = 0,7m;
= 0,4x1015 Hz violetto:  = 0,4m; f = 0,7x1015 Hz .
C = x f3 x10 8 m/s.
Secondo la teoria ondulatoria di Huygens (1670), la luce si propaga come un'onda attraverso un mezzo trasparente che
permea tutto l'universo: l'etere. Newton invece formulò una teoria corpuscolare: la luce emessa da una sorgente luminosa
è formata da uno sciame di corpuscoli che procedono nello spazio in linea retta a velocità altissima.
Nel secolo XIX si dimostrò che la luce si comporta come un'onda elettromagnetica e si propaga nel vuoto (l'etere non
esiste). La teoria corpuscolare di Newton sembrò quindi sbagliata fino a quando all'inizio del 1900, Albert Einstein propose
una nuova teoria corpuscolare, perché in certi fenomeni ( es. effetto fotoelettrico), quando la luce interagisce con la
materia, essa si comporta come se fosse costituita da "granuli" (fotoni o quanti di luce). Ogni fotone trasporta un quanto di
energia proporzionale alla frequenza dell'onda elettromagnetica ( E = h x  dove h è la costante di Planck che vale
6,626 x10-34 Js) e cede questa energia alle particelle dei corpi che colpisce (come negli urti meccanici fra bilie). La luce ha
quindi una doppia natura (corpuscolare e ondulatoria).
Interferenza: L'interferenza è un effetto che coinvolge esclusivamente fenomeni ondulatori. La luce ha natura ondulatoria.
Infatti produce figure di interferenza, se si sovrappongono più onde.
Se guardiamo l'immagine di due fenditure su uno schermo, ci aspettiamo di vedere due strisce di luce. Invece, se le
fenditure sono piccole e abbastanza vicine si produce un disegno caratteristico di molte strisce molto più grandi delle
fenditure, dovuto alla cosiddetta interferenza della luce proveniente dalle due fenditure.
Si tratta dell'esperimento di Thomas Young (1800) della doppia fenditura. Per produrre due onde coerenti la luce di una
singola sorgente viene fatta passare attraverso un singolo foro e poi divisa in due facendola passare attraverso le due
fenditure. Così le due sorgenti hanno la stessa frequenza e lunghezza d’onda e vibrano in fase. Questo esperimento mise in
crisi il modello corpuscolare della luce, modello fino ad allora considerato valido dai tempi di Newton.
2
Facendo l'esperimento con luce monocromatica si ottengono sullo schermo righe luminose e righe scure (frange di
interferenza). Quando le onde arrivano in un punto P sullo schermo posto a distanza L , si sommano e se
| L1 – L2 | = mfanno interferenza costruttiva . Se | L1 – L2 | = (m + ½ )fanno interferenza distruttiva. Da queste
relazioni si può ricavare la lunghezza d’onda della luce ( d Y/L = m , vedi figura sotto).
L1
P1
S1
Y

L2
d
P


S2 H
| L1 – L2 | = S2H = d sen ;
sen   tan = Y / L
d Y/L = m ;  = dY / mL
d: distanza tra S1 ed S2.
Questo fenomeno va sotto il nome di interferenza e non può essere spiegato tramite la teoria corpuscolare della luce.
Secondo tale teoria, infatti, si dovrebbero ottenere esattamente due frange, essendo due le fessure. Quello che si ottiene,
invece, sono molte frange chiare e scure.
L’esperimento di Michelson-Morley (1887) : ricerca dell’etere.
Per la fisica classica le onde (luminose, sonore, etc.) dovevano avere un mezzo che consentisse la loro propagazione nello
spazio. Nel caso della luce si era ipotizzata l’esistenza di un “etere luminifero” come mezzo di propagazione. Durante il 18
esimo secolo si riteneva che lo spazio fosse formato da una sostanza invisibile a cui i fisici diedero il nome di etere e che
ogni corpo in movimento nell’universo producesse un vento d’etere che si muoveva alla stessa velocità del corpo in
movimento, ma con direzione opposta. Per esempio, la Terra si muove nell’universo a 30 km/s perciò ci dovrebbe essere un
vento a 30 km/s che spazzerebbe la Terra in direzione opposta al proprio cammino. Qualsiasi cosa immersa nell’etere
sarebbe influenzata dal vento, compresa la luce. Albert Abraham Michelson ed Edward Morley effettuarono esperimenti
per misurare la velocità della luce in diverse direzioni rispetto all’etere, usando a tale scopo uno strumento che prese il
nome di interferometro di Michelson - Morley. L’interferometro permette di suddividere un fascio di luce in due fasci che
viaggiano seguendo cammini perpendicolari e vengono poi nuovamente fatti convergere su uno schermo, formandovi una
figura di interferenza. Un eventuale vento d’etere avrebbe comportato una diversa velocità della luce nelle varie direzioni e,
di conseguenza, uno scorrimento delle frange di interferenza al ruotare dell’apparato rispetto alla direzione del vento
d’etere. Ripetendo l’esperimento molte volte e in diversi periodi dell’anno (quando la velocità della Terra cambia rispetto al
Sole e quindi rispetto al sistema di riferimento dell’etere) non si trovò traccia di un vento d’etere in quanto la velocità della
luce era indipendente dalla direzione e di poco inferiore a 300000,0 km/s. L’esperimento fatto in tempi diversi e in luoghi
diversi per oltre 50 anni e non ha dato variazioni nella figura di interferenza. Questo dimostra l’assenza di etere. La luce
non ha bisogno di un mezzo in cui propagarsi in quanto è un’onda elettromagnetica e la sua velocità è una costante.
Einstein allora mise in discussione le trasformazioni galileiane, lo spazio e il tempo, non più considerati assoluti.
2. I postulati della relatività speciale o ristretta (1905)
- Le leggi della fisica sono le stesse in tutti i sistemi di riferimento inerziali (anche le leggi dell’elettromagnetismo). Non
esiste un sistema di riferimento privilegiato
- La velocità della luce nel vuoto ha lo stesso valore C in tutti i sistemi di riferimento inerziali indipendentemente dal moto
della sorgente o dell’osservatore. ( C non si somma o si sottrae ad altre velocità).
Partendo da questi due principi, le trasformazioni galileiane non sono più valide per velocità relativistiche e vengono
sostituite dalle trasformazioni di Lorentz. La conseguenza più difficile da accettare è che spazio e tempo non sono più
assoluti, come dice la fisica classica di Newton, ma dipendono dallo stato di moto del sistema che viaggia con velocità v.
Le trasformazioni di Lorentz:
Trasformazioni galileiane:
x' = (x ─ vt) / √(1─ v2/c2)
x' = x ─ vt
y' = y
y' = y
z' = z
z' = z
t' = [(t ─ (v • x /c2)] / √(1─ v2/c2)
t' = t
3
le inverse diventano:
x = (x' + vt)/ √(1─ v2/c2)
y = y'
z = z'
t = [(t' + (v • x'/c2) ] / √(1─ v2/c2)
Contrazione delle lunghezze:
xb – xa = (xb’ – xa’) / √ (1 – v2/c2)
Lo = xb – xa ; L = xb’ – xa’;
allora xb’ - xa’ = (xb - xa)∙ √ (1 – v2/c2)
L = Lo •√(1─ v2/c2);
L = xb’ – xa’ ; lunghezza vista in movimento, misurata dall'osservatore che è in moto relativo
rispetto all'oggetto da misurare; per questo osservatore la lunghezza risulta contratta.
Lo = xb – xa ; è la lunghezza propria: la lunghezza dell'oggetto osservato nel suo sistema di
riferimento, dove è in quiete, (esempio la traiettoria di una particella vista dal sistema terrestre, solidale
con essa). Un’asta vista in movimento con velocità v, appare contratta nella direzione del moto del
fattore 1/ = √ (1 – v2/c2) . Una particella in moto vede la sua traiettoria contratta. L < Lo.
Dilatazione degli intervalli di tempot = t2 – t1 . t = to/ √(1─ v2/c2)
La durata di un fenomeno visto in movimento risulta dilatata del fattore = 1/√ (1 – v2/c2) rispetto
alla durata del fenomeno visto in quiete.
t : intervallo di tempo fra due eventi, visti in due posizioni diverse, quindi visti in movimento da un
sistema in quiete. Esempio: la formazione di una particella in alta atmosfera e il suo decadimento
sulla superficie terrestre avvengono in luoghi diversi in un tempo t misurato da terra. ( t > to).
to : tempo proprio, intervallo di tempo fra due eventi che avvengono nello stesso luogo, nel proprio
sistema di riferimento, quindi misurato nello stesso luogo. Esempio: la particella che nasce e decade
nel suo sistema di riferimento (to < t).
Esempio della particella che viaggia con velocità v rispetto ad un riferimento terrestre: il tempo di vita to della particella
nel suo sistema di riferimento (tempo proprio), si dilata per un osservatore che vede la particella in moto. Il tempo diventa
t che è maggiore di to. La traiettoria percorsa dalla particella, misurata dal sistema terrestre è Lo (lunghezza propria)
perché è misurata in quiete. La particella invece, dal suo sistema di riferimento vede la traiettoria muoversi con velocità v,
quindi la vede contratta e la misura risulta L < Lo. I due punti di vista sono equivalenti.
v = Lo / t per il sistema di riferimento terrestre in quiete.
v = L / to per il sistema di riferimento della particella in moto.
- Addizione relativistica delle velocità: secondo Galileo il tempo è assoluto, rimane lo stesso.
u' = u - v
;
u’ = x’/ t;
u = u' + v.
u=x/t
dove u è la velocità rispetto ad un sistema fisso, solidale con la Terra , v è la velocità del sistema di riferimento in moto
(esempio: astronave), u’ è la velocità all’interno del sistema in moto.
La legge di composizione relativistica delle velocità diventa:
u = (u'+ v) /(1 + u'v/c2)
;
u' = (u - v) /(1 - uv/c2)
si ricava applicando le trasformazioni di Lorentz:
u’ = x’ / t’ ;
x' = (x ─ vt) / √(1─ v2/c2);
t' = [(t ─ (vx /c2)] / √(1─ v2/c2)
u’ = (x ─ vt) / √(1─ v2/c2) / [(t ─ (v x /c2)] / √(1─ v2/c2)
u’ = (x ─ vt) / [(t ─ (vx /c2)]
4
u’(t ─ (v x /c2) = x – vt ; x + (v x /c2) = u’t + vt ; x(1 + (v x /c2) ) = t(u’ + v);
x/t = (u’ + v) / (1 + (v x /c2)
Applicando questa trasformazione non si supera mai la velocità della luce. C resta costante. Esempio:
Un’astronave viaggia con velocità V = 0,8C
Un raggio di luce viene emesso dentro l’astronave con velocità u’ = C,
secondo Galileo u = 0,8C + C = 1,8C.
u = (0,8C + C) / (1 + 0,8C•C/C2) = 1,8C/1,8 = C.
Invece C è invariante:
Un’altra conseguenza fondamentale è che la massa non è costante
Affinché si conservi la quantità di moto P e non si superi mai la velocità c, occorre cambiare la concezione di massa
costante in qualsiasi sistema, e introdurre il concetto che la massa dipende dal suo stato di moto, non è una costante, ma
dipende dal sistema in cui viene eseguita la misura.
Così la massa diventa:
m = mo / √(1- v2/c2)
a riposo vale mo, ma se il corpo si muove, la massa diventa massa relativistica .
Poniamo v2/c2 = x, e scriviamo il fattore= 1/ √(1 – v2/c2) come la funzione f(x) = (1 - x)-1/2
Sviluppando la funzione f(x) =
(1- x)-1/2 in serie di Maclaurin :
Calcolando le derivate per x = 0, otteniamo:
f(x) = 1 + 1/2 x + 3/8 x2 + 5/16x3 + …. + (f(0)n /n! ) xn ;
sostituiamo x = v2/c2, moltiplichiamo per mo e trascuriamo i termini con potenza superiore a 2
m = mo · (1 + 1/2 v2/c2 + 3/8 v4/c4 + ….).
Rimane
m = mo · (1 + 1/2 v2/c2) .
Moltiplicando per C2
m C2 = mo C2 + 1/2 mo v2 ;
che è l’energia totale E di un corpo
2
E = mC
E tot = E (riposo) + E (cinetica).
moC2 è l’energia a riposo di un corpo, quindi anche la massa è una forma di energia
Ec = mC2 - moC2
Ec = moC / √(1 – v /c ) – mo C2 = moC2 ( 1/ √(1 – v2/c2) - 1)
L’energia cinetica Ec diventa :
2
2
2
Ec = moC2 ·(  - 1)
Le particelle subatomiche (elettrone, protone, neutrone, mesone etc.) hanno una massa che si esprime anche in energia
(Joule). La massa dell'elettrone è di 9,11 • 10-31 Kg. Ma il chilogrammo è un'unità troppo grande per le particelle su scala
nucleare. L'energia a riposo in Joule di un elettrone è:
Eo = mc2 = (9,11 · 10-31 kg) · (3 · 10 8 m/s)2 = 8,1 •10-14 J
5
Anche il Joule è un'unità troppo grande su questa scala, un po' come se noi pretendessimo di misurare le nostre altezze in
anni luce. Allora si utilizza l'elettron -Volt, eV, definito come l'energia posseduta da un elettrone che si muove nella
differenza di potenziale di un Volt. Poiché la carica di un elettrone vale 1,6 •10-19 C , si ha:
1 eV = 1,6 •10-19 C · 1 V = 1,6 •10-19 J
(1 Volt è pari ad 1 Joule / Coulomb). L'energia a riposo di un elettrone vale perciò:
Eo = 8,1 •10-14 / 1,6 •10-19 = 511000 eV = 0,511 MeV
Un protone ha massa a riposo mo = 1,67• 10 -27 kg = 939 MeV
Eo = moC2 = 1,67• 10-27 • ( 3• 108)2 = 1,503 • 10-10 J
Eo = 1,503 • 10-10 / 1,6 •10-19= 939 Mev
Il protone ha una massa che è circa 2000 volte quella dell’elettrone.
Carica elettrica: è una proprietà della materia che genera la seconda forza presente nell’universo (la forza
3.
elettromagnetica). Le particelle atomiche possiedono cariche, convenzionalmente, il protone + e l’elettrone
-.
Se la materia perde o acquista elettroni , si dice che si carica, per cui fra due corpi elettrizzati, si manifesta una forza
attrattiva o repulsiva, detta Forza di Coulomb. Quantizzazione della carica: le cariche presenti in natura, o prodotte, sono
multipli interi di una quantità minima, indivisibile (quanto di carica) che in valore assoluto è la carica dell’elettrone
( 1,602·10-19 C). (La carica dell’elettrone è una costante fondamentale della fisica).
Legge di conservazione della carica: la somma algebrica delle cariche elettriche di un sistema isolato si mantiene
costante, qualunque siano i fenomeni che in esso hanno luogo.
4.
Legge di Coulomb: Due corpi puntiformi elettricamente carichi interagiscono con una forza F attrattiva o
repulsiva che è direttamente proporzionale al prodotto delle cariche, inversamente proporzionale al quadrato della distanza
r. La costante di proporzionalità K dipende da mezzo interposto (dielettrico). Per il vuoto Ko = 9·109 Nm2/C2, e viene
espressa come Ko = 1/(4o)
F = Ko· q1·q2 ∕ R2 ;
dove o = 8,859·10-12 C2/Nm2 , è detta costante dielettrica del vuoto. In formula:
F = 1/(4o) · q1·q2 ∕ R2
è massima nel vuoto.
In un dielettrico diverso (vetro, acqua, olio…), la forza diminuisce. Si divide la forza nel vuoto Fo per r, costante
dielettrica relativa, tipica del dielettrico considerato (per l’acqua r vale circa 80) .
F = 1/(4o·r) · q1·q2 / R2
5.
Campo elettrico: Se in una zona dello spazio è presente un corpo carico, esso fa sentire la propria azione su altri
corpi carichi. Si definisce il vettore campo elettrico
agisce sull’unità di carica. In formula:
E, in un punto dello spazio, la forza risultante F che, in quel punto,
E = F/q , si misura in N/C (oppure Volt/metro). Quindi in ogni punto P dello
spazio esiste un vettore (che ha modulo, direzione e verso) e l’insieme di questi vettori costituisce il campo elettrico
generato. Una carica Q isolata, puntiforme, genera un campo radiale, che diminuisce col quadrato della distanza r, diretto
lungo r. Il campo si rappresenta mediante linee di forza orientate (linee di Faraday), che in ogni punto hanno come
tangente il vettore campo E. Conoscendo l’intensità del campo E, La forza che agisce su una carica q è data da
F = E·q.
Configurazioni di campi:
Carica isolata ( campo radiale)
+
Due cariche di segno uguale
_
+
+
6
Due cariche opposte
Lamina sottile
(dipolo)
Due lamine (condensatore)
(uniforme all’interno nullo all’esterno)
(campo uniforme)
++++++++++++
_
+
++++++++++++
++ +
_____________
Per una sfera di raggio ro, caricata con carica Q, il campo all’interno è nullo, perché internamente non ci sono cariche, sulla
superficie ha valore massimo E= K∙ Q/ro2 , all’esterno diminuisce col quadrato della distanza.
+ ++ +
+
+
+
E=0
+
+
+
+
+
+ + ++
E
ro
6.
Energia potenziale e potenziale elettrico: la forza elettrostatica è una forza conservativa. Il lavoro che essa compie
quando una carica si sposta da un punto A ad un punto B all’interno del campo elettrico, dipende solo dalla posizione
iniziale e finale, non dal percorso. Il lavoro si esprime come differenza fra l’energia potenziale
UA e l’energia potenziale
UB. L’energia potenziale posseduta dalla carica q, che si trova nel punto A, a distanza r da Q, generatrice del campo, è
l’energia di posizione dovuta al lavoro fatto per portare, la carica q vicino a Q, nel punto A, partendo da distanza molto
grande, teoricamente da distanza infinita. Quindi quando la forza sposta la carica q da distanza r fino a distanza infinita
(cioè molto grande), dove U = 0, fa lavoro
Q genera il campo
L = UA - Uinfinito ,
q si sposta
cioè
L=F∙r =
L = UA.
∫
U si misura in Joule.
KQq/r2 dr = - KQq/r
Q + ________________q+_________________
rA
L = - KQq/rB - ( - KQq/rA ) = KQq/rA
rB
- KQq/rB
; L = UA – UB
Il potenziale V in un punto P del campo è l’energia potenziale in quel punto per unità di carica.
V = U/q si misura
in J/C che si chiama V (volt). La differenza di potenziale V (o d.d.p., o tensione ) VA – VB tra due punti del campo, è
il lavoro che la forza compie per unità di carica, è in pratica il lavoro del campo elettrico E. U e V sono scalari.
→
V = K Q /r ;
VA – VB = (UA – UB) /q = L/q
L = (VA – VB) · q ;
VA – VB = ( F /q) · r = E · r ;
la differenza di potenziale VA – VB è il lavoro del campo E
V = U/q = KQq/(rq)
7
7.
 del campo E attraverso una superficie A, il prodotto fra E e la
Flusso del campo elettrico: si definisce flusso
superficie perpendicolare al campo (se la superficie è parallela al campo, non viene attraversata dalle linee di forza , quindi
il flusso è nullo). Il flusso mette in relazione il campo E con le sue sorgenti che sono le cariche elettriche generatrici del
campo. Mediante il Teorema di Gauss, possiamo calcolare il valore di vari campi E.
Flusso generato da una carica isolata attraverso una superficie chiusa: il campo è radiale, quindi la superficie
perpendicolare al campo è la sfera (vedi figura).
E1
S E2
E = 1/4o ∙ Q /r2 ;
 = E∙ S ∙ cos 
E

S
S
E3
r
Q +
S
r
S ;  = E∙ S

S E4
SSSS = SSSSn = ∙r2
E∙SSSSn1/4o ∙ Q/r2∙r2Q/o
Questo risultato valido per la sfera è valido per ogni superficie chiusa. Il teorema di Gauss dice che il flusso del
campo E attraverso qualsiasi superficie chiusa è uguale alla somma di tutte le cariche racchiuse dentro la superficie
diviso la costante del dielettrico.
Qi / o
le cariche sono le sorgenti del campo elettrico (1a equazione di Maxwell)
Campo di una lamina carica
di area A
 = E · 2A = Q/ o
E = Q/(2Ao) = o
E
E uniforme
++++ ++++++++++++++++++++++++
 = Q/A
è la densità superficiale di carica
(carica su 1 m2 di superficie)
______________________________:
Campo di due lamine cariche
di area A (condensatore piano)
++++++++++++++++++++++++++++
E = o
Campo di un filo carico lungo L
 = E · 2rL = Q/ o
 = Q/L
+ + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + densità lineare
E = Q / (2rLo) = /(2r o)
8.
Capacità elettrica: la capacità elettrica di un conduttore è il rapporto fra la carica Q presente sul conduttore e il
potenziale V a cui il conduttore si trova; è cioè la quantità di carica sul conduttore per ogni volt di potenziale. Si misura in
C/V, che è il Faraday (F).
C = Q/V. La capacità di una sfera di raggio r, nel vuoto è:
C = Q / ( KQ/r)
semplificando Q, diventa:
C = 4o r ; la capacità dipende solo dalle caratteristiche geometriche e dal dielettrico.
+
+
+
+
+
+
r
+ + +
+
+
+
+
8
Condensatore piano: si chiama condensatore piano una coppia di conduttori a forma di lamine sottili, una di fronte
all’altra (armature) separate da un dielettrico (cioè un isolante).La capacità C di un condensatore è:
C = Q /( VA – VB ) ; poiché
VA – VB = E∙ d , dove d è la distanza fra le armature,
diventa C = Q /Ed ; ma E = allora C = Q· o/ (· d );  = Q/A ; C = Q· o A/ (Q· d)
C = o · A / d
All’interno di un condensatore il campo è uniforme, vale E =/o. Una particella carica, quando entra con velocità v, in
un condensatore carico, viene accelerata e deviata dal campo, si muove di moto parabolico.
______________________________:
.
e-
++++++++++++++++++++++++++++
9.
Lavoro di carica di un condensatore (energia): per caricare un condensatore occorre trasportare una carica
+Q sull’armatura che si carica positivamente e contemporaneamente una carica – Q sull’altra armatura negativa.
Il lavoro è dato da L = Q V, ma nella fase di carica V e Q non sono costanti, V cresce proporzionalmente
all’aumentare di Q, vedi grafico. Il lavoro di carica è quindi l’energia immagazzinata nel condensatore, è rappresentata
dall’area tratteggiata nel grafico. (triangolo).
L = Q ∙ V /2 ; ponendo Q = C ∙V allora L = 1/2 ∙ C ∙ V2 oppure L = Q2/(2C) ; perché
V = Q/C.
L = ∫ V dq =

V
∫ q/C dq = q2/2C = Q
2
/2C
Joule.
L
0
10.
Q
q
Collegamento in serie di condensatori: Si collegano come in figura ; su tutte armature è presente la stessa carica
elettrica ( +Q e –Q). La d.d.p. V si distribuisce sui condensatori in serie in modo che V = V1 + V2 + V3…… allora
Q/C1 + Q/C2 + Q/C3 = Q/Ce ; allora
+Q
+
- +
- +
-
1/Ce
= 1/C1 + 1/C2 + 1/C3 ………
-Q
Serie
V
+
- + - + V1
V2
V3
La capacità equivalente di n condensatori in serie è tale che il suo reciproco è uguale alla somma dei reciproci delle
singole capacità.
11.
Collegamento in parallelo di condensatori: le armature sono tutte alla stessa d.d.p. V; la carica si distribuisce sulle
armature in modo che
Q = Q1 + Q2 + Q3 allora Ce V = C1V + C2V + C3V ; semplificando V la capacità di
un collegamento di n condensatori in parallelo è data dalla somma delle capacità dei singoli condensatori.
Parallelo
C = Q/V allora Q = CV
Ce = C1 + C2 + C3 ……
Q1 +
- C1
Q2 +
- C2
Q3 +
- C3
V +
-
9
12.
La corrente elettrica nei conduttori solidi:
la corrente elettrica è uno spostamento ordinato di cariche elettriche che si ha in un conduttore quando ai suoi estremi
viene applicata una d.d.p. L’intensità di corrente è la quantità di carica che attraversa la sezione di un conduttore in
un secondo; i = q/t. ( E’ la derivata prima, rispetto al tempo della funzione q(t )) . E’ una grandezza fisica, la sua unità
di misura è l’Ampère (A). (Nel sistema internazionale è una misura fondamentale, come il metro, il kg, il secondo).
1 A = 1 C/1sec. I portatori di carica in un metallo sono gli elettroni esterni degli atomi: questi elettroni, delocalizzati, sono
liberi di muoversi da un atomo all’altro. Invece gli ioni positivi occupano i nodi del reticolo cristallino e possono compiere
piccole oscillazioni intorno alla posizione di equilibrio, per agitazione termica, ostacolano quindi il moto delle cariche e
sono responsabili della resistenza elettrica che gli elettroni incontrano quando si muovono all’interno di un conduttore. Gli
elettroni si muovono da punti a potenziale minore, verso punti a potenziale maggiore, in verso contrario al campo (dal – al
+). Per convenzione invece il verso della corrente è quello dal + al - , come se fossero cariche positive a spostarsi. Questo
perché, quando si cominciò a studiare le correnti, non si conosceva ancora l’esistenza dell’elettrone, scoperto da Joseph
John Thomson (1856-1940), intorno al 1897. Ebbe il premio Nobel nel 1906.
13.
Le leggi di Ohm: se ai capi di un conduttore si applica una d.d.p. V, esso viene attraversato da una intensità di
corrente i, tale che vale la seguente relazione:
R = V/i dove R è costante e viene detta resistenza elettrica. La sua unità
di misura è l’ ohm: 1  = 1V/1A.
1a legge di Ohm:
V = R i ; i conduttori che seguono questa legge sono detti ohmici ; R è una grandezza caratteristica
del conduttore e dipende dalle condizioni in cui esso si trova (temperatura, pressione). Se R è grande, la corrente che
circola sarà piccola (inversa proporzionalità fra R ed i), R esprime la difficoltà che incontrano le cariche a muoversi nel
conduttore. R dipende dalle caratteristiche geometriche e chimiche del conduttore; questo viene espresso nella
2a legge di Ohm:
R =  L/A dove è la resistività del materiale (caratteristica chimica), L è la lunghezza del conduttore (filo), A è
l’area della sua sezione. La resistività  è molto piccola nei metalli, ma cresce con la temperatura. Il movimento degli
elettroni di conduzione è ostacolato dalle vibrazioni degli ioni del reticolo cristallino. Con l’aumentare della temperatura
cresce l’ampiezza delle oscillazioni degli ioni attorno alle loro posizioni di equilibrio nel cristallo, quindi aumenta la
resistenza elettrica R.
R aumenta se il conduttore è molto lungo oppure ha sezione piccola (filo sottile).
14.
Potenza - Effetto Joule: consiste nella produzione di una quantità di calore Q da parte di un conduttore di resistenza
R, quando è attraversato da una intensità di corrente i =q/t, per un certo tempo t. Ricordando che quando una carica q si
sposta da potenziale VA a potenziale VB, il lavoro che le forze compiono è dato da L = q (V A-VB) e sapendo che la potenza
è il lavoro compiuto in un secondo di tempo ( W = L/t in Watt), allora l’energia erogata dal generatore U, pari a L, nella
resistenza si trasforma in calore. Chiamando V = VA-VB l’energia è :
U = q ·V ;
ponendo q/t = i, allora U = i V t ; ma i = V/R , quindi U = V2 t /R, oppure U = i2 R t.
Dividendo per t si ottiene la potenza W.
L’energia al secondo (potenza) è : W
= i·V, oppure ponendo V = R i , diventa W = i2 R in Watt, o anche
W = V2 / R
Questa è l’energia che si trasforma in calore (unità di misura joule o kcal, 1 kcal =4186 J). Le stufe elettriche, il ferro
da stiro, le resistenze di un forno elettrico, l’asciugacapelli, sfruttano l’effetto Joule: trasformano l’energia elettrica in
calore).
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15.
Resistenze in serie in un circuito: si collegano i resistori unendoli uno di seguito all’altro,in modo che siano
attraversati dalla stessa intensità di corrente i. La d.d.p. erogata dal generatore si divide in parti direttamente proporzionali
alle singole resistenze. Avremo quindi diverse d.d.p. (cadute di tensione), ai capi di ciascuna resistenza, ma per la
conservazione dell’energia, la somma di queste tensioni parziali ( V1, V2, V3, come in figura) ai capi delle singole
resistenze, sarà uguale alla d.d.p. (o forza elettromotrice) erogata dal generatore. La conservazione dell’energia in un
secondo principio di Kirchhoff, (legge delle maglie): cioè
V1 + V2 + V3 = V per tre resistenze in serie : R1i + R2i + R3i = Rei dove i è la stessa nel circuito.
Semplificando i troviamo che la resistenza equivalente di un circuito in serie è pari alla somma delle singole
resistenze: R1 + R2 + R3 = Re .
circuito è il
Serie
R1
parallelo
R2
+
16.
+
R3
R1
R2
R3
_
_
Collegamento di resistenze in parallelo: il collegamento in parallelo viene realizzato in modo che tutte le
resistenze siano soggette alla stessa tensione (o d.d.p.). La corrente si divide invece nei vari rami del parallelo, ma per la
conservazione della carica, la corrente in entrata è uguale alla somma delle correnti in uscita; in un nodo le correnti in
entrata sono positive, le correnti in uscita sono negative, quindi in un nodo la somma algebrica delle correnti è 0 A.
primo principio di Kirchhoff. Nel nodo A avviene che i = i1 + i2 + i3. Per la 1a legge di Ohm
V/Re = V/R1 + V/R2 +V/R3 fra i punti A e B c’è la stessa d.d.p. V , ne segue che
Questo è il
1/Re
= 1/R1 + 1/R2 + 1/R3
nel nodo A la corrente i entrante è uguale alla somma delle correnti uscenti.
la resistenza equivalente del circuito Re è tale che il suo inverso è uguale alla somma degli inversi delle singole resistenze.
i2
i1 - i2 - i3 - i4 = 0
i1
A
i3
i4
Nel nodo A
i1 = i2+i3+i4
17. Campo magnetico: Esiste in natura un minerale di ferro: la magnetite (noto già nel 6° secolo a.C. al filosofo Talete)
che ha la proprietà di attirare materiale ferroso. Anche l’acciaio acquista questa proprietà se entra in contatto con la
magnetite (si magnetizza soprattutto agli estremi). Le sostanze ferromagnetiche si magnetizzano (Fe, Co, Ni e le loro leghe,
l’acciaio per esempio). Una calamita genera nello spazio circostante un campo di forze che chiamiamo campo magnetico B.
Poiché non esiste una carica magnetica isolata (monopolo Nord o monopolo Sud), per evidenziare il campo di forze si
utilizza un ago magnetizzato (ago della bussola) che sotto l’azione delle forze magnetiche si orienta nella direzione del
campo. Le linee di forza sono chiuse perché non c’è carica magnetica, per convenzione seguono il verso Nord-Sud e
continuano anche dentro la calamita dal Sud al Nord senza interruzione, non come nel campo elettrico dove le sorgenti
sono le cariche e quindi le linee di forza partono dalle cariche generatrici del campo elettrico.
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18. Le sorgenti del campo magnetico: ancora oggi non è stato possibile isolare le cariche magnetiche (monopoli). Le
esperienze di Oersted (1820) dimostrano che una corrente elettrica genera nello spazio circostante un campo magnetico H.
Il campo però lo si indica con B (induzione magnetica).
In un conduttore rettilineo percorso da una corrente di intensità I, il campo magnetico B nello spazio circostante avrà le
linee di forza come in figura e la sua intensità in un punto distante r dalla corrente è :
B = o·I / (2··r) ( legge di Biot-Savart - Ampère).
Il campo magnetico B ha un'intensità proporzionale alla corrente e inversamente proporzionale alla distanza dal filo.
Prima regola della mano destra
Per visualizzare il verso delle linee di campo si usa la nota regola della mano destra: il
pollice va nel verso della corrente e le altre dita si avvolgono intorno al filo secondo il
verso delle linee di campo.
19. Legge di Ampère. Le esperienze di Ampère (1775 – 1836) dimostrano che due correnti di verso uguale si
attraggono, due correnti di verso opposto si respingono con una forza F direttamente proporzionale al prodotto delle
correnti per la lunghezza dei conduttori e inversamente proporzionale alla distanza fra i conduttori.
F
F
i1
i1
i2
i2
F
F
Se i1 ed i2 sono le correnti, d è la distanza tra i fili, L è la lunghezza di ciascun filo, la forza F è:
F = ( Ko · i1 · i2 · L) / d ;
Ko = o/(2);
Legge di Ampère
o = (4) ·10-7 = 1,26 ·10-6 N/A2 ; (permeabilità magnetica del vuoto)
Ko = o/(2) = (4) ·10-7/(2) = 2 · 10-6 N/A2
20. Levitazione magnetica. Le esperienze di Faraday (1791–1867) dimostrano che un filo percorso da corrente sente
l’azione di un campo magnetico B, perché la corrente produce anch’essa un campo intorno al filo con linee di forza
circolari chiuse. Se il filo percorso da corrente i , è immerso nel campo B e forma con B un angolo  , subisce una forza
perpendicolare a i e a B, tale che
F = i B L sen , dove L è la lunghezza del filo (legge di Laplace) . Se B e i sono paralleli (  = 0°) la forza F è nulla.
Se i e B sono perpendicolari fra loro,( = 90°) la forza F è massima. Da tutte queste esperienze si ricava che un campo
magnetico è generato da cariche elettriche in moto e che le correnti sono soggette alle forze dovute al campo magnetico.
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Quindi: le cariche in moto sono le sorgenti del campo magnetico. Nelle calamite il campo magnetico è generato da
microcorrenti dentro il materiale; oggi sappiamo che queste microcorrenti nascono dal moto circolare che tutti gli
elettroni compiono ordinatamente con lo stesso verso, intorno al nucleo: possiamo immaginare che i piani di rotazione
siano tutti orientati nello stesso modo. Questa è l’ipotesi di Ampère per spiegare il magnetismo dei materiali ferromagnetici
ed è una ipotesi molto avanzata perché ai tempi di Ampère non si conosceva l’esistenza degli elettroni e non si sapeva
niente della struttura atomica.
L'esperimento di Faraday fu eseguito per la prima volta nel 1821: un filo conduttore è posto tra i due poli di un magnete e
può muoversi solo in verticale (levitazione). Quando si collega questo filo ad una batteria, la corrente attraversa il filo e si
nota che esso si può muovere verso il basso o verso l'alto basandosi sulla seconda regola della mano destra (dove il
pollice indica il verso della corrente, l'indice il verso del campo magnetico e il medio lo spostamento del filo;
oppure tenendo la mano destra aperta, il pollice indica il verso della corrente, le altre dita unite indicano il verso del
campo, il vettore forza esce dal palmo aperto verso l’alto o verso il basso).
Seconda regola della mano destra
B
Pollice = direzione filo e verso di I
Altre dita = direzione e verso delle linee del campo
magnetico (vettore B)
La forza F uscirà dal palmo della mano ed è quindi
perpendicolare al piano individuato dal vettore B e
da I .
i
Una spira percorsa da corrente si comporta come
N
i
una calamita: ha il nord N sulla faccia da cui escono
i
le linee di forza del campo magnetico B generato
i
dalla corrente i. Sulla faccia dove la corrente gira in
S
senso antiorario, c’è il polo Nord, sull’altra faccia
c’è il Sud. Nord e Sud sono sempre uniti, non si possono
separare.
21.
Misura del campo magnetico: Un filo percorso da corrente i e lungo L, all’interno di un campo magnetico, subisce
l’azione di una forza F direttamente proporzionale a i e a L;
F = B i L sen  ; B è la costante di proporzionalità, che
possiamo ricavare misurando F, i, L. Se i e B sono perpendicolari fra loro si ricava che
B = F /iL ;
il campo B è la forza che agisce su un filo di lunghezza 1 metro, quando è percorso da una corrente di 1 A. Nel sistema
internazionale di misura B si misura in Tesla, ( da Nikola Tesla (1856 – 1943)
1 Tesla = 1 N / (A·metro). Il Tesla è una
unità piuttosto grande per esprimere un campo magnetico. Il campo magnetico terrestre misura 50 · 10 -6 T = 50 microTesla.
Si usa anche una misura più piccola che è il Gauss (G) = 10-4 T. Il campo terrestre risulta circa 0,5 G. Il campo magnetico
terrestre fa da scudo alla superficie della Terra dalle particelle cariche del vento solare.
13
22. Moto di una carica elettrica in un campo magnetico: Forza di Lorentz
Se una particella carica q si muove con velocità v in una regione in cui è presente un campo magnetico B, essa è soggetta
ad una forza F data da:
F = q v Bsen; (dove  è l’angolo che la velocità v forma con il campo B).
Se v e B sono vettori paralleli fra loro, allora la forza è nulla. Se la particella è ferma nel campo, essa non subisce l’azione
della forza magnetica.
La forza magnetica che agisce sulla particella di carica q, in moto perpendicolarmente al campo magnetico con velocità v,
è una forza centripeta:
F = m v2/R) ; qvB= mv2/R.
Si ricava il raggio R della traiettoria:
R = m v / (B q)
Dalla misura del raggio si risale al tipo di particella.
Se una particella carica si muove in un campo magnetico ed in un campo elettrico perpendicolari fra loro, con velocità
perpendicolare sia a B che a E, allora si muoverà in linea retta se E q = qvB;
B = E/v; v = E / B
Le particelle cariche, con velocità v,
all'interno di un campo magnetico,
percorrono traiettorie circolari se v è
perpendicolare a B oppure elicoidali.
Il campo magnetico non ha sorgenti (cariche magnetiche isolate). Le sue sorgenti sono le cariche in moto. Un fascio di
elettroni nel vuoto con velocità v, genera un campo magnetico B come una corrente i = q/t.
(F = i B L = q/t B L; F = q (L /t) B = q v B ).
Quindi una particella carica che si muove in un campo elettrico e magnetico, è soggetta ad una forza elettrica e a una forza
magnetica.
F = q∙E
F = q v B sen 
San Marino, 26 maggio 2015
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