Critica del Giudizio

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Prof. Diego Manetti
Filosofia
KANT – Critica del Giudizio (1790)
La Critica della Ragion Pura critica la ragione che pretende di conoscere oltrepassando i limiti
dell’esperienza (critica l’ambito: oltre l’esperienza)
La Critica della Ragion Pratica critica la ragione che pretende di determinare la legge morale senza
fare a meno dell’esperienza (critica lo strumento: la LM)
Il risultato delle due critiche è un profondo dualismo tra il mondo fenomenico e deterministico della
conoscenza e quello finalistico e libero dell’agire morale. I due mondi si incontrano (ma non si
conciliano) tramite la facoltà del giudizio, in cui l’uomo fa esperienza della libertà e della finalità
del reale. Si tratta però di una pura esigenza umana, priva di valore conoscitivo.
Sentimento: è una “terza facoltà”, accanto a ragione e morale, mediante la quale l’uomo fa
esperienza di quella finalità del reale che era esclusa a livello conoscitivo e postulata a livello
morale.
GIUDIZI DETERMINANTI
- determinano gli oggetti in ambito conoscitivo
- l’universale sono le forme a priori (S, T, 12 cat.)
- sono oggettivi e scientificamente validi
GIUDIZI RIFLETTENTI (sentimentali)
- riflettono su oggetti già determinati per interpretarli secondo le esigenze di armonia e
finalità
- l’universale è il finalismo della natura e va cercato nel particolare
- esprimono un bisogno dell’uomo
- sono giudizi sentimentali puri
I giudizi riflettenti si dividono in:
ESTETICI
TELEOLOGICI
- intuizione immediata e soggettiva della finalità in rapporto a noi; dalla
bellezza rispetto a noi all’armonia del reale e
- il pensiero della finalità in sé dell’oggetto, colta tramite il concetto di fine;
dallo scopo in sé alla finalità del reale
- i g. teleologici (telos = scopo) sono più oggettivi di quelli estetici ma
esprimono pur sempre un bisogno soggettivo della mente umana
Critica del Giudizio
- Critica del Giudizio Estetico (Analitica, Dialettica)
- Critica del Giudizio Teleologico (Analitica, Dialettica)
IL BELLO
Estetica: dottrina dell’arte e della bellezza (vs dottrina della conoscenza sensibile della C R Pura)
Dalla tavola delle categorie, Kant ricava 4 definizioni di bellezza:
1. Qualità – bello come oggetto di un piacere disinteressato
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2. Quantità – bello come ciò che piace universalmente senza concetto
3. Relazione – bello come ciò che piace come finalità senza scopo
4. Modalità – bello come ciò che piace necessariamente
Il giudizio estetico ha l’attributo dell’universalità: “Il giudizio di gusto esige il consenso di tutti”.
A tal proposito Kant distingue:
il piacevole (legato ai sensi e alla materia; origina giudizi estetici empirici, come la bellezza di una
donna) dal piacere estetico (legato alla contemplazione della pura forma; origina giudizi estetici
puri, come il cielo stellato)
e la bellezza libera (senza concetto; la musica) dalla bellezza aderente (secondo un canone o un
modello; un palazzo o una chiesa)
mettendo in rilievo come i giudizi estetici universali siano una fascia molto ristretta dei giudizi sul
bello in generale.
La legittimità della pretesa di valore universale del giudizio estetico è dedotta dalla comune
struttura della mente umana: il giudizio estetico nasce da un libero gioco, da un rapporto spontaneo
tra immaginazione e intelletto che genera un senso di armonia in virtù della presenza in ogni uomo
di un SENSO COMUNE DEL GUSTO.
Nella Dialettica della C.G.Estetico Kant esamina l’antinomia del gusto:
tesi – Il GdGusto non si basa su concetti: sarebbe un giudizio disputabile, quindi non universale
antitesi – Il GdGusto si basa su concetti: altrimenti non si avrebbe l’altrui approvazione
Tale antinomia si risolve tenendo presente che si stanno impiegando due significati diversi di
“concetto”: è vero che il GdGusto non si basa su concetti conoscitivi, ma la sua pretesa di
universalità si fonda sul comune senso del gusto.
Rivoluzione copernicana estetica: il bello non è nelle cose ma nella mente dell’uomo (l’eteronomia
estetica è vs universalità e libertà del GdGusto, come per la morale)
Kant ribadisce l’autonomia del G Estetico (disinteressato e universale)
- vs empirismo (il bello non è oggetto dei sensi ma della facoltà autonoma del giudizio)
- vs razionalismo (il bello non è una confusa percezione conoscitiva della perfezione di un oggetto)
IL SUBLIME
E’ prodotto dalla percezione di qualcosa di smisurato o incommensurabile.
Il SUBLIME è di due tipi:
1) matematico – nasce in presenza di qualcosa di smisuratamente grande (montagne, pianeta),
contemplando il quale sentiamo dispiacere dell’immaginazione (che non riesce ad
abbracciarlo nella sua interezza) e piacere della ragione (risveglia in noi l’idea di infinito)
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2) dinamico – nasce dalla contemplazione di strapotenti forze naturali (vulcani, uragani),
contemplando le quali passiamo da sentimenti di angoscia per la nostra piccolezza
all’entusiasmo per la nostra grandezza spirituale in quanto portatori di idee della ragione e
della legge morale: il vero sublime è in noi, non nella realtà fuori di noi.
Entrambe le forme di sublime vivono la dialettica dispiacere/piacere e impotenza/potenza:
l’immaginazione fa sentire piccoli, la ragione fa scoprire grandi.
Mentre il bello è calma e armonia, il sublime si nutre del contrasto tra immaginazione e ragione.
Bello e sublime hanno però in comune la mente come trascendentale, cioè come possibilità e
fondamento dell’esperienza estetica.
Bello di natura diverso dal bello artistico: la natura è bella quando ha l’apparenza dell’arte, l’arte
è bella quando ha la spontaneità della natura.
Per giudicare il bello serve il gusto, per produrlo serve il genio: il genio è il talento che dà la regola
all’arte (1) con creatività, (2) producendo modelli per altri, (3) senza poter spiegare come.
IL FINALISMO DEL REALE
Il finalismo è appreso immediatamente con il g. estetico e pensato tramite il concetto di fine con il
g. teleologico.
Benché la visione scientifica del mondo sia ispirata al meccanicismo e al rigido rapporto di
causa/effetto, nell’uomo c’è una irrefrenabile tendenza della mente a pensare finalisticamente:
-
-
come le parti di un organismo paiono armonicamente tese a realizzare la vita del corpo cui
appartengono, così le parti della natura fanno pensare a un Dio come causa prima che tutto
indirizza al proprio fine
esigenza di una natura finalistica, in cui vi sia spazio per la libertà e la morale
Benché il meccanicismo non possa spiegare tutto (neppure il perché di un filo d’erba), tuttavia si
deve sempre tentar di pensare secondo il modello meccanico, poiché quello teleologico non ha
valore conoscitivo.
La dialettica della C.G.Telelogico si occupa dell’antinomia del g. teleologico: il mondo è pensato
come meccanico determinato e al tempo stesso come libero. Per superare tale antinomia occorre
distinguere il g determinante (meccanico) da quello riflettente del g. teleologico.
Si riflette quindi sul mondo in modo finalistico, ma il finalismo è solo un promemoria critico
- del meccanicismo (che non riesce a spiegare tutto) e
- del nostro orizzonte conoscitivo (che è solo fenomenico)
La teleologia è dunque critica, scienza dei limiti che però fa riconoscere nell’uomo lo scopo della
creazione in quanto essere morale: essendo i suoi scopi morali gli stessi della natura in cui vive,
diventa possibile per l’uomo realizzare gli stessi scopi morali che si prefigge.
Il conflitto tra meccanicismo fenomenico e libertà morale è dunque superato dalla Critica del
Giudizio, nel cui ambito l’uomo sperimenta (a livello di sentimento) quella libertà che prima era
stata negata (a livello conoscitivo) o semplicemente postulata (a livello morale)
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