§ 1 Il sistema di sicurezza sociale per i disoccupati: una definizione

Il sistema italiano di tutela della disoccupazione
Simonetta Renga
§ 1. Il sistema di sicurezza sociale per i disoccupati: una definizione
La tutela della disoccupazione trova le sue origini, nell’ambito del sistema di sicurezza sociale,
negli artt. 38, 4 e 35 della Costituzione. L’art. 38, secondo comma prevede che l’intervento del
sistema di sicurezza sociale si attivi quando c’è una carenza di lavoro nel mercato. Questa norma
condiziona l’intervento pubblico alla presenza di una situazione di disoccupazione involontaria.
L’inattività del prestatore di lavoro, in altre parole, deve dipendere da una mancanza di lavoro
connessa alla particolare posizione occupata dal soggetto nel mercato e non da una libera
determinazione dello stesso: coloro che sono volontariamente disoccupati, conseguentemente, sono
esclusi dalla tutela. D’altro canto, quanti sono inabili al lavoro a causa della loro condizione fisica
sono protetti dalla tutela per le malattie comuni. L’art. 38 della Costituzione prevede un sistema di
protezione per la disoccupazione essenzialmente basato sulla tutela del reddito.
Tuttavia, il sistema di tutela della disoccupazione è altresì basato sugli artt. 4, primo comma e 35,
primo comma della Costituzione. Queste norme riconoscono il diritto al lavoro a tutti i cittadini.
L’art. 38, da un lato, e gli artt. 4 e 35, dall’altro, possono essere considerati come complementari: la
situazione di disoccupazione, infatti, è cagionata dall’inattuazione del diritto al lavoro. Inoltre, lo
scopo principale del sistema di sicurezza sociale consiste nella rimozione della causa, oltreché degli
effetti, dello stato di bisogno: nell’ipotesi della disoccupazione, pertanto, la protezione del diritto al
lavoro si realizza in primo luogo con la reintegrazione del lavoratore nella sua posizione sostanziale
nel mercato, garantendogli nel frattempo la tutela del reddito. Il sistema di sicurezza sociale previsto
dalla Costituzione, dunque, è stato concepito per garantire ai lavoratori una tutela di tipo sia
economico che occupazionale: l’una rivolta alla reintegrazione del reddito del cittadino lavoratore
rimasto privo di occupazione fino a raggiungere i livelli di adeguatezza alle esigenze di vita
prescritti dall’art. 38, secondo comma, ovvero di attenuare le conseguenze dell’evento lesivo;
l’altra, presidio dell’effettività della garanzia costituzionale del diritto al lavoro prevista dagli artt. 4
e 35, diretta ad incentivare l’impiego dei soggetti beneficiari nel mercato, rimuovendo per tal via la
causa dello stato di bisogno.
Sulla base della definizione fornita, sono riconducibili al sistema di sicurezza sociale per i lavoratori
disoccupati i seguenti istituti1:
 l’assicurazione per la disoccupazione;
 la cassa integrazione guadagni;
 l’indennità di mobilità;
 i contratti di solidarietà;
 i lavori socialmente utili;
 il prepensionamento e il pensionamento flessibile;
 gli incentivi al lavoro autonomo e alle piccole imprese.
Noi, tuttavia, concentreremo la nostra attenzione sulle tre principali prestazioni di tutela della
disoccupazione, ovvero: assicurazione disoccupazione; cassa integrazione guadagni e indennità di
mobilità. Le tre prestazioni in analisi sono infatti rappresentative dell’evoluzione della tutela contro
la disoccupazione nel nostro Paese. Da esse, inoltre, occorre (ri)partire per ripensare funzione e
ruolo degli ammortizzatori sociali.
1
Il sistema di sicurezza sociale prevede anche vari incentivi diretti alla creazione di nuova occupazione, quali sgravi
contributivi e crediti di imposta: si vedano, per esempio, l’art. 8 della l.n. 407/1990, gli artt. 6 e 7 della l.n. 451/1994,
l’art. 2 della l.n. 489/1994 e l’art. 7 della l.n. 388/2000.
1
§ 2. La indennità di disoccupazione
§ 2.1 Introduzione
La prima prestazione di tutela per la disoccupazione, introdotta nel nostro sistema all’inizio del
secolo scorso, è stata l’assicurazione per la disoccupazione. L’assicurazione disoccupazione è lo
strumento tradizionalmente usato nei Paesi occidentali per fornire una tutela economica ai
disoccupati. Nel sistema italiano, questa prestazione è stata affiancata da altri istituti di tutela,
complice l’inadeguatezza del livello di protezione garantito dai meccanismi assicurativi.
L’assicurazione, infatti, solo da poco e ancora con una certa fatica garantisce un reddito adeguato
alle esigenze di vita e comunque non prevede una tutela a carattere generale, come prescrive invece
l’art. 38 della Costituzione. La prima grossa circoscrizione dei destinatari della tutela è ottenuta
attraverso le condizioni assicurative e contributive, le quali escludono dalla area applicativa della
prestazione quei lavoratori che non sono stabilmente inseriti nel mercato: coloro che non hanno mai
fatto ingresso nel mercato del lavoro o che non sono stati impiegati abbastanza a lungo da aver
maturato i contributi necessari sono, infatti, esclusi dalla tutela. In particolare, i lavoratori a tempo
parziale impiegano più tempo per integrare i requisiti contributivi richiesti. Sebbene una normativa
speciale renda più semplice l’ottenimento dei requisiti assicurativi e contributivi per i lavoratori
precari e stagionali. In definitiva, i lavoratori coperti dall’assicurazione sono quelli a tempo pieno ed
indeterminato, regolarmente inseriti nel mercato del lavoro, quelli che rappresentano in sostanza il
core group della forza lavoro.
§ 2.2 La natura involontaria della disoccupazione
La prestazione è pagata a quanti sono involontariamente disoccupati. Il requisito dell’involontarietà
dell’evento deve essere provato, a seguito della riforma dei servizi per l’impiego2, attraverso
un’auto-certificazione che attesti l’immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa, da
presentare al servizio territoriale nel cui ambito l’interessato è domiciliato. Il beneficiario della
prestazione ha, altresì, l’obbligo di rispondere alla convocazione dei servizi per l’impiego. La
sanzione per l’assenza di disponibilità al lavoro o per la mancata presentazione ai servizi per
l’impiego, qualora esse siano prive di giustificato motivo, è la perdita delle prestazioni.3
Infine, è considerato volontariamente disoccupato e come tale privato delle prestazioni chi si
dimette dal suo posto di lavoro.4 Mentre il lavoratore licenziato per giusta causa subisce una
riduzione di 30 giorni della durata della prestazione.
§ 2.3 Il campo di applicazione soggettivo della tutela
L’assicurazione ricomprende le persone di ambo i sessi che abbiano compiuta l’età di 14 anni e che
prestino lavoro retribuito alle dipendenze di altri. Le esclusioni più rilevanti dalla tutela sono
rappresentate da: a) lavoratori con stabilità d’impiego, quali i pubblici dipendenti; b) titolari di
rapporti di lavoro con elementi associativi; c) apprendisti; d) personale artistico, teatrale,
cinematografico, e) i sacerdoti.5
L’erogazione del trattamento è condizionata a requisiti di anzianità assicurativa e di attualità
contributiva. In particolare, il prestatore deve essere assicurato da almeno due anni e vantare un
credito contributivo minimo di un anno nel biennio precedente l’inizio della disoccupazione. I
2
D.lg.vo n. 181/2000, come modificato dal d.lg.vo n. 297/2002.
Le disposizioni attualmente applicabili ai fini della verifica dell’involontarietà della disoccupazione sono: l’art. 2 del
d.lg.vo n. 181/2000 (come successivamente modificato); l’art. 1 quinquies della l.n. 291/2004, la cui applicazione è
temporaneamente sospesa; l’art. 13, c. 2, lett. a) della l.n. 80/2005, per gli anni 2005 e 2006.
4
La disoccupazione resta, invece, involontaria nell’ipotesi di dimissioni per giusta causa ex art. 2119 c.c., in quanto in
questa ipotesi le dimissioni sono la conseguenza di un grave inadempimento del datore di lavoro piuttosto che il frutto di
una scelta volontaria del lavoratore: in questi termini Corte costituzionale 17.6.2002, n. 269, pubblicata in Diritto e
pratica del lavoro, 2002, p. 2148.
5
Art. 40 r.d.l. n. 1827/1935.
3
2
lavoratori precari e stagionali godono di condizioni contributive privilegiate: ferma restando
l’anzianità assicurativa ordinaria, essi acquisiscono il diritto al pagamento dell’indennità con lo
svolgimento di 78 giorni di attività lavorativa in settori ricompresi nel campo applicativo
dell’assicurazione, nell’anno per il quale si domanda la prestazione.6
§ 2.4 L’entità della tutela
L’indennità di disoccupazione è fissata in misura proporzionale rispetto alla retribuzione media
soggetta a contribuzione degli ultimi tre mesi precedenti l’inizio della disoccupazione.
Recentemente l’ammontare della prestazione è stato aumentato: l’indennità è del 60% della
retribuzione per i primi 3 mesi; poi scende al 50% per ulteriori due mesi e al 40% per il periodo
restante. I lavoratori stagionali e precari assoggettati a requisiti contributivi ridotti hanno una
prestazione del 35% della retribuzione, per i primi 120 giorni e del 40%, per il periodo restante.
Maggiorazioni sono previste per i familiari a carico. Il trattamento non può superare dei massimali
mensili fissati in relazione alla retribuzione percepita dal lavoratore ed annualmente rivalutati.
L’indennità è corrisposta per un massimo di 8 mesi, per i disoccupati sotto i 50 anni di età; la durata
è estesa a 12 mesi per i lavoratori di 50 anni o oltre. Per i lavoratori precari e stagionali l’entità della
prestazione è determinata in relazione al numero dei giorni lavorati nell’anno precedente, entro il
limite di 180 gg.. La prestazione viene pagata dall’ottavo giorno successivo a quello di cessazione
del lavoro (periodo di carenza). All’indennità accede l’accreditamento della contribuzione
figurativa, utile ai fini del riconoscimento e della misura delle pensioni dell’assicurazione generale
obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti.7
§ 3. La Cassa integrazione guadagni
§ 3.1 Il fenomeno evolutivo delle integrazioni salariali.
La Cassa integrazione guadagni venne originariamente concepita come uno strumento di garanzia
del reddito dei lavoratori, in costanza di rapporto, in presenza di eventi di temporanea sospensione o
riduzione dell'attività dell'impresa.
Le integrazioni salariali hanno tuttavia subito nel corso degli anni una radicale evoluzione.
L'intervento della cassa integrazione era stato inizialmente disposto a fronte di eventi temporanei
non imputabili all'imprenditore o ai lavoratori; a corollario di ciò, dalle integrazioni venivano
eccettuati i dipendenti "assunti o mantenuti in soprannumero rispetto alle esigenze delle imprese"
(artt. 5 e 6 d.lg.vo c.p.s. n. 869/1947).
La prassi amministrativa, riflessa a livello legislativo nella previsione della fattispecie integrabile
della crisi di mercato ex art. 1 l.n. 164 del 1975, ha sempre concesso, tuttavia, la cassa integrazione
ordinaria anche a fronte di contrazioni dell'attività produttiva non riconducibili a vere e proprie
ipotesi di impossibilità oggettiva sopravvenuta ma a situazioni di mera difficultas connesse a "scelte
"non arbitrarie" dell'imprenditore".
Con l'introduzione dell'integrazione straordinaria, hanno assunto rilevanza, del resto, "eventi non
più "esterni", indotti da ineluttabili accadimenti naturali, bensì "interni" al ciclo generale (crisi
economiche), quando non alle stesse vicende della specifica impresa" (riorganizzazioni,
ristrutturazioni e, dal 1972, conversioni aziendali, crisi aziendale ex art. 2, V c. l.n. 675 del 1977).
Altrettanto breve si è rivelata l'esistenza dell'elemento della temporaneità dell'evento integrabile e
del divieto di soprannumero. Il requisito della transitorietà viene, in particolare, definitivamente
rimosso dal meccanismo delle proroghe, dal 1972 virtualmente illimitate, alla durata
dell'integrazione straordinaria.
6
7
Artt. 1 e 7 l.n. 160/1988.
Art. 78 l.n. 388/2000; art. 3 l.n. 451/1994; art.7 l.n. 160/1988; art. 3 l.n. 264/1949.
3
La compromissione della condizione della transitorietà della contrazione evidentemente trasforma
l'esigenza della certezza della ripresa della normale attività, originariamente necessaria per accedere
alla cassa, nella probabilità del verificarsi della stessa. Il risanamento produttivo dell'impresa non
viene neanche più presupposto, d'altra parte, dalla causale d'integrazione straordinaria della crisi
aziendale di particolare rilevanza sociale della l.n. 675 del 1977.
La stessa legge, nell'approntare speciali procedure di mobilità fra aziende specificamente
individuate con correlativa sospensione dei licenziamenti ed erogazione del trattamento
d'integrazione salariale ai prestatori interessati, inserisce, infine, espressamente fra i destinatari della
cassa i lavoratori eccedentari.
Parallelamente alla trasformazione delle cause integrabili previste dalla disciplina generale della
cassa, si è assistito ad una proliferazione incontrollata di interventi settoriali e fattispecie speciali di
erogazione del trattamento straordinario. I criteri della transitorietà dell'evento giustificativo e della
ripresa dell'attività economica non sono mai assurti in queste ipotesi a validi parametri di
riferimento nella concessione dell'intervento. Nell'ambito delle fattispecie speciali, per esempio,
quali quelle connesse all'intervento della Gepi e dell'Insar, alla legge Taranto (l.n. 501/1977), o ai
casi di fallimento e di amministrazione straordinaria, la Cassa viene attivata a fronte di situazioni
aziendali definitivamente compromesse sotto l'aspetto economico o in ipotesi di licenziamento del
lavoratore, facendo frequentemente uso delle più svariate tecniche di precostituzione dei requisiti
giuridici idonei a giustificare dal punto di vista formale l'intervento delle integrazioni salariali.
Uno sforzo apprezzabile di riportare in vita temporaneità dell'evento e certezza della ripresa
produttiva nell'ambito della disciplina generale della cassa è compiuto attraverso la l. n. 223 del
1991. Nella stessa legge vengono riposte le speranze di razionalizzazione degli interventi speciali
della cassa.
L'operazione trova il suo fulcro nell'apposizione di limiti alla durata dell'integrazione straordinaria,
nella abrogazione del meccanismo che coniugava l'espletamento di procedure di mobilità con la
sospensione dei licenziamenti, nella destinazione delle integrazioni in linea di principio ai
dipendenti per i quali è programmato il reinserimento in azienda, nella subordinazione infine
dell'intervento straordinario alla presentazione di un dettagliato programma di risanamento la cui
regolare attuazione è oggetto di controllo da parte degli organi preposti.
Il proposito è quello di restituire trasparenza al mercato del lavoro, licenziando e ponendo in
mobilità quanti siano oramai privi di collocazione nell'apparato produttivo dell'impresa.
Con l'afflato del testo unico, la legge prevede altresì una disciplina ad esaurimento per le fattispecie
Gepi, Insar e per la legge Taranto ed una regolamentazione ex novo dell'intervento in ipotesi di
procedure concorsuali.
Gli ostacoli insiti nel rendere operativa la riforma sono sfociati, tuttavia, in una serie di
provvedimenti dilatori.
La "controriforma" si è concretata in una pioggia di proroghe alla durata del trattamento
straordinario, nella autorizzazione di proroghe dell'integrazione ordinaria nelle piccole imprese
collocate nelle aree di declino industriale, nella estensione dell’integrazione ordinaria a nuovi
specifici settori, nella concessione dell'integrazione straordinaria a fronte di specifici casi di
cessazione dell'attività produttiva e di riduzione di personale con correlativa sospensione dei
licenziamenti, nella concessione di ulteriori estensioni e proroghe delle integrazioni straordinarie ai
settori del commercio, viaggio turismo e vigilanza, nella previsione di proroghe ulteriori del
trattamento riservato ai lavoratori portuali. I provvedimenti in parola, quasi tutti concepiti a termine,
sono stati, nondimeno, riproposti una o più volte ed in alcuni casi ne è stato esteso il campo
applicativo.8 Mentre, in sede amministrativa, a suon di delibere del Cipe e di decreti e circolari del
8
Si vedano, fra le altre, le seguenti disposizioni: art. 5, V c. l.n. 236/1993; art. 1, II c. l.n. 56/1994; art. 9, XXV c., l.n
608/1996; art. 3, III c. l.n. 135/1997; art. 63 l.n. 449/1997; art. 1, I c. l.n. 176/1998; art. 45, XVII c. l. 144/1999; art. 62,
4
Ministero del lavoro, l’intervento delle integrazioni salariali viene progressivamente svincolato
dalla condizione della ripresa produttiva.
Analogamente, le velleità di riordino della normativa speciale si sono temporaneamente arenate su
di una serie di disposizioni, successive alla l.n. 223 del 1991, volte ad estendere il campo
applicativo della disciplina transitoria per i lavoratori della Gepi e dell'Insar, a differire la definitiva
cessazione dei trattamenti Gepi ed Insar, ad introdurre nuove fattispecie d'intervento dell'Insar, a
prorogare le integrazioni per i lavoratori edili della legge Taranto, a posporre l’erogazione
dell'integrazione ai lavoratori di imprese in amministrazione straordinaria, ad autorizzare proroghe
dei trattamenti per i casi di procedure concorsuali.
Talché si è giustamente sottolineato che “la legge 223 del 1991 rimane come buon esempio di
legislazione, ma cattivo esempio di applicazione”9.
Un episodio emblematico indicativo della tendenza ad usare le integrazioni salariali in maniera
indiscriminata è rappresentato dagli “ammortizzatori in deroga”: dal 2001 il Ministro del lavoro può
disporre con decreto, emanato di concerto con il Ministro dell’Economia, proroghe in deroga alla
vigente normativa di trattamenti di integrazione salariale straordinaria, di mobilità e di
disoccupazione speciale, anche senza soluzione di continuità, in presenza di programmi,
finalizzati alla gestione di crisi occupazionali o al reimpiego dei lavoratori colpiti dalla crisi,
definiti in specifici accordi in sede governativa. In sostanza, il decreto interministeriale può
derogare a qualsiasi legge in materia di ammortizzatori sociali, con riferimento sia all’ambito di
applicazione dell’istituto dell’integrazione salariale che alla durata delle prestazioni. Questa
disposizione, confermata nel corso degli anni dalle varie finanziarie ed emanata costantemente “in
attesa della riforma degli ammortizzatori sociali”, è presente anche nella Finanziaria 2008.10
Le difficoltà di restituzione delle integrazioni salariali alle finalità originarie sono in gran parte
riconducibili alle intersezioni esistenti con le altre prestazioni di tutela della disoccupazione: le
integrazioni salariali, nel corso degli anni, hanno, infatti, assunto compiti di supplenza del sistema
di protezione del lavoratore privo di occupazione, a dispetto della loro funzione istituzionale di
tutela di uno stato di bisogno derivante da una sospensione o riduzione dell’attività lavorativa in
costanza di rapporto. D’altra parte, alla progressiva erosione dei principi assicurativi, propri
dell’indennità di disoccupazione, ritenuti giustamente inidonei a garantire una protezione sociale per
la disoccupazione, non è seguita l'individuazione di sistematiche di tutela alternative, conformi ai
canoni costituzionalmente imposti. In realtà, ai meccanismi assicurativi si sono quasi sempre
sostituite, nella configurazione dei diversi istituti, valutazioni squisitamente congiunturali di ordine
politico-economico: la storia delle integrazioni salariali a pieno titolo si inserisce in questo quadro,
rappresentandone un importante tassello. Una relativamente recente dimostrazione della confusione
di ruoli fra prestazioni, in aperto dispregio delle funzioni giuridiche attribuite agli istituti, è
rappresentato dall’art. 13, commi da 7 a 12 della l.n. 80 del 2005, i quali hanno previsto
l’erogazione dell’indennità di disoccupazione ordinaria anche “ai lavoratori sospesi in conseguenza
di situazioni aziendali dovute ad eventi transitori, ovvero determinate da situazioni temporanee di
I c. lett. b), l.n. 488/1999, art. 78, XXXIII c. l.n. 388/2000; art. 41, IX-XI c., l.n. 289/2002; art. 1 e 1 bis l.n. 291/2004;
art. 8, III c. ter, l.n. 248/2005. Da ultimo, proroghe dei trattamenti di integrazione salariale sono state inserite nella l.n.
296/2006 (Finanziaria 2007), ai commi 1156, 1190 e 1191 dell’art. 1 e nella l.n. 244/2007 (Finanziaria 2008), ai commi
521,522 e 523 dell’art. 1.
9
Miscione, Gli ammortizzatori sociali per l’occupabilità, Relazione Giornate di studio Aidlass, Venezia 25-26 maggio
2007, p. 10
10
Tale fattispecie, introdotta dall’art. 2, l.n. 248/2001 ed attualmente regolata dall’art. 1, c. 521 della l.n. 244/2007, è
stata prorogata ed estesa nel corso degli anni dagli artt.: 52, c. 46 l.n. 448/2001; 41, c. 11 l.n. 289/2002; 3, c. 137 l.n.
350/2003; 1, c. 155 l.n. 311/2004; 1, c. 410 l.n. 266/2005; 1, c. 1190 l.n. 296/2006. Si legga sul punto diffusamente
Miscione, Gli ammortizzatori sociali, 2007, pp. 11 e ss. Cfr. inoltre Garofalo D., La riforma degli ammortizzatori
sociali tra continuità e discontinuità, in Previdenza e Assistenza Pubblica e Privata, 2005, p. 42.
5
mercato”: l’indennità di disoccupazione, la cui erogazione ha come presupposto l’interruzione del
rapporto di lavoro, viene usata, in questa fattispecie, per finalità proprie delle integrazioni salariali.11
§ 3.2. La disciplina generale delle integrazioni salariali.
La disciplina generale delle integrazioni salariali è diversificata per i lavoratori dell'industria,
dell'edilizia e dell' agricoltura.
La cassa integrazione è amministrata dall'Inps. La gestione industria, quella speciale edilizia e la
gestione autonoma agricoltura sono state accorpate nella Gestione prestazioni temporanee ai
lavoratori dipendenti costituita presso l'Inps.12
La normativa generale delle integrazioni salariali può essere scomposta nelle scansioni consuete dei
soggetti tutelati, delle cause integrabili, delle prestazioni erogate, delle procedure per la richiesta
dell'intervento ed infine degli strumenti di finanziamento.
a) I soggetti protetti dall'istituto delle integrazioni salariali sono i lavoratori occupati da imprese
industriali, edili ed affini, ed agricole.
Sono ricomprese, più specificamente, nell'ambito applicativo della cassa, ordinaria e straordinaria,
le imprese industriali riconosciute tali ai fini della legislazione in materia di assegni familiari.13 Alla
normativa delle integrazioni salariali straordinarie sono assoggettate anche le imprese edili ed affini;
mentre l'intervento ordinario edili gode di una regolamentazione autonoma.14
Dalla cassa ordinaria per i dipendenti delle imprese industriali sono espressamente eccettuate alcune
categorie produttive, ovvero: le imprese armatoriali; le imprese ferroviarie, tranviarie, di
navigazione interna e gli esercenti autoservizi pubblici di linea; le imprese di spettacoli; gli esercenti
la pesca; gli artigiani, in linea generale esclusi anche dall'integrazione salariale straordinaria15; le
attività di facchini, portabagagli, birrocciai e simili; gli addetti a lavorazioni stagionali o a
lavorazioni soggette a periodi di disoccupazione stagionale o a normali periodi di sospensione.16
L'area di tutela dell' integrazione salariale straordinaria è circoscritta alle imprese che abbiano
occupato mediamente più di 15 lavoratori (inclusi gli apprendisti ed i soggetti assunti con contratto
di formazione) nel semestre precedente la richiesta dell'intervento.17
Deve rilevarsi tuttavia che la disciplina in materia di integrazioni salariali è stata progressivamente
estesa a settori produttivi non immediatamente riconducibili a quello industriale.
La durata di questa erogazione non può superare le 65 giornate annue d’indennità. Questa prestazione è estesa anche
all’indennità di disoccupazione con requisiti ridotti, nel settore artigiano, subordinatamente ad un intervento integrativo
di almeno il 20% a carico degli enti bilaterali previsti dalla contrattazione collettiva o alla somministrazione da parte
degli stessi enti di attività di formazione e qualificazione professionale di durata non inferiore alle 120 ore.
12
Art. 24 l.n. 88/1989.
11
13
Art. 3 d.lg.vo c.p.s. n. 869/1947 ratificato con l.n. 498/1951; artt. 33, 34 d.p.r. n.797/1955, come modificati dalla l.n.
1038/1961. In sostanza il criterio di individuazione adottato è quello per settori merceologici utilizzato nella
contrattazione collettiva. Cfr. anche l'art. 5, n. 3) d.lg.vo c.p.s. n. 869/1947 e l'art. 49 della l.n. 88/1989.
14
Art. 2, I c. l.n. 1115/1968.
15
L'esclusione è desunta in via interpretativa da Miscione, Cassa integrazione, 307; così anche Balandi, Tutela del
reddito, 154 e 165.
16
Art. 3 d.lg.vo c.p.s. n. 869/1947, come sostituito dall'art. 4 della l.n. 270/1988. In relazione alle lavorazioni stagionali,
l'eccettuazione è ricavata in via interpretativa a contrario dall'art. 5, n. 4) d.lg.vo c.p.s. n. 869/1947: su quest'ultima
norma Cfr. Miscione, Cassa integrazione, 345 e ss. e Balandi, Tutela del reddito, 149 e ss..
17
Art. 1, I c. l.n. 223/1991.
6
In particolare, sono stati inseriti nel campo applicativo della cassa i lavoratori a tempo
indeterminato delle imprese cooperative (e dei loro consorzi) che esercitano attività di
manipolazione, trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli e zootecnici.18 Dopo una
lunga serie di interventi di natura settoriale a cadenza biennale, anche i lavoratori delle compagnie e
gruppi portuali sono stati assoggettati alla normativa generale della cassa.19
Il trattamento straordinario di integrazione salariale per il settore industriale è stato, invece, esteso:
ai lavoratori delle imprese industriali in crisi addetti ad unità organiche esercenti in modo prevalente
e continuativo la commercializzazione del prodotto dell'impresa;20 ai dipendenti delle aziende
appaltatrici di servizi di mensa o ristorazione per le imprese industriali in crisi;21 ai lavoratori di
aziende esercenti attività commerciali che occupino più di 200 dipendenti e che versino in una
situazione di crisi aziendale di particolare rilevanza sociale ex art. 2, V c., lett. c) l.n. 675 del 1977;22
ai dipendenti delle imprese artigiane satelliti indotte alla contrazione produttiva a seguito
dell'ammissione alla integrazione salariale straordinaria dell'impresa che, in veste di committente
principale, esercita su di esse l'influsso gestionale prevalente;23 ai soci lavoratori delle cooperative
di produzione e lavoro;24 ai lavoratori impiegati in imprese appaltatrici dei servizi di pulizia ed ai
soci lavoratori di cooperative di pulizia addetti in modo prevalente e continuativo allo svolgimento
delle attività appaltate, qualora le imprese in parola siano costrette a ridurre la propria attività per
effetto del ricorso all' integrazione salariale straordinaria da parte dell'impresa committente.25
Dal punto di vista soggettivo, sono esclusi dalla tutela dell'integrazione salariale sia ordinaria che
straordinaria: i dirigenti26, gli apprendisti, i lavoratori a domicilio, i collaboratori familiari
dell'imprenditore.27
L'ammissione del prestatore alla erogazione dell'integrazione salariale straordinaria è subordinata,
inoltre, al conseguimento di una anzianità lavorativa presso l'impresa di almeno 90 giorni alla data
della richiesta del trattamento.28
La cassa ordinaria edilizia include, invece, operai, impiegati e quadri delle aziende industriali ed
artigiane dell'edilizia ed affini e dell'escavazione e lavorazione di materiali lapidei.29
18
Art. 3 l.n. 240/1984.
19
Art. 3, VI c. l.n. 58/1990.
20
Art. 4 bis l.n. 215/1978.
21
Art. 23 l.n. 155/1981.
22
Artt. 23 l.n. 155/1981 e 12, III c. l.n. 223/1991. Cfr anche l'art. 4, XVII c. l.n. 638/1983, di interpretazione autentica
dell'art. 23 l.n. 155/1981.
23
Art. 12, I e II c. l.n. 223/1991.
Art. 8, II c. l.n. 236/1993.
25
Art. 1, VII c. l.n. 451/1994. Si veda anche l'art. 25, III c. della l.n. 412/1991.
24
26
Dalla metà degli anni settanta, tuttavia, alcuni interventi per situazioni specifiche di crisi hanno ammesso alla tutela
anche i dirigenti: si vedano, per esempio, l'art. 1 della l.n. 62/1976, di salvataggio della Leyland-Innocenti o l'art. 3 della
l.n. 336/1976, relativa al terremoto del Friuli. Cfr. in tema Miscione, Cassa integrazione, 386 e ss..
27
Si vedano: la l.n. 25/1955 e l'art. 9 l.n. 877/973. L' art. 14, II c. della l.n. 223/1991 ha espressamente esteso
l'intervento ordinario, originariamente disposto soltanto a favore degli operai e degli intermedi (art. 6 r.d.l. n.
1825/1924), agli impiegati ed ai quadri. Sono parimenti ammessi, in linea generale, all'intervento sia ordinario che
straordinario i soci e non soci delle cooperative di produzione e lavoro i quali svolgano prestazioni similari a quelle
delle imprese industriali (art. 5, n. 2 d.lg.vo c.p.s. n. 869/1947). L'art. 8, II c. della l.n. 236/1993 stabilisce altresì che le
disposizioni in materia di integrazione straordinaria si applicano ai soci lavoratori di cooperative di produzione e lavoro.
28
Art. 8, c. II, VIII e VIII bis l.n. 160/1988. Si veda anche sul punto l'art. 2, IX c. l.n. 169/1991.
29
Artt. 1 ln. 77/1963, 1 l.n. 14/1970, 1 l.n. 1058/1971. L'art. 9 l.n. 63/1977 stabilisce, per quanto non previsto dalla
legge speciale, l'applicabilità al settore edile del d.lg.vo c.p.s. n. 869/1947 e del d.l. lgt. n. 788/1945: le esclusioni
7
L'art. 10 della l.n. 223/1991 ha configurato nuove cause integrabili per il settore edile sia nell'area
degli appalti delle opere pubbliche di grandi dimensioni che con specifico riferimento ad eventi non
imputabili connessi all'emanazione di provvedimenti dell'autorità giudiziaria inerenti la legislazione
sulla criminalità mafiosa, subordinando il godimento delle integrazioni in queste ipotesi alla
maturazione da parte dei soggetti beneficiari di almeno 6 contributi mensili o 26 settimanali in
relazione a lavoro prestato nell'edilizia.
La cassa integrazione per l’agricoltura, infine, ha ad oggetto i salariati fissi e gli operai occupati a
tempo indeterminato per oltre 180 giornate lavorative all'anno presso la stessa azienda.30
L’art. 21 della l.n. 223 del 1991 ha, inoltre, introdotto nuove cause integrabili per il settore agricolo.
In particolare, l'integrazione salariale è stata estesa ai casi di riconversione e ristrutturazione
aziendale, mentre è stato generalizzato l'intervento per calamità naturali ed avversità atmosferiche.
Ebbene, nella prima ipotesi, l'area di tutela comprende gli impiegati e gli operai agricoli a tempo
indeterminato dipendenti da imprese che occupino almeno sei lavoratori con contratto a tempo
indeterminato, o quattro lavoratori se nell'anno precedente hanno impiegato manodopera agricola
per un numero di giornate non inferiore a 1080. La seconda fattispecie è indirizzata agli impiegati
ed operai agricoli a tempo indeterminato dipendenti da imprese situate in comuni colpiti da eventi
naturali eccezionali.31
b) Le cause integrabili, ovvero gli eventi al cui verificarsi diventano attivabili le integrazioni
salariali, per i dipendenti delle imprese industriali, danno luogo a due tipi distinti di intervento:
quello ordinario e quello straordinario.
Le integrazioni salariali ordinarie vengono corrisposte nelle ipotesi di sospensione o riduzione
dell'attività produttiva dipendente da "situazioni aziendali dovute ad eventi transitori e non
imputabili all'imprenditore o agli operai" o da "situazioni temporanee di mercato"32.
L’integrazione straordinaria opera, invece, a fronte di contrazioni produttive determinate da
"ristrutturazioni, riorganizzazioni o conversioni aziendali"33 o da crisi aziendali34.
La l.n. 223/1991, nel tentativo di ricondurre l’istituto alle finalità originarie di strumento di tutela
del reddito dei lavoratori in presenza di contrazioni temporanee dell'attività produttiva, ha riservato
le integrazioni salariali straordinarie ai dipendenti nei confronti dei quali si programma il
reinserimento nell'attività produttiva: l'art. 4, 13° c. ha stabilito, in particolare, che "i lavoratori
ammessi al trattamento di cassa integrazione, al termine del periodo di godimento del trattamento di
integrazione salariale, rientrano in azienda".
previste dall'art. 3 del d.lg.vo n. 869 appaiono dunque operative anche nella Cig edili. Analogamente, risultano efficaci
nel comparto edili le esclusioni soggettive previste per la Cig industria. Cfr. Miscione, Cassa integrazione, 335 e ss. e
394. L'art. 14, II c. della l.n. 223/1991 ha esteso l'intervento edilizia, originariamente previsto soltanto per gli operai,
agli impiegati ed ai quadri.
30
Art. 8 l.n. 457/1972. Sono assoggettati alla Cig agricoltura anche i soci delle cooperative agricole. Le esclusioni
soggettive disposte per il settore industriale, cui si aggiunge quella degli impiegati, sono ritenute operative anche in
relazione alla Cig agricoltura: si veda Miscione, Cassa integrazione, 394.
31
Secondo Cinelli, Diritto, 1994, 189, la norma (c. VI), sembra estendere, in verità con un dettato estremamente
ambiguo, la Cig agricoltura per calamità naturali ai piccoli coloni e compartecipanti familiari.
32
Art. 1 l.n. 164/1975.
33
Art. 1 l.n. 164/1975.
34
Artt. 2, V c., lett. c) l.n. 675/1977 e 1, VI c. l.n. 223/1991. Si vedano in materia: Miscione, Integrazione, 406 e
Ferraro, Le integrazioni salariali, in AA. VV., Integrazioni salariali, 17-18.
8
I lavoratori eccedentari, il cui rapporto di lavoro viene invece interrotto, potranno fruire
dell'Indennità di mobilità35: l'art. 4 dispone al proposito che l'impresa destinataria dell'integrazione
salariale straordinaria, qualora nel corso di attuazione del relativo programma di risanamento
"ritenga di non essere in grado di garantire il reimpiego a tutti i lavoratori sospesi e di non poter
ricorrere a misura alternative, ha facoltà di avviare le procedure di mobilità (...)".
L'intenzione di restituire trasparenza al mercato del lavoro, formalizzando l'interruzione dei rapporti
fittizi, è parimenti evidente nella norma che impone un incremento contributivo e la sospensione dei
rimborsi delle quote di trattamento di fine rapporto maturate durante il periodo di cassa integrazione
al datore di lavoro che collochi i propri dipendenti in mobilità tardivamente, ovvero dopo la fine del
dodicesimo mese di integrazione salariale.36
Peraltro, una serie di provvedimenti successivi alla l.n. 223 del 1991 mostra, come si è già
sottolineato nel tracciare il fenomeno evolutivo dell’istituto, tutte le difficoltà di condurre a regime
il sistema anche sotto questo aspetto.37
La cassa integrazione per l’edilizia interviene nelle fattispecie di sospensione o riduzione
dell'attività lavorativa dovute ad "intemperie stagionali" o ad "altre cause non imputabili al datore di
lavoro o ai lavoratori"38.
L'art. 10 della l.n. 223/1991 ha esteso l'integrazione salariale edilizia alle contrazioni dipendenti da
eventi, non imputabili al datore di lavoro o al lavoratore, connessi al mancato rispetto dei termini
previsti nei contratti di appalto per la realizzazione di opere pubbliche di grandi dimensioni 39, alle
varianti di carattere necessario apportate ai progetti originari delle predette opere, nonché ai
provvedimenti dell'autorità giudiziaria emanati nell'ambito delle misure relative alla criminalità
mafiosa.
La cassa integrazione per l’agricoltura ha ad oggetto, infine, le ipotesi di sospensione temporanea
dal lavoro "per intemperie stagionali o per altre cause non imputabili al datore di lavoro o ai
lavoratori"40.
L'art. 21 della l.n. 223/1991 ha reso applicabile il trattamento di integrazione salariale in parola
anche ai casi di sospensione per "esigenze di riconversione e ristrutturazione aziendale" o
dipendenti da "eccezionali calamità o avversità atmosferiche" .
c) L'integrazione salariale per i dipendenti delle imprese industriali ed edili è corrisposta al
lavoratore nella misura dell' 80% della retribuzione globale netta per le ore di lavoro non prestate
"comprese fra le ore 0 ed il limite dell'orario contrattuale, ma comunque non oltre le 40 ore
settimanali".41
35
Per una rassegna critica delle teorie più recenti in merito al rapporto fra integrazioni salariali e limiti al potere
datoriale di operare licenziamenti collettivi si veda Liso, Mercato del lavoro, 27 e ss.
36
Art. 5, VI c. l.n. 223/1991.
Si vedano, a titolo di esempio: l’art. 8, V-VII c. l.n. 236/1993; l’art. 4, XXI c., l.n. 608/1996; l’art. 1 l.n. 291/2004,
che prevede la prorogabilità del trattamento straordinario per crisi aziendale nel caso di cessazione dell’azienda o di
parti di essa; l’art. 1, 521° c. della l.n. 244/2007, ultimo episodio di integrazione salariale “in deroga”.
38
Art. 1 l.n. 77/1963.
37
39
Per la definizione delle "opere pubbliche di grandi dimensioni" si veda l'art. 6, II c. l.n. 236/1993.
40
Art. 8 l.n. 457/1972.
41
Artt. 2 l.n. 164/1975 e 1 l.n. 77/1963. Non sono soggette ad integrazione salariale le festività e le assenze non
retribuite come anche le giornate di lavoro autonomo o subordinato svolte dal prestatore (art. 3 d.lg.vo lgt. n. 788/1945;
art. 8, IV c. l.n. 160/1988). Le integrazioni salariali vengono pagate dal datore di lavoro, al quale sono poi rimborsate
dall'Inps secondo le norme per il conguaglio previste per le prestazioni per i carichi di famiglia (art. 12 d.lg.vo lgt. n.
9
Ai lavoratori agricoli viene parimenti corrisposta un'integrazione dell' 80% della retribuzione.42
L'importo della integrazione salariale è soggetto ad un massimale, rivalutato annualmente.43
Alle prestazioni vengono applicate le ritenute fiscali e la contribuzione previdenziale nella misura
prevista per gli apprendisti.44
Alle integrazioni salariali accede l'accredito d'ufficio della contribuzione figurativa utile ai fini del
diritto e della misura della pensione nell'ambito del sistema invalidità, vecchiaia e superstiti.45
Il periodo di fruizione delle integrazioni salariali è altresì equiparato al lavoro effettivo in relazione
alla maturazione del trattamento di fine rapporto46; nel caso in cui i lavoratori vengano licenziati al
termine del periodo di integrazione salariale, la quota di TFR maturata durante il predetto periodo è
a carico della gestione della cassa.47
Ai lavoratori in cassa integrazione spettano anche le prestazioni per i carichi di famiglia48; essi
hanno diritto inoltre all'assistenza sanitaria.49
La durata massima dell'integrazione ordinaria industria è di tre mesi continuativi, "in casi
eccezionali" prorogabili trimestralmente fino a complessivi dodici mesi.50
La temporaneità dell'intervento straordinario di integrazione salariale, fino ad epoca recente
potenzialmente illimitato, è stata ripristinata dall'art. 1 della l.n. 223 del 1991. La durata iniziale del
trattamento per riconversione, ristrutturazione o riorganizzazione non può superare i due anni;
possono essere concesse due proroghe di 12 mesi ciascuna51. La durata del programma per crisi
aziendale non può eccedere, invece, i dodici mesi; mentre quella dell’integrazione salariale per
procedure concorsuali non può superare i 18 mesi.52
I trattamenti straordinari non possono avere, comunque, una durata complessiva superiore a 36 mesi
nell'arco di un quinquennio, indipendentemente dalle causali per le quali sono stati concessi; tale
limite può essere derogato, secondo condizioni e modalità stabilite dal Ministero del lavoro, nei casi
788/1945); del trattamento straordinario può essere richiesto il pagamento diretto da parte dell'Inps in caso "comprovate
difficoltà di ordine finanziario" (artt. 2, VI c. l.n. 223/1991: si legga tuttavia l'art. 3 bis, I c. l.n. 135/1997). In relazione
al trattamento per i lavoratori edili disposto dall'art. 10 l.n. 223/1991, si veda l'art. 7, c. 1 bis l.n. 236/1993.
42
Art. 18 l.n. 164/1975. La retribuzione di riferimento dei lavoratori agricoli è calcolata convenzionalmente ex art. 3 l.n.
457/1972. Il trattamento non è dovuto per le assenze che non comportino retribuzione nonché per le giornate in cui i
lavoratori sospesi si dedichino ad altre attività remunerate (art. 9 l.n. 457/1972). L'integrazione è pagata direttamente
dall'Inps ai lavoratori beneficiari (art. 17 l.n. 457/1972).
43
Articolo unico, II c. l.n. 427/1980, art. 1 l.n. 451/1994, ed art. 14 della l.n. 223/1991, art. 2, XVI e XVII c. l.n.
549/1995, art. 44 l.n. 326/2003. Il massimale non si applica al trattamento per intemperie stagionali nel settore agricolo.
44
Artt. 3 l.n. 891/1980, 10 l.n. 887/1984, 26 l.n. 41/1986. Si veda in materia anche l'art. 18 l.n. 223/1991.
45
Art. 8, IV c. l.n. 155/1981, come interpretato dall'art. 4, XVI c. l.n. 638/1983. Si veda anche l'art. 15 d.lg.vo n.
503/1992. Cfr. altresì Corte costituzionale n. 388/1995.
46
Art. 1, III c. l.n. 297/1982.
47
Artt. 2 l.n. 464/1972 e 8, II c. l.n. 160/1988. Si ricorda tuttavia l'art. 5, VI c. l.n. 223/1991. Si veda anche l'art. 3, VI c.
l.n. 135/1997.
48
Artt. 6, III c. l.n. 1115/1968 e 8, II c. l.n. 457/1972.
49
Artt. 4 l.n. 164/1975 e 6 l.n. 427/1975. Per il coordinamento tra trattamento di malattia ed integrazione salariale si
veda l'art. 3 l.n. 464/1972.
50
Art. 6 l.n. 164/1975.
51
L'art. 1, III c. l.n. 223/1991 è stato sostituito dall'art. 1, IV c. l.n. 451/1994.
52
Una nuova erogazione per la medesima causale non può essere disposta prima che sia decorso un periodo pari a 2/3 di
quello relativo alla concessione precedente.
10
di proroga del trattamento per ristrutturazione, riorganizzazione o conversione, nell'ipotesi di
contratti di solidarietà e di procedure concorsuali.53
La fragilità del tentativo di limitare l'utilizzazione delle integrazioni salariali alle ipotesi di difficoltà
temporanee dell'impresa è chiaramente evidente nella serie di deroghe apportate, in via transitoria,
alla durata sia del trattamento per crisi aziendale che del trattamento per ristrutturazione,
riconversione e riorganizzazione.54
Nel settore edile, l'integrazione può essere corrisposta per tre mesi continuativi, prorogabili
eccezionalmente e nei soli casi di riduzione dell'orario di lavoro, per periodi trimestrali fino ad un
massimo di 12 mesi.55
La cassa integrazione guadagni agricoltura, infine, ha una durata di 90 giorni nell'anno.56
d) La richiesta dell'integrazione salariale sia ordinaria che straordinaria da parte delle imprese
industriali deve essere preceduta da una procedura di consultazione sindacale57, la quale deve avere
ad oggetto, oltre alle caratteristiche ed alle motivazioni della contrazione produttiva, i criteri di
scelta dei lavoratori da sospendere.
L'intervento ordinario e le eventuali proroghe dello stesso sono disposti dalla sede provinciale
dell'Inps competente, previa conforme deliberazione della Commissione provinciale a ciò
preposta.58
53
Art. 1, VI e IX c. l.n. 223/1991: si vedano altresì il X c. della stessa norma e l'art. 4, XXXV c. l.n. 608/1996.
54
Si vedano, a titolo esemplificativo, fra gli altri: l'art. 7, V c. l.n. 236/1993, come interpretato dall'art. 4, VII c. l.n.
608/1996; l'art. 1, I c. bis della l.n. 56/1994, l'art. 5, X e XI c. l.n. 451/1994 e l’art. 4, VI c. l.n. 608/1996; l'art. 5, VIII c.
l.n. 451/1994 e l'art. 4, XXI c. della l.n. 608/1996; l'art. 1, I c. l.n. 56/1994, come integrato ed interpretato dall'art. 4, V
c. l.n. 608/1996, l'art. 2, c. 2 ter della stessa l.n. 56, l'art. 5, X e XI c. l.n. 451/1994 e l'art. 4, VI c. l.n. 608/1996; gli artt.
1 e 4, XXI c. l.n. 608/1996; l'art. 9, XXV c., lett. c) l.n. 608/1996; l’art. 41 l.n. 289/2002; l’art. 3 l.n. 350/2003; l’art. 1
l.n. 291/2004; l’art. 1 l.n. 311/2004. Da ultimo si ricorda la vicenda degli “ammortizzatori in deroga”, il cui ultimo
episodio è contenuto nella finanziaria 2008 (art. 1, 521° c. l.n. 244/2007). Da questo processo degenerativo è interessata
anche la cassa ordinaria, come mostrano norme quali l’art. 41 l.n. 289/2002, che prevede l’erogazione del trattamento
ordinario per un massimo di 24 mesi alle imprese operanti nell’indotto automobilistico.
55
Art. 1 l.n. 427/1975. Nelle ipotesi di Cig edilizia introdotte dall'art. 10 l.n. 223/1991, il trattamento può essere
prorogato trimestralmente per un periodo massimo non superiore ad un quarto della durata dei lavori necessari per il
completamento dell'opera, quale risulta dalle clausole contrattuali. Nelle fattispecie previste dall'art. 10, inoltre, il
periodo di trattamento non concorre alla configurazione del limite massimo di cui all'art. 1 citato.
56
Art. 8 l.n. 457/1972. I trattamenti ex art. 21 l.n. 223/1991 hanno una durata non superiore a 90 giorni e non
concorrono alla configurazione del limite massimo di durata previsto al citato art. 8.
57
Art. 5 l.n. 164/1975, come integrato dagli artt.. 1, VII c. l.n. 223/1991 e 1, III c. l.n. 451/1994. La procedura, ritenuta
condizione di legittimità del provvedimento amministrativo di concessione dell'intervento, è preventiva rispetto alla
sospensione o riduzione dell'attività, salva la sussistenza di eventi oggettivamente non evitabili che rendano indifferibile
la contrazione produttiva. Nell'ambito di tale procedura è previsto lo svolgimento, su richiesta di una delle parti, di un
esame congiunto.
58
Artt. 8 l.n. 164/1975 e 26 l.n. 88/1989. Si veda in materia anche l'art. 7 l.n. 164/1975: la norma sancisce l'onere del
datore di lavoro di presentazione della richiesta d'integrazione salariale entro il termine di 25 giorni dalla fine del
periodo di paga in corso al termine della settimana in cui ha avuto inizio la contrazione produttiva, pena l'obbligo di
pagare ai prestatori una somma equivalente all'integrazione salariale persa a seguito della tardiva o omessa
presentazione della domanda. In relazione alle procedure di concessione degli interventi edili ed agricoltura si vedano:
11
La procedura per l'erogazione dell'intervento straordinario presenta caratteri di maggiore
complessità.59 La richiesta del datore di lavoro, destinata alla Direzione generale degli
ammortizzatori sociali e incentivi all’occupazione presso il Ministero del Lavoro60, deve contenere
"il programma che l'impresa intende attuare con riferimento anche alle eventuali misure previste per
fronteggiare le conseguenze sul piano sociale"; tale programma deve essere formulato in conformità
ad un modello stabilito con decreto del Ministero del lavoro.61
Le competenze di valutazione e accertamento, nell’ambito della procedura di concessione
dell’intervento, sono attribuite al Ministero del lavoro, mentre la potestà regolamentare in materia di
integrazioni salariali è affidata al Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione
economica).62
Il trattamento straordinario e le eventuali proroghe dello stesso sono concesse con decreto del
Ministero del lavoro.63
Successivamente al primo semestre, l'erogazione del trattamento è autorizzata per periodi semestrali
subordinatamente all'esito positivo del controllo, da parte del Ministero, sulla regolare attuazione
del programma.64
Ancora al Ministero del lavoro è delegato il potere di determinare le condizioni e modalità in
presenza delle quali può essere superato il limite di 36 mesi d'intervento della Cassa nel
quinquennio.65
L'impresa deve adottare, per la scelta dei lavoratori da porre in cassa integrazione straordinaria, il
criterio della rotazione tra i prestatori che espletano le medesime mansioni e sono occupati nell'unità
produttiva interessata dalle sospensioni; l'impresa è tenuta ad indicare nel programma le eventuali
"ragioni di ordine tecnico-organizzativo connesse al mantenimento dei normali livelli di efficienza"
che le impediscono di applicare il meccanismo della rotazione. Qualora il Ministero del lavoro
ritenga ingiustificate tali ragioni, dà corso ad un tentativo di conciliazione fra le parti: là dove entro
tre mesi dalla concessione del trattamento non sia stato ancora raggiunto l'accordo, il Ministero
impone con decreto l'adozione della rotazione, sulla base di proposte specifiche formulate dalle
parti. L'impresa che non ottemperi al decreto in parola viene sanzionata con il raddoppio del
contributo addizionale relativo al trattamento di integrazione, per una durata di 24 mesi, e con un
ulteriore incisivo incremento dello stesso a far corso dal 25° mese.66
gli artt. 2, 3 e 4 della l.n. 427/1975; gli artt. 14, 15, 16, 17 l.n. 457/1972; l'art. 18 l.n. 164/1975; gli artt. 10 e 21, I c. l.n.
223/1991; gli artt. 24, 25, 26 l.n. 88/1989.
59
La procedura è disciplinata dal d.p.r. 218/2000.
60
Art. 1 quater d.p.r. n. 244/2004 (si vedano gli artt. 2, 4° e 5° c. l.n. 223/1991 e 81, 10° c. l.n. 448/1998.
Valga ricordare che l'art. 1, XI c. della l.n. 223/1991, a superamento di una prassi consolidata di utilizzazione
dell'integrazione ordinaria in attesa di quella straordinaria, ha espressamente stabilito il divieto di richiedere l'intervento
straordinario in relazione alle unità produttive per le quali sia stato domandato, con riferimento agli stessi periodi,
l'intervento ordinario.
62
L.n. 537/1993.
63
Artt. 2, II c. l.n. 223/1991 e 1 l.n. 451/1994.
61
64
Art. 2, III c. l.n. 223/1991.
65
Art. 1, VI e IX c. l.n. 223/1991.
66
Art. 1, VII e VIII c. l.n. 223/1991, come implicitamente integrato dall'art. 1, II c. l.n. 451/1994. Si vedano in tema:
Liso, Mercato del lavoro, 25 e ss. e Ferraro, Le integrazioni, 26 e ss.. I criteri di scelta dei lavoratori da porre in cassa
integrazione devono rispettare, oltre all'art. 1, VIII c. l.n. 223/1991 con riferimento alla integrazione straordinaria, limiti
"esterni", coincidenti con le regole generali della correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.) e con le norme
inderogabili di tutela dei lavoratori, e limiti "interni", implicitamente desumibili dalla normativa in materia di
12
e) La cassa integrazione è finanziata principalmente attraverso i fondi pubblici; esistono inoltre
contributi a carico dei datori di lavoro.67
In particolare, le imprese industriali sono chiamate a versare un contributo fisso (ridotto per le
imprese con fino a 50 dipendenti), calcolato sulla retribuzione imponibile ex art. 12 l.n. 153/1969, a
favore dell'intervento ordinario.68
Le imprese che si avvalgano concretamente dell'intervento sia ordinario che straordinario devono
pagare un contributo addizionale (ridotto per le imprese che occupino fino a 50 lavoratori)69; tale
contributo viene raddoppiato nelle ipotesi di proroga del trattamento.70
Un contributo "transitorio", specificamente giustificato dall'introduzione dell'Indennità di mobilità,
è stato imposto a carico dei datori di lavoro ricompresi nell'area soggettiva della integrazione
straordinaria, ad eccezione di quelli edili.71
Le imprese che rientrano nel campo applicativo delle integrazioni straordinarie sono altresì
assoggettate ad un contributo di solidarietà. Tale ultimo contributo, di recente istituzione, grava
anche sui lavoratori.72
§ 3.3. Gli interventi settoriali e le ipotesi speciali.
La Cig straordinaria è stata utilizzata volta a volta anche per casi di crisi produttiva ed
occupazionale coinvolgenti interi settori dell'economia.73
In quest'area si collocano: le provvidenze per l'editoria74 e per le imprese radiotelevisive private 75;
le prestazioni per i dipendenti dei partiti politici 76; le disposizioni per i dipendenti delle imprese
commerciali, delle agenzie di viaggio e turismo e delle imprese di spedizione e trasporto, che
occupino più di 50 addetti 77; l’intervento per le imprese di vigilanza con più di 15 addetti78; le
integrazioni salariali: si veda sul punto C. Cost. n. 694/1988; Cfr. in tema Cinelli, Diritto, 1994, 215-217; Miscione,
Integrazione, 416; Magnani, I criteri.
67
I contributi dei datori di lavoro destinati al finanziamento delle integrazioni salariali straordinarie sono attribuiti alla
Gestione degli interventi assistenziali ex art. 37 l.n. 88/1989. Sul finanziamento pubblico delle integrazioni salariali si
veda Cinelli, Diritto, 1994, 203 e ss.. Cfr altresì: l'art. 16 d.lg.vo c.p.s. n. 869/1947; gli artt. 5 e 6 l.n. 464/1972; l'art. 12
l.n. 164/1975.
68
Art. 12 l.n. 164/1975.
69
Artt. 12 l.n. 164/1975, 8 l.n. 160/1988. Tale contributo non è dovuto quando l'integrazione è pagata a fronte di eventi
oggettivamente non evitabili e da parte delle imprese sottoposte a procedure concorsuali.
70
Art. 1, IV c. l.n. 223/1991.
71
Art. 7, XI c. l.n. 223/1991. Cinelli, Diritto, 1994 sottolinea come il XV c. della stessa norma smentisca implicitamente
la transitorietà del contributo da essa fissato, ove prevede che in caso di squilibrio finanziario delle gestioni i contributi
di cui al citato articolo vengano corrispondentemente adeguati (p. 205).
72
Art. 9 l.n. 407/1990. Sul finanziamento della cassa integrazioni edili (e lapidei) ed agricoltura si vedano,
rispettivamente: gli artt. 2 l.n. 14/1970, 2 l.n. 1058/1971, 8 l.n. 427/1975 e gli artt. 19-21 l.n. 457/1972, 18 l.n.
164/1975. Si leggano anche in materia gli artt. 10 e 21 l.n. 223/1991.
73
Si veda in tema Cinelli, Diritto, 1994, 198-199.
74
Art. 35 l.n. 416/1981. Si vedano anche l'art. 24, II c. l.n. 67/1987 e l'art. 7, III c. l.n. 236/1993.
75
Art. 7, IV c. l.n. 236/1993, art. 2, I c. l.n. 402/1996.
76
Art. 9, quater l.n. 236/1993.
77
Art. 7, VII c. l.n. 236/1993, art. 4, XV e XXXVI c. l.n. 608/1996, art. 2, XXII c. l.n. 549/1995 e art. 8, III c. ter l.n.
48/2005. Si veda, da ultimo l’art. 1, 523° c. l.n. 244/2007.
78
Art. 8, III c. ter l.n. 248/2005. Cfr. anche, di recente, l’art. 1, 523° c. l.n. 244/2007.
13
disposizioni a favore dei lavoratori delle imprese di trasporto a fune 79; l'intervento per i dipendenti
delle imprese di spedizione internazionale, dei magazzini generali e degli spedizionieri doganali 80;
le prestazioni a favore dei lavoratori marittimi ed amministrativi di aziende pubbliche e private e dei
lavoratori addetti al servizio di rimorchio nei porti 81; la fattispecie prevista per i lavoratori
impiegati in imprese coinvolte in processi di riconversione e ristrutturazione produttiva in
dipendenza della cessazione dell'impiego dell'amianto82; l’intervento a favore dei vettori aerei83.
Un’altra area di intervento delle integrazioni salariali è rappresentata dalle ipotesi speciali, le quali
si caratterizzano per la presenza di fattispecie calibrate su specifiche situazioni di crisi.84
In particolare, la Gepi viene autorizzata, fin dalla seconda metà degli anni settanta, a costituire
società aventi ad oggetto la promozione di iniziative produttive idonee a consentire il reimpiego dei
lavoratori eccedentari di grandi aziende in difficoltà; ai lavoratori assunti da tali strutture,
inoperative sul piano economico, è corrisposta l'integrazione salariale straordinaria. La stessa
tecnica di precostituzione del requisito dell'esistenza di un rapporto di lavoro in atto, richiesto per
dar corso all'attivazione della Cassa, viene seguita attraverso l'Insar, società creata per consentire il
reimpiego dei lavoratori eccedentari del gruppo SIR in Sardegna e delle imprese appaltatrici e
subappaltatrici dello stesso.85
Lo stato di disoccupazione dei soggetti destinatari dell'integrazione salariale non è più invece
oggetto di dissimulazione a livello giuridico nella fattispecie prevista dall'art. 1 della l.n. 501 del
1977 ("legge Taranto")86: nelle aree del Mezzogiorno nelle quali si verifichi "uno stato di grave crisi
dell'occupazione in conseguenza dell'avvenuto completamento di impianti industriali, di opere
pubbliche di grandi dimensioni e di lavori relativi a programmi comunque finanziati in tutto o in
parte con fondi statali, e nelle quali sussistano possibilità di occupazione derivanti da investimenti
pubblici (...)", il trattamento viene, infatti, concesso ai lavoratori che si rendono "disponibili a
seguito del completamento delle opere suddette".
L'erogazione delle prestazioni dipendenti dalle causali speciali d'intervento descritte viene estesa
attraverso una serie di proroghe consecutive.
Il primo tentativo di liquidare definitivamente tali fattispecie viene compiuto dalla l.n. 223 del 1991
in quella prospettiva di restituzione della Cassa all'ambito di tutela per essa istituzionalmente
divisato cui si è fatto più volte cenno.
L'art. 22, VI c. stabilisce, infatti, che i lavoratori dipendenti delle società della Gepi e dell'Insar
nonché i soggetti destinatari della l. n. 501 del 1977, beneficiari del trattamento straordinario alla
79
80
81
Art. 2 l.n. 222/1990 e art. 2, IX c., l.n. 608/1996.
Artt. 1, 2, 3 l.n. 293/1993 (si veda anche l'art. 5, XIII c. della l.n. 451/1994).
Art. 6, XV e XVI c. l.n. 236/1993, art. 29, II c. l.n. 84/1994 e art. 1, XIII c. l.n. 647/1996. In relazione alla nutrita
serie di interventi eccezionali dell'integrazione salariale straordinaria disposti per i lavoratori del settore portuale si
vedano: l’ art. 1, I c. l.n. 428/1992; l’art. 1, II c. lett. b) l.n. 343/1995; l’art. 1, XIV e XIX c. l.n. 647/1996; l’art. 1,
1191° c. l.n. 296/2006; e da ultimo l’art. 1, c. 85-86 l.n. 247/2007.
82
Art. 13 l.n. 257/1992. Si veda anche l'art. 4, XX c. l.n. 608/1996.
Art. 1 bis l.n. 291/2004.
84
Si veda anche in materia l'art. 2, X c. l.n. 169/1991.
83
85
L'intervento Gepi (società costituita ex l.n. 184/1971) viene disposto per la prima volta a favore di imprese,
individuate dal Cipe (fra esse vi era l'Innocenti), poste in liquidazione o che avessero cessato la propria attività dall'art. 1
l.n. 62/1976. Gli interventi successivi sono autorizzati: dall'art. 1 l.n. 784/1980; dagli artt. 4 e 5 l.n. 63/1982; dagli artt.
1, II c. e 2 l.n. 684/1982; dall'art. 5, V c. l.n. 193/1984; dagli artt. 5, I e II c. l.n. 193/1984 e 1, II e III c. l.n. 143/1985;
dall'art. 2 l.n. 452/1987. In relazione alla SIR si leggano l'art. 5, l.n. 25/1982 e l'art. 6 l.n. 48/1988.
86
L'art 1 l.n. 501/1977 è stato sostituito dall'art. 6 l.n. 36/1979.
14
data di entrata in vigore della legge 87, continuano a percepire l'integrazione salariale per i successivi
180 giorni, ovvero per 1 anno nei territori del Mezzogiorno. Decorso tale periodo, i lavoratori in
parola avrebbero dovuto essere collocati in mobilità.88
Una rinnovata sequela di proroghe, tuttavia, ha posposto più volte la cessazione di tali trattamenti. 89
Ancora diretti alla protezione di una condizione di sostanziale disoccupazione erano i
provvedimenti di concessione delle integrazioni salariali a favore dei dipendenti di aziende
industriali fallite, i cui licenziamenti venivano all'uopo sospesi 90, e dei lavoratori di aziende
sottoposte ad amministrazione straordinaria per le quali fosse cessata la continuazione dell'esercizio
dell'impresa91.
Ebbene, l’art. 3 della l.n. 223 del 1991 ha proceduto alla regolamentazione ex novo dell'intervento
dell' integrazione straordinaria nel caso di procedure concorsuali.
La norma dispone la concessione del trattamento, con decreto del Ministro del lavoro, per un
periodo non superiore a 12 mesi, ai dipendenti delle imprese rientranti nel campo applicativo della
Cigs, nei casi di fallimento, di liquidazione coatta amministrativa, di amministrazione straordinaria
quando la continuazione dell'attività non sia stata disposta o sia cessata, di concordato preventivo
con cessione dei beni.92
La prestazione è prorogabile di ulteriori 6 mesi soltanto là dove sussistano "fondate prospettive di
continuazione o ripresa dell'attività e di salvaguardia, anche parziale, dei livelli di occupazione
tramite la cessione, a qualunque titolo, dell'azienda o di sue parti".
Al termine del trattamento di integrazione salariale potranno essere attivate le procedure di mobilità
per i lavoratori eccedentari.
Anche in questo caso il dettato della norma è stato oggetto di successive modifiche dirette ad
attenuarne il necessario rigore.93
Fra le ipotesi speciali di intervento dell'integrazione straordinaria, natura squisitamente assistenziale
posseggono, infine, le fattispecie previste per i casi di calamità naturali o di gravi incidenti
industriali.94
87
Si veda l'art. 3 l.n. 22/1992.
88
Si vedano, tuttavia: l'art. 4 l.n. 169/1991 e l'art. 4, I c., lett. a) e II c. l.n. 608/1996; l'art. 7 l.n. 236/1993 e gli artt. 3, III
e XIV c. e 4, I c. lett. d) e II c. l.n. 608/1996.
89
Artt. 2 l.n. 460/1992 e 6, IX c. l.n. 236/1993; art. 1 l.n. 501/1993; artt. 1 e 3 l.n. 608/1996.
90
Art. 2 l.n. 301/1979; artt. 1, III c. l.n. 390/1981 e 5, II c. l.n. 63/1982. Cfr. anche l'art. 3, III c. l.n. 169/1991.
91
Art. 2 l.n. 143/1985; art. 4, VI c. l.n. 45/1986; art. 9 l.n. 19/1987; art. 1, V c. l.n. 452/1987; art. 4, I e II c. l.n.
169/1991. Si veda anche l'art. 1 l.n. 918/1982.
92
Art. 7, VIII c. l.n. 236/1993. Si leggano in materia anche il c. XXII dell'art. 4 della l.n. 608/1996 e l'art. 3 bis, II c., l.n.
135/1997.
93
Artt. 1, c. I bis l.n. 56/1994 e 4, VI c. l.n. 608/1996 (si vedano anche sul punto gli artt. 2 ter l.n. 56/1994 e 5, X e XI c.
l.n. 451/1994). Si legga altresì l'art 9, XXV c., lett. c) l.n. 608/1996. Si vedano, inoltre, gli artt. 2 l.n. 460/1992 e 6, IX c.
l.n. 236/1993, l'art. 5, XIV c. l.n. 451/1994, l'art. 7, c. X ter l.n. 236/1993, l'art. 4, XXXIV c. l.n. 608/1996 e l'art. 3, III
c. l.n. 135/19 Artt. 9 l.n. 35/1995, 5, V c. l.n. 265/1995. 97. In quest’area si rammenta, da ultimo, anche l’art. 1, 1157° c.
l.n. 296/2006, il quale ha concesso l’integrazione salariale alle imprese interessate da processi di cessione, nell’ambito
di procedure concorsuali in corso.
94
Le integrazioni salariali sono intervenute, fra l’altro, per: il disastro del Vajont (l.n. 1457/1963); la frana di Agrigento
(l.n. 749/1966); le calamità atmosferiche che colpirono Firenze (l.n. 1141/1966), la Sicilia e la Calabria (l.n. 36/1973),
la Basilicata e Cosenza (l.n. 731/1973), Sondrio, Bolzano e Novara (art. 14 l.n. 452/1987); i terremoti delle Marche (l.n.
734/1972), del Friuli (l.n. 336/1976, l.n. 730/1976), della Basilicata e Campania (l.n. 874/1980, art. 5 l.n. 389/1989);
15
Infine, l’intervento dell’integrazione salariale è stato utilizzato anche a favore delle imprese che
abbiano stipulato contratti collettivi aziendali, che stabiliscano una riduzione dell’orario di lavoro,
al fine di evitare, in tutto o in parte, la riduzione o la dichiarazione di esuberanza del personale. In
questo caso la cassa diviene misura di sostegno del contratto di solidarietà.95
§ 4. L’indennità di mobilità
§ 4.1 Introduzione
L’indennità di mobilità (IM) venne introdotta nel 1991 per compensare il vuoto di tutela originatosi
dalla ridefinizione dell’area di operatività della integrazione salariale divisata dalla l.n. 223 del
1991: i lavoratori che con tutta probabilità avrebbero fruito delle integrazioni salariali nella vigenza
della precedente disciplina, là dove non ne sia prevedibile la riammissione al lavoro, vengono
licenziati e collocati nelle liste di mobilità; ad essi viene corrisposta, per un periodo di tempo
determinato, una prestazione economica conforme ai canoni dell’adeguatezza dettati dall’art. 38
della Costituzione.96 Uno degli scopi di questa disciplina, pertanto, è quello di restituire al mercato
del lavoro un livello più accettabile di trasparenza.
I lavoratori in mobilità, come vedremo, sono registrati in una lista, che gli conferisce uno status
particolare nel mercato del lavoro. La lista di mobilità è uno strumento di politica attiva del lavoro
diretto al ricollocamento sul mercato del disoccupato. In primo luogo, si cerca di ricollocare il
lavoratore nella posizione occupazionale originariamente assunta, coincidente con il rapporto di
lavoro subordinato a tempo indeterminato. Soprattutto, tuttavia, attraverso le liste di mobilità si
cerca di reimpiegare velocemente il disoccupato nelle posizioni di lavoro offerte dal mercato. In
altre parole, la lista di mobilità è uno strumento d’incentivazione della mobilità del lavoratore da un
settore professionale all’altro, da una qualificazione professionale all’altra, dal rapporto di lavoro a
tempo pieno e indeterminato a nuove forme di lavoro, quali il lavoro temporaneo (anche attraverso
agenzie di lavoro temporaneo), quello a tempo parziale, i lavori socialmente utili, il lavoro
autonomo. Il pensionamento flessibile ed il prepensionamento sono altresì promossi, quali modi per
ridurre progressivamente le ore di lavoro in prossimità del pensionamento e di abbassare l’età
pensionabile. Per questa via, l’indennità di mobilità diventa uno strumento di tutela del reddito ed
occupazionale. L’incentivazione della mobilità della forza lavoro è un meccanismo potente per
contrastare l’effetto di immobilizzazione connesso alle prestazioni economiche per i disoccupati. In
effetti, l’obiettivo dell’indennità di mobilità è quello di riconciliare una tutela del reddito adeguata
con la necessità di sollecitare i disoccupati a cercarsi altre posizioni lavorative. Sia la diminuzione
progressiva dell’ammontare delle prestazioni nel tempo che la connessione fra la durata delle stesse
e la rioccupabilità del disoccupato, che descriveremo più avanti, sono altresì utili a questo fine. Un
ulteriore incentivo alla mobilità della forza lavoro proviene dal compromesso fra il tipo di
disponibilità al lavoro dichiarata dal prestatore e la situazione obiettiva del mercato contenuto nelle
l'inquinamento di Seveso (l.n. 688/1976). Si vedano, inoltre: la l.n. 222/1990; l’ art. 9 l.n. 35/1995, l’art. 5, V c. l.n.
265/1995; l’ art. 2 l.n. 569/1996; le ll.nn. 251 e 305 del 2001. Le integrazioni salariali sono state attivate in ipotesi di
calamità naturali o avversità atmosferiche anche a favore del settore agricolo, attraverso provvedimenti temporanei di
estensione delle prestazioni ex art. 8 l.n. 457/1972, succedutisi nel corso degli anni, fino alla definitiva generalizzazione
della fattispecie avvenuta, come si è già avuto modo di sottolineare, con l'art. 21 della l.n. 223/1991. In particolare, si
ricordano in materia: l'art. 7 l.n. 198/1985; l'art. 5, VIII c. l.n. 400/1987; l'art. 4, XIV c. l.n. 470/1987; l'art. 7 bis l.n.
286/1989; l'art. 12 l.n. 166/1991.
95
Art. 1 l.n. 863/1984, art. 7 l.n. 48/1988, art. 8 l.n. 160/1988, art. 13 l.n. 223/1991, art. 5 l.n. 236/1993, artt. 4, 7 e 12
della l.n. 451/1994, artt. 4, 6 e 9 l.n. 608/1996, d.lg.vo n. 81/2000, art. 1, 1160° e 1161° c., l.n. 296/2006. In tema si
legga anche il d.m. 16.9.2003.
96
L.n. 223/1991. Si vedano anche le seguenti normative: l.n. 236/1993, l.n. 451/1994, l.n. 608/1996, l.n. 196/1997, l.n.
448/1998, l.n. 488/1999.
16
clausole che prevedono la sospensione della prestazione in ipotesi di rifiuto di un’occupazione
adeguata.
§ 4.2 Il campo applicativo dell’indennità di mobilità
L’indennità di mobilità, che opera esclusivamente nei settori tutelati dalle integrazioni salariali, è
pagata ai lavoratori involontariamente disoccupati a seguito: a) di licenziamenti connessi
all’impossibilità dell’impresa interessata dall’integrazione straordinaria di garantire il reimpiego a
tutti i lavoratori sospesi; b) di un licenziamento per riduzione di personale; c) di un licenziamento
da parte di imprese sottoposte a procedura concorsuale.
L’indennità viene corrisposta ai lavoratori collocati in mobilità secondo la procedura contemplata
dalla legge, consistente in un esame congiunto dello stato di eccedenza occupazionale condotto in
sede sindacale e/o amministrativa e culminante nella comunicazione scritta del recesso ai lavoratori,
all’ufficio regionale del lavoro, alla commissione regionale per l’impiego e ai sindacati.
L’involontarietà dello stato di disoccupazione trova ancora una volta espressione sul piano giuridico
nell’obbligo, assistito dalla sanzione della decadenza dal trattamento di mobilità, di accettazione
dell’offerta di un lavoro alternativo, inquadrato in un livello retributivo non inferiore del 20%
rispetto a quello di provenienza. I lavoratori sono anche obbligati a partecipare a colloqui tenuti
presso i centri locali per l’impiego e finalizzati a conoscere, oltre che a notizie anagrafiche e
professionali, le loro disponibilità e aspirazioni rispetto alla ricollocazione al lavoro, come anche ad
informare gli stessi sulle concrete possibilità d’inserimento nel mercato.97
L’indennità è riconosciuta al lavoratore che possa far valere un’anzianità aziendale di almeno 12
mesi, di cui 6 di lavoro effettivo, ivi compresi i periodi di sospensione dal lavoro derivanti da ferie,
festività e infortuni, nell’ambito di un rapporto a carattere continuativo; sono esclusi dalla stessa i
lavoratori assunti con contratto a termine, i lavoratori stagionali e saltuari.
§ 4.3 Il trattamento dei lavoratori in mobilità
I lavoratori in mobilità hanno diritto: a) ad una prestazione economica di ammontare molto vicino a
quello delle integrazioni salariali; b) all’iscrizione in una lista speciale, alla quale sono connesse una
serie di posizioni giuridiche di vantaggio sul mercato del lavoro dirette ad ottenere una rapida
ricollocazione dei soggetti interessati. In altre parole, i disoccupati ottengono una tutela del reddito
adeguata accanto ad una tutela a carattere occupazionale.
L’indennità di mobilità è pari al 100%, per i primi 12 mesi, ed all’80%, per i mesi successivi, del
trattamento di integrazione salariale che i lavoratori hanno percepito o avrebbero avuto diritto a
percepire nel periodo immediatamente precedente la risoluzione del rapporto. La prestazione viene
rivalutata, con effetto dal 1° gennaio di ogni anno, in misura corrispondete all’aumento
dell’indennità di contingenza dei lavoratori dipendenti. L’IM spetta per un periodo massimo di 12
mesi, elevato a 24 per coloro che hanno compiuto i 40 anni e a 36 mesi per quanti hanno compiuto i
50 anni. Nelle aree del Mezzogiorno, i limiti predetti sono aumentati di 12 mesi. La durata del
trattamento non può comunque superare l’anzianità maturata dall’interessato alle dipendenze
dell’impresa che abbia attivato la procedura di mobilità. In sostanza, i disoccupati più anziani che
provengono dalle zone a più alta disoccupazione beneficiano della prestazione più a lungo.
Bisogna tuttavia ricordare che disposizioni successive alla l.n. 223 del 1991, di natura temporanea,
hanno variamente esteso i termini di durata dell'IM, per specifici gruppi di lavoratori. La stessa
legislazione ha autorizzato il pagamento delle prestazioni in settori economici diversi da quelli
ricompresi nel campo applicativo delle integrazioni salariali; altre disposizioni, infine, hanno
temporaneamente reso disponibile il particolare status nel mercato conferito dall’iscrizione nella
lista di mobilità a lavoratori che non sono tutelati dall’IM. E’ chiaro che tutte queste previsioni,
lontane dal rappresentare un progetto razionale di sicurezza sociale, non sono altro che interventi ad
97
Le norme che regolano la materia sono: l’art. 9 l.n. 223/1991 e l’art. 1 quinquies l.n. 291/2004.
17
hoc discrezionalmente introdotti quali risposte casuali in risposta a particolari situazioni di
emergenza.98
Lo status particolare nel mercato del lavoro garantito dalla disciplina dell’IM è conferito
dall’iscrizione del disoccupato nelle liste di mobilità. Questo status consiste nella predisposizione a
favore dei soggetti iscritti alle liste di mobilità di una serie di garanzie funzionalizzate ad un rapido
ricollocamento degli stessi nelle posizioni di lavoro disponibili sul mercato. Così, per i lavoratori
che accettano occupazioni meno pagate delle loro abituali, per un periodo di 12 mesi, è prevista
l’erogazione di un assegno integrativo mensile di importo pari alla differenza tra il trattamento
retributivo percepito e quello originario, calcolati sulla base dei contratti collettivi nazionali. Le
aziende che impiegano lavoratori in mobilità beneficiano di vari incentivi, quali contribuzioni al
salario corrisposto ai lavoratori assunti, crediti contributivi e d’imposta.99 Inoltre, i lavoratori in
mobilità hanno una speciale riserva nelle assunzioni. Essi possono altresì ottenere il pagamento
anticipato dell’indennità di mobilità per avviare la propria impresa o per prendere parte ad una
società cooperativa. Ai lavoratori vicini all'età pensionabile è corrisposta l’indennità di mobilità fino
al pensionamento; l’indennità introduce per tal via una forma di prepensionamento.
Alternativamente, i lavoratori anziani che fruiscono dell'IM fino al raggiungimento dell'età
pensionabile hanno facoltà di cumularla con il reddito ricavato da un'eventuale attività di lavoro
autonomo o subordinato da essi svolta, nei limiti della retribuzione spettante al momento della
messa in mobilità. La disposizione si risolve di fatto in una incentivazione ulteriore di forme di
pensionamento graduale nelle quali la garanzia di un reddito adeguato si affianca allo svolgimento
di attività insufficiente ad impiegare il lavoratore a pieno regime. L’impiego dei lavoratori in
mobilità in lavoro a termine è stimolato attraverso incentivi ai datori di lavoro; i disoccupati sono
anche autorizzati a lavorare a tempo parziale o a termine e a mantenere l’iscrizione alle liste. Infine,
i lavoratori in mobilità possono essere indirizzati verso corsi di formazione professionale ed
impiegati in lavori socialmente utili (il rifiuto del lavoratori in questi casi è sanzionato con la
sospensione della prestazione).
§ 4.4 Il finanziamento delle prestazioni
Oltre che con i fondi statali, l'Indennità di mobilità è finanziata attraverso i contributi a carico delle
imprese. In particolare, per ogni lavoratore posto in mobilità successivamente all'intervento
dell'integrazione salariale, l'impresa deve versare ratealmente alla Gestione degli interventi
assistenziali dell'Inps di cui all'art. 37 l.n. 88 del 1989 una somma pari a sei volte il trattamento
iniziale di mobilità spettante al lavoratore; la somma in parola è elevata a nove volte la prestazione
di mobilità se l'impresa ha effettuato i licenziamenti del personale eccedentario senza passare prima
per la Cigs. In entrambe i casi, tuttavia, il contributo è ridotto a tre mensilità se è intervenuto un
accordo sindacale sulla messa in mobilità. Al finanziamento dell'Indennità di mobilità non
partecipano, tuttavia, esclusivamente le imprese che fanno concretamente uso delle procedure ad
essa relative. Tutte le imprese rientranti nel campo applicativo della disciplina dell'integrazione
straordinaria (escluse quelle edili) sono, infatti, tenute al pagamento di uno specifico contributo.
§ 9. Considerazioni critiche generali
Il nostro sistema di tutela della disoccupazione - volendo qui limitare l’analisi alle disposizioni di
tutela del reddito, ovvero ad assicurazione disoccupazione, cassa integrazione guadagni e indennità
di mobilità - presenta, infatti, delle caratteristiche, per così dire, morfologiche che, nella loro
reciproca interazione, impediscono al sistema di protezione sociale di adattarsi ai bisogni ormai da
tempo emersi nell’area della tutela della disoccupazione: a) in primo luogo, l’indennità di
disoccupazione è ancora strutturalmente condizionata dalla sua matrice assicurativa; b) in secondo
98
Si vedano le seguenti normative: l.n. 236/1993, l.n. 451/1994, l.n. 608/1996, n. 135/1997, l.n. 52/1998, l.n. 176/1998,
l.n. 448/1998, l.n. 144/1999, l.n. 488/1999.
99
Si vedano, per esempio, gli artt. 8 e 25 l.n. 223/1991 e l’art. 2 l.n. 489/1994.
18
luogo, alla progressiva erosione dei principi assicurativi nell’ambito degli istituti di tutela del
reddito dei disoccupati, avvenuta sin dagli anni ’70, non ha fatto seguito l’individuazione di
strumentazioni di tutela alternative conformi ai canoni costituzionalmente imposti; c) in terzo luogo,
le prestazioni di tutela della disoccupazione non sono ancora finalizzate, in maniera sistematica, alla
realizzazione, accanto alla tutela del reddito, di una politica attiva del lavoro idonea a rimuovere la
causa dello stato di bisogno del lavoratore, ovvero diretta ad incentivare il reimpiego dei soggetti
beneficiari nel mercato.
a) Partiamo dalla natura assicurativa dell’indennità di disoccupazione. L’involontarietà dell’evento
disoccupazione - che appare addirittura nel testo costituzionale, all’art. 38, comma 2 - non è che la
traduzione in termini previdenziali della richiesta estraneità del soggetto al verificarsi dell’evento,
ovvero della non imputabilità all’assicurato del rischio; ad essa è connessa una funzione di
disciplina sociale sul comportamento del soggetto protetto, che si sostanzia nella richiesta di
disponibilità al lavoro, accertata dagli organi di gestione del mercato del lavoro, nella
penalizzazione del licenziamento per giusta causa, quali ipotesi di aggravamento del rischio da parte
del soggetto, ed infine nella negazione della tutela al lavoratore dimissionario, in quanto
‘volontariamente’ disoccupato. I tratti peculiari del rischio assicurato, del resto, conducono ad
esclusioni dal campo di applicazione soggettivo della tutela che sono direttamente dipendenti
dall’inesistenza del rischio, dalla certezza del suo verificarsi o dalla sua volontaria accettazione.
Così, per esempio, l’eccettuazione dal campo applicativo dell’assicurazione dei lavoratori cui sia
garantita la stabilità dell’impiego è riconducibile all’assenza del rischio. Mentre la ratio della
preclusione operante nei confronti dei lavoratori titolari di rapporti contrassegnati da elementi
associativi riposa nella volontaria assunzione del rischio di disoccupazione da parte del soggetto
assicurato. Ancora, nell’ambito del lavoro non standard, alla certezza del verificarsi dell'evento è
ricollegabile l'esclusione dal godimento dell'indennità per i periodi di stagione morta o di sosta
nell'ambito di lavorazioni stagionali o soggette a sospensioni ricorrenti: l'indennità è stata, per
converso, erogata - a seguito della sentenza n. 160 del 1974 della Corte costituzionale100 - qualora il
prestatore abbia dimostrato, attraverso l’iscrizione alle liste di collocamento nei periodi di
sospensione dell’attività lavorativa, la sua disponibilità ad assumere impieghi in settori diversi del
mercato, riproponendosi per tal via una situazione di incertezza occupazionale.101 Il ruolo assunto
dal meccanismo assicurativo emerge, altresì, in tutta la sua pregnanza nella previsione dei requisiti
di anzianità assicurativa e di attualità contributiva, cui è subordinato l'accesso alla prestazione102. Il
condizionamento della tutela all’adempimento dei requisiti assicurativi e contributivi rende più
difficile l’acquisizione della titolarità della prestazione per tutti i lavoratori privi di una presenza a
tempo pieno e continuativo nel mercato del lavoro. Non a caso, nel 1991, il legislatore ha introdotto
condizioni contributive ridotte per i lavoratori precari e stagionali, impegnati in lavori di durata
inferiore ai 6 mesi. L’attenuazione in questa prestazione dei lineamenti assicurativi che connotano
l’assicurazione ordinaria appare evidente anche nella prevedibilità dell’evento disoccupazione, che
caratterizza le forme di lavoro precarie e stagionali e che conduce ad un allontanamento dal concetto
100
Corte costituzionale 28.5.1974, n. 160, in Foro Italiano, 1974, I, p. 1962.
P. Bozzao, Dal “lavoro” alla “laboriosità”. Nuovi ambiti della protezione sociale e discontinuità occupazionale, in
Rivista di diritto della sicurezza sociale, 2003, pp. 542 e ss. considera la pronuncia n. 160/1974 della Corte
costituzionale (posta accanto alla sentenza n. 132/1991 in materia di indennità di maternità e lavoro part time verticale)
sintomatica rispetto al “delinearsi di quel graduale ampliamento delle tutele dalla protezione sociale del rischio in
quanto tale a quella della situazione di bisogno in sé considerata, scaturente dal mero verificarsi di un evento, quale
quello della disoccupazione, non più quantificabile in termini di aleatorietà” e alla conseguente “emersione ... di una
diversa ratio sottesa al trattamento indennitario ... volta a valorizzarne la funzione integrativa rispetto a forme di reddito
ritenute per il lavoratore insufficienti” (pp. 542-543).
102
Sebbene, come si è più volte avuto modo di precisare, le esigenze attuariali connesse ai requisiti contributivi
conservino oggi valore ad un livello meramente strutturale, risultando prive di rilevanza sul piano finanziario.
101
19
di rischio assicurato quale evento futuro ed incerto103; d’altra parte, in questo tipo di prestazione fino alle normative più recenti di riforma (in particolare, all’art. 13, c. 2, lett. a) della l.n. 80/2005) non vi era alcun controllo della involontarietà della disoccupazione, neanche nei termini, previsti
dalla Corte costituzionale per i lavoratori stagionali, della iscrizione alle liste di collocamento.104
Tuttavia, l’indennità con requisiti ridotti è inferiore rispetto al già modesto ammontare
dell’indennità ordinaria, mentre la durata della prestazione è determinata in relazione al numero dei
giorni lavorati nell’anno precedente. La differenza nell’entità della tutela erogata risponde a reflui di
matrice assicurativa, ovvero l’abbassamento delle condizioni contributive di accesso conduce ad
una prestazione meno elevata. La modalità di computo dell'indennità, infine, conserva un legame
virtuale con i principi assicurativi: la prestazione è proporzionalmente commisurata, infatti, alla
retribuzione, base di calcolo dei contributi datoriali differenziati per settore.
La inadeguatezza del principio assicurativo nella tutela sociale della disoccupazione emerge già
dalle crisi economiche degli anni ’70, periodo in cui si inizia a porre a porre in discussione
l’idoneità della assicurazione contro la disoccupazione ad integrare la soglia di garanzia
costituzionalmente riconosciuta: anche per il lavoratore ‘tipico’, infatti, i criteri assicurativi hanno
reso inevitabile la circoscrizione della tutela erogata dall'assicurazione disoccupazione sia dal punto
di vista soggettivo, con l'esclusione degli inoccupati e di quanti siano privi dei requisiti assicurativi
e contributivi, che oggettivo, attesa l'impossibilità di accordare tutela alle situazioni di bisogno che
non rispondano alle caratteristiche proprie del rischio; ancora ad elementi di chiara matrice
assicurativa è stata a lungo connessa l'entità irrisoria e la durata limitata dell'indennità ordinaria. E’
chiaro che l’inadeguatezza dei principi assicurativi raggiunge il suo apice con l’avvento delle forme
di lavoro atipico.
b) Alla progressiva erosione dei principi assicurativi, attraverso l'introduzione di istituti quali i
sussidi straordinari, i trattamenti speciali, le integrazioni salariali e, successivamente, l’indennità di
mobilità, non ha fatto, tuttavia, seguito l'individuazione di sistematiche di tutela alternative,
conformi ai canoni costituzionalmente imposti. In realtà, ai meccanismi assicurativi si sono quasi
sempre sostituite, nella configurazione dei diversi istituti, valutazioni squisitamente congiunturali di
ordine politico-economico.
Ne è scaturito un sistema frammentario, caratterizzato da inutili sovrapposizioni e da vuoti di tutela
incolmabili, ispirato dalla logica del contingente, assillato da problemi di bilancio pubblico.105 A
fronte del medesimo stato di bisogno esistono le prestazioni più disparate, attribuite in relazione al
settore produttivo, alle dimensioni dell'azienda, o all'area territoriale di appartenenza del lavoratore,
o ancora a seconda del modo di cessazione del rapporto o del numero di soggetti coinvolti dal
licenziamento. I trattamenti si differenziano radicalmente fra loro in relazione all'ammontare, alla
durata, al tipo di posizione giuridica soggettiva garantita ai prestatori disoccupati: si pensi quanto
all'entità del trattamento alla diversità fra l'indennità ordinaria di disoccupazione e le integrazioni
salariali straordinarie; oppure si confronti la posizione di diritto soggettivo riconosciuta ai lavoratori
nella disciplina l'indennità di mobilità o dell'assicurazione disoccupazione con quella di interesse
legittimo loro attribuita con riferimento alle integrazioni salariali. L'assenza di un trattamento
assistenziale, a carattere generale e sussidiario, contribuisce a scavare un solco incolmabile fra chi,
103
Si consenta il rinvio su questi temi a S. Renga, Mercato del lavoro e diritto, Angeli, Milano, 1996, pp. 99 e ss.
Questa evoluzione nel concetto di evento tutelato dall’assicurazione contro la disoccupazione è sapientemente posta in
risalto anche da P. Bozzao, Dal “lavoro” alla “laboriosità”. Nuovi ambiti della protezione sociale e discontinuità
occupazionale, in Rivista di diritto della sicurezza sociale, 2003, pp. 548 e ss. Si legga anche in tema P. Bozzao, La
tutela previdenziale del lavoratore discontinuo. Problemi e prospettive del sistema di protezione sociale, Giappichelli,
Torino, 2005, Cap. 3.
104
Si legga sul punto P. Bozzao, Dal “lavoro” alla “laboriosità”. Nuovi ambiti della protezione sociale e discontinuità
occupazionale, in Rivista di diritto della sicurezza sociale, 2003, pp. 550 e ss.
105
Sul piano della tecnica normativa, questo fenomeno si è tradotto in un susseguirsi disordinato di interventi legislativi,
spesso fra loro non coordinati, di difficile lettura quando non di oscuro significato. Sia consentito rinviare su questi temi
a S. Renga, Mercato del lavoro e diritto, Angeli, Milano, 1996, cap. 12.
20
avendo già fatto ingresso nel mercato, ha perso il proprio lavoro e quanti, non essendo neanche
riusciti ad accedervi, sono esclusi dalla stragrande maggioranza delle prestazioni, istituzionalmente
riservate ai soggetti già precedentemente occupati.
Un sistema di tal genere è sicuramente fonte di gravi disparità fra lavoratori colpiti dallo stesso
evento lesivo; ma la cosa più grave - in generale, ma a fortiori con riferimento ai lavoratori non
standard, i quali non costituiscono certo un centro di potere a livello politico o sindacale - è che gli
statuti di protezione, variamente articolati, di gruppi distinti di lavoratori sul mercato si sono
moltiplicati, senza che le differenziazioni rispondessero ad una diversa configurazione della
condizione di bisogno dei titolari delle prestazioni, ma unicamente in dipendenza della capacità di
pressione politica e della conflittualità sociale propria di ciascun gruppo.
Che quella descritta sia una tendenza di sistema consolidata oramai da decenni è dimostrato dalla
mancata ‘riforma promessa’ degli ammortizzatori sociali, passata (tristemente) dai tavoli di varie
legislature di diverso colore politico; ulteriore conferma se ne ricava dalla prosecuzione, nell’area
delle integrazioni salariali e dell’indennità di mobilità, degli innumerevoli interventi di proroga o di
concessione dei trattamenti per specifiche situazioni di crisi aziendali, disposizioni queste oramai
difficilmente rintracciabili nascoste come sono nelle pieghe di articoli e commi di leggi che, nella
migliore delle ipotesi, sono intitolate allo sviluppo economico e sociale e, nella peggiore, sono leggi
finanziarie composte di un unico articolo106 .
In questo contesto, non deve, dunque, sorprendere che, nel settore delle integrazioni salariali e
dell’indennità di mobilità, la tutela dei lavoratori non standard patisca severe limitazioni.
Intanto, a livello generale, il tipo di tutela erogata da queste prestazioni si attaglia unicamente al
lavoro dipendente, al quale è infatti circoscritta: con evidente semplificazione107, si può affermare
che il target della tutela è, da un lato, la garanzia del reddito dei lavoratori di imprese in difficoltà di
ordine congiunturale o strutturale e, dall’altro, il sostegno finanziario della singola impresa o di
interi settori economici in crisi.
All’interno del lavoro dipendente una selezione ulteriore è compiuta per settori produttivi o per
specifiche situazioni di crisi, sulla base di scelte discrezionali di politica economica. Una vittima
illustre di questa modalità di definizione del campo applicativo della tutela potrebbero essere, come
si è già messo in luce, le imprese di somministrazione, ricondotte d’ufficio dal legislatore al settore
terziario, posto che non è pacifica l’applicazione delle integrazioni salariali, e conseguentemente
dell’indennità di mobilità 108, a tale settore.
Inoltre, sicuramente insidiosi per le tipologie di lavoro discontinue sono i requisiti di anzianità
occupazionale che regolano l’accesso alle prestazioni. In particolare, il limite di 12 mesi di anzianità
aziendale - di cui 6 di lavoro effettivo - cui è subordinata l’erogazione dell’indennità di mobilità, è
anche piuttosto lungo: non a caso dall’indennità di mobilità sono esclusi i lavoratori a termine - ivi
inclusi i lavoratori assunti con contratto d’inserimento e con contratto di somministrazione a
termine e gli apprendisti - nonché i lavoratori stagionali e saltuari.
Fra gli interventi di questo tipo si ricordano, da ultimo: l’art. 3, c. 137 della l.n. 350/2003; gli artt. 1, c. 1 e 1 bis, c. 14 della l.n. 291/2004; l’art. 1, c. 155 della l.n. 311/2004; l’art. 13, c. 2, lett. b) della l.n. 80/2005; l’art. 1, c. 410-411
della l.n. 266/2005. Su questi temi si legga anche F.Liso, Il problema della riforma degli ammortizzatori sociali
nell’iniziativa del Governo, in AA.VV., Tutela del lavoro e riforma degli ammortizzatori sociali, Giappichelli, Torino,
2002, pp. 115 e ss. L’Autore sottolinea, in particolare, che la riforma della l.n. 223 del 1991 è stata “disattivata” da
interventi legislativi successivi “a beneficio di particolari categorie o gruppi di lavoratori” e che il “contesto di scarsità
delle risorse pubbliche ... ha indotto l’utilizzo di modelli che raggiungono una composizione degli interessi in gioco
attraverso la crescente partecipazione finanziaria delle imprese” (p. 115): si citano ad esempio di ciò gli accordi
collettivi in materia di mobilità lunga, che hanno poi trovato una sanzione legislativa nell’art. 3 della l.n. 229/1997 e
nell’art. 4, c. 26 e 29 della l.n. 608/1996.
107
Per approfondimenti sul punto si può leggere S. Renga, Mercato del lavoro e diritto, Angeli, Milano, 1996 e G.G.
Balandi, Tutela del reddito e mercato del lavoro nell’ordinamento italiano, Giuffrè, Milano, 1984.
108
L’indennità di mobilità opera esclusivamente nei settori cui si applicano le integrazioni salariali.
106
21
Esclusi dalle integrazioni salariali sono anche i lavoratori a domicilio: la retribuzione a cottimo è di
ostacolo ai meccanismi di applicazione e di calcolo dell’integrazione salariale.
c) Il terzo difetto di sistema è costituito dal fatto che l’apparato di protezione sociale per la
disoccupazione non riesce a produrre una politica attiva del lavoro; detto in termini più attuali e con
lo sguardo rivolto alle sollecitazioni comunitarie, non riesce a produrre l’invocata “sicurezza
attiva”109.
Qui bisogna aprire una parentesi. Come altrove si era già da tempo sostenuto110, al sistema di
sicurezza sociale per i lavoratori disoccupati è intrinsecamente connesso un rapporto d'interazione
necessaria fra prestazione di disoccupazione e mercato del lavoro. Lo stato di bisogno del lavoratore
oggetto della disciplina di tutela è, infatti, direttamente determinato, dato il carattere involontario
della disoccupazione, dalla posizione del prestatore nel mercato. L'intervento previdenziale
costituisce, in linea generale, uno degli elementi che compongono il mercato del lavoro. L'obiettivo
principale dell'apparato di sicurezza sociale costituzionalmente previsto consiste, d'altra parte, nella
rimozione della causa, oltre che degli effetti, dello stato di bisogno: ciò che in questa fattispecie si
sostanzia appunto nella reintegrazione del lavoratore nel mercato. La capacità del sistema di creare
valide alternative occupazionali è fortemente condizionata dagli effetti prodotti nel mercato del
lavoro dalle prestazioni di disoccupazione; in altre parole, il tipo di interrelazione che si viene a
determinare fra sicurezza sociale e mercato del lavoro acquisisce una rilevanza centrale dal punto di
vista della possibilità dell'apparato di protezione sociale di farsi strumento di una politica attiva
dell'impiego. Ebbene, se analizziamo i diversi istituti di tutela della disoccupazione, emerge una
specifica interazione fra sistema di sicurezza sociale e fattispecie della subordinazione: ciascun
istituto di tutela risulta, infatti, connesso, a livello strutturale, alle varie tipologie negoziali proprie
del lavoro dipendente; analogamente, molti fra gli strumenti di protezione dei soggetti disoccupati
sono strutturalmente collegati a schemi contrattuali diversi dal lavoro subordinato, quali il lavoro
autonomo o associato. Ciò che si vuol dire è che esiste, in definitiva, una capacità del sistema di
sicurezza sociale di incentivare alcune modalità occupazionali piuttosto che altre: il che significa
che il sistema di prestazioni per la disoccupazione può diventare un potente strumento di politica
attiva del lavoro.
Ora, questa interazione fra sicurezza sociale per i disoccupati e mercato del lavoro si è modificata
nel corso del tempo. Circoscrivendo ancora una volta l’analisi alla prestazioni di tutela del reddito,
bisogna sottolineare come gli effetti volta a volta prodotti nel mercato del lavoro dalle prestazioni di
disoccupazione non si siano rivelati sempre compatibili con le esigenze in esso prevalenti.
Una consonanza fra regole indotte dal sistema di sicurezza sociale e regole naturali di
funzionamento del mercato del lavoro si registra nella prima metà del secolo. In quel periodo, la
necessità primaria era quella di mantenimento sotto il controllo datoriale della mobilità della forza
lavoro. L'assicurazione disoccupazione ha costituito appunto uno degli strumenti attuativi del
progetto di limitazione degli spostamenti della manodopera nell'ambito dei settori produttivi centrali
nell'economia del paese: i meccanismi assicurativi ad essa sottesi premiano, infatti, la stabilità
dell'occupazione in rapporti di lavoro a tempo pieno ed indeterminato, la regolarità e continuatività
dell’impiego.
La relazione fra sicurezza sociale e mercato cambia decisamente di segno, negli anni settanta, con le
integrazioni salariali. La funzione di controllo della mobilità, propria del sistema di tutela incentrato
sull'assicurazione disoccupazione ed inizialmente condivisa dalle integrazioni salariali nella loro
versione originaria, si snatura in un effetto di congelamento della forza lavoro all'interno dei settori
produttivi interessati dai trattamenti, nelle professionalità e negli schemi contrattuali di
appartenenza, peraltro saturi dal punto di vista occupazionale. Il contrasto con i meccanismi che
regolano il funzionamento del mercato del lavoro si rivela, nell'ipotesi delle integrazioni salariali
Si legga per tutti S. Giubboni, Flessibilità, mobilità, “atipicità” dei lavori e sicurezza sociale, in Il diritto della
sicurezza sociale in trasformazione, Giappichelli, Torino, 2005, pp. 33 e ss.
110
S. Renga, Mercato del lavoro e diritto, Angeli, Milano, 1996.
109
22
straordinarie, radicale: attraverso la conservazione, frequentemente a tempo indefinito, di vincoli
contrattuali fittizi fra lavoratori e datori di lavoro e di una quota di reddito vicina alla precedente
retribuzione, l'istituto ha di fatto dato voce ad un disegno di distribuzione dei fattori di scambio
presenti nel mercato del lavoro che si è sovrapposto a quello naturale; le integrazioni sono giunte, in
sostanza, fino a sostituire i meccanismi ordinari di destinazione della risorsa lavoro nel mercato.
Nell’ultimo quarto di secolo, la composizione della domanda di lavoro nel mercato è mutata
profondamente. Il mercato del lavoro attuale si caratterizza per l'estrema dinamicità delle sue
componenti: la necessità in esso preminente è quella, opposta rispetto al passato, della mobilità
della manodopera; là dove per mobilità s'intende disponibilità dei prestatori di lavoro a convergere
rapidamente verso settori produttivi emergenti, nuove professionalità, forme di lavoro diverse dalla
fattispecie ordinaria del rapporto di lavoro stabile a tempo pieno ed indeterminato.
Come si è potuto agevolmente desumere dal funzionamento dell’istituto delle integrazioni salariali,
l'alterazione o sostituzione dei meccanismi ordinari di allocazione della risorsa lavoro nel mercato
non costituiscono efficaci strumenti di tutela occupazionale. In sostanza, un sistema di protezione
sociale che abbia quale obiettivo primario la tutela dell'occupazione, ovvero la rimozione della
causa generatrice dello stato di bisogno, non può essere veicolo di politiche del lavoro di segno
contrario rispetto alle esigenze del mercato. La morfologia della domanda di lavoro nel mercato purtroppo o per fortuna - non può essere mutata dal sistema di sicurezza sociale, dipendendo essa da
variabili, di carattere economico e normativo, che trascendono le prestazioni di disoccupazione.
Gli obiettivi di tutela occupazionale del sistema di sicurezza sociale sono realizzabili, dunque,
esclusivamente attraverso l'attuazione di una politica di governo dei movimenti della forza lavoro
nel mercato compatibile con le regole naturali di funzionamento dello stesso e corrispondente alle
necessità in esso prevalenti. In particolare, la capacità del sistema di sicurezza sociale di influenzare
la scelta della fattispecie negoziale deve essere utilizzata in guisa tale da assecondare l'evoluzione
della domanda di lavoro nel mercato. Tradotto in termini attuali, in un mercato caratterizzato da una
forte fluidità a livello tecnologico, produttivo ed economico, nell'ambito del quale la prestazione
prevalentemente personale di energie lavorative è declinabile al plurale, il sistema di sicurezza
sociale deve farsi strumento di una politica attiva dell'impiego idonea ad incentivare la mobilità dei
lavoratori disoccupati verso nuove occupazioni, professionalità alternative, schemi negoziali diversi
dal lavoro subordinato a tempo pieno ed indeterminato. Il progetto di governo della mobilità della
manodopera deve avere, in sostanza, ad oggetto le posizioni occupazionali concretamente
disponibili, conferendosi per tal via un'attenzione maggiore alle condizioni oggettive del mercato.111
Di fronte alle nuove esigenze del mercato il legislatore ha reagito, non diversamente dal solito, in
maniera frammentata e parziale. La batteria di incentivazioni al lavoro a tempo parziale, a termine,
temporaneo e di inserimento, che abbiamo già descritto, sono un tangibile esempio - nel mare
magnum delle incentivazioni all’occupazione delle quali pure si attende una riforma - del confuso
tentativo di mettere in piedi una politica attiva dell’impiego.
L’istituto che più di ogni altro persegue, almeno nelle intenzioni, obiettivi di politica attiva
dell’impiego è, tuttavia, l’indennità di mobilità, riuscendo a compenetrare istanze - evidentemente
non inconciliabili - di adeguatezza del trattamento sotto l'aspetto della tutela del reddito e di
sollecitazione dei soggetti beneficiari dello stesso alla ricerca di nuova occupazione. I lavoratori in
mobilità vengono, infatti, registrati in una lista, che gli conferisce uno status particolare nel mercato
111
Deve sottolinearsi che la funzione di creazione e salvaguardia di opportunità occupazionali esplicata dall'apparato di
protezione sociale non può, comunque, essere riguardata come sostitutiva di politiche macroeconomiche dirette alla
realizzazione del pieno impiego. Le politiche attive dell'occupazione sono certamente necessarie nell'attuale mercato del
lavoro, ma insufficienti a garantire livelli di occupazione accettabili. Il progetto di governo attivo della manodopera
attuabile attraverso il sistema di sicurezza sociale ha l'unico scopo di far fronte all'estrema dinamicità di un mercato del
lavoro in rapida evoluzione ed alle sue conseguenze in termini occupazionali; le politiche attive del lavoro non possono,
per converso, compensare gli effetti di strategie economiche che indirettamente accrescono il livello di disoccupazione
dipendente dai mutamenti strutturali del mercato.
23
del lavoro. La lista di mobilità è, in altri termini, uno strumento di politica attiva del lavoro diretto al
ricollocamento sul mercato del disoccupato. In primo luogo, si cerca di ricollocare il lavoratore
nella posizione occupazionale originariamente assunta, coincidente con il rapporto di lavoro
subordinato a tempo indeterminato. Soprattutto, tuttavia, attraverso la lista di mobilità si cerca di
reimpiegare rapidamente il disoccupato nelle posizioni di lavoro offerte dal mercato; in altre parole,
la lista di mobilità è uno strumento d’incentivazione della mobilità del lavoratore da un settore
professionale all’altro, da una qualificazione professionale all’altra, dal rapporto di lavoro a tempo
pieno e indeterminato verso il lavoro temporaneo, quello a tempo parziale, i lavori socialmente utili,
il lavoro autonomo; il pensionamento flessibile è altresì promosso, onde ridurre progressivamente le
ore di lavoro in prossimità del pensionamento. Per questa via, l’indennità di mobilità diventa uno
strumento di tutela al tempo stesso del reddito ed occupazionale. Contribuiscono altresì ad evitare
l'immobilizzazione della manodopera la regola della scalarità della prestazione nel tempo e la
connessione fra la durata della stessa e la rioccupabilità del disoccupato. Inoltre, nel test di
disponibilità al lavoro originariamente previsto per l’indennità di mobilità si affaccia un primo,
timido, riferimento alle condizioni oggettive del mercato, ovvero alle forme di occupazione in esso
concretamente assumibili.
L’indennità di mobilità, tuttavia, come si è già messo in rilievo, ha un campo d’azione limitato
rispetto allo spettro dei bisogni ingenerati dalla mancanza di lavoro nel mercato. Inoltre, continua ad
essere assente, come avremo tra poco modo di chiarire, un collegamento di ordine sistematico fra le
misure di politica attiva realizzate attraverso l’indennità e la funzione di politica attiva del lavoro
istituzionalmente propria dei servizi pubblici per l’impiego.
E’ superfluo rimarcare che un sistema di tutela della disoccupazione che fatica a produrre politiche
attive del lavoro arreca il disagio maggiore a quanti occupano nel mercato una posizione precaria,
caratterizzata da discontinuità di impiego e da redditi inferiori a quello idoneo a permettere
l’integrazione sociale del lavoratore e della sua famiglia. Il mercato attuale del lavoro, composto
come è da ‘pezzi’ di lavoro che il prestatore è costretto a ricomporre in mosaico per poter
raggiungere un reddito sufficiente, ha urgente bisogno di politiche attive dell’impiego, onde non
lasciare esclusivamente al lavoratore l’onere insostenibile di trovare un dignitoso rimedio ai periodi
di sosta o di inattività o di sottoccupazione.112
§ 10. I lineamenti di una riforma solidale
Un sistema solidale di tutela del reddito dei lavoratori in stato di bisogno derivante dalla mancanza
di lavoro deve basarsi sul principio, che ne è anche l’obiettivo, della reintegrazione sociale del
lavoratore nel senso previsto dal comma 2 dell’art. 3 della Costituzione.
Come si è già precisato, l’integrazione sociale del lavoratore, a fronte dello stato di bisogno
ingenerato da una mancanza di lavoro nel mercato, deve compiersi sia sul piano economico che su
quello occupazionale. Conviene, pertanto, domandarsi cosa debba intendersi, in termini concreti,
per integrazione economica e occupazionale.
a) Sotto l’aspetto economico, è certamente difficile quantificare il livello minimo di reddito idoneo
a garantire l’integrazione sociale di un soggetto, a causa della sua dipendenza da diverse variabili.
La creazione di un meccanismo di valutazione dello stato di bisogno effettivo del soggetto, basato
sul modello dell’Indicatore della situazione economica di quanti richiedono prestazioni o servizi
sociali e assistenziali (ISE), sarà di estrema utilità.
La soglia minima di reddito avrebbe anche la funzione di stabilire il livello al disotto del quale il
lavoratore impegnato in un’attività discontinua o marginale sia da ritenere meritevole della tutela
contro la disoccupazione, in quanto il lavoro svolto non riesce a garantirgli l’integrazione sociale: in
Su questi temi si legga anche P. Bozzao, Dal “lavoro” alla “laboriosità”. Nuovi ambiti della protezione sociale e
discontinuità occupazionale, in Rivista di diritto della sicurezza sociale, 2003, pp. 568 e ss. e La tutela previdenziale del
lavoratore discontinuo. Problemi e prospettive del sistema di protezione sociale, Giappichelli, Torino, 2005, Cap. 3.
112
24
questo caso, la prestazione di disoccupazione interverrebbe a supplementare il reddito del soggetto
fino a fargli raggiungere la soglia garantita.
Il reddito minimo, una volta definito, dovrebbe rappresentare altresì il limite inferiore della
prestazione erogata anche nell’ambito della tutela previdenziale.
b) Quanto all’integrazione occupazionale, per essa si intende il ricollocamento del prestatore in una
posizione attiva nel mercato. Soltanto attraverso il reimpiego del lavoratore si giunge ad eliminare,
oltre agli effetti, anche la causa dello stato di bisogno. A questo fine, stante la dimostrata capacità
del sistema di tutela di produrre effetti precisi nel mercato del lavoro, si dovranno prevedere, in
primo luogo, delle prestazioni di disoccupazione idonee a veicolare politiche attive dell’impiego che
non siano di segno contrario rispetto alle esigenze del mercato, ovvero che siano capaci di
assecondare l’evoluzione della domanda di lavoro.
La composizione della domanda di lavoro non può, infatti, essere influenzata dal sistema di
sicurezza sociale, dipendendo essa da variabili di carattere economico e normativo. Incidentalmente,
occorre ribadire che, fra le variabili di carattere normativo, un ruolo fondamentale deve
necessariamente essere giuocato dal diritto del lavoro: come già si è scritto discorrendo di
eguaglianza sostanziale e ruolo del sistema di protezione sociale, se è vero che la sicurezza sociale
istituzionalmente riveste il ruolo di fattore di bilanciamento delle insufficienze di tutela che mettono
a repentaglio il raggiungimento dell’integrazione sociale del lavoratore, il diritto del lavoro,
strumento dell’eguaglianza sostanziale, deve fare da argine alla dismissione delle tutele sociali
nell’ambito del rapporto contrattuale privatistico. Detto in termini concreti e volendo portare queste
considerazioni all’estremo, il diritto del lavoro non può permettere che la prestazione lavorativa si
configuri in qualsiasi modo possibile purché rispondente ad esigenze di economicità e produttività,
lasciando al welfare state il compito di ammortizzarne gli effetti negativi sul piano delle tutele
sociali.
Tornando al sistema di sicurezza sociale, nell’attuale mercato del lavoro fluido e flessibile,
prestazioni di natura rigidamente assicurativa oppure le integrazioni salariali straordinarie, intese
come strumento di conservazione di vincoli contrattuali fittizi, non sono in grado di assumere, oltre
alla tutela del reddito, una funzione di politica attiva dell’impiego idonea a promuovere la
reintegrazione del soggetto nel mercato: tali prestazioni promuovono, infatti, la stabilità
dell’impiego ad ogni costo e, dunque, anche laddove quel tipo di lavoro di fatto non esista più. In
sostanza, la capacità del sistema di sicurezza sociale di influenzare la scelta della fattispecie
negoziale, ovvero la sua propensione a veicolare una efficace politica attiva dell’impiego deve
esplicarsi conformemente alle necessità prevalenti nel mercato, attualmente rappresentate dalla
creazione di una forza lavoro dinamica, in grado di convergere rapidamente verso nuovi settori
produttivi, nuove professionalità, posizioni di lavoro a carattere discontinuo o richiedenti impegni
lavorativi inferiori al tempo pieno.
La funzionalizzazione delle prestazioni di disoccupazione/inoccupazione ad una politica attiva del
lavoro passa, inoltre, come si è già detto, da una connessione necessaria fra la gestione delle stesse e
l’attività svolta dai servizi pubblici dell’impiego. La confluenza tra i due sistemi, che trova il suo
culmine nel comune accertamento dell’involontarietà della disoccupazione e della disponibilità al
lavoro, potrebbe proficuamente avvenire nell’ambito della rete di diritti ed obblighi reciproci
intessuta tra i servizi per l’impiego ed il disoccupato dal d.lg.vo n. 181 del 2000 (come
successivamente modificato); particolarmente efficace potrebbe rivelarsi quella sorta di patto tra i
servizi ed il lavoratore, personalizzato a misura della formazione e delle esigenze occupazionali del
disoccupato e tuttavia calibrato sulla situazione oggettiva del mercato del lavoro e dunque sulle
posizioni professionali concretamente domandate.
La esigenza della connessione fra prestazioni di disoccupazione e politiche attive dell’impiego, del
resto, non può non rappresentare oramai un dato acquisito per il legislatore che voglia intraprendere
una riforma del sistema di tutela della disoccupazione. Oltre a essere stata già più volte
25
raccomandata dalla Comunità europea113, l’inevitabilità di tale interrelazione aveva trovato
riconoscimento anche nel rapporto finale della Commissione Onofri, la quale caldeggiava la
necessità di “creare un sistema di incentivi che stimoli gli individui a uscire dalla condizione di
bisogno dell’intervento pubblico, in una adeguata combinazione di diritti e di responsabilità
individuali”. L’esaltazione del ruolo delle politiche attive dell’impiego, con il ripensamento delle
prestazioni di disoccupazione in una chiave di ‘sicurezza attiva’, tuttavia, non deve essere confusa
con “la mera riduzione dei diritti e delle garanzie dei lavoratori, in una miope logica di
workfare”114. Il confine tra il workfare e la politica attiva del lavoro è forse scivoloso, ma
concettualmente non è certo sottile: si tratta semplicemente di non dimenticare che l’obiettivo
essenziale della politica attiva dell’impiego non è quello di attribuire prestazioni sociali in cambio
dell’impegno dei disoccupati a svolgere lavori o ‘lavoretti’, o di controllare che essi siano
effettivamente privi di lavoro e che restino attivi nella ricerca di occupazione; il fine della politica
attiva del lavoro è quello di assistere i beneficiari delle prestazioni nel processo di reintegrazione
occupazionale, attraverso quella equilibrata miscela - cui si riferisce la Commissione Onofri - di
diritti, ad essere supportato nella ricerca di una nuova adeguata occupazione, e responsabilità, a farsi
parte diligente nel perseguire tale reinserimento nel mercato.
E’ superfluo ricordare che la necessità di politiche attive del lavoro è tanto più stringente quanto
più la domanda nel mercato è frazionata e discontinua: i lavoratori non standard sono, infatti, i
destinatari privilegiati dell’assistenza nel mercato.
c) A grandi linee, una configurazione concreta della protezione sociale in ipotesi di mancanza di
lavoro, rispondente ai principi generali sino ad ora descritti, potrebbe articolarsi su tre tipologie di
prestazioni: l’integrazione salariale; il trattamento di disoccupazione; il reddito minimo di
reinserimento.
L’integrazione salariale dovrebbe tornare ad essere uno strumento di garanzia del reddito dei
lavoratori, in costanza di rapporto, in presenza di eventi di temporanea sospensione o riduzione
dell’attività dell’impresa: essa dovrebbe, cioè, riguardare fenomeni di temporanea sottoccupazione
endogeni al rapporto di lavoro, del tipo di quelli previsti dalle attuali integrazioni ordinarie; il
lavoratore assoggettato all’intervento dovrebbe, dunque, avere la garanzia del reinserimento
nell’attività produttiva. Soltanto in questo ambito, ovvero nell’area della possibile conservazione
della continuità occupazionale, infatti, ha un senso incentivare la stabilità dell’impiego in un
mercato votato alla mobilità della forza lavoro. L’integrazione dovrebbe essere estesa a tutti i
rapporti di lavoro subordinato alle dipendenze di imprese private. L’ammontare della prestazione
dovrebbe essere pari a quello del trattamento di disoccupazione, attestato sul 60% della retribuzione
media giornaliera assoggettata a contribuzione dell’anno precedente l’intervento; la durata non
dovrebbe superare i 12-18 mesi, con un limite all’utilizzo reiterato nell’arco del quinquennio. Lo
schema di finanziamento potrebbe essere misto, di tipo contributivo con una partecipazione
prefissata a carico della solidarietà generale; i contributi dovrebbero essere a carico di datori di
lavoro e lavoratori; non sembra tuttavia opportuna, dato l’utilizzo sempre più frequente di forme
non standard di lavoro subordinato da parte delle imprese, la sottoposizione a requisiti di
ammissione di anzianità contributiva o occupazionale.
E’ opportuno qui aprire una breve parentesi per sottolineare come le prestazioni dirette alla tutela
del reddito in ipotesi di sospensione o di riduzione temporanea dell’attività lavorativa, nell’ambito
113
Si veda, per tutti, il Consiglio europeo di Barcellona del 15-16.3.2002. Per ulteriori riferimenti si rinvia a E. Balletti,
La tutela del lavoro e degli ammortizzatori sociali nel disegno di riforma del secondo Governo Berlusconi, in Tutela
del lavoro e riforma degli ammortizzatori sociali, Giappichelli, Torino, 2002, p. 25.
114
S. Giubboni, Flessibilità, mobilità, “atipicità” dei lavori e sicurezza sociale, in Il diritto della sicurezza sociale in
trasformazione, Giappichelli, Torino, 2005, p. 34. In particolare, l’Autore fa riferimento, a suffragio della sua opinione,
a L. Zoppoli, Gli obiettivi di inclusione sociale nella riforma del mercato del lavoro, in Diritti, lavori, mercati, 2004, p.
297.
26
di un rapporto contrattuale in atto, debbano essere tenute distinte dalle altre fattispecie di mancanza
di lavoro. Questa distinzione è di estrema importanza ai fini dell’erogazione della tutela di ordine
occupazionale: in questa circostanza, infatti, il tipo di politica attiva del lavoro da porre in atto sarà
certamente diversa rispetto a quella approntata negli altri casi di mancanza di lavoro non connessi
alla contrazione temporanea della prestazione contrattualmente richiesta. Volendo trasporre il
concetto nei suoi banali termini concreti, non si potrà certo proporre al lavoratore in integrazione
salariale, contrattualmente legato al datore di lavoro e fruitore di una prestazione che ha tra le sue
funzioni proprio quella di conservare la forza lavoro dell’impresa a fronte di un breve periodo di
crisi, di impiegarsi in un rapporto di lavoro alternativo a quello di cui è già titolare; semmai lo si
potrà impegnare in corsi di formazione professionale o, tutt’al più, in rapporti contrattuali che, per le
loro modalità di svolgimento, si pongano come integrativi rispetto al rapporto sospeso o ad orario
ridotto. In sostanza, la causa generatrice di bisogno identificata con la mancanza di lavoro
rappresenta una fattispecie generale, cui sono riconducibili diverse ipotesi che, se dal punto di vista
della tutela del reddito possono essere tranquillamente accomunate, da quello della tutela
occupazionale devono essere mantenute separate, onde calibrare in maniera adeguata alla situazione
il tipo di politica attiva del lavoro da realizzare. Ciò premesso, si comprende come possa destare
preoccupazione la tendenza del legislatore più recente ad utilizzare l’indennità di disoccupazione la quale per sua stessa definizione presuppone l’assenza di un rapporto contrattuale - nei casi di
sospensioni o riduzioni temporanee dell’orario nell’ambito di rapporti contrattuali in atto.115
Tornando alla terna di prestazioni sociali per l’ipotesi di mancanza di lavoro, il trattamento di
disoccupazione dovrebbe essere esteso oltre il lavoro subordinato, a tutti i lavoratori iscritti alla
Gestione separata Inps di cui all’art. 2, comma 26 della l.n. 335 del 1995, che siano privi di
copertura da parte di altre forme obbligatorie di previdenza: per questa via, risulterebbero inclusi
nella protezione i lavoratori a progetto, i lavoratori coordinati e continuativi, i lavoratori coordinati e
continuativi occasionali di cui all’art. 61, c. 2 del d.lg.vo n. 276/2003116, i lavoratori autonomi
occasionali con redditi superiori a 5.000 euro annui (art. 44, c. 2 l.n. 326/2003), i soggetti che
prestano lavoro accessorio ai sensi degli artt.70-74 del d.l.gvo n. 276/2003, gli associati in
partecipazione. Il trattamento dovrebbe prevedere due tipi di prestazioni: una, ordinaria, di natura
squisitamente previdenziale (sebbene non possano escludersi integrazioni nei finanziamenti, poste a
carico della solidarietà generale), l’altra, a requisiti ridotti, di natura mista previdenziale ed
assistenziale; la prima rivolta ai lavoratori dotati di una maggiore stabilità occupazionale, la seconda
diretta, invece, ai lavoratori discontinui. Quella proposta, in sostanza, non è, per quest’aspetto, che
una razionalizzazione e generalizzazione delle prestazioni di disoccupazione già esistenti.
L’indennità di disoccupazione ordinaria dovrebbe avere un requisito contributivo di accesso di
almeno 52 settimane nel biennio precedente l’inizio del periodo di disoccupazione. La misura
Il riferimento è all’art. 1 quinquies della l.n. 291/2004, commi da 7 a 12, il quale prevede che l'indennità ordinaria di
disoccupazione, nonché l’indennità di disoccupazione con requisiti ridotti limitatamente al settore artigiano possano
essere riconosciute anche ai lavoratori sospesi in conseguenza di situazioni aziendali dovute ad eventi transitori, ovvero
determinate da situazioni temporanee di mercato; nell’ipotesi dell’indennità a requisiti ridotti per il settore artigiano, la
prestazione è tuttavia subordinata ad un intervento integrativo pari almeno alla misura del venti per cento a carico degli
enti bilaterali previsti dalla contrattazione collettiva, o alla somministrazione da parte degli stessi enti di attività di
formazione e qualificazione professionale, di durata non inferiore a centoventi ore. La durata degli interventi non può
superare sessantacinque giornate annue di indennità. Con disposizione che vale a confermare il genere di problemi, cui
si è fatto riferimento nel testo, che possono crearsi con l’attribuzione di funzioni improprie a prestazioni nate per scopi
ben definiti, il legislatore afferma altresì che l'indennità di disoccupazione non spetta nelle ipotesi di perdita e
sospensione dello stato di disoccupazione disciplinate dalla normativa in materia di incontro tra domanda e offerta di
lavoro: tanto per dare un’idea del paradosso contenuto in questo tipo di commistioni fra fattispecie sospensive ed altre
ipotesi di mancanza di lavoro, non si vede perché un lavoratore contrattualmente legato ad un impresa in crisi
temporanea, il cui impiego non pare dunque a rischio, dovrebbe essere obbligato ad accettare un nuovo posto di lavoro,
pena la perdita della prestazione sociale, come dispongono appunto le normative in materia di politica attiva del lavoro
affidate ai servizi pubblici per l’impiego.
116
Si leggano in tema la Circolare Ministero del lavoro 8.1.2004, n. 1 e la Circolare Inps n. 9 del 2004.
115
27
dell’indennità dovrebbe essere del 60% della retribuzione media giornaliera assoggettata a
contribuzione dell’anno precedente l’intervento; l’ammontare della prestazione potrebbe, tuttavia,
avere un andamento scalare nel tempo. La durata di base dovrebbe essere fissata a 12 mesi;
incrementi della durata potrebbero essere tuttavia previsti, sulla base del livello di rioccupabilità del
soggetto, a seconda dell’età e dell’area territoriale di appartenenza. L'obiettivo perseguito, in
sostanza, è quello della compenetrazione fra istanze di adeguatezza della tutela e di sollecitazione
dei prestatori alla ricerca di nuova occupazione.
La prestazione di disoccupazione a requisiti ridotti, invece, erogata nell’anno successivo rispetto a
quello in cui è richiesta, dovrebbe avere un unico requisito di ammissione, basato sull’anzianità
lavorativa: i 70 giorni nell’anno solare sembrano un limite consono, rispetto ai 78 giorni uniti a due
anni di anzianità assicurativa attualmente richiesti. La prestazione dovrebbe essere dello stesso
importo di base previsto per tutte le prestazioni connesse alla mancanza di lavoro nel mercato e,
dunque, pari al 60% della retribuzione media giornaliera dell’anno precedente l’intervento. La
durata dovrebbe restare fissata in relazione al numero dei giorni lavorati nell’anno precedente, con il
limite dei 180 giorni in totale. A correzione della disciplina vigente, inoltre, sarebbe quantomai
opportuno introdurre un test di accertamento dello stato di disoccupazione rispetto alle giornate non
lavorate, nell’anno per il quale il trattamento è domandato. L’indennità con requisiti ridotti
dovrebbe essere subordinata alla presenza di un reddito familiare non superiore a un certo tetto,
calcolato in base al modello ISE ed annualmente rivalutato: l’accertamento dello stato di bisogno,
quantificato in un livello dignitoso, sembra appropriata, considerando la presenza in questa
prestazione di una rilevante componente di natura assistenziale.
Se l’indennità di disoccupazione con requisiti ridotti rappresenta un importante tassello nella tutela
dei lavoratori a termine o occasionali o più in generale discontinui, resta da affrontare il problema
dei lavoratori sottoccupati che non riescono a produrre un reddito sufficiente a garantirsi
l’integrazione sociale. L’ipotesi emblematica è quella del part timer verticale su base annua cui è
stata negata l’indennità di disoccupazione; ma potrebbe essere anche quella di chi è impiegato in un
rapporto a tempo parziale orizzontale o in un rapporto di lavoro ripartito insufficiente a fargli
raggiungere la soglia minima di reddito idonea allo svolgimento di una vita dignitosa, nel senso, più
volte ricordato, dell’art. 3, comma 2 della Carta costituzionale. Ebbene, anche questa ipotesi
potrebbe essere fronteggiata, ove il lavoratore ne possegga i requisiti di ammissione, attraverso
l’indennità di disoccupazione ordinaria o a requisiti ridotti, a seconda dei casi. E qui bisognerebbe
distinguere, a livello operativo, due ipotesi: quella del lavoratore a tempo parziale titolare di più
rapporti di lavoro che abbia perduto uno di questi rapporti e quella del lavoratore sottoccupato alla
ricerca di lavoro integrativo. Il primo potrebbe beneficiare dell’indennità, ordinaria o a requisiti
ridotti, per un ammontare pari al 60% della retribuzione media giornaliera degli ultimi 12 mesi,
relativa al rapporto cessato. Nel caso del lavoratore sottoccupato disponibile ad assumere altri
rapporti di lavoro, invece, il parametro reddituale, collocato al disotto della soglia utile
all’integrazione sociale, potrebbe far scattare la protezione sociale, in prima istanza quella
previdenziale, nella misura necessaria al raggiungimento del livello di reddito costituzionalmente
garantito. In entrambe i casi, ovviamente, il lavoratore dovrà essere reputato involontariamente
sottoccupato e, dunque, disponibile al lavoro per poter avere accesso alla tutela.
Il trattamento di disoccupazione, dunque, dovrebbe essere, in definitiva, destinato sia a quanti
perdano una precedente occupazione, che a quanti desiderino un’occupazione integrativa, in
presenza di un reddito insufficiente a garantire loro l’integrazione sociale.
Quanto appena scritto fornisce un riscontro operativo ad un’altra caratteristica che la tutela
previdenziale in ipotesi di mancanza di lavoro dovrebbe inderogabilmente possedere, sulla quale ci
siamo già diffusamente intrattenuti qualche riga indietro: le prestazioni erogate non dovrebbero mai
scendere al di sotto della soglia minima di reddito utile all’integrazione sociale. Ciò che rende
naturalmente difficile un totale affrancamento della tutela previdenziale dal ricorso finanziario alla
solidarietà generale.
28
Il terzo livello di tutela per la mancanza di lavoro potrebbe essere affidato ad un reddito minimo di
reinserimento: una prestazione assistenziale, finanziata attraverso la solidarietà generale, rivolta a
quanti non riescano a raggiungere i requisiti richiesti dalla tutela previdenziale - primi fra essi
coloro che non hanno mai fatto accesso al mercato del lavoro (inoccupati) - o a quanti siano cessati
dalla tutela previdenziale senza essere stati adeguatamente ricollocati nel mercato. I soggetti protetti
dovrebbero, chiaramente, essere disponibili ad assumere un’occupazione, nei termini che si è già
avuto modo di chiarire nel corso di questo paragrafo. Questa prestazione dovrebbe essere attestata
su di un ammontare pari alla soglia dell’integrazione sociale di cui all’art. 3, comma 2 della
Costituzione e dovrebbe intervenire ogniqualvolta il soggetto scenda, a causa di inoccupazione,
disoccupazione o sottoccupazione, al disotto della soglia in parola. La prestazione dovrebbe essere
sottoposta ad un accertamento dello stato di bisogno, con le modalità già descritte. Lo zoccolo
minimo garantito ad ogni soggetto che versi in stato di bisogno a causa di una mancanza di lavoro
nel mercato dovrebbe essere definito e finanziato a livello nazionale117, la gestione dello stesso
dovrebbe, invece, essere locale. Il trattamento di base immaginato non deve costituire una
prestazione generica per lo stato di bisogno, ma una prestazione specifica per lo stato di bisogno
determinato da mancanza di lavoro nel mercato. Non si vuole, cioè, proporre una rete assistenziale
di protezione generale, dentro alla quale casi di disoccupazione/inoccupazione/sottoccupazione
vengano accomunati ad altre fattispecie di fragilità sociale. Questo in quanto la reintegrazione
sociale del soggetto afflitto da mancanza di lavoro passa necessariamente ed esclusivamente per il
reinserimento occupazionale (cui deve essere affiancata una tutela del reddito); mentre altre ipotesi
di disagio sociale, quali vecchiaia, malattia, handicap, esclusione sociale, avranno bisogno di
politiche reintegratorie diversamente articolate.118
A tutte le prestazioni sociali di tutela per la mancanza di lavoro dovrebbe, infine, essere connessa la
prestazione accessoria della contribuzione figurativa utile ai fini del diritto e della misura della
pensione nell’ambito del sistema invalidità, vecchiaia e superstiti.
Questi brevi accenni ai lineamenti di un sistema solidale non ambiscono certo a delineare nel
dettaglio tutti gli aspetti coinvolti da una riforma del sistema di tutela della disoccupazione. Fra essi
certamente rilevante è la spesa sociale connessa ad una tale riforma, ma questa credo sia materia più
adatta allo studio del politico e dell’economista che non del previdenzialista. Del resto, non
affrontando l’argomento, chi scrive non è in cattiva compagnia: né la legge delega del 1999 sulla
riforma degli ammortizzatori sociali, né il disegno 848 bis della quattordicesima legislatura sullo
stesso argomento si premurano, infatti, di fare le relative previsioni di spesa sul bilancio statale. Per
ben due legislature, dunque, ci si illude di poter riformare la materia senza oneri aggiuntivi a carico
del bilancio statale. Devo dire che da profana, tra le diverse soluzioni prospettate in tema, quanto
suggerito dalla Commissione Onofri a suo tempo mi sembra sensato, anche se non riesco a
immaginare fino a che grado sia attuabile e se sarà sufficiente.119 Secondo la Commissione, nel
nostro Paese si dovrà procedere ad uno spostamento della spesa sociale verso gli ammortizzatori
sociali e le politiche attive del lavoro, attraverso: da un lato, “la riduzione delle risorse destinate ad
assicurare, tramite la previdenza pubblica, alle classi di reddito medie un livello di reddito simile sul
La definizione e finanziamento nazionale della prestazione minima, idonea a tradursi nell’integrazione sociale del
soggetto dal punto di vista economico, non sono in contrasto con l’art. 117 della Costituzione: alla legislazione esclusiva
dello Stato è, infatti, demandata la “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e
sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” (art. 117 Cost., c. 2, lett. m)). In questo senso si legga
anche E. Balletti, La tutela del lavoro e degli ammortizzatori sociali nel disegno di riforma del secondo Governo
Berlusconi, in Tutela del lavoro e riforma degli ammortizzatori sociali, Giappichelli, Torino, 2002, pp. 26 e ss. Su
questi temi cfr. F. Carinci, Osservazioni sulla riforma del Titolo V della Costituzione. La materia del lavoro, in Italian
labour law e-journal, 2001, pp. 7 e ss.
118
Su questi temi sia consentito il rinvio a quanto già scritto anni addietro, nella monografia Mercato del lavoro e
diritto, Angeli, Milano, 1996, spec. Cap. 1 e 12.
119
Perplessità simili sono avanzate da C. Lagala, La previdenza sociale tra mutualità e solidarietà, Bari, Cacucci, 2001,
pp. 198-199.
117
29
lavoro e in pensione (il rischio economico della vecchiaia ipertutelato), per impiegarle nella tutela
del rischio economico reddito/occupazione, ora sottotutelato”; dall’altro, l’attenuazione della
“generosità di alcune prestazioni oggi previste per l’occupazione “standard”” e l’accrescimento (o
introduzione) della protezione “per le categorie sociali oggettivamente più deboli”. Detto
diversamente, ancora con le parole della Commissione Onofri: “la mobilità occupazionale avrà un
ritorno sociale in termini di crescita complessiva, ma vi saranno dei costi pagati individualmente di
cui la collettività dovrà farsi carico. I mezzi per farlo dovranno trovarsi nelle zone di privilegio che
ancora rimangono non solo all’interno della spesa sociale, ma di tutta la spesa pubblica”.
30