la transizione, le transizioni• p.3 Le transizioni dei paesi candidati INDICE Introduzione……………………………………………………………………. pag. 3 1. Le trasformazioni nell’Europa dell’Est dopo il 1989……………………… pag. 4 1.2 I due modelli di transizione…………………………….…………… pag. 5 1.3 La recessione economica nei paesi dell’Est………………………… pag. 6 1.4 La ripresa economica nell’Europa post- socialista………………….. pag. 8 2. I paesi dell’Europa centrale………………………………………………….. pag. 10 2.1 Il gradualismo in Ungheria………………………………………….. pag. 10 2.2 Instabilità politica e dinamismo economico in Polonia……………... pag. 13 2.3 La transizione nella Repubblica Ceca……………………………….. pag. 14 3. La fragilità delle trasformazioni post-socialiste nell’Europa meridionale: la transizione in Bulgaria e Romania…………………………….. pag. 16 4. I paesi baltici nel passaggio dall’Unione Sovietica all’Unione Europea……. pag. 17 5. Il rapporto sullo stato dei negoziati in Polonia………………………………. pag. 18 5.1 Le relazioni tra l’Unione Europea e la Polonia…………………….. pag. 19 5.2 I criteri per l’adesione…………………….………………………... pag. 21 5.2.1 Il criterio politico………………..………………………. pag. 21 5.2.2 Criteri economici…………………………..……………. pag. 21 5.2.3 L’acquis…………………………....……………………. pag. 25 5.3 Il capitolo sull’agricoltura…………………….…………………….. pag. 25 5.4 Politiche sociali e occupazione…………..………………………….. pag. 26 6. La Turchia e i paesi del Mediterraneo……………………………………….. pag. 27 6.1 L’adesione della Turchia e la questione cipriota…………………… pag. 27 6.2 L’adesione di Malta….…………………………….……………….. pag. 31 Appendice 1. L’Europa e i Balcani……………………………………………. pag. 32 Appendice 2. Geografia dell’allargamento……………………………………. pag. 33 Tabelle……………………………………………..…………………………… pag. 47 Note……………………………………………..……………………………… pag. xx la transizione, le transizioni la transizione, le transizioni• p.5 INTRODUZIONE L’allargamento è la sfida più importante dell’Unione Europea alle soglie del nuovo millennio. L’Europa potrà finalmente mettersi alle spalle il ricordo delle due devastanti guerre mondiali e della lunga guerra fredda. Il continente europeo, che ha messo in moto le dinamiche dell’integrazione sin dagli anni ’50, è sempre più coeso e oggi si impegna nel comune obiettivo di riunire la sua parte occidentale a quella orientale. Il raggio di azione dell’attuale processo di allargamento non ha precedenti. Nel decennio che si è appena aperto alcuni tra i tredici paesi candidati diverranno membri dell’Unione. E’ un compito enorme e per preparare ciascun paese all’ingresso nell’Unione sarà probabilmente necessario un tempo più lungo del previsto. I paesi candidati possono essere suddivisi in due gruppi: * i paesi dell’Europa centrale ed orientale, detti PECO, che dopo la caduta del muro di Berlino hanno iniziato un lungo e difficile processo di transizione da un regime autoritario a uno democratico e da un sistema economico collettivista ad un’economia aperta; * i piccoli paesi del Mediterraneo, Malta e Cipro, e la Turchia il cui ingresso nell’Unione rappresenta un’importante apertura dell’Occidente verso l’Islam e una finestra culturale ed economica verso l’Oriente; L’integrazione dei paesi dell’Est in particolare nell’Unione Europea, consentirà alle nuove e ancora fragili democrazie di consolidare la loro struttura politica e di sviluppare il loro sistema economico, grazie all’intensificarsi degli scambi commerciali, degli aiuti finanziari e dei nuovi flussi di investimenti diretti esteri provenienti dall’Occidente. Dal punto di vista dell’Unione Europea, invece, l’integrazione delle economie in transizione consentirà agli stati membri di assicurarsi nuovi mercati emergenti e con essi cento milioni di nuovi consumatori. A tale proposito esamineremo la transizione dei paesi dell’Est europeo attraverso l’analisi dei più importanti cambiamenti economici e sociali negli anni dell’apertura all’Occidente e alla democrazia. Dopo avere esaminato tutti i PECO seguendo una suddivisione geopolitica di massima, ci soffermeremo ad la transizione, le transizioni esaminare lo stato dei negoziati di adesione per la Polonia, paese che ha conosciuto forse più di qualsiasi altro gli orrori della occupazione nazista e la durezza del regime comunista. In Polonia, il più grande e il più popoloso dei paesi candidati, il processo di transizione è stato particolarmente difficile e controverso, ma ha consentito a questo paese di arrivare molto vicino all’ingresso nell’UE. Nella parte conclusiva saranno presi in considerazione i piccoli paesi del Mediterraneo e la Turchia che, pur essendo candidati all’adesione alla UE, presentano caratteristiche del tutto peculiari. 1. LE TRASFORMAZIONI NELL’EUROPA DELL’EST DOPO IL 1989 Nonostante la vicinanza geografica, e l’adozione comune del modello sovietico, i paesi dell’Europa centrale ed orientale non costituiscono un sistema sociale, politico ed economico omogeneo. L’introduzione e ancor più l’evoluzione del modello socialista ha avuto caratteristiche diverse in ciascun paese, tanto che, nel 1989, anno della caduta del muro di Berlino, le condizioni dei paesi dell’Est europeo apparivano relativamente diversificate. In virtù del diverso approccio nell’affrontare la fase di transizione postsocialista e dell’appartenenza alla stessa area geografica, è possibile dividere i paesi dell’Est europeo in tre gruppi principali1: i paesi dell’Europa centrale (Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Slovenia) caratterizzati da rapidi cambiamenti strutturali e da una crescita economica sostenuta; i paesi dell’Europa sud orientale (Bulgaria e Romania) caratterizzati da una transizione più difficile; i paesi baltici (Estonia, Lettonia e Lituania) in una posizione intermedia tra i primi due gruppi. E’ possibile, quindi, parlare di una transizione a più velocità per i paesi dell’Europa post-socialista, caratterizzata da un lato da una crescita sostenuta, resa ancora più solida dalle prospettive concrete di adesione all’Unione Europea, la transizione, le transizioni• p.7 e dall’altro dalla difficoltà di attuare le riforme politico-economiche indispensabili per l’adesione. 1.2 I due modelli di transizione Tra il 1990 e il 1992, la gran parte dei paesi d’Europa dell’Est ha dato inizio ad un processo di trasformazione economica, attraverso l’adozione di programmi di stabilizzazione finanziati e concordati con il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale e i paesi occidentali. All’obiettivo classico di ridurre l’inflazione e di ristabilire gli equilibri macroeconomici si affiancava la necessità di trasformare l’economia socialista in una economia di mercato. A tal fine, tra il 1989 e il 1991, i paesi post-socialisti hanno adottato due diversi modelli di stabilizzazione-transizione: alcuni hanno scelto la cosiddetta «terapia di choc» e altri la strategia del «gradualismo». Attraverso la terapia di choc vengono introdotte simultaneamente un insieme di misure radicali destinate a provocare un cambiamento sistemico irreversibile, allo scopo di risanare la situazione economica del paese. Il programma polacco del 1990 ne è stata la più profonda espressione in contrapposizione con la politica di stabilizzazione graduale adottata in Ungheria lo stesso anno (vedi infra). Il gradualismo, invece, prevede un’attuazione più progressiva delle riforme, in particolar modo quelle relative alla liberalizzazione dei prezzi e al commercio estero. Questo tipo di transizione presuppone un intervento costruttivo dello Stato, per sostenere da un lato quelle imprese potenzialmente redditizie, ma incapaci di fronteggiare la concorrenza delle multinazionali straniere, per garantire dall’altro una protezione sociale sufficiente. La strategia del gradualismo presenta il vantaggio di poter essere più facilmente accettata dalla popolazione, limitando i conflitti sociali e diluendo nel tempo i costi della transizione, al fine di assicurare l’attuazione delle riforme e l’irreversibilità delle trasformazioni in corso. Coloro che si dichiarano contrari a questo tipo di approccio sottolineano il rischio di un rafforzamento progressivo dei gruppi di interesse che sono in grado la transizione, le transizioni di resistere attivamente alle trasformazioni economiche e sociali. Viceversa nonostante la terapia di choc implichi una caduta del reddito reale procapite e dei risparmi e dunque un forte malcontento sociale, prevede teoricamente un capovolgimento rapido della situazione economica. La differenza di fondo tra i due approcci teorici dipende principalmente dalla diversità delle scelte politiche. Infatti, né il gradualismo né la terapia di choc rispondono unicamente ad una logica economica, ma dipendono fortemente anche da fattori storici e politici. L’attuazione di misure radicali, riguarda quei paesi che sono interessati da gravi squilibri economici e sociali, come l’accelerazione del tasso di inflazione e la diffusa povertà. E’ il caso della Polonia del 1989, della Bulgaria e della Russia del 1991. Al contrario, per l’Ungheria, che ha attuato un’importante riforma dopo il 1968 e si trovava in una situazione economica generalmente equilibrata, non è stato necessario adottare la terapia di choc. La scelta di una terapia di choc si è imposta inoltre in Cecoslovacchia nel 1991 e in Estonia nel 19922. Tuttavia, se in un primo momento l’applicazione di questo modello ha prodotto risultati positivi per il paese in transizione, successivamente ha provocato forti squilibri sociali e finanziari. A tal proposito è opportuno sottolineare che il Fondo Monetario Internazionale, le cui considerazioni sono determinanti per gli investitori stranieri, è nettamente favorevole ai paesi nei quali è stata attuata una terapia di choc e si è verificata una rottura radicale con il vecchio sistema economico e politico. 1.3 La recessione economica nei paesi dell’Est I programmi di stabilizzazione, nella forma del gradualismo o della terapia di choc, hanno determinato una recessione economica di ampiezza e di durata tali da superare ogni tipo di previsione. Tale recessione legata al processo di trasformazione politico-economica che ha caratterizzato la transizione dei paesi dell’Est, più che inattesa è stata inevitabile. Se, infatti, i programmi di stabilizzazione possono avere avuto un successo relativo dal punto di vista la transizione, le transizioni• p.9 monetario, hanno prodotto effetti catastrofici sull’economia reale (produzione, consumi, investimenti). La terapia di choc ha permesso di arginare la forte inflazione iniziale. Infatti, dopo il brusco aumento legato alla liberalizzazione dei prezzi, l’inflazione è nettamente diminuita, pur restando elevata nella gran parte dei paesi dell’Est principalmente per cause strutturali. La liberalizzazione dei prezzi e degli scambi, associata ad una politica di restrizione della domanda, hanno consentito l’estinzione della penuria endemica, e delle famose file per l’acquisto dei beni di consumo. Tuttavia hanno provocato, nello stesso tempo, il crollo della produzione, degli investimenti e dei consumi delle famiglie. Il crollo della produzione è stato di tale portata che la recessione dei paesi dell’Est è stata paragonata alla Grande Depressione degli anni ’30. In queste condizioni la disoccupazione è cresciuta ad un ritmo sostenuto, anche se con ritardo rispetto alla contrazione della produzione. La diminuzione dei redditi reali, associata al controllo dei salari, all’inflazione e alla disoccupazione, ha interessato la gran parte della popolazione. Tra il 1990 e il 1991, una serie di choc esterni, e in particolare la guerra del Golfo, la dissoluzione del CAEM ( Consiglio di aiuti economici reciproci), e la disgregazione dell’URSS, hanno contribuito ad amplificare la recessione nei paesi post-socialisti. Il CAEM organizzava gli scambi tra i paesi dell’Est Europeo nel quadro della «divisione socialista del lavoro». La sua scomparsa ha determinato il passaggio agli scambi commerciali in valuta a prezzi mondiali. Questo ha provocato un aumento dei prezzi dell’energia e delle materie prime importate, tendenza rafforzata dalla Guerra nel Golfo, nonché la sparizione di alcuni importanti sbocchi economici per i prodotti degli Stati ex socialisti. In modo particolare, la disgregazione dell’Unione Sovietica, principale partner commerciale per le esportazioni dell’Europa dell’Est, ha colpito duramente le economie di questi paesi. Le esportazioni dall’Europa dell’Est verso l’URSS hanno perso dal 35 al 40% del loro volume nel 1991. I paesi maggiormente colpiti sono stati quelli commercialmente e tecnicamente dipendenti dall'URSS, in particolare la Bulgaria e le ex repubbliche sovietiche. Al contrario i paesi la transizione, le transizioni dell’Europa centrale sono stati relativamente meno interessati dalla caduta dell’Unione Sovietica. 1.4 La ripresa economica nell’Europa post- socialista I paesi dell’Europa centrale hanno conosciuto per primi, tra il 1992 e il 1993, gli effetti della ripresa economica grazie all’efficacia della ristrutturazione industriale. I paesi socialisti avevano conosciuto uno sviluppo industriale eccessivo, specialmente nel campo dell’industria pesante legata agli armamenti. Dunque l’industria tradizionale è quella che maggiormente ha sofferto a causa della recessione connessa al fenomeno della trasformazione economica e sociale nei paesi dell’Est. Ma è ancora l’industria ad aver favorito le condizioni della ripresa, ancor più del settore terziario che è rimasto poco sviluppato malgrado una rapida crescita. I progressi della produttività del lavoro, che dopo essere fortemente diminuita ha conosciuto un incremento con la ripresa, testimoniano l’effettivo adeguamento delle imprese, basato anzitutto sull’arresto delle attività non redditizie, eredità del regime socialista. La ristrutturazione della produzione industriale ha stimolato la performance dei più importanti settori dell’industria pesante, come quello della metallurgia, dell’industria chimica e del settore meccanico ed elettrico. Questi settori hanno utilizzato le capacità produttive esistenti per rispondere alla domanda dei paesi occidentali. La ripresa non sarebbe stata possibile senza l’aggiustamento dell’offerta, né d’altra parte senza il dinamismo della domanda estera proveniente dai paesi dell’Europa occidentale. L’Unione Europea, primo partner commerciale per i paesi dell’Est, ha rappresentato probabilmente il principale motore della crescita particolarmente per le materie prime e i prodotti intermedi. Di conseguenza i paesi dell’Est sono divenuti sempre più dipendenti dall’evoluzione della crescita nei paesi dell’Europa Occidentale. la transizione, le transizioni• p.11 Il ritorno della crescita si spiega inoltre con la ripresa degli investimenti in alcuni paesi dell’Europa Centrale e in Estonia, in contrasto con il crollo degli investimenti nella gran parte dei paesi CSI (Confederazione degli Stati Indipendenti dell’ex URSS). Il processo di trasformazione sistemica aveva prodotto inizialmente una riduzione del livello degli investimenti, che l’economia pianificata rendeva troppo elevati. Le imprese che producevano beni di produzione sono state in questo modo duramente colpite dalla modifica della struttura della domanda globale. Affinché i paesi in transizione possano raggiungere un livello di crescita stabile è necessario proseguire il processo di ristrutturazione delle imprese e favorire gli investimenti che rappresentano il fattore maggiormente determinante nel conferire alla crescita un carattere durevole. In questo ambito il maggior ostacolo alla crescita degli investimenti è costituito dalla scarsità di risorse finanziarie. L’elevato numero di crediti non garantiti ha portato le banche, principalmente nell’Europa centrale, ad adottare una politica prudente nel concedere crediti alle imprese. Ciò si è tradotto in una preferenza per i crediti a breve termine e per un’eccessiva esigenza di garanzie. L’instaurazione di un clima propizio per gli investimenti è un altro elemento fondamentale. Per le decisioni di investimento è necessario, infatti, un livello elevato di certezza, sulla base della stabilità politica, economica ed istituzionale. I paesi dell’est nei quali le trasformazioni in atto sono più rapide, come la Repubblica Ceca, la Polonia e l’Estonia, possono compensare in parte la scarsità di risorse finanziarie nazionali, con l’afflusso di investimenti diretti esteri, e in alcuni casi, con l’accesso ai mercati finanziari internazionali. Al contrario i paesi dell’Ex URSS soffrono dell’assenza di un ambiente sufficientemente stabile in grado di favorire gli investimenti e tutte le attività produttive in genere. Infine l’incremento delle ineguaglianze di reddito nel corso del processo di trasformazione è suscettibile di minacciare la crescita economica in ragione della resistenza alle riforme e dell’instabilità sociale che genera. Una distinzione in termine di differenziazione dei redditi è osservabile tra i paesi dell’Europa la transizione, le transizioni centrale, e i paesi dell’Europa Sudorientale e dell’ex URSS. In questi ultimi le disuguaglianze in termini di redditi sono molto accentuate. 2. I PAESI DELL’EUROPA CENTRALE: UNGHERIA, POLONIA E REPUBBLICA CECA I paesi dell’Europa centrale sono generalmente considerati i più avanzati, tra i PECO, nel percorso verso il raggiungimento di un’economia di mercato. Tuttavia, malgrado qualche caratteristica comune, i processi nazionali di trasformazione politica ed economica appaiono relativamente differenziati. Si analizzeranno di seguito i paesi più importanti – per estensione territoriale, dimensione demografica – di questo secondo ‘gruppo’, del quale fanno parte anche la piccola e progredita Slovenia e la Slovacchia. 2.1 Il gradualismo in Ungheria Al momento della caduta della cortina di ferro, l’Ungheria disponeva della gran parte delle istituzioni necessarie al funzionamento di un’economia di mercato. Infatti, a partire dagli anni ’60, il paese si è progressivamente allontanato dal modello sovietico di economia pianificata grazie ad un processo di riforme che ha conosciuto fasi di accelerazione (alla fine degli anni ’60 e poi negli anni ’80) e di rallentamento (negli anni ’70). L’Ungheria si è a poco a poco dotata di un embrionale mercato di capitali, di una legge sul fallimento e di un sistema bancario a due velocità3. Ha inoltre ristabilito la libertà d’impresa, la parziale liberalizzazione dei prezzi e il loro progressivo adeguamento a quelli mondiali. Il settore privato è più sviluppato rispetto agli altri paesi dell’Europa dell’Est e il mercato dei beni di consumo è ampiamente fornito. Venti anni di riforme e una situazione macroeconomica relativamente favorevole hanno permesso all’Ungheria di attuare una trasformazione graduale del suo sistema socio-economico nel corso della prima metà degli anni ’90. Il la transizione, le transizioni• p.13 programma di stabilizzazione adottato in accordo con il Fondo Monetario Internazionale, è notevolmente più graduale della strategia di transizione polacca. L’inflazione, cresciuta fino al 35% nel 1991, è successivamente diminuita, ma rimane ancora ad un livello elevato. Nel 1991 la recessione economica ha raggiunto il suo acme: il PIL è diminuito del 12% e la produzione industriale del 17%. Il crollo della produzione è stato accompagnato dalla crescita del tasso di disoccupazione, che ha raggiunto il 12% nel 1993. La recessione innescata dal processo di trasformazione economica è proseguita ad un ritmo più lento fino al 1993, anno in cui ha avuto inizio la ripresa. La strategia del gradualismo ha utilizzato le privatizzazioni come strumento principale per favorire il processo di transizione in Ungheria. Alla fine degli anni ’80 l’Ungheria ha conosciuto un processo di privatizzazione spontanea, grazie all’iniziativa di alcuni dirigenti che hanno assunto il controllo delle loro stesse imprese. Nel corso degli anni ’90, il processo di privatizzazione è proseguito sotto il controllo di un organismo statale, l’Agenzia per la Proprietà di Stato. Questo processo ha portato alla creazione di società di holdings, le cui azioni sono state distribuite tra partner pubblici (organismi statali, banche e imprese) e privati (investitori stranieri, membri dell’equipe manageriale e dipendenti). In seguito, è stata privilegiata la vendita delle attività ad investitori strategici, in modo particolare stranieri. Questa politica si è rivelata particolarmente proficua, poiché un importante flusso d’investimenti stranieri è giunto in Ungheria dopo il 1990. La grande apertura del paese verso l’Occidente, acquisita nel corso di venti anni di riforme, ha contribuito a rafforzare la fiducia degli investitori. Inoltre, la volontà di onorare un debito estero molto elevato (pari al 72% del PIL nel 1995), debito che gli investimenti stranieri hanno contribuito a rimborsare, ha confermato la credibilità del paese a livello internazionale. Il flusso di capitali stranieri ha contribuito a modernizzare il sistema produttivo in alcuni settori, in particolare dell’industria farmaceutica, chimica e dell’energia, e a dinamicizzare le esportazioni. la transizione, le transizioni Nonostante il gradualismo avesse prodotto dei risultati positivi a livello economico e sociale, all’interno del modo politico ed economico ungherese vennero sollevate numerose critiche sull’effettiva validità di questo modello. Secondo l’eminente economista ungherese Kornai4 la ricerca di un compromesso socioeconomico stabile si era tradotta in un alto grado di paternalismo statale, in particolare verso imprese e famiglie. Nei confronti delle prime il paternalismo ha preso la forma di aiuti finanziari e di interventi presso le banche per facilitare l’accesso al credito, per le famiglie, invece, si è tradotto in una copertura sociale estesa. Tuttavia, il sostegno continuo dello stato ha contribuito ad accrescere il deficit di bilancio, pari al 8,4% del PIL nel 1994, e a frenare la ristrutturazione delle imprese e il miglioramento della loro competitività5. Il nuovo governo ungherese, arrivato al potere nel 1994, aveva davanti una situazione economica preoccupante: deficit commerciale e di bilancio, crescita debole, inflazione e disoccupazione elevate. Nel 1995 il governo adottò un nuovo programma di stabilizzazione, che ha decretato la fine del gradualismo ungherese. Il programma si basava su tre pilastri: la diminuzione della dipendenza pubblica, l’abbassamento dei salari reali, svalutazione monetaria accompagnata da una sovratassa sulle importazioni. Inoltre, il nuovo governo ha iniziato una difficile riforma della protezione sociale, decidendo di accelerare il processo di privatizzazione. Da allora diverse decine di grandi imprese sono state vendute ad investitori stranieri, così come i principali istituti bancari, che tra il 1994 e il 1997 sono diventati più appetibili per gli investitori grazie al processo di risanamento dei loro bilanci. Nel 1998 il settore privato rappresentava l’80% del PIL. Oggi si può dire che l’Ungheria possiede una situazione macroeconomica positiva: l’inflazione, la disoccupazione, il deficit di bilancio e il disavanzo commerciale sono diminuiti e il tasso di crescita continua a salire, sostenuto principalmente dalle imprese a capitale straniero. Tuttavia, per quanto riguarda il dialogo sociale, sebbene l’Ungheria sia stato uno dei primi paesi a ristabilire, nel ’98, la negoziazione tripartita (Stato-Impresae-Sindacati), molti accordi collettivi non sono stati sottoscritti e i sindacati non sono riconosciuti a livello di impresa. 6 la transizione, le transizioni• p.15 Il governo ungherese, in linea con i partenariati di adesione, ha recentemente lanciato un programma per adeguare la contrattazione sociale a quella che si svolge a livello europeo. 2.2 Instabilità politica e dinamismo economico in Polonia Come in Ungheria, anche in Polonia i due decenni che hanno preceduto la caduta del muro di Berlino sono stati caratterizzati da un lungo processo di riforma, allo scopo di avvicinare le istituzioni polacche a quelle dei paesi con economie di mercato. Tuttavia, a differenza di quanto è accaduto in Ungheria, le riforme polacche sono state accompagnate da violenti conflitti sociali, guidati da un sindacato indipendente, chiamato Solidarnosc. Le riforme economiche e i conflitti sociali ricorrenti hanno progressivamente destabilizzato il sistema politico ed economico polacco. L’ultimo governo comunista, giunto al potere nel 1988, perse completamente il controllo del deficit pubblico e nello stesso anno l’inflazione crebbe fino al 244%. Seguendo la soluzione proposta dall’FMI e da alcuni esperti occidentali, il primo governo post-socialista dell’Europa dell’Est, decise di adottare il modello di transizione della terapia di choc. La recessione seguita al processo di trasformazione fu tuttavia di breve durata, e la Polonia fu il primo tra i paesi in transizione a conoscere gli effetti della ripresa economica nel 1992. Da allora, l’espansione dell’economia polacca è proseguita ad un ritmo vigoroso e la Polonia oggi possiede la migliore situazione politico-economica tra i paesi in transizione. La crescita prolungata dipende dal dinamismo delle esportazioni e della domanda interna, sostenuta dall’incremento della produttività, dall’alto livello dei salari reali e dalla crescita degli investimenti diretti esteri. Allo stesso modo l’inflazione ha avuto una tendenza decrescente tra il 1989 e il 1998 e la disoccupazione ha conosciuto un abbassamento sensibile dopo il 1994. Tuttavia il paese conosce ancora oggi forti tensioni politiche e relazioni sociali conflittuale: antagonismi, inimicizie e lacune costituzionali rendono difficili i la transizione, le transizioni rapporti tra il Parlamento, il Governo e il Presidente. Ciò nonostante si continua a parlare di «miracolo polacco» poiché, malgrado l’instabilità politica, i diversi governi sono riusciti, nel corso di dieci anni, ad introdurre elementi di economia di mercato e a condurre i negoziati per l’ingresso nell’Unione Europea. A differenza di quanto accade in Ungheria, il processo di privatizzazione avanza lentamente e il settore pubblico rappresentava ancora, alla fine del ’98, il 35% del PIL. Di conseguenza l’economia polacca presenta un forte dualismo, caratterizzato da un lato da un preponderante settore pubblico che tuttavia produce risultati mediocri, in particolare nell’industria pesante e da un settore privato ufficiale o informale che è dinamico ed efficiente. Un altro importante dualismo è quello che separa le grandi città dalle campagne. La Polonia è caratterizzata da un settore agricolo importante, ma poco produttivo. L’agricoltura occupa circa un quarto della popolazione attiva, ma rappresenta solo il 6,5% del PIL. L’eredità lasciata dall’economia pianificata, ma anche l’esigenza di raggiungere un compromesso nell’ambito di un contesto socio-politico agitato, hanno sollevato la necessità dell’intervento statale. Lo Stato ha avuto un ruolo decisivo nel sostenere la ripresa, incoraggiare la ristrutturazione di imprese e banche e lo sviluppo delle regioni meno favorite, e nell’offrire una protezione sociale piuttosto generosa. 2.3 La transizione nella Repubblica Ceca Alla «resistenza sociale» dei polacchi fa eco la resistenza alle riforme della classe dirigente ceca. La conclusione drammatica della riforma del modello sovietico negli anni ’60, a causa dell’invasione delle truppe del patto di Varsavia, ha messo fine al tentativo riformista cecoslovacco. Il regime cecoslovacco è stato profondamente segnato dagli eventi della «Primavera di Praga»7, così come l’Ungheria è stata profondamente colpita dagli eventi del 19568. Tuttavia le conseguenze sono state molto diverse nei due paesi. Se l’Ungheria ha cercato di sedare il malcontento popolare, conferendo maggiore spazio ai consumi privati e la transizione, le transizioni• p.17 cercando di liberalizzare il regime, la Cecoslovacchia ha escluso ogni possibilità di riforma dopo la destituzione di Alexander Dubcek e l’arrivo al potere del nuovo governo fedele ai principi sovietici. Bisognerà attendere il 1987 perché il governo cecoslovacco torni timidamente sulla via delle riforme. Nel gennaio del 1993, la Cecoslovacchia ha cessato di essere un unico stato per dar vita a due stati indipendenti, la Repubblica Ceca e quella Slovacca. Il divorzio ceco-slovacco è avvenuto senza traumi e per mutuo consenso delle due componenti etniche. Ciò ha consentito al primo governo della nuova Repubblica Ceca di proseguire la riforma liberale, già iniziata nel 1991 dall’ultimo governo cecoslovacco. La terapia di choc e le privatizzazioni hanno rappresentato i due principali strumenti di riforma. Nel 1996 le performance macroeconomiche della giovane repubblica erano molto positive: crescita relativamente elevata, dinamismo delle esportazioni sostenuto da una forte svalutazione della moneta, inflazione moderata, equilibrio del bilancio e lieve disoccupazione. Allora il miracolo ceco suscitò l’ammirazione delle organizzazioni internazionali e di molti economisti. Tuttavia, nel 1997, a seguito di una grave crisi economica e finanziaria, connessa al fallimento dei principali istituti bancari, il modello ceco iniziò a vacillare. Generosamente elogiato nel 1993, il modello ceco venne aspramente criticato quattro anni più tardi. In modo particolare le privatizzazioni di massa produssero alcuni effetti perversi, rafforzando i gruppi di interesse ereditati dal regime comunista, indebolendo l’efficacia del controllo digestione sull’impresa, e ritardando la ristrutturazione del sistema economico. Anche in questo caso, così come è accaduto per la Polonia, lo Stato ha avuto un ruolo decisivo nel mantenere un livello di protezione sociale sufficiente e nel controllare il livello dei prezzi di alcuni prodotti, definiti «sensibili»9, che ha permesso di operare le necessarie riforme con un consenso popolare assai ampio. Di fronte alla crisi del ’97, che vide il forte incremento del disavanzo commerciale e del deficit delle partite correnti, il governo si trovò costretto ad adottare, nella primavera dello stesso anno, un nuovo programma di stabilizzazione e nuovi strumenti per rafforzare il sistema finanziario di banche la transizione, le transizioni ed imprese. In ogni modo la Repubblica Ceca grazie alla vicinanza geografica all’Europa Occidentale, alla manodopera qualificata, al consenso sociale e al ridotto indebitamento, è attualmente uno dei paesi più vicini al raggiungimento dei criteri di Copenaghen. 3. LA FRAGILITÀ DELLE TRASFORMAZIONI POST-SOCIALISTE NELL’EUROPA MERIDIONALE: LA TRANSIZIONE IN BULGARIA E ROMANIA All’inizio degli anni ’90, la transizione si annunciava più difficile per i paesi dell’Europa Sud Orientale, generalmente più poveri rispetto ai paesi dell’Europa centrale. Secondo la Banca Mondiale, nel 1994, il Prodotto Nazionale Lordo procapite era di 1250 dollari in Romania e di 1270 in Bulgaria, contro i 3840 dollari in Ungheria. Inoltre dal punto di vista geografico questi paesi presentano l’inconveniente di essere più lontani dal mercato dell’Europa Occidentale. Ma ciò che più conta è che i paesi dell’Europa Sud-orientale hanno ereditato dall’economia pianificata una struttura produttiva che si adatta più difficilmente alla domanda mondiale. Il forte peso del settore agricolo, che occupa un posto di primo piano nell’ambito delle attività economiche, non facilita gli scambi con l’Unione Europea. L’economia bulgara, tra i paesi dell’Europa dell’Est, era quella che più fortemente dipendeva dall’Unione Sovietica dal punto di vista commerciale. Di conseguenza, la dissoluzione dell’URSS e del CAEM ha rappresentato un duro colpo per il sistema economico del paese. Per quanto riguarda la Romania, invece, oltre allo sviluppo dell’industria pesante, comune all’insieme delle economie pianificate, il paese ha privilegiato l’autarchia, che ha accentuato il ritardo tecnologico ed ha impoverito l’economia rumena. Alla vigilia del processo di transizione i paesi del Sud Est europeo soffrivano di gravi squilibri macroeconomici. La Bulgaria e la Romania avevano accumulato un forte debito estero. Tuttavia, se la prima all’inizio degli anni ’90 continuava ad accumulare un debito molto elevato, la seconda aveva rimborsato la transizione, le transizioni• p.19 rapidamente i suoi creditori nel corso degli anni ’80 al prezzo di una drastica riduzione delle importazioni, che ha contribuito a rafforzare la tendenza autarchica del paese, e ha imposto un duro sacrificio alla popolazione. Ad aggravare la situazione economica già difficile, hanno contribuito i regimi politici troppo autoritari e poco inclini a seguire i venti di riforma che soffiavano nell’Europa dell’Est. Lo choc della transizione e la recessione che ne è seguita furono particolarmente difficili per i paesi dell’Europa meridionale: il PIL diminuì del 30% tra il 1989 e il 1992. Da quel momento si è sviluppato un processo cumulativo negativo che ha accentuato le differenze tra l’Europa centrale e l’Europa meridionale, e ha accresciuto le tensioni politiche e sociali nazionali. Attualmente il mercato del lavoro rappresenta in negativo uno degli elementi di distinzione e preoccupazione per l’area sud-orientale: la disoccupazione, infatti, che a fine dicembre ’97 era pari al 14,3%, è progressivamente aumentata fino a raggiungere il 15,4% nel ’98 e il 16,6% nel ’9910. L’andamento dell’inflazione, nel 1999, ha visto un’estrema differenziazione del fenomeno. Mentre la spinta inflativa è aumentata in Romania, nonostante la politica monetaria restrittiva, in Bulgaria il tasso d’inflazione si è ridotto. Infine, a causa del ritardo nel processo di riforme istituzionali le organizzazioni internazionali e i paesi dell’Europa occidentale sono stati molto restii ad offrire finanziamenti per facilitare la transizione di questi paesi, che oggi si trovano in una posizione particolarmente arretrata nella conduzione dei negoziati con l’Unione Europea. 4. I PAESI BALTICI NEL PASSAGGIO DALL’UNIONE SOVIETICA ALL’UNIONE EUROPEA I paesi baltici, dopo una difficile lotta politica sono usciti dall’Unione Sovietica e, nel 1991, hanno riacquistato la loro indipendenza. Tra i paesi dell’Est europeo in transizione, i baltici occupano una posizione del tutto particolare. A differenza delle altre repubbliche dell’ex URSS, l’Estonia, la la transizione, le transizioni Lettonia e la Lituania, sono entrate a far parte dell’impero sovietico solo nel 1940. Questo ha permesso loro di poter avere un’economia di mercato nel corso delle due guerre mondiali. Inoltre, questi paesi, non hanno mai fatto parte della Comunità degli Stati Indipendenti dopo la fine del comunismo in Russia. Come i paesi dell’Europa centrale, i baltici hanno conosciuto più di quaranta anni di economia pianificata e come loro beneficiano di una vicinanza geografica all’UE, che privilegia i mercati. Tuttavia, l’integrazione nell’ex URSS costituisce una differenza di rilievo rispetto agli altri paesi dell’Est. Malgrado questa pesante eredità, i paesi baltici sono riusciti ad avvicinarsi al gruppo di testa dei paesi in transizione e ad arrivare alle porte dell’Unione Europea11. Al di là delle evidenti somiglianze economiche, politiche e storiche, il processo di transizione ha assunto forme ed ha avuto un ritmo molto diverso nei tre paesi. Il modello liberale adottato in Estonia contrasta con il gradualismo lituano e con la via intermedia seguita dalla Lettonia. Tali differenze inducono a pensare che i paesi baltici occupino una posizione intermedia tra i paesi dell’Europa centrale, all’avanguardia nel processo di transizione, e i paesi dell’Europa meridionale che sono impegnati in un percorso più lento e difficile. 5. IL RAPPORTO SULLO STATO DEI NEGOZIATI IN POLONIA Tra i paesi candidati all’adesione, abbiamo scelto di analizzare lo stato dei negoziati della Polonia, che oltre ad essere il paese geograficamente più grande e più densamente popolato, è anche il più vicino al rispetto dei criteri di Copenaghen. Il Consiglio Europeo di Lussemburgo ha stabilito che a partire dalla fine del 1998, la Commissione prepari per ciascun paese rapporti periodici sullo stato dei negoziati, allo scopo di documentare i progressi compiuti da ognuno dei paesi candidati in vista dell’ingresso nell’Unione Europea. Il metodo seguito dalla Commissione è quello stabilito da Agenda 2000, relativo alla valutazione della capacità degli stati candidati di seguire i criteri fissati a Copenaghen. la transizione, le transizioni• p.21 Diamo pertanto conto del rapporto sulla Polonia12 presentato dalla Commissione nel 2000. Tale rapporto analizza: le relazioni tra la Polonia e l’Unione, in particolare nella cornice degli Accordi di Associazione (Accordi Europei); la situazione polacca rispetto ai criteri politici13 (la democrazia, il rispetto della legge, i diritti umani, la protezione delle minoranze); l’ottemperanza ai criteri economici (la presenza di un’economia di mercato e la capacità di sostenere le pressioni competitive del mercato europeo; la capacità della Polonia di assumere le obbligazione proprie degli stati membri, secondo quanto disposto nei Trattati e nel diritto comunitario derivato, e di seguire le politiche e gli obiettivi dell’Unione (acquis comunitario). 5.1 Le relazioni tra l’Unione Europea e la Polonia: rapporti commerciali e finanziamenti comunitari Come mostrano i trend di crescita degli ultimi dieci anni i rapporti commerciali tra l’Unione Europa e la Polonia continuano a crescere più velocemente rispetto a quelli tra l’UE e il resto del mondo. Nel 1999 le esportazioni dall’UE alla Polonia sono state pari a 28.9 miliardi di Euro, mentre le importazione della Comunità hanno raggiunto i 17.5 miliardi di Euro. Il deficit commerciale della Polonia pari a 11.4 bilioni di Euro mostra una leggera flessione rispetto a quello del ’98. Il commercio di macchinari e di materiali elettrici rappresenta il capitolo più importante per le importazioni polacche. Per quanto riguarda i finanziamenti comunitari, nel periodo che va dal 1990 al 1999, il programma PHARE ha allocato 250 milioni di Euro in Polonia. Tra il 2000 e il 2002 l’assistenza finanziaria dell’Unione Europea garantirà alla Polonia 398 milioni di EURO all’anno dal PHARE, 168.6 milioni dal SAPARD e 385 milioni dall’ISPA14. Il Programma PHARE per il 2000 ha provveduto ad una allocazione nazionale di 428 milioni di Euro, ripartiti secondo le seguenti priorità: la transizione, le transizioni Il rafforzamento della capacità amministrativa e istituzionale nel campo del controllo finanziario, della finanza pubblica, del sistema bancario, delle procedure parlamentari, dei trasporti, del dialogo sociale, del training professionale e, infine, dello sviluppo delle esportazioni e delle politiche regionali. Lo sviluppo del mercato interno. Il rafforzamento della cooperazione nel campo della giustizia e degli affari interni. La creazione di istituzioni nell’agricoltura, nell’ambiente, nella coesione sociale. La partecipazione della Polonia ai programmi comunitari. Il programma di finanziamenti SAPARD si occupa del piano di sviluppo rurale della Polonia. Il programma è basato su due obiettivi prioritari: lo sviluppo dell’efficienza del mercato agroalimentare, lo sviluppo delle condizioni necessarie per l’incremento delle attività economiche e la creazione di nuovi posti di lavoro. Nel periodo compreso tra il 2000 e il 2006, il programma SAPARD si occuperà del finanziamento del settore agricolo polacco per 168 milioni di Euro. Per quanto riguarda il programma ISPA, la Commissione e le autorità polacche hanno stabilito un programma di priorità per il finanziamento del settore dei trasporti e dell’ambiente per il periodo 2000-2006. Relativamente ai trasporti il programma prevede la costruzione e il restauro di autostrade, di strade statali, di linee ferroviarie nell’ambito della rete di trasporti Trans-Europea e nel rispetto degli standard europei. Per quanto riguarda l’ambiente, le più importanti priorità che l’ISPA ha stabilito per la Polonia riguardano l’acqua potabile, le acque di scarico e lo smaltimento dei rifiuti nelle maggiori città polacche. L’agenda finanziaria dell’ISPA per la Polonia, secondo quanto stabilito dalla Commissione nel Settembre del 2000, ha previsto il finanziamento di 177 milioni di Euro per i trasporti e 177 milioni per l’ambiente solo per l’anno 2000. la transizione, le transizioni• p.23 5.2 I criteri per l’adesione 5.2.1 Il criterio politico Il Consiglio Europeo di Copenhagen del 1993, ha stabilito che i paesi candidati devono raggiungere la stabilità delle istituzioni nel rispetto della democrazia, della legge, dei diritti umani e della protezione delle minoranze. Nel rapporto del 1999 la Commissione ha concluso che la Polonia rispetta i criteri politici di Copenhagen, anche se ulteriori sforzi dovranno essere compiuti per incrementare l’efficienza del sistema giudiziario, in modo particolare nella lotta contro la corruzione. Nonostante i cambiamenti politico istituzionali la Polonia è riuscita comunque a mantenere la stabilità delle istituzioni. La Costituzione del’97 ha dato prova di essere uno strumento di grande stabilità politica. Per quanto riguarda i diritti umani e la protezione dei minoranze, la Polonia ha ratificato la convenzione Europea dei Diritti dell’uomo ed ha adottato misure legali e costituzionali per la loro tutela. La pena di morte in Polonia è stata abolita formalmente dal Parlamento il 14 Aprile del 200015, tuttavia, le condizioni dei polacchi negli istituti di pena continuano ad essere precarie. Le prigioni sono sovraffollate. La popolazione carceraria polacca, pari a 70 mila persone, rappresenta il 110% della capacità massima del sistema penitenziario. Inoltre, violenza e maltrattamenti sono all’ordine del giorno. Un rapporto del Comitato Europeo sulla Prevenzione delle Torture ha evidenziato seri casi di maltrattamenti. Il traffico di esseri umani è diminuito dalla metà degli anni ’90. 5.2.2 Criteri economici La Polonia possiede un’economia di mercato attiva, con un fiorente settore privato e un ambiente legislativo ed istituzionale favorevole all’attività la transizione, le transizioni economica. Secondo la valutazione della Commissione Europea il sistema economico polacco sarà in grado di fronteggiare le pressioni competitive all’interno dell’Unione, attraverso il processo di liberalizzazione del mercato. La Commissione ha quindi concluso affermando che la Polonia soddisfa i criteri economici stabiliti al Consiglio Europeo di Copenhagen: L’esistenza di un economia di mercato attiva La capacità di essere competitiva nel mercato europeo Per quanto riguarda il primo dei due criteri economici, la situazione macroeconomica polacca è notevolmente migliorata rispetto al rapporto precedentemente preparato dalla Commissione. La riduzione della crescita economica, causata dalla crisi russa del’9816, si è arrestata sin dalla metà del 1999 e l’economia sta attualmente sperimentando una forte ripresa nella produzione, collegata ad un incremento della domanda estera e ad un’accelerazione della domanda interna. Tuttavia, è emerso dall’analisi del rapporto un numero di squilibri macroeconomici che richiedono un adeguato monitoraggio e adeguate misure politiche. Il tasso di disoccupazione è alto e continua a crescere; l’inflazione ha subito un’impennata nella seconda metà del 1999; la più alta crescita economica non ha bilanciato la perdita di posti di lavoro, dovuta alle trasformazioni economiche, il deficit delle partite correnti è cresciuto in modo considerevole. Sebbene le esportazioni siano aumentate, e il flusso di investimenti diretti esteri rimanga sostenuto, la crescita delle importazioni continua ad essere costante, come riflesso dell’incremento della domanda interna. La Polonia continua a registrare progressi nelle privatizzazioni e nelle riforme istituzionali. La velocità del processo di privatizzazione è particolarmente incoraggiante, con circa 150 imprese vendute attraverso la privatizzazione diretta, solo nel 1999, e 50 dalla fine di Aprile del 2000. Le entrate delle privatizzazioni sono superiori alle previsioni della legge di bilancio e sono state incrementate dal completamento della vendita della seconda tranche di azioni della Telekomunikacjia Polska. Le entrate delle privatizzazioni sono principalmente dirette al finanziamento delle riforme sociali. Il governo polacco la transizione, le transizioni• p.25 ha, inoltre, deciso alcune ristrutturazioni delle imprese pubbliche, che interessano in particolare l’industria per l’estrazione del carbone e l’industria per gli armamenti. Si registrano, tuttavia, diversi ritardi per quel che riguarda la privatizzazione nel settore siderurgico e la ristrutturazione del settore agricolo. Il settore pubblico continua a rappresentare un fardello per l’efficienza e la competitività della Polonia e agisce negativamente sulla finanza pubblica. D’altro canto, il nuovo sistema pensionistico e la riforma della sanità, dell’istruzione, e del fisco, sebbene difficili e costosi nel breve periodo, sono indispensabili per rafforzare le basi della crescita futura. La stabilità macroeconomica e il consenso circa le politiche economiche hanno migliorato la performance dell’economia di mercato, mentre un settore finanziario ben sviluppato e l’assenza di barriere nel mercato incrementano l’efficienza economica. L’alto livello di disoccupazione rappresenta un’altra importante sfida politica. La disoccupazione è aumentata dall’Agosto del 1998 e ha raggiunto il 15% nel 1999, secondo i dati dell’ILO17. L’aumento della disoccupazione riflette le pressioni demografiche e strutturali e un numero di caratteristiche specifiche sottolinea la necessità di migliorare il mercato del lavoro: il tasso di disoccupazione degli individui al di sotto dei 25 anni, pari al 30%, la disoccupazione in aumento per i lavoratori con basse qualifiche, le disparità regionali (il tasso di disoccupazione è compreso tra il 9% e il 20%). Per quanto riguarda i progressi compiuti nella riduzione del tasso di inflazione, nella seconda metà del ’99 i prezzi sono aumentati sensibilmente come risultato di una combinazione di fattori: l’aumento del prezzo della benzina e dei generi alimentari, l’impatto del deprezzamento della moneta polacca, l’incremento delle tariffe e la grossa crescita del credito delle famiglie dovuta alla ripresa economica. Anno dopo anno il tasso d’inflazione è cresciuto sino a raggiungere, nel 2000, le due cifre. La media del tasso d’inflazione era pari al 7.3% nel 1999 e appare possibile che l’indice dei prezzi al consumo alla fine del 2000 sarà più alto del livello più elevato che il Monetary Policy Council ha fissato al 6.8%. Nell’Aprile del 2000 la Polonia ha attuato una politica di libera fluttuazione dei cambi attraverso una strategia coerente con l’obiettivo inflazione. la transizione, le transizioni La privatizzazione nel settore assicurativo ha subito una forte accelerazione con la vendita del 30% della PZU S.A18. lo scorso novembre. Il settore è in espansione grazie alla riforma del sistema pensionistico, anche se il trasferimento dal primo al secondo regime19 non è stato ancora attuato. Il mercato assicurativo ha sperimentato la bancarotta per ben due volte nel corso del 1999. La riforma pensionistica ha portato un aumento del 71% del Warsaw Stock Market l’anno passato: oggi rappresenta circa il 20% del PIL. Alcuni cambiamenti nel settore non bancario sono ancora necessari. Per quanto riguarda la capacità della Polonia di fronteggiare le pressioni competitive e le forze del mercato europeo, l’esistenza di un’economia aperta e di un modello macroeconomico stabile, che permette agli agenti economici di prendere decisioni in un clima di prevedibilità, ha permesso allo stato polacco di soddisfare il criterio economico. Tuttavia è necessario incrementare il capitale fisico e umano e favorire lo sviluppo delle infrastrutture. Gli investimenti rappresentano circa il 25% del PIL, tuttavia da un’analisi più approfondita della produttività risulta che è necessario migliorare quantitativamente e qualitativamente lo stock di capitali attraverso la canalizzazione degli investimenti esteri diretti. Gli investimenti diretti esteri giocano un ruolo di primaria importanza nel favorire le esportazioni polacche e sviluppare la competitività economica della Polonia. Il flusso di investimenti dall’estero è stato pari ad 8 miliardi di Euro nel 1999. Nel 1997, la quota di imprese straniere negli investimenti totali del settore manifatturiero ha raggiunto il 57%. Queste imprese hanno inciso per il 50% sul totale delle esportazione polacche nel 1999. Una parte molto consistente degli investimenti esteri è stata indirizzata verso settori diversi da quello delle esportazioni, come quello bancario, della vendita al dettaglio o delle costruzioni. Inoltre gli investimenti esteri nei servizi producono ulteriori effetti benefici, diminuendo i costi di transazione e attraendo investitori stranieri nel settore manifatturiero. la transizione, le transizioni• p.27 5.2.3 L’acquis Questa sezione del rapporto ha il compito di aggiornare il Consiglio sulla capacità della Polonia di soddisfare gli obblighi comunitari, sia dal punto di vista legislativo che istituzionale. Il Consiglio Europeo di Madrid del 1995 ha evidenziato la necessità di creare le condizioni necessarie per la graduale e armoniosa integrazione di tutti i candidati, in particolar modo attraverso l’adeguamento della struttura amministrativa. A questo proposito l’Agenda 2000 ha sottolineato l’importanza di incorporare la legislazione comunitaria in quella nazionale, attraverso adeguate strutture amministrative e giudiziarie. I progressi compiuti dalla Polonia nel condurre i negoziati prendono in considerazione in primo luogo le quattro libertà fondamentali del mercato interno ( la libera circolazione di beni, capitali, servizi e persone) e continuano con un’analisi sistematica dei vari capitoli relativi all’acquis: le politiche di settore, gli affari economici e sociali, la coesione economica e sociale, le innovazione, la qualità della vita e l’ambiente, la giustizia e gli affari interni, la politica estera e le questioni finanziarie. Dei 29 capitoli del negoziato, 11 non necessitano ulteriori negoziazioni. I negoziati, infatti, si sono conclusi per il settore dell’Unione economica e monetaria, per la Statistica, per la politica Industriale, per la ricerca, per l’istruzione, il training, le telecomunicazioni e le nuove tecnologie, i consumatori, la protezione della salute, le relazioni esterne le politiche estere e la sicurezza comune, il controllo finanziario. I negoziati proseguono per i rimanenti capitoli. 5.3 Il capitolo sull’agricoltura La Polonia ha compiuto dei progressi molto limitati nell’adozione dell’acquis nel campo dell’agricoltura rispetto al precedente rapporto. L’agricoltura (inclusa la caccia, la pesca e il legname) rappresenta in Polonia il 3,8% del PIL (secondo i la transizione, le transizioni dati del 1999), contro il 4,8% del 1998. L’occupazione in agricoltura, secondo i dati Eurostat, ha subito una diminuzione negli anni passati tale da raggiungere il 18% dell’occupazione totale per il 1999. Nel 1999 si è verificata inoltre una significativa riduzione della produzione agricola, principalmente a causa delle sfavorevoli condizioni climatiche, mentre la diminuzione della produzione di bestiame (-1.6%) è dovuta alla riduzione dello stock di animali. Nel 1999 le importazioni di prodotti agricoli polacchi nell’Unione è aumentata di un punto percentuale, mentre le esportazioni dalla Comunità alla Polonia sono diminuite di circa il 10% . Il saldo della bilancia commerciale in favore della Comunità ammonta a circa 536 milioni di Euro, contro i 723 milioni del ’98, una diminuzione di circa un terzo ( a beneficio dell’economia polacca). Alcune importanti politiche strategiche sono state adottate per favorire lo sviluppo agricolo. Fra questa la più significativa è il Patto per l’Agricoltura sottoscritto dal governo polacco all’inizio di Settembre. Il Patto per l’Agricoltura ha come obiettivo l’incremento della competitività e delle condizioni di lavoro nel settore agricolo e lo sviluppo della flessibilità nella struttura socio-economica delle aree agricole. Quattro sono le aree principali sulle quali è articolato il Patto per l’Agricoltura: l’ambiente agricolo, lo sviluppo dell’imprenditoria e la creazione di posti di lavoro al di fuori dell’agricoltura, lo sviluppo di politiche sociali nelle aree rurali e il dialogo sociale. 5.4 Politiche sociali e occupazione La situazione occupazionale in Polonia si è deteriorata nel corso del 1999. Le ricerche sulla forza lavoro mostrano che l’occupazione è diminuita più del 4%, tra il Febbraio ’99 e il Febbraio del 2000, mentre nello stesso periodo di tempo il tasso di occupazione è sceso al 56%, ben al di sotto della media europea che è pari al 62%. Allo stesso tempo, il tasso di disoccupazione è salito dal 12.5% al 16.7%. Gli ultimi indici mostrano che la ripresa economica in Polonia non si è ancora tradotta in un miglioramento del mercato del lavoro. Per fronteggiare questo problema il governo polacco ha adottato una strategia per l’occupazione e la transizione, le transizioni• p.29 lo sviluppo delle risorse umane per il periodo compreso tra il 2000 e il 2006. Nell’implementare questa strategia il governo sta lavorando ad un programma dettagliato: gli obiettivi stabiliti dal governo saranno realizzati sulla base dei Piani di Azione Nazione per lo Sviluppo dell’occupazione (NAP)20. Il dialogo sociale in Polonia è caratterizzato dalla contrattazione tripartita. Questo dialogo, che si svolge attraverso una «Commissione per gli affari sociali ed economici», continua ad essere ostacolato dal ritiro del più importante sindacato polacco dal tavolo delle contrattazioni. La sua assenza pesa enormemente sul valore delle decisioni prese in Commissione. Inoltre il dialogo autonomo a livello settoriale è ancora mancante e nessun progresso viene registrato a livello imprenditoriale, poiché il dialogo sociale non ha luogo in nessuna delle nuove imprese. 6. L’ADESIONE DELLA TURCHIA E LA QUESTIONE CIPRIOTA La Turchia ha una storia del tutto particolare nel contesto dei paesi candidati, posizionandosi a metà strada tra i paesi islamici del medio oriente e l’europa orientale. Dopo il collasso dell’Impero Ottomano alla fine della prima Guerra Mondiale, il fondatore della nuova Repubblica Turca, Mustafa Kemal Atatürk, si fece promotore del processo di modernizzazione e di avvicinamento della Turchia all’Occidente, attraverso l’abolizione della legge e dell’abbigliamento islamico e l’adozione del codice civile svizzero e dell’alfabeto latino21. Dopo la seconda Guerra Mondiale la Turchia entrò a far parte delle grandi organizzazioni europee ed internazionali, l’OCSE, l’ONU e il Consiglio d’Europa e, nel 1959, avanzò la sua candidatura a membro associato della CEE. Gli accordi di associazione con la Turchia, anche noti come Accordi di Ankara, furono firmati nel 1963 e stabilirono le fasi attraverso le quali la Turchia e la Comunità Europea sarebbero giunte alla piena integrazione economica. L’unione doganale per i prodotti della Comunità Europea fu raggiunta con la Turchia nel 1995, attraverso significative riduzioni delle tariffe sui prodotti europei e l’armonizzazione dei dazi esteri. la transizione, le transizioni In occasione del Consiglio Europeo di Helsinki del 1999 venne decisa l’apertura dei negoziati di adesione con tutti i paesi candidati ad eccezione della Turchia. Nella stessa sede venne conferito alla Turchia lo status di paese candidato, ribadendo, tuttavia, che l’apertura dei negoziati rimane condizionata ad alcuni requisiti preliminari connessi ai criteri politici stabiliti a Copenaghen. Le questioni politiche che impediscono l’apertura dei negoziati di adesione con la Turchia sono complesse e molteplici e riguardano anzitutto la violazione dei diritti umani, la pratica delle torture e la mancanza di libertà di espressione. In secondo luogo, il paese è soggetto al potere dei militari del Consiglio di Sicurezza Nazionale, che agiscono senza alcun controllo da parte dell’autorità civile turca. Inoltre, l’occupazione da parte della Turchia della regione settentrionale dell’isola di Cipro inasprisce i rapporti tra il governo turco e la comunità internazionale. Infine, l’adesione della Turchia viene pregiudicata dalla mancata ottemperanza dei criteri economici22 e dalla presenza di alcune questioni sociali di grande rilevanza che contribuiscono ad allontanare il paese dall’Unione: i problemi socio-economici, come l’analfabetismo, la mortalità infantile e la scarsa tutela della salute pubblica; infine le disparità regionali nello sviluppo sociale ed economico. Tuttavia, è la questione cipriota a sollevare le maggiori difficoltà di fonte all’ingresso dello stato turco nell’Unione Europea. Il cuore della questione cipriota sta nella divisione dell’isola in due diverse aree Nel 1974 la Turchia, in risposta al colpo di stato organizzato dai militari greci contro l’allora presidente cipriota, occupò la parte Nord dell’isola 23.. Da allora la frontiera tra Cipro Nord e Cipro Sud, conosciuta come la Linea Verde, è soggetta al controllo delle truppe delle Nazioni Unite. La parte meridionale di Cipro, che rappresenta i 2/3 dell’isola è riconosciuta a livello internazionale, ad eccezione della Turchia, come Repubblica Cipriota24. La parte settentrionale, riconosciuta solo dal governo turco che ha stanziato nel territorio circa 35.000 soldati, ha preso il nome, dal 1983, di Repubblica Turca di Cipro Nord e dipende dalla Turchia per la gran parte delle sue necessità. La popolazione si è stabilita lì dopo il 1974 e proviene per la gran parte dall’Anatolia. Il governo della Repubblica cipriota del Sud considera gli abitanti della parte settentrionale la transizione, le transizioni• p.31 dell’isola, come immigrati clandestini ai quali non verrà riconosciuta la cittadinanza cipriota, nel caso di una riunificazione dell’isola. La moneta utilizzata a Cipro Nord è quella turca. La Turchia è il principale partner commerciale per le importazione e le esportazioni. Infine, poiché l’ostracismo internazionale non permette a Cipro Nord di avere il suo sistema postale e di telecomunicazioni, la regione deve usufruire di quello turco. Per queste ragioni, l’adesione di Cipro Nord all’Unione Europea dipende fortemente dalla preventiva adesione turca. Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha compiuto numerosi sforzi negli ultimi anni per riunire l’isola sotto un'unica sovranità e riconoscerle una sola personalità giuridica internazionale. Tuttavia, mentre il governo della Repubblica Cipriota si è mostrato a favore della soluzione avanzata dall’ONU, la Repubblica Turca di Cipro Nord continua a sostenere che l’unica soluzione è mantenere nell’isola due diverse sovranità. I rapporti di Cipro con la Comunità Europea sono stati fondati in passato sugli Accordi di Associazione. Sottoscritti nel 1972, tali accordi hanno provveduto all’eliminazione delle barriere commerciali allo scopo di istituire una vera e propria unione doganale. Dalla fine degli anni ’80 il governo della Repubblica Cipriota ha iniziato le trattative per passare dall’unione doganale all’adesione all’Unione Europea. La ragione sembra essere principalmente politica: la prospettiva di una adesione all’UE potrebbe costituire uno stimolo efficace per la risoluzione della questione cipriota o almeno potrebbe consentire all’Unione di assumersi la responsabilità della soluzione della questione cipriota. D’altra parte l’adesione potrebbe rappresentare una garanzia di sicurezza per Cipro nei suoi rapporti con la Turchia. La Repubblica Cipriota ha formalmente presentato la sua domanda di adesione all’UE nel Luglio del 1990. La richiesta di adesione è stata presentata per conto dell’intera isola, e questo malgrado il fatto che l’autorità della Repubblica non si estenda alla parte settentrionale di Cipro e che i leader politici del governo del Nord abbiano del tutto respinto la legittimità di tale domanda. Se le autorità cipriote avessero presentato la richiesta di adesione solo per la parte dell’isola la transizione, le transizioni sulla quale esercitano la giurisdizione, avrebbero trasformato una divisione de facto in una divisione de iure , compromettendo in modo irreversibile la possibilità di essere considerate la sola rappresentanza legittima dell’isola. Da quando nella metà degli anni ’90 l’Unione Europea ha aperto i negoziati con Cipro, il governo cipriota ha iniziato un’intensa campagna diplomatica per enfatizzare che il governo della Repubblica è la sola autorità legittima di dell’isola e che i negoziati dovrebbero essere condotti solo attraverso essa. Sarebbe infatti irragionevole, secondo il governo cipriota, l’Unione Europea rimanesse ostaggio di un governo «illegale» quello della Repubblica Turca di Cipro Nord e di uno stato, quello turco, che non è ancora membro dell’Unione. E’ necessario, tuttavia, considerare anche i rapporti politici ed economici tra la Turchia e l’Unione Europea. In occasione dei lavori preparatori di Agenda 2000 alcuni stati membri espressero numerose perplessità circa l’adesione della Turchia all’UE, da un lato a causa della tradizione politica e religiosa turca, molto diversa da quella Europea, dall’altro a causa delle violazioni dei diritti umani in forte contrasto con i principi fondamentali dell’Unione. La Turchia, da parte sua, è fermamente contraria all’adesione di Cipro all’UE, poiché tale adesione potrebbe consentire al governo della Repubblica cipriota di opporre il veto alla membership turca e ai finanziamenti europei verso la Turchia25. D’altra parte l’adesione cipriota potrebbe del tutto compromettere i rapporti tra l’Unione Europea e la Turchia, mentre l’Unione è ansiosa che tali rapporti migliorino sia per ragioni economiche, poiché la Turchia è il sesto partner commerciale per l’Unione, sia per motivi politici. La Turchia, infatti, oltre ad essere un ponte tra Occidente e Oriente, è un paese islamico con una considerevole influenza sui Balcani, nel Medio Oriente e in molti paesi dell’ex Unione Sovietica. Infine un’Unione che non includa la Turchia perpetuerà il rischio di un aspro confronto tra Atene e Ankara. Accogliere la Turchia nell’Ue significherebbe eliminare i confini nazionali tra i due paesi favorendo la cooperazione e la stabilità nella regione. la transizione, le transizioni• p.33 5.2 L’adesione di Malta Nonostante la posizione geografica che la vede ancorata al centro del Mediterraneo, Malta, il più piccolo tra i paesi candidati all’ingresso nell’Unione Europea, ha scelto di integrare la propria economia a quella europea, dopo aver ottenuto circa quaranta anni fa l’indipendenza dal Regno Unito. La domanda di adesione presentata nel 1991, è stata sospesa nel 1996 dal governo laburista che mirava alla creazione di un area di libero scambio tra Malta e l’Unione. Oggi le trattative per l’ingresso nell’UE sono a buon punto, grazie soprattutto ad un sistema produttivo che privilegia le nuove tecnologie. Il processo di privatizzazione, iniziato nel 1998, ha portato alla cessione da parte del governo maltese di 22 società pubbliche, tra cui uno dei maggiori istituti bancari dell’isola. la transizione, le transizioni APPENDICE 1 L’EUROPA E I BALCANI Il novecento, che è iniziato in Europa con la dissoluzione degli imperi asburgico e ottomano, ha visto nell’area dei Balcani la nascita di nuove nazioni e lo scoppio del primo conflitto mondiale. Nell’ultimo decennio del secolo, tra il 1989 e il 1999, i numerosi conflitti nell’area dei Balcani hanno portato alla divisione territoriale, che non hanno reso la regione né più stabile, né più europea. Sovranità e confini, che con il rafforzarsi delle istituzioni sovranazionali, hanno perso via via significato e valore in Europa, hanno conservato forza e violenza tali nei Balcani da scatenare aspri conflitti nell’intera regione. In quest’ultimo decennio, la disgregazione della Jugoslavia è costata tre conflitti etnici, centinaia di migliaia di vittime, milioni di profughi e lo strangolamento delle economie di questi paesi. «La guerra nei Balcani ha messo l’UE di fronte agli enormi costi della mancata esportazione della democrazia e del libero mercato, al fallito tentativo di contenere il nazionalismo e alle conseguenze di aver trascurato le regioni più difficili del continente»26. Per questo si può dire che di fronte ai conflitti nei Balcani l’Unione Europea ha mostrato tutta la sua debolezza. Oggi che le tensioni politiche nei Balcani sembrano spegnersi, l’Unione ha la responsabilità politica e morale di avviare il processo d’integrazione di questi popoli. Il Consiglio Europeo di Feira nel giugno del ’99, ha ribadito che tutti i paesi dell’area balcanica sono possibili candidati all’ingresso nell’Unione. In questa prospettiva ogni paese dovrebbe accelerare il suo processo di riforma allo scopo di allineare la sua legislazione e le sue istituzioni a quelle europee. Il patto di stabilità per i Balcani, sottoscritto nel 1999, ha come principali obiettivi il dialogo politico, la liberalizzazione del mercato, l’assistenza finanziaria e la cooperazione nell’ambito economico e sociale. Il fine dell’Unione Europea è quello di creare nella regione dei Balcani una situazione di pace e di stabilità politica, allo scopo di estendere a quest’area la prosperità economica e la libertà politica e sociale che i 15 paesi membri dell’Unione hanno creato in più di 50 anni di integrazione la transizione, le transizioni• p.35 APPENDICE 2 GEOGRAFIA DELL’ALLARGAMENTO L’UNIONE EUROPEA E I PAESI CANDIDATI In grigio scuro i quindici paesi membri dell’Unione Europea, in grigio chiaro i paesi candidati all’adesione. I dieci paesi dell’Europa centrale e orientale sono: i tre paesi baltici, Estonia (1), Lettonia (2), Lituania (3); i paesi dell’Europa centrale, Polonia (4), Repubblica Ceca (5), Slovacchia (6), Ungheria (7), Slovenia (8); i paesi che affacciano sul Mar Nero, Romania (9) e Bulgaria (10). Sono inoltre candidati all’adesione la Turchia (11), Cipro (12) e Malta (13). la transizione, le transizioni la transizione, le transizioni• p.37 la transizione, le transizioni la transizione, le transizioni• p.39 la transizione, le transizioni la transizione, le transizioni• p.41 la transizione, le transizioni la transizione, le transizioni• p.43 la transizione, le transizioni la transizione, le transizioni• p.45 la transizione, le transizioni la transizione, le transizioni• p.47 la transizione, le transizioni la transizione, le transizioni• p.49 Tabelle la transizione, le transizioni Note 1 Cfr. Magnin E., (1999) La terapia di choc si iscrive nella prospettiva teorica d’ispirazione neoclassica, che privilegia l’idea di un aggiustamento rapido verso nuovi equilibri, grazie ai meccanismi di mercato, e tende a sottostimare il ruolo dello Stato e l’importanza delle riforme strutturali, che in quanto tali non possono che avere un effetto graduale. Quanto al gradualismo, esso affonda le sue radici in varie correnti teoriche, generalmente raggruppate nella categoria degli "approcci eterodossi»: teorie post-Keynesiane, evoluzioniste ed istituzionaliste. Questo approccio, associato ai nomi di Keynes e Shumpeter, insiste sull’importanza delle istituzioni e dello stato, nel determinare la dinamica economica. 3 Per sistema bancario a due velocità si intende un sistema nel quale vi sia un banca centrale che si occupa della politica monetaria e delle regole del sistema creditizio e una pluralità di banche di affari che si occupano della gestione dei crediti a persone o imprese. 4 Cfr. Kornai J., (1984) 5 Cfr. Kornai J., (1996) 6 In seguito la stessa negoziazione è stata sostituita da sei forum permanenti, suddivisi per temi, che si riuniscono due volte l’anno o tutte le volte che sia necessario. In questi forum peso preponderante è assunto da 6.000 ONG che, sostituendo lo stato nella erogazione di prestazioni sociali, divengono rappresentanti dell’interesse collettivo in sostituzione dei sindacati. 7 La «Primavera di Praga» fu il più ampio e interessante esperimento di liberalizzazione mai tentato in un fino ad allora in un paese del blocco sovietico. Il programma di azione iniziato nel ’68 cercava di conciliare il mantenimento del sistema economico socialista con l’introduzione di elementi di pluralismo economico e politico. I sovietici tentarono invano di bloccare il processo di riforma , finché le truppe dell'Urss e di altri quattro paesi del Patto di Varsavia occuparono Praga, arrestarono Dubcek e portarono al potere un governo filosovietico. 8 Nel 1956, Kruscev divenne il leader indiscusso del paese e il promotore di alcune significative riforme, non esitando a denunciare gli errori e i crimini commessi dall’Unione Sovietica. La destanilizzazione provocò agitazioni e rivolte tra la popolazione, finché le proteste sfociarono in una vera e propria insurrezione. Il 1 novembre dello stesso anno, il capo del partito comunista, Kadar, invocò l’intervento delle truppe sovietiche che occuparono Budapest e stroncarono le milizie popolari. 9 Beni di prima necessità, come pane e latte 10 Cfr. Gobet S., (2000) 11 Il Consiglio Europeo di Lussemburgo, del 1997, ha sancito l’inizio dei negoziati di adesione con cinque paesi PECO, tra cui l’Estonia, scelta tra i Baltici. CFR Agenda 2000 12 European Commission (2000) 13 Il Consiglio Europeo di Copenaghen ha stabilito che l’ingresso nell’Unione è subordinato al rispetto dei criteri politici, economici e dell’acquis. 14 Da Gennaio 2000, la Comunità Europea finanzia tre diversi strumenti di preadesione al fine di sostenere i paesi candidati nel processo di allargamento: il programma PHARE che finanzia i progetti relativi al rafforzamento delle istituzioni; il programma 2 la transizione, le transizioni• p.51 SAPARD che provvede al finanziamento del settore agricolo; e l’ISPA che finanzia i progetti relativi alle infrastrutture nel settore dell’ambiente e dei trasporti. Questi programmi concentrano i loro finanziamenti sulle priorità stabilite dai partenariati di adesione al fine di aiutare i paesi candidati a soddisfare i criteri della Comunità. 15 Quando è stata adottata la legislazione che approva il Protocollo n.6 della Convenzione Europea sui diritti umani. 16 La crisi Russa del ‘98 17 International Labour Office o Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) 18 Sistema pubblico assicurativo polacco 19 Si riferisce al passaggio da un sistema previdenziale pubblico ad un sistema nel quale i contributi sono versati ad imprese private che si occupano della gestione dei risparmi. 20 Cfr “I NAP” su Lezioni sull’Europa Materiali CISS 21 Ataturk introdusse anche l’uso del cognome. Ogni turco dovette scegliere un cognome. Ataturk significa «padre dei turchi» 22 L’inefficienza nel settore agricolo dovuta alla presenza di piccole aziende; i problemi del settore finanziario, a causa del monopolio di un piccolo numero di banche che detiene la gran parte delle attività finanziarie del paese; l’alto tasso di inflazione; l’instabilità dei prezzi nell’agricoltura, nel trasporto e nell’energia, e la prevalenza nel settore manifatturiero di piccole imprese che con tutta probabilità avranno serie difficoltà nel fronteggiare la concorrenza del mercato europeo. 23 Cipro ha avuto da sempre un ruolo preminente nell’ambito della politica estera greca e turca. La questione cipriota ha contribuito ad inasprire i rapporti tra i due paesi già molto tesi da quando dopo la prima guerra mondiale i greci, che avevano combattuto a fianco degli alleati e rivendicavano alcuni territori dell’Asia Minore, furono pesantemente sconfitti dalle truppe turche guidate dal giovane Mustafà Kemal e scacciati dalla città di Smirne. 24 I greci a Cipro rappresentano i quattro quinti della popolazione dell’isola 25 L’art. 49 del Trattato CE stabilisce che l’ingresso di un nuovo stato nell’Unione Europea deve essere approvato con il voto all’unanimità di tutti gli stati membri. Per questo l’adesione di un nuovo paese è esclusa se anche un solo stato membro oppone il veto. 26 Cfr. Pflüger F., (2000)