SPEECH/99/170 Discorso del Professor Romano Prodi Presidente della Commissioner europea "Una nuova economia e une politica nuova: il ruolo dell'Unione europea" alla Conferenza sul Riformismo nel XXI secolo Firenze, 20 novembre 1999 Signore e signori, Introduzione: la dimensione europea L’arte di governare non è mai stata facile, e le difficoltà sono notevolmente aumentate negli ultimi decenni con la crescente complessità delle nostre democrazie industriali occidentali. In tutta la storia dell’umanità, ma soprattutto a partire dalla Rivoluzione industriale, progresso tecnologico e cambiamento sociale sono sempre andati di pari passo, ma il ritmo travolgente assunto negli ultimi dieci anni dal cambiamento sociale e tecnologico impone un grosso sforzo collettivo di intervento e di pianificazione. Che forma di gestione dare alle nostre società occidentali nel Ventunesimo secolo? Questo interrogativo assume connotazioni del tutto peculiari per la famiglia di nazioni che costituisce l’Unione europea. In effetti, l’Unione europea è una costruzione unica al mondo. Alla triste luce della Seconda Guerra mondiale appena conclusa, l’obiettivo primario dei suoi padri fondatori era quello di assicurare la pace all’Europa. Porre fine a secoli di sanguinosi conflitti e rivolgimenti sociali. L’unità europea, quindi, è anzitutto un concetto politico nato da grandi ideali e nobili aspirazioni. La sua storia successiva è stata, inevitabilmente, dominata dal processo di integrazione economica. Nel 1951 è sorta la Comunità europea del carbone e dell'acciaio, cui ha fatto seguito nel 1957 il trattato di Roma, che indica esplicitamente l’obiettivo di “un’unione sempre più stretta fra i popoli europei”. Il Mercato unico è diventato realtà nel 1992, e la moneta unica nel 1999. Nel frattempo, è iniziata l’integrazione anche in altri campi. Tra gli Stati membri si è ora instaurata una più stretta collaborazione in materia di giustizia e affari interni, su questioni quali il trattamento delle richieste di asilo e la lotta al terrorismo e alla criminalità internazionale. Inoltre si sta procedendo verso la definizione di una politica estera e di sicurezza comune. Ora che l’unità europea diventa realtà a tutti questi livelli, i problemi fondamentali del “governare”, comuni a tutto il mondo industrializzato, acquistano in Europa una dimensione unica e distintiva. Questi problemi, che naturalmente vanno affrontati anzitutto a livello nazionale, nell’Unione europea assumono anche un aspetto sovranazionale - ed è per questo che sono stato invitato oggi a parlarvene. In generale, le sfide cui l’Unione europea deve far fronte si suddividono in due grandi categorie: le questioni economiche e sociali; e le questioni geopolitiche. Analizziamo anzitutto gli aspetti economici e sociali. I cambiamenti strutturali in atto nella società europea sono vasti e profondi. La vita media è in costante crescita, mentre calano i tassi di natalità. In altre parole, la popolazione invecchia, e questo significa che la manodopera si riduce. 2 Al tempo stesso, le nostre industrie devono far fronte alla sfida della globalizzazione e alle pressioni derivanti dalla ricerca di competitività su mercati mondiali in rapido cambiamento. Troppo spesso, purtroppo, la necessità di rendere le imprese agili, snelle ed efficienti si è tradotta in riduzioni del personale, creando così disoccupazione. L’Europa deve trovare il modo di trasformare la competitività e l’efficienza in una crescita economica che crei nuovi posti di lavoro. E, al tempo stesso, vogliamo conservare il nostro stile di vita europeo in una società solidale. È quello che io chiamo il modello sociale europeo. Questo modello, che combina giustizia sociale e crescita economica, è già oggetto di emulazione da parte dei Paesi che chiedono di aderire all’Unione europea. Non vogliono semplicemente far parte di un mercato unico allargato: vogliono anche adottare il modello sociale europeo. Questo mi porta a parlare delle sfide geopolitiche che dobbiamo affrontare. L’Unione europea, con buona pace dei suoi detrattori, sta ottenendo un successo tale che c’è già una dozzina di altri Paesi europei in coda per entrare! A medio termine, il numero degli Stati membri dell’Unione passerà da 15 a 20, 25, forse addirittura a 30: sarà uno dei momenti più importanti della nostra storia. Nel riflettere sull’allargamento, noi dell’Unione europea proviamo un grande senso di responsabilità nei confronti del nostro continente e dei suoi popoli. Assieme ai nuovi membri della nostra famiglia, vogliamo creare una nuova società europea. Vogliamo costruire un’Europa stabile e prospera all’insegna della pace e della sicurezza, della libertà, della democrazia, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani. Tutto questo è molto bello, potreste dirmi, ma come ci arriviamo? Qual è la nostra strategia? Tornerò più avanti su questo argomento. Nel frattempo, se vogliamo avere una realistica possibilità di raggiungere a medio termine questi obiettivi e di sostenere a lungo termine la prosperità e la coesione sociale, dobbiamo affrontare con la massima celerità quei problemi economici e sociali di cui ho già parlato. Vediamo più in dettaglio di cosa si tratta. 1. Sfide economiche e sociali Le tecnologie e i mercati del lavoro stanno cambiando, e di conseguenza cambiano le necessità di istruzione e formazione dell’Europa. Al tempo stesso, la popolazione europea invecchia, per cui occorre ristrutturare urgentemente i nostri sistemi previdenziali. Il problema che l’Unione europea deve risolvere è questo: come possiamo riorganizzare lo Stato sociale e il mercato del lavoro in modo da creare posti di lavoro e incrementare la produttività, e contemporaneamente mantenere e ammodernare il modello sociale europeo? Inutile negarlo, l’impresa non sarà facile! 3 1a. La sfida americana A titolo di confronto, vediamo cosa sono riusciti a fare gli Stati Uniti negli ultimi cinque o dieci anni. Gli Stati Uniti hanno ottenuto un eccezionale successo nella creazione di posti di lavoro. Sono riusciti a ottenere quella straordinaria e inafferrabile combinazione di bassa inflazione, crescita vigorosa e bassa disoccupazione! Come si spiega questo successo, e perché l’Europa non ha fatto altrettanto? La spiegazione principale è che, da quasi un secolo, gli Stati Uniti hanno potuto contare su un mercato unico e su una moneta unica. L’Europa è giunta a questo traguardo solo negli ultimi dieci anni, e a prezzo di duri sacrifici. Tuttavia questo significa che ora siamo in grado di competere ad armi pari con gli Stati Uniti, i cui scambi hanno una struttura simile alla nostra, e che nei prossimi dieci o vent’anni l’Europa coglierà finalmente tutti i frutti della sua trasformazione in un vasto Mercato unico con una moneta unica. Un secondo fattore è il problema dell’insufficiente sviluppo del settore dei servizi europeo. Se in Europa avessimo gli stessi tassi di occupazione nel settore dei servizi che si registrano negli Stati Uniti, oggi avremmo 30 milioni di posti di lavoro in più. Questo è il doppio del totale delle persone attualmente disoccupate in Europa! Un’altra sorprendente differenza tra gli Stati Uniti e l’Europa riguarda il numero di donne che lavorano. Si tratta di una differenza di 21 milioni di posti di lavoro. Anche in questo caso, l’Europa è in ritardo rispetto agli Stati Uniti. La sfida americana all’Europa, quindi, è duplice. In primo luogo, l’Europa può creare posti di lavoro con lo stesso successo con cui l’hanno fatto gli Stati Uniti? E, secondo, può farlo mantenendo una distribuzione delle opportunità e del reddito più equa rispetto agli Stati Uniti? Come Presidente della Commissione europea, io voglio accettare questa duplice sfida. Ma voglio anche lanciare una sfida europea agli Stati Uniti: potete ottenere i nostri stessi risultati sul piano sociale, in termini di equa distribuzione delle opportunità e del reddito? 1b. Occupazione Per quanto riguarda la creazione di posti di lavoro, penso che abbiamo imboccato la strada giusta. Le revisioni introdotte due anni fa dal trattato di Amsterdam e il vertice del Lussemburgo sull’occupazione del 1997 ci hanno permesso di trovare un accordo su una Strategia europea dell’occupazione, con orientamenti a livello europeo e un processo ben sviluppato di pianificazione degli interventi a livello nazionale. L’ottica della strategia punta a rimettere la gente al lavoro e ad innalzare i livelli occupazionali. La strategia si basa su quattro “pilastri”, corrispondenti alle nostre quattro priorità fondamentali: occupabilità, imprenditorialità, adattabilità e pari opportunità. Il primo pilastro, l’occupabilità, punta a dotare la forza lavoro delle capacità di cui ha bisogno ora e di cui avrà bisogno per i lavori del futuro. Le nuove tecnologie, e la continua ricerca di aumenti della produttività, fanno sì che un numero crescente di persone debba acquisire capacità superiori e conoscenze più vaste. 4 Il secondo pilastro, l’imprenditorialità, prevede una nuova politica delle imprese che renda più facile avviare, gestire e sviluppare un’attività economica. Questa è una priorità particolarmente importante per l’Europa, data la nostra debolezza nel settore dei servizi e la necessità di creare una cultura d’impresa più dinamica. Il terzo pilastro, l’adattabilità, prevede una nuova politica della vita lavorativa per gestire il processo del cambiamento tecnologico e organizzativo. Invitiamo le parti sociali ad assumere un ruolo guida per trovare un nuovo equilibrio produttivo tra flessibilità e sicurezza del posto di lavoro. Il quarto pilastro sono le pari opportunità tra uomini e donne: una nuova politica che permetta di conciliare la vita lavorativa e quella familiare. Questa politica è dettata al tempo stesso dalla giustizia sociale e dalla dura realtà economica di una lenta crescita demografica. Le nostre economie europee richiedono politiche più proattive che permettano alle donne di partecipare attivamente, a tutti i livelli e in tutti i settori, al mercato del lavoro. Come fanno negli Stati Uniti. Come si dovrà procedere rispetto a tutti questi “pilastri” è una decisione che dovrà essere presa soprattutto a livello nazionale, una decisione che non dovrà essere dettata dall’ideologia politica, ma informata da un pragmatico processo dal basso in alto di consultazione e di dibattito. La Commissione europea può dare il suo contributo riunendo attorno a un tavolo tutte le principali parti interessate - autorità nazionali e locali, rappresentanti del settore privato, economisti e altri esperti - per raccogliere le loro idee, mettere a confronto le esperienze fatte nei diversi Stati membri, diffondere le pratiche migliori e verificare quali sono i sistemi più efficaci. Da parte nostra, noi possiamo apportare a queste discussioni il patrimonio della nostra esperienza tecnica. La prima grande occasione che avremo sarà il Vertice di Lisbona sull’occupazione, la riforma economica e la coesione sociale dell’anno prossimo. Questo Vertice lancerà tutto il dibattito sulla nuova economia in Europa al massimo livello, ma è essenziale che riceviamo contributi dalla base, dagli agenti economici a tutti i livelli della società. Vogliamo ascoltare chiunque abbia suggerimenti e idee costruttive da proporci. 1c. La società dell’informazione Uno degli elementi chiave del recente successo degli Stati Uniti nella creazione di posti di lavoro e nell’incremento della produttività è la nuova società dell’informazione. L’Europa è stata lenta ad abbracciare questa tecnologia, ed io sono fermamente convinto che il passo più importante che dobbiamo fare ora è seguire l’esempio statunitense e trasformarci in una società basata sulla conoscenza. Questa trasformazione avrà effetti sociali ed economici vasti e profondi. È chiaro che le tecnologie dell’informazione e della comunicazione ridisegneranno la società europea. Anzitutto, metteranno a disposizione di un numero crescente di persone, a bassissimo prezzo, i “beni-conoscenze”, e questo aprirà molte nuove opportunità per gli imprenditori. 5 Questo sta già avvenendo. Lanciare un’impresa ad alta tecnologia è diventato molto più facile rispetto ad appena qualche anno fa. Nel 1999 molte piccole e medie imprese sono state quotate nelle borse europee, e vi sono mercati finanziari in rapida crescita dedicati alle aziende ad alta tecnologia. Questo promette bene per il futuro economico dell’Europa: la società dell’informazione sta finalmente diventando una realtà! La trasformazione dell’Europa in una società dell’informazione basata sulla conoscenza, tuttavia, deve avvenire in un modo che favorisca l’integrazione sociale e la partecipazione. Di per sé, la rivoluzione informatica non colmerà il divario tra abbienti e meno abbienti nella società europea. Anzi, potrebbe addirittura approfondire il divario tra le persone dotate e quelle meno dotate, tra le famiglie più ricche e quelle più povere, per il semplice motivo che alle persone più dotate e più benestanti risulta più facile acquisire conoscenze e capacità informatiche. Per contribuire a risolvere questo problema, dobbiamo fare uno sforzo collettivo per diffondere l’istruzione tra tutta la popolazione europea, e siamo decisi a compiere questo sforzo. A mio avviso, tutti i nostri figli dovrebbero avere le stesse possibilità di accesso all’istruzione e quindi alle competenze che, nel mondo di domani, spianeranno loro la strada del successo nella loro vita lavorativa. Il tema dell’istruzione mi porta alla principale sfida sociale che l’Europa dovrà affrontare: la riforma del welfare. 1d. Riforma del welfare Lo Stato sociale, nelle sue varie forme nazionali, è il più grande successo delle democrazie occidentali ed è indiscutibilmente una delle maggiori conquiste del Ventesimo secolo. Nel corso degli anni, lo Stato sociale ha contribuito a eliminare le differenze di classe, promuovendo così l’integrazione sociale. Assicurando al tempo stesso la giustizia sociale e la crescita economica, inoltre, è la base stessa del modello sociale europeo. Occorre però rispondere a un interrogativo fondamentale. Possiamo permetterci il modello sociale europeo, i nostri sistemi pensionistici, la nostra sicurezza del posto di lavoro, il nostro dialogo sociale, se vogliamo raggiungere gli stessi livelli occupazionali degli Stati Uniti? Possiamo conservare i nostri sistemi previdenziali e nonostante questo competere con i Paesi ad alta tecnologia o con quelli a bassi salari? Analizziamo qualche dato di fatto. In primo luogo, gli effetti dei sistemi di protezione sociale sul rendimento economico. In base a un’idea largamente condivisa, ci si aspetterebbe che i Paesi con buone reti di sicurezza sociali avessero un cattivo rendimento dal punto di vista economico. E invece succede esattamente il contrario! In realtà lo Stato sociale, assicurando la partecipazione di un maggior numero di persone alla vita economica, stimola la crescita dell’economia. La protezione sociale dunque non è affatto un ostacolo, e dev’essere anzi considerata un fattore produttivo, che dà sicurezza all’individuo e rende socialmente e politicamente accettabili i cambiamenti economici. C’è poi l’aspetto della giustizia sociale. Il progresso economico non comporta automaticamente vantaggi per tutti. Una distribuzione dei redditi basata unicamente sul mercato lascerebbe circa il 40 per cento delle famiglie europee sotto il limite della povertà. 6 Grazie ai sistemi fiscali e di protezione sociale europei, quasi cento milioni di persone - poco meno di un quarto della popolazione europea - sfuggono a questo pericolo. Le famiglie europee che vivono in condizioni di povertà si riducono così al 17-18 per cento circa, e questa percentuale è già eccessiva! Il modello sociale europeo, nelle sue molte e svariate forme, si è dimostrato molto efficace nel migliorare il tenore di vita e nel distribuire le opportunità. Questo tuttavia non significa che possiamo lasciare immutati i sistemi di protezione sociale europei. Al contrario. Dobbiamo far fronte a grandi sfide e io sono convinto che dobbiamo continuare a lavorare per riformare e ammodernare il modello sociale europeo. E questo non perché altrimenti non saremmo in grado di competere con i Paesi a bassi salari o ad alta tecnologia, ma, soprattutto, perché dobbiamo far fronte ai cambiamenti demografici in corso in Europa e alle ripercussioni delle nuove tecnologie sui nostri mercati del lavoro. Vorrei concentrarmi su uno solo dei principali problemi emergenti: il problema di una popolazione sempre più vecchia. Entro il 2025, altri 37 milioni di ultrasessantenni vivranno nell’attuale Unione europea - senza contare i nuovi Stati membri che avranno aderito nel frattempo. I pensionati saranno quasi un terzo della popolazione - più di 113 milioni di persone. Questo dato preoccupa ogni governo europeo, perché significa che nei prossimi anni i costi dell’assistenza sanitaria e delle pensioni continueranno a salire. Contemporaneamente, com’è naturale, diminuirà la proporzione della popolazione effettivamente occupata che paga le imposte sui redditi, così come diminuirà il numero degli iscritti alle scuole e alle università. Come fare, allora, per sostenere il costo crescente dell’assistenza sanitaria e delle pensioni? Tagliando i fondi destinati alla pubblica istruzione? Alzando le aliquote delle imposte sui redditi? Affidandoci alle assicurazioni private? Tagliare i fondi per l’istruzione non sarebbe sufficiente, né opportuno. Certo, se ci saranno meno giovani si dovrà spendere meno per l’istruzione, ma le risorse risparmiate serviranno a riqualificare la popolazione attiva e ad incrementarne la produttività. E neppure possiamo permetterci di imporre un pesante onere fiscale alle imprese, se vogliamo creare posti di lavoro! Dopotutto, il nostro obiettivo primario è quello di trasferire il peso principale del welfare dalle pensioni verso la creazione di posti di lavoro e la formazione professionale. Se da un lato dobbiamo continuare ad occuparci dei cittadini anziani, al tempo stesso dobbiamo investire molto di più nei nostri giovani. Non ho raccomandazioni precise su come dovremmo procedere in Europa per ottenere questo riequilibrio della spesa, e certamente non penso che la Commissione dovrebbe cercare di armonizzare i sistemi previdenziali a livello europeo. Conformemente al principio di sussidiarietà, le decisioni relative al welfare spettano ai singoli Stati membri. Tuttavia questi aspetti sono anche motivo di comune preoccupazione e noi dobbiamo lavorare assieme nel contesto dell’Unione europea per ammodernare i nostri sistemi di protezione sociale. Questa è una delle massime priorità della Commissione europea, che può e intende esercitare una funzione di leadership proponendo alcuni principi guida. La Commissione può inoltre svolgere un ruolo di intermediario e fornire competenze tecniche, come nel caso delle discussioni sull’occupazione e sul mercato del lavoro. 7 L’obiettivo della Commissione è stato e rimane quello di stimolare il dibattito negli Stati membri. È andato emergendo un consenso sull’esigenza di ammodernare i sistemi di protezione sociale e sull’utilità di una riflessione comune su questi temi. La Commissione ha presentato il suo ordine del giorno per tali riflessioni in una comunicazione del luglio 1999 intitolata “Una strategia concertata per modernizzare la protezione sociale”. Per questa strategia, sottoposta all’approvazione del Consiglio, si propongono quattro obiettivi fondamentali: rendere il lavoro proficuo e offrire un reddito sicuro; garantire la sicurezza e sostenibilità dei regimi pensionistici; promuovere l’integrazione sociale; garantire un’assistenza sanitaria di elevata qualità e sostenibile. Una delle idee che si stanno già discutendo con interesse è quella di innalzare l’età pensionabile. Gli Stati membri stanno muovendosi nella direzione di un innalzamento dell’età della pensione, ma attualmente molto meno della metà degli uomini nella fascia d’età tra i 55 e i 64 anni e ancor meno donne lavorano, e i pacchetti di prepensionamento costituiscono ancora degli strumenti del mercato del lavoro ampiamente utilizzati per ridurre la disoccupazione. Si è chiesto agli Stati membri, ad altre istituzioni, alle parti sociali, alle istituzioni previdenziali e alle organizzazioni non governative di contribuire al dibattito su tutti gli aspetti della riforma del welfare. Io confido che possiamo fare progressi in questo senso nelle ultime settimane della presidenza finlandese e che l’anno prossimo faremo altri, importanti passi avanti con le presidenze portoghese e francese. 2. Allargamento Vorrei ora passare all’altra grande sfida che attende l’Unione europea: il suo progetto di aggiungere una nuova ala alla casa europea. In altre parole, l’allargamento. Ho detto all’inizio di questo mio intervento che il nostro obiettivo, coerente con la visione dei padri fondatori, è costruire un’Europa stabile, pacifica, prospera e democratica in cui vige lo Stato di diritto e si rispettano i diritti umani. Raggiungere questo obiettivo sarà una sfida formidabile, e certamente richiede una pianificazione a lungo termine. Abbiamo quindi adottato una strategia di allargamento chiara e globale. I negoziati con ciascuno dei 12 Paesi candidati procederanno di pari passo con i suoi progressi verso il rispetto dei criteri politici ed economici per l’adesione. Ciascun Paese procederà al proprio ritmo e aderirà solo quando sarà pronto a farlo. Per essere pronti occorre compiere alcuni importanti passi politici. Tutti i Paesi candidati, prima di aderire, devono avere delle istituzioni che garantiscano la democrazia, lo Stato di diritto e il rispetto delle minoranze. La prospettiva dell’adesione all’Unione europea costituisce un potente incentivo che spingerà i candidati a progredire in questa direzione. Dal punto di vista economico, ciascun Paese deve avere un’economia di mercato funzionante abbastanza forte da resistere alle pressioni della concorrenza all’interno dell’Unione. 8 Sul fronte politico come su quello economico, noi daremo loro tutta l'assistenza e tutti gli incoraggiamenti necessari. Per alcuni Paesi candidati, il cammino verso l’adesione sarà lungo e accidentato. Noi delle istituzioni europee dobbiamo fare tutto il possibile per aiutarli a raggiungere la meta, perché è essenziale che non si demoralizzino e non abbandonino lo sforzo. È nell’interesse di tutti che continuino a preparare le loro economie e le loro istituzioni, e che la democrazia e i diritti umani diventino parte integrante del tessuto vitale di tutti questi Paesi. Tutto questo assume chiaramente ulteriore importanza alla luce di quanto è successo negli ultimi anni nei Balcani. La frammentazione dell’ex Iugoslavia ha portato alle guerre in Bosnia e nel Kosovo e ha creato instabilità in altri Paesi balcanici che si troveranno ai nuovi confini esterni dell’Unione europea dopo l’allargamento. È dunque nostro assoluto interesse trovare modi efficaci per contribuire a stabilizzare questa regione del nostro continente. Un’eventualità che stiamo attentamente vagliando è quella di offrire ai Paesi balcanici la prospettiva di aprire negoziati per l’adesione all’Unione europea non appena avranno soddisfatto determinate importanti condizioni preliminari, quali il riconoscimento delle reciproche frontiere e la creazione di un’organizzazione di cooperazione regionale. Nel frattempo, dovremmo considerare l’ipotesi di offrire loro qualche forma di “adesione virtuale” in base alla quale potrebbero beneficiare di una stretta cooperazione con l’Unione. Se non mostreremo loro che c’è una luce alla fine del tunnel, non potrà esserci pace. 3. Riforma istituzionale: la Conferenza intergovernativa Noi speriamo di potere aprire le porte di questa nuova ala della nostra casa di famiglia già all’inizio del prossimo secolo - se possibile entro il mandato della mia Commissione. Se questo dovesse accadere, io ne sarei certamente molto lieto. Prima di allora, tuttavia, dobbiamo riordinare il resto della casa! Le nostre istituzioni europee, concepite per una Comunità di sei membri, sono già inadeguate per 15 Stati e non saranno certamente in grado di gestire un’Unione di 25 o 30 Paesi. Si impongono dunque con urgenza una riforma istituzionale e una revisione approfondita dei trattati sui quali si fonda l’Unione. È per questo che stiamo preparando una Conferenza intergovernativa, che sarà lanciata il mese prossimo a Helsinki. Questa Conferenza dovrà svolgere un’enorme mole di lavoro, e tutte le parti coinvolte devono prepararsi a un vero e proprio tour de force per portare a termine i lavori entro il dicembre del 2000. Conclusioni Signore e signori, ho parlato sin troppo per dimostrarvi come l’Europa si trovi di fronte a sfide colossali, ma voglio concludere assicurandovi che io sono ottimista rispetto al futuro. Sono ottimista sulla nostra capacità di ammodernare i nostri mercati del lavoro, i nostri sistemi di protezione sociale e le nostre relazioni industriali. Sono ottimista sulle nostre possibilità di creare occupazione. E sono ottimista perché vari Stati membri hanno già ottenuto una buona crescita e un alto tasso di occupazione, sempre mantenendo le loro ambiziose versioni del modello sociale europeo. Un paese come la Danimarca ha un tasso di occupazione addirittura superiore a quello degli Stati Uniti. 9 Altri paesi, come l’Austria, i Paesi Bassi e il Portogallo, riescono a coniugare una discreta crescita con buoni risultati sul fronte dell’occupazione. Non vedo ragione perché tutti gli Stati membri non debbano col tempo riuscire a fare altrettanto. Il nostro compito immediato, a mio avviso, sarà quello di mettere a frutto il duro lavoro che abbiamo già fatto, investendo in un modello economico e sociale più efficiente e sviluppando una cultura di dinamismo economico, di integrazione sociale e di partecipazione. L’inizio del nuovo millennio è certamente il momento ideale per effettuare questa trasformazione in un’economia più dinamica e in una società più integrata. Istruzione, formazione professionale, assistenza sanitaria, previdenza sociale, pensioni ... Tutti settori in cui i Governi europei devono ripensare assieme il futuro. Riusciranno i nostri Paesi, singolarmente e collettivamente, ad ammodernare il modello sociale europeo, creando un sistema equo e sostenibile per gli anni a venire? Questa sarà probabilmente la prova del nove della nostra capacità di imboccare quella che io chiamo la “nuova via”. Ed è davvero nuova, perché non si basa su un’ideologia politica, ma su una chiara comprensione della complessità dei problemi e sulla ricerca di soluzioni concrete. L’Europa ha imboccato la direzione giusta, e i nostri cittadini nutrono aspettative sempre maggiori rispetto a quello che possiamo dar loro. Tutti vogliamo che le potenzialità produttive della nostra società siano liberate, perché l’Europa possa competere efficacemente sui mercati mondiali e raggiungere una crescita sostenibile. Ma i nostri cittadini non vogliono che il modello sociale europeo sia smantellato. Vogliono piuttosto che sia ammodernato, che sia reso giusto ed efficiente: un fulgido esempio di cosa può essere una società equa e sostenibile nel Ventunesimo secolo. Non deludiamoli! Grazie. 10