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SPEECH/99/170
Discorso del Professor Romano Prodi
Presidente della Commissioner europea
"Una nuova economia e une politica
nuova: il ruolo dell'Unione europea"
alla Conferenza sul Riformismo nel XXI secolo
Firenze, 20 novembre 1999
Signore e signori,
Introduzione: la dimensione europea
L’arte di governare non è mai stata facile, e le difficoltà sono notevolmente
aumentate negli ultimi decenni con la crescente complessità delle nostre
democrazie industriali occidentali.
In tutta la storia dell’umanità, ma soprattutto a partire dalla Rivoluzione industriale,
progresso tecnologico e cambiamento sociale sono sempre andati di pari passo,
ma il ritmo travolgente assunto negli ultimi dieci anni dal cambiamento sociale e
tecnologico impone un grosso sforzo collettivo di intervento e di pianificazione. Che
forma di gestione dare alle nostre società occidentali nel Ventunesimo secolo?
Questo interrogativo assume connotazioni del tutto peculiari per la famiglia di
nazioni che costituisce l’Unione europea. In effetti, l’Unione europea è una
costruzione unica al mondo.
Alla triste luce della Seconda Guerra mondiale
appena conclusa, l’obiettivo primario dei suoi padri fondatori era quello di assicurare
la pace all’Europa. Porre fine a secoli di sanguinosi conflitti e rivolgimenti sociali.
L’unità europea, quindi, è anzitutto un concetto politico nato da grandi ideali e nobili
aspirazioni.
La sua storia successiva è stata, inevitabilmente, dominata dal processo di
integrazione economica. Nel 1951 è sorta la Comunità europea del carbone e
dell'acciaio, cui ha fatto seguito nel 1957 il trattato di Roma, che indica
esplicitamente l’obiettivo di “un’unione sempre più stretta fra i popoli europei”. Il
Mercato unico è diventato realtà nel 1992, e la moneta unica nel 1999.
Nel frattempo, è iniziata l’integrazione anche in altri campi. Tra gli Stati membri si è
ora instaurata una più stretta collaborazione in materia di giustizia e affari interni, su
questioni quali il trattamento delle richieste di asilo e la lotta al terrorismo e alla
criminalità internazionale. Inoltre si sta procedendo verso la definizione di una
politica estera e di sicurezza comune.
Ora che l’unità europea diventa realtà a tutti questi livelli, i problemi fondamentali
del “governare”, comuni a tutto il mondo industrializzato, acquistano in Europa una
dimensione unica e distintiva. Questi problemi, che naturalmente vanno affrontati
anzitutto a livello nazionale, nell’Unione europea assumono anche un aspetto
sovranazionale - ed è per questo che sono stato invitato oggi a parlarvene.
In generale, le sfide cui l’Unione europea deve far fronte si suddividono in due
grandi categorie:
 le questioni economiche e sociali; e
 le questioni geopolitiche.
Analizziamo anzitutto gli aspetti economici e sociali. I cambiamenti strutturali in atto
nella società europea sono vasti e profondi. La vita media è in costante crescita,
mentre calano i tassi di natalità. In altre parole, la popolazione invecchia, e questo
significa che la manodopera si riduce.
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Al tempo stesso, le nostre industrie devono far fronte alla sfida della globalizzazione
e alle pressioni derivanti dalla ricerca di competitività su mercati mondiali in rapido
cambiamento. Troppo spesso, purtroppo, la necessità di rendere le imprese agili,
snelle ed efficienti si è tradotta in riduzioni del personale, creando così
disoccupazione.
L’Europa deve trovare il modo di trasformare la competitività e l’efficienza in una
crescita economica che crei nuovi posti di lavoro. E, al tempo stesso, vogliamo
conservare il nostro stile di vita europeo in una società solidale. È quello che io
chiamo il modello sociale europeo. Questo modello, che combina giustizia sociale e
crescita economica, è già oggetto di emulazione da parte dei Paesi che chiedono di
aderire all’Unione europea. Non vogliono semplicemente far parte di un mercato
unico allargato: vogliono anche adottare il modello sociale europeo.
Questo mi porta a parlare delle sfide geopolitiche che dobbiamo affrontare.
L’Unione europea, con buona pace dei suoi detrattori, sta ottenendo un successo
tale che c’è già una dozzina di altri Paesi europei in coda per entrare! A medio
termine, il numero degli Stati membri dell’Unione passerà da 15 a 20, 25, forse
addirittura a 30: sarà uno dei momenti più importanti della nostra storia.
Nel riflettere sull’allargamento, noi dell’Unione europea proviamo un grande senso
di responsabilità nei confronti del nostro continente e dei suoi popoli. Assieme ai
nuovi membri della nostra famiglia, vogliamo creare una nuova società europea.
Vogliamo costruire un’Europa stabile e prospera all’insegna della pace e della
sicurezza, della libertà, della democrazia, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti
umani.
Tutto questo è molto bello, potreste dirmi, ma come ci arriviamo? Qual è la nostra
strategia? Tornerò più avanti su questo argomento. Nel frattempo, se vogliamo
avere una realistica possibilità di raggiungere a medio termine questi obiettivi e di
sostenere a lungo termine la prosperità e la coesione sociale, dobbiamo affrontare
con la massima celerità quei problemi economici e sociali di cui ho già parlato.
Vediamo più in dettaglio di cosa si tratta.
1. Sfide economiche e sociali
Le tecnologie e i mercati del lavoro stanno cambiando, e di conseguenza cambiano
le necessità di istruzione e formazione dell’Europa. Al tempo stesso, la popolazione
europea invecchia, per cui occorre ristrutturare urgentemente i nostri sistemi
previdenziali.
Il problema che l’Unione europea deve risolvere è questo: come possiamo
riorganizzare lo Stato sociale e il mercato del lavoro in modo da creare posti di
lavoro e incrementare la produttività, e contemporaneamente mantenere e
ammodernare il modello sociale europeo?
Inutile negarlo, l’impresa non sarà
facile!
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1a. La sfida americana
A titolo di confronto, vediamo cosa sono riusciti a fare gli Stati Uniti negli ultimi
cinque o dieci anni. Gli Stati Uniti hanno ottenuto un eccezionale successo nella
creazione di posti di lavoro. Sono riusciti a ottenere quella straordinaria e
inafferrabile combinazione di bassa inflazione, crescita vigorosa e bassa
disoccupazione! Come si spiega questo successo, e perché l’Europa non ha fatto
altrettanto?
La spiegazione principale è che, da quasi un secolo, gli Stati Uniti hanno potuto
contare su un mercato unico e su una moneta unica. L’Europa è giunta a questo
traguardo solo negli ultimi dieci anni, e a prezzo di duri sacrifici. Tuttavia questo
significa che ora siamo in grado di competere ad armi pari con gli Stati Uniti, i cui
scambi hanno una struttura simile alla nostra, e che nei prossimi dieci o vent’anni
l’Europa coglierà finalmente tutti i frutti della sua trasformazione in un vasto Mercato
unico con una moneta unica.
Un secondo fattore è il problema dell’insufficiente sviluppo del settore dei servizi
europeo. Se in Europa avessimo gli stessi tassi di occupazione nel settore dei
servizi che si registrano negli Stati Uniti, oggi avremmo 30 milioni di posti di lavoro
in più. Questo è il doppio del totale delle persone attualmente disoccupate in
Europa!
Un’altra sorprendente differenza tra gli Stati Uniti e l’Europa riguarda il numero di
donne che lavorano. Si tratta di una differenza di 21 milioni di posti di lavoro. Anche
in questo caso, l’Europa è in ritardo rispetto agli Stati Uniti.
La sfida americana all’Europa, quindi, è duplice. In primo luogo, l’Europa può
creare posti di lavoro con lo stesso successo con cui l’hanno fatto gli Stati Uniti? E,
secondo, può farlo mantenendo una distribuzione delle opportunità e del reddito più
equa rispetto agli Stati Uniti?
Come Presidente della Commissione europea, io voglio accettare questa duplice
sfida. Ma voglio anche lanciare una sfida europea agli Stati Uniti: potete ottenere i
nostri stessi risultati sul piano sociale, in termini di equa distribuzione delle
opportunità e del reddito?
1b. Occupazione
Per quanto riguarda la creazione di posti di lavoro, penso che abbiamo imboccato la
strada giusta. Le revisioni introdotte due anni fa dal trattato di Amsterdam e il
vertice del Lussemburgo sull’occupazione del 1997 ci hanno permesso di trovare un
accordo su una Strategia europea dell’occupazione, con orientamenti a livello
europeo e un processo ben sviluppato di pianificazione degli interventi a livello
nazionale.
L’ottica della strategia punta a rimettere la gente al lavoro e ad innalzare i livelli
occupazionali. La strategia si basa su quattro “pilastri”, corrispondenti alle nostre
quattro priorità fondamentali: occupabilità, imprenditorialità, adattabilità e pari
opportunità.
Il primo pilastro, l’occupabilità, punta a dotare la forza lavoro delle capacità di cui ha
bisogno ora e di cui avrà bisogno per i lavori del futuro. Le nuove tecnologie, e la
continua ricerca di aumenti della produttività, fanno sì che un numero crescente di
persone debba acquisire capacità superiori e conoscenze più vaste.
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Il secondo pilastro, l’imprenditorialità, prevede una nuova politica delle imprese che
renda più facile avviare, gestire e sviluppare un’attività economica. Questa è una
priorità particolarmente importante per l’Europa, data la nostra debolezza nel
settore dei servizi e la necessità di creare una cultura d’impresa più dinamica.
Il terzo pilastro, l’adattabilità, prevede una nuova politica della vita lavorativa per
gestire il processo del cambiamento tecnologico e organizzativo. Invitiamo le parti
sociali ad assumere un ruolo guida per trovare un nuovo equilibrio produttivo tra
flessibilità e sicurezza del posto di lavoro.
Il quarto pilastro sono le pari opportunità tra uomini e donne: una nuova politica che
permetta di conciliare la vita lavorativa e quella familiare. Questa politica è dettata al
tempo stesso dalla giustizia sociale e dalla dura realtà economica di una lenta
crescita demografica. Le nostre economie europee richiedono politiche più proattive
che permettano alle donne di partecipare attivamente, a tutti i livelli e in tutti i settori,
al mercato del lavoro. Come fanno negli Stati Uniti.
Come si dovrà procedere rispetto a tutti questi “pilastri” è una decisione che dovrà
essere presa soprattutto a livello nazionale, una decisione che non dovrà essere
dettata dall’ideologia politica, ma informata da un pragmatico processo dal basso in
alto di consultazione e di dibattito.
La Commissione europea può dare il suo contributo riunendo attorno a un tavolo
tutte le principali parti interessate - autorità nazionali e locali, rappresentanti del
settore privato, economisti e altri esperti - per raccogliere le loro idee, mettere a
confronto le esperienze fatte nei diversi Stati membri, diffondere le pratiche migliori
e verificare quali sono i sistemi più efficaci. Da parte nostra, noi possiamo
apportare a queste discussioni il patrimonio della nostra esperienza tecnica.
La prima grande occasione che avremo sarà il Vertice di Lisbona sull’occupazione,
la riforma economica e la coesione sociale dell’anno prossimo. Questo Vertice
lancerà tutto il dibattito sulla nuova economia in Europa al massimo livello, ma è
essenziale che riceviamo contributi dalla base, dagli agenti economici a tutti i livelli
della società. Vogliamo ascoltare chiunque abbia suggerimenti e idee costruttive da
proporci.
1c. La società dell’informazione
Uno degli elementi chiave del recente successo degli Stati Uniti nella creazione di
posti di lavoro e nell’incremento della produttività è la nuova società
dell’informazione. L’Europa è stata lenta ad abbracciare questa tecnologia, ed io
sono fermamente convinto che il passo più importante che dobbiamo fare ora è
seguire l’esempio statunitense e trasformarci in una società basata sulla
conoscenza.
Questa trasformazione avrà effetti sociali ed economici vasti e profondi. È chiaro
che le tecnologie dell’informazione e della comunicazione ridisegneranno la società
europea. Anzitutto, metteranno a disposizione di un numero crescente di persone, a
bassissimo prezzo, i “beni-conoscenze”, e questo aprirà molte nuove opportunità
per gli imprenditori.
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Questo sta già avvenendo. Lanciare un’impresa ad alta tecnologia è diventato
molto più facile rispetto ad appena qualche anno fa. Nel 1999 molte piccole e
medie imprese sono state quotate nelle borse europee, e vi sono mercati finanziari
in rapida crescita dedicati alle aziende ad alta tecnologia. Questo promette bene
per il futuro economico dell’Europa: la società dell’informazione sta finalmente
diventando una realtà!
La trasformazione dell’Europa in una società dell’informazione basata sulla
conoscenza, tuttavia, deve avvenire in un modo che favorisca l’integrazione sociale
e la partecipazione. Di per sé, la rivoluzione informatica non colmerà il divario tra
abbienti e meno abbienti nella società europea. Anzi, potrebbe addirittura
approfondire il divario tra le persone dotate e quelle meno dotate, tra le famiglie più
ricche e quelle più povere, per il semplice motivo che alle persone più dotate e più
benestanti risulta più facile acquisire conoscenze e capacità informatiche.
Per contribuire a risolvere questo problema, dobbiamo fare uno sforzo collettivo per
diffondere l’istruzione tra tutta la popolazione europea, e siamo decisi a compiere
questo sforzo. A mio avviso, tutti i nostri figli dovrebbero avere le stesse possibilità
di accesso all’istruzione e quindi alle competenze che, nel mondo di domani,
spianeranno loro la strada del successo nella loro vita lavorativa.
Il tema dell’istruzione mi porta alla principale sfida sociale che l’Europa dovrà
affrontare: la riforma del welfare.
1d. Riforma del welfare
Lo Stato sociale, nelle sue varie forme nazionali, è il più grande successo delle
democrazie occidentali ed è indiscutibilmente una delle maggiori conquiste del
Ventesimo secolo. Nel corso degli anni, lo Stato sociale ha contribuito a eliminare le
differenze di classe, promuovendo così l’integrazione sociale. Assicurando al
tempo stesso la giustizia sociale e la crescita economica, inoltre, è la base stessa
del modello sociale europeo.
Occorre però rispondere a un interrogativo fondamentale. Possiamo permetterci il
modello sociale europeo, i nostri sistemi pensionistici, la nostra sicurezza del posto
di lavoro, il nostro dialogo sociale, se vogliamo raggiungere gli stessi livelli
occupazionali degli Stati Uniti? Possiamo conservare i nostri sistemi previdenziali e
nonostante questo competere con i Paesi ad alta tecnologia o con quelli a bassi
salari? Analizziamo qualche dato di fatto.
In primo luogo, gli effetti dei sistemi di protezione sociale sul rendimento
economico. In base a un’idea largamente condivisa, ci si aspetterebbe che i Paesi
con buone reti di sicurezza sociali avessero un cattivo rendimento dal punto di vista
economico. E invece succede esattamente il contrario! In realtà lo Stato sociale,
assicurando la partecipazione di un maggior numero di persone alla vita economica,
stimola la crescita dell’economia. La protezione sociale dunque non è affatto un
ostacolo, e dev’essere anzi considerata un fattore produttivo, che dà sicurezza
all’individuo e rende socialmente e politicamente accettabili i cambiamenti
economici.
C’è poi l’aspetto della giustizia sociale. Il progresso economico non comporta
automaticamente vantaggi per tutti. Una distribuzione dei redditi basata unicamente
sul mercato lascerebbe circa il 40 per cento delle famiglie europee sotto il limite
della povertà.
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Grazie ai sistemi fiscali e di protezione sociale europei, quasi cento milioni di
persone - poco meno di un quarto della popolazione europea - sfuggono a questo
pericolo. Le famiglie europee che vivono in condizioni di povertà si riducono così al
17-18 per cento circa, e questa percentuale è già eccessiva!
Il modello sociale europeo, nelle sue molte e svariate forme, si è dimostrato molto
efficace nel migliorare il tenore di vita e nel distribuire le opportunità.
Questo tuttavia non significa che possiamo lasciare immutati i sistemi di protezione
sociale europei. Al contrario. Dobbiamo far fronte a grandi sfide e io sono convinto
che dobbiamo continuare a lavorare per riformare e ammodernare il modello sociale
europeo. E questo non perché altrimenti non saremmo in grado di competere con i
Paesi a bassi salari o ad alta tecnologia, ma, soprattutto, perché dobbiamo far
fronte ai cambiamenti demografici in corso in Europa e alle ripercussioni delle
nuove tecnologie sui nostri mercati del lavoro.
Vorrei concentrarmi su uno solo dei principali problemi emergenti: il problema di una
popolazione sempre più vecchia. Entro il 2025, altri 37 milioni di ultrasessantenni
vivranno nell’attuale Unione europea - senza contare i nuovi Stati membri che
avranno aderito nel frattempo.
I pensionati saranno quasi un terzo della
popolazione - più di 113 milioni di persone.
Questo dato preoccupa ogni governo europeo, perché significa che nei prossimi
anni i costi dell’assistenza sanitaria e delle pensioni continueranno a salire.
Contemporaneamente, com’è naturale, diminuirà la proporzione della popolazione
effettivamente occupata che paga le imposte sui redditi, così come diminuirà il
numero degli iscritti alle scuole e alle università.
Come fare, allora, per sostenere il costo crescente dell’assistenza sanitaria e delle
pensioni? Tagliando i fondi destinati alla pubblica istruzione? Alzando le aliquote
delle imposte sui redditi? Affidandoci alle assicurazioni private?
Tagliare i fondi per l’istruzione non sarebbe sufficiente, né opportuno. Certo, se ci
saranno meno giovani si dovrà spendere meno per l’istruzione, ma le risorse
risparmiate serviranno a riqualificare la popolazione attiva e ad incrementarne la
produttività. E neppure possiamo permetterci di imporre un pesante onere fiscale
alle imprese, se vogliamo creare posti di lavoro! Dopotutto, il nostro obiettivo
primario è quello di trasferire il peso principale del welfare dalle pensioni verso la
creazione di posti di lavoro e la formazione professionale. Se da un lato dobbiamo
continuare ad occuparci dei cittadini anziani, al tempo stesso dobbiamo investire
molto di più nei nostri giovani.
Non ho raccomandazioni precise su come dovremmo procedere in Europa per
ottenere questo riequilibrio della spesa, e certamente non penso che la
Commissione dovrebbe cercare di armonizzare i sistemi previdenziali a livello
europeo. Conformemente al principio di sussidiarietà, le decisioni relative al welfare
spettano ai singoli Stati membri.
Tuttavia questi aspetti sono anche motivo di comune preoccupazione e noi
dobbiamo lavorare assieme nel contesto dell’Unione europea per ammodernare i
nostri sistemi di protezione sociale. Questa è una delle massime priorità della
Commissione europea, che può e intende esercitare una funzione di leadership
proponendo alcuni principi guida. La Commissione può inoltre svolgere un ruolo di
intermediario e fornire competenze tecniche, come nel caso delle discussioni
sull’occupazione e sul mercato del lavoro.
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L’obiettivo della Commissione è stato e rimane quello di stimolare il dibattito negli
Stati membri. È andato emergendo un consenso sull’esigenza di ammodernare i
sistemi di protezione sociale e sull’utilità di una riflessione comune su questi temi.
La Commissione ha presentato il suo ordine del giorno per tali riflessioni in una
comunicazione del luglio 1999 intitolata “Una strategia concertata per modernizzare
la protezione sociale”. Per questa strategia, sottoposta all’approvazione del
Consiglio, si propongono quattro obiettivi fondamentali:
 rendere il lavoro proficuo e offrire un reddito sicuro;
 garantire la sicurezza e sostenibilità dei regimi pensionistici;
 promuovere l’integrazione sociale;
 garantire un’assistenza sanitaria di elevata qualità e sostenibile.
Una delle idee che si stanno già discutendo con interesse è quella di innalzare l’età
pensionabile.
Gli Stati membri stanno muovendosi nella direzione di un
innalzamento dell’età della pensione, ma attualmente molto meno della metà degli
uomini nella fascia d’età tra i 55 e i 64 anni e ancor meno donne lavorano, e i
pacchetti di prepensionamento costituiscono ancora degli strumenti del mercato del
lavoro ampiamente utilizzati per ridurre la disoccupazione.
Si è chiesto agli Stati membri, ad altre istituzioni, alle parti sociali, alle istituzioni
previdenziali e alle organizzazioni non governative di contribuire al dibattito su tutti
gli aspetti della riforma del welfare. Io confido che possiamo fare progressi in
questo senso nelle ultime settimane della presidenza finlandese e che l’anno
prossimo faremo altri, importanti passi avanti con le presidenze portoghese e
francese.
2. Allargamento
Vorrei ora passare all’altra grande sfida che attende l’Unione europea: il suo
progetto di aggiungere una nuova ala alla casa europea. In altre parole,
l’allargamento.
Ho detto all’inizio di questo mio intervento che il nostro obiettivo, coerente con la
visione dei padri fondatori, è costruire un’Europa stabile, pacifica, prospera e
democratica in cui vige lo Stato di diritto e si rispettano i diritti umani. Raggiungere
questo obiettivo sarà una sfida formidabile, e certamente richiede una pianificazione
a lungo termine.
Abbiamo quindi adottato una strategia di allargamento chiara e globale. I negoziati
con ciascuno dei 12 Paesi candidati procederanno di pari passo con i suoi progressi
verso il rispetto dei criteri politici ed economici per l’adesione. Ciascun Paese
procederà al proprio ritmo e aderirà solo quando sarà pronto a farlo.
Per essere pronti occorre compiere alcuni importanti passi politici. Tutti i Paesi
candidati, prima di aderire, devono avere delle istituzioni che garantiscano la
democrazia, lo Stato di diritto e il rispetto delle minoranze. La prospettiva
dell’adesione all’Unione europea costituisce un potente incentivo che spingerà i
candidati a progredire in questa direzione. Dal punto di vista economico, ciascun
Paese deve avere un’economia di mercato funzionante abbastanza forte da
resistere alle pressioni della concorrenza all’interno dell’Unione.
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Sul fronte politico come su quello economico, noi daremo loro tutta l'assistenza e
tutti gli incoraggiamenti necessari. Per alcuni Paesi candidati, il cammino verso
l’adesione sarà lungo e accidentato. Noi delle istituzioni europee dobbiamo fare
tutto il possibile per aiutarli a raggiungere la meta, perché è essenziale che non si
demoralizzino e non abbandonino lo sforzo. È nell’interesse di tutti che continuino a
preparare le loro economie e le loro istituzioni, e che la democrazia e i diritti umani
diventino parte integrante del tessuto vitale di tutti questi Paesi.
Tutto questo assume chiaramente ulteriore importanza alla luce di quanto è
successo negli ultimi anni nei Balcani. La frammentazione dell’ex Iugoslavia ha
portato alle guerre in Bosnia e nel Kosovo e ha creato instabilità in altri Paesi
balcanici che si troveranno ai nuovi confini esterni dell’Unione europea dopo
l’allargamento. È dunque nostro assoluto interesse trovare modi efficaci per
contribuire a stabilizzare questa regione del nostro continente.
Un’eventualità che stiamo attentamente vagliando è quella di offrire ai Paesi
balcanici la prospettiva di aprire negoziati per l’adesione all’Unione europea non
appena avranno soddisfatto determinate importanti condizioni preliminari, quali il
riconoscimento delle reciproche frontiere e la creazione di un’organizzazione di
cooperazione regionale. Nel frattempo, dovremmo considerare l’ipotesi di offrire
loro qualche forma di “adesione virtuale” in base alla quale potrebbero beneficiare
di una stretta cooperazione con l’Unione. Se non mostreremo loro che c’è una luce
alla fine del tunnel, non potrà esserci pace.
3. Riforma istituzionale: la Conferenza intergovernativa
Noi speriamo di potere aprire le porte di questa nuova ala della nostra casa di
famiglia già all’inizio del prossimo secolo - se possibile entro il mandato della mia
Commissione. Se questo dovesse accadere, io ne sarei certamente molto lieto.
Prima di allora, tuttavia, dobbiamo riordinare il resto della casa! Le nostre istituzioni
europee, concepite per una Comunità di sei membri, sono già inadeguate per 15
Stati e non saranno certamente in grado di gestire un’Unione di 25 o 30 Paesi. Si
impongono dunque con urgenza una riforma istituzionale e una revisione
approfondita dei trattati sui quali si fonda l’Unione.
È per questo che stiamo preparando una Conferenza intergovernativa, che sarà
lanciata il mese prossimo a Helsinki. Questa Conferenza dovrà svolgere un’enorme
mole di lavoro, e tutte le parti coinvolte devono prepararsi a un vero e proprio tour
de force per portare a termine i lavori entro il dicembre del 2000.
Conclusioni
Signore e signori, ho parlato sin troppo per dimostrarvi come l’Europa si trovi di
fronte a sfide colossali, ma voglio concludere assicurandovi che io sono ottimista
rispetto al futuro. Sono ottimista sulla nostra capacità di ammodernare i nostri
mercati del lavoro, i nostri sistemi di protezione sociale e le nostre relazioni
industriali. Sono ottimista sulle nostre possibilità di creare occupazione.
E sono ottimista perché vari Stati membri hanno già ottenuto una buona crescita e
un alto tasso di occupazione, sempre mantenendo le loro ambiziose versioni del
modello sociale europeo. Un paese come la Danimarca ha un tasso di occupazione
addirittura superiore a quello degli Stati Uniti.
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Altri paesi, come l’Austria, i Paesi Bassi e il Portogallo, riescono a coniugare una
discreta crescita con buoni risultati sul fronte dell’occupazione. Non vedo ragione
perché tutti gli Stati membri non debbano col tempo riuscire a fare altrettanto.
Il nostro compito immediato, a mio avviso, sarà quello di mettere a frutto il duro
lavoro che abbiamo già fatto, investendo in un modello economico e sociale più
efficiente e sviluppando una cultura di dinamismo economico, di integrazione
sociale e di partecipazione. L’inizio del nuovo millennio è certamente il momento
ideale per effettuare questa trasformazione in un’economia più dinamica e in una
società più integrata.
Istruzione, formazione professionale, assistenza sanitaria, previdenza sociale,
pensioni ... Tutti settori in cui i Governi europei devono ripensare assieme il futuro.
Riusciranno i nostri Paesi, singolarmente e collettivamente, ad ammodernare il
modello sociale europeo, creando un sistema equo e sostenibile per gli anni a
venire?
Questa sarà probabilmente la prova del nove della nostra capacità di imboccare
quella che io chiamo la “nuova via”. Ed è davvero nuova, perché non si basa su
un’ideologia politica, ma su una chiara comprensione della complessità dei problemi
e sulla ricerca di soluzioni concrete.
L’Europa ha imboccato la direzione giusta, e i nostri cittadini nutrono aspettative
sempre maggiori rispetto a quello che possiamo dar loro. Tutti vogliamo che le
potenzialità produttive della nostra società siano liberate, perché l’Europa possa
competere efficacemente sui mercati mondiali e raggiungere una crescita
sostenibile.
Ma i nostri cittadini non vogliono che il modello sociale europeo sia smantellato.
Vogliono piuttosto che sia ammodernato, che sia reso giusto ed efficiente: un
fulgido esempio di cosa può essere una società equa e sostenibile nel Ventunesimo
secolo. Non deludiamoli!
Grazie.
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