Direttive europee sui prodotti erboristici
Marcello Pamio - 21 dicembre 2010
Facciamo un po’ di chiarezza nell’ingarbugliato caso della Direttiva europea sugli integratori e farmaci naturali.
Direttiva 2000/13/CE
Prima di affrontare questo importante argomento, è necessario fare alcuni passi indietro e andare a Bruxelles il 20 marzo 2000 quando
i burocrati del Parlamento europeo e del Consiglio d’Europa hanno la varato una Direttiva 2000/13/CE “relativa al ravvicinamento
delle legislazioni degli Stati membri concernenti l'etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa
pubblicità”[1]
In questa Direttiva, entrata in vigore il 26 maggio 2000, si parla dell’etichettatura a livello comunitario.
Nella presente Direttiva NON si può “attribuire al prodotto alimentare proprietà atte a prevenire, curare o guarire una malattia
umana né accennare a tali proprietà”. Cosa i burocrati intendono per “prodotto alimentare” lo troviamo nella Direttiva 2002/46/CE.
Direttiva 2002/46/CE
La Direttiva 2002/46/CE, sancita questa volta in Lussemburgo, “relativa a ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri
concernente gli integratori alimentari”[2] è molto interessante!
Entrata in vigore ufficialmente il 12 luglio 2002, gli Stati membri hanno dovuto adottare le disposizioni legislative, regolamentari e
amministrative entro il 31 luglio 2003[3].
In Italia è stata recepita con un Decreto legislativo nr. 169 del 21 maggio 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale nr. 164 del 15
luglio 2004.
Articolo 1
1. La presente direttiva si applica agli integratori alimentari commercializzati come prodotti alimentari e presentati
come tali.
All’articolo 1 della Direttiva 2002/46, gli “integratori alimentari”, sono commercializzati come “prodotti alimentari”, e in quanto tali,
per la Direttiva 2000/13 vista prima, NON si è possibile attribuire loro alcuna proprietà “atte a prevenire, curare o guarire una
malattia umana” .
All’articolo 2, paragrafo b) invece, si specifica che le vitamine e i minerali sono considerati “sostanze nutritive” o “nutrienti”, mentre
al paragrafo a) gli “integratori alimentari” possono essere costituiti da una “fonte concentrata di ‘sostanze nutritive’ ”. Si può per
tanto concludere che anche le vitamine e i minerali sono considerati “prodotti alimentari”!
Articolo 2
Ai fini della presente direttiva si intende per:
a) "integratori alimentari": i prodotti alimentari destinati ad integrare la dieta normale e che costituiscono una fonte
concentrata di sostanze nutritive o di altre sostanze aventi un effetto nutritivo o fisiologico (…);
b) "sostanze nutritive" o "nutrienti": le seguenti sostanze:
i) le vitamine;
ii)
i minerali.
Ecco il primo passaggio epocale: trasformare “minerali”, “vitamine” e “piante”, prima in “integratori” e quindi in “prodotti
alimentari” (integratori alimentari), specificando anche la dose raccomandata per l’assunzione giornaliera (la ridicola R.D.A.).
Non è tutto, perché a corredo di tale direttiva, il Ministero della Salute ha fornito un elenco delle piante permesse :
Tabella B: “erbe impiegabili negli integratori alimentari”
Tabella A: “erbe il cui uso deliberato non è ammesso” - circa 400
Tutte le piante citate in quest'ultimo elenco, sono state tolte dal commercio, creando confusione tra venditori e consumatori.
Tanto per capire la situazione, ci sono numerosi casi in cui una medesima pianta figura in entrambi gli elenchi, differenziata solo dalla
parte utilizzabile (seme, fiore o corteccia per esempio).
Adesso veniamo alla Direttiva che più ha scatenato le rivolte nel web.
Direttiva 2004/24/CE
A Strasburgo, capoluogo dell’Alsazia (Francia Orientale) e sede del Parlamento europeo e Consiglio d’Europa, il 31 marzo del 2004 è
avvenuto qualcosa di interessante.
La prima precisazione è che la Direttiva europea 2004/24/CE, essendo stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale n. L 136 il 30/04/2004,
entra in vigore, il primo maggio del 2011.
La Direttiva 2004/24 modifica “per quanto riguarda i medicinali vegetali tradizionali, la direttiva 2001/83/CE recante un codice
comunitario relativo ai medicinali per uso umano”[7].
L’ormai arcinota Direttiva modifica una precedente Direttiva, la 2001/83 del 6 novembre 2001, che definisce “i medicinali per uso
umano”, per l’esattezza va a modificare i “medicinali vegetali tradizionali”.
Cosa sono questi medicinali?
La Direttiva è chiara a tal proposito e definisce “medicinale”, “medicinale vegetale tradizionale” e “medicinale vegetale”.
Con il termine generico “medicinale”, la definizione è la seguente:
(Punto 2) comma a) ogni sostanza o associazione di sostanze presentata avente proprietà curative o profilattiche delle
umane; o comma b) ogni sostanza o associazione di sostanze che possa utilizzata sull'uomo o somministrata all'uomo
allo ripristinare, correggere o modificare funzioni fisiologiche, esercitando un'azione farmacologica, immunologica
metabolica, ovvero di stabilire una diagnosi medica.
Per “medicinale vegetale tradizionale”:
29) medicinale vegetale che risponda ai requisiti di cui all'articolo 16 bis, paragrafo 1.
Per “medicinale vegetale”:
30)
ogni medicinale che contenga esclusivamente come principi attivi una o più sostanze vegetali o uno o più
preparati vegetali, oppure una o più sostanze vegetali in associazione ad uno o più preparati vegetali.
31)
All’articolo 16 bis, paragrafo 1 si dice che è istituita una procedura di registrazione semplificata per i medicinali vegetali che
soddisfano TUTTI i seguenti requisiti:
a) le indicazioni sono esclusivamente quelle appropriate per i medicinali vegetali tradizionali che, in virtù della loro
composizione e del loro scopo, sono destinati ad essere utilizzati senza controllo medico per necessità di diagnosi, di
una prescrizione o per il controllo del trattamento;
b) ne è prevista la somministrazione solo in una determinata concentrazione e posologia;
c) si tratta di un preparato per uso orale, esterno e/o inalatorio;
d) è trascorso il periodo di impiego tradizionale di cui all'articolo 16 quater, parag. 1, lettera c);
e) i dati relativi all'impiego tradizionale del medicinale sono sufficienti; in particolare, il prodotto ha dimostrato di non
essere nocivo nelle condizioni d'uso indicate e i suoi effetti farmacologici o la sua efficacia risultano verosimili in base
all'esperienza e all'impiego di lunga data.
A parte i paragrafi i primi tre, la lettera d) sancisce un periodo di tempo tradizionale stabilito dall’articolo 16 quater, paragrafo 1
lettera c).
Articolo 16 quarter, paragrafo 1 lettera c).
“La documentazione bibliografica o le certificazioni di esperti comprovanti che il medicinale in questione o un prodotto
corrispondente ha avuto un impiego medicinale per un periodo di almeno trent'anni anteriormente alla data di
presentazione della domanda, di cui almeno 15 anni nella Comunità. Su richiesta dello Stato membro in cui è stata
presentata la domanda di registrazione per impiego tradizionale, il comitato dei medicinali vegetali esprime un parere
sull'adeguatezza della dimostrazione dell'uso di lunga data del medicinale in questione o del prodotto corrispondente.
Lo Stato membro presenta la documentazione rilevante a sostegno della richiesta”;[8]
Un prodotto che funziona, se non si riesce a comprovare il suo impiego continuativo per almeno 30 anni, prima della data di
presentazione della domanda, rischia di essere messo al bando e tolto dal commercio.
Ma i punti che più c’interessano, scorrendo la Direttiva del 2004, sono il 3 e 5.
Punto 3:
“Nonostante una lunga tradizione d'uso, numerosi medicinali non rispondono ai requisiti relativi all'impiego
medicinale ben noto né presentano una riconosciuta efficacia e un livello accettabile di sicurezza e non possono
pertanto essere oggetto di un'autorizzazione all'immissione in commercio. (…)”[9]
Punto 5:
“(…) Tuttavia, poiché neppure una lunga tradizione consente di escludere eventuali timori circa la sicurezza del
prodotto, le autorità competenti dovrebbero avere la facoltà di richiedere tutti i dati necessari per la valutazione della
sicurezza. La qualità di un dato medicinale non è determinata dal suo impiego tradizionale. Pertanto non dovrebbero
essere concesse deroghe all'obbligo di effettuare le necessarie prove chimico-fisiche, biologiche e microbiologiche. I
prodotti dovrebbero soddisfare le norme di qualità contenute nelle monografie della farmacopea europea pertinenti o in
quelle della farmacopea di uno Stato membro”[10]
Qui il caos è voluto. Da una parte dicono che una lunga tradizione di un medicinale vegetale consente di non dover fare la
sperimentazione preclinica e dall’altra dicono che tuttavia, poiché “neppure una lunga tradizione consente di escludere
eventuali timori circa la sicurezza del prodotto, le autorità competenti dovrebbero avere la facoltà di richiedere tutti i dati necessari
per la valutazione della sicurezza”
Ecco il giochetto messo in atto dai burocrati di Strasburgo, Bruxelles e Lussemburgo.
Le autorità di controllo, completamente fagocitate dalle corporation della chimica e farmaceutica, dovrebbero richiedere - avendone la
facoltà e autorità - i dati necessari per la valutazione della sicurezza di un prodotto vegetale tradizionale.
Sapete come si valuta la sicurezza di un prodotto per uso umano?
Lo spiega la stessa Direttiva 2004/24/CE:
“Le domande di autorizzazione all'immissione in commercio di un medicinale debbano essere corredate di un fascicolo
contenente informazioni e documenti relativi in particolare ai risultati delle prove chimico-fisiche, biologiche,
microbiologiche, farmacologiche, tossicologiche e delle sperimentazioni cliniche effettuate sul prodotto e comprovanti
la sua qualità, sicurezza ed efficacia”
Per tanto, se una azienda vorrà vendere un prodotto erboristico (pianta o parti di pianta) descrivendone però le caratteristiche
“terapeutiche” e/o “curative” questo verrà considerato alla stregua di un “farmaco di sintesi”, anche se viene usato da
migliaia di anni.
Per una piccola o media azienda questo è praticamente impossibile!
Per produrre rimedi terapeutici naturali, bisognerà fornire alle autorità: prove chimico-fisiche, biologiche, microbiologiche,
farmacologiche, tossicologiche e cliniche.
La domanda che sorge spontanea: chi potrà permettersi tutto ciò? E la risposta purtroppo è sempre la stessa: i soliti noti… Solo le
aziende del farmaco potranno economicamente registrare un prodotto erboristico per poi tenerlo fermo in un cassetto, oppure
guadagnandoci miliardi alla faccia delle piccole aziende che lavorano bene e onestamente.