E108 - Tubo di Roentgen su un supporto di legno

Il Gabinetto di Fisica
Simone Testa
La scienza dell'acustica
I primi studi sulle corde vibranti, la scala musicale e la natura del suono si devono agli antichi greci. La tradizione
afferma che Pitagora (~ 560-480 a.C.) ha determinato i rapporti delle lunghezze delle corde vibranti secondo l'ottava
musicale. Erone di Alessandria e Vitruvio affermarono che il suono è originato dalla propagazione di una compressione
o di un impulso. Verso il 1600 si trovarono relazioni empiriche tra lunghezza delle corde vibranti e frequenza dei suoni
ad opera di Giovanni Benedetti (1530-1590), Isaac Beeckman (1588-1637) e specialmente Marin Mersenne (15881648). I primi studi dettagliati furono eseguiti da Joseph Sauveur (1653-1716) al quale è dovuto anche il termine
"acustica". Sauveur introdusse i multipli interi delle frequenze, che chiamò armoniche, e descrisse il fenomeno del
battimenti.
Dopo le prime misure della velocità del suono nell'aria da parte di Mersenne, di Pierre Gassendi (1592-1655) e degli
accademici del Cimento, toccò a William Derham (1657-1753) verificare la formula di Newton della velocità del suono,
ma solo con Laplace (1749-1827), che introdusse correttamente i calori specifici dei gas, si giunse ad un completo
accordo con l'esperienza. Studi successivi della velocità del suono in liquidi e solidi sono associati ai nomi di Ernst
Chladni (1756-1827), Jean Baptist Biot (1774-1862), Daniel Colladon (1802-1893), Charles Sturm (1803-1855),
Henri Regnault (1810-1878) e Jules Violle (1841-1923).
Le soluzioni analitiche dei classici problemi delle corde vibranti, dei tubi sonori, delle lastre di Chladni, delle membrane
flessibili sono in varia misura legate ai nomi di insigni fisici-matematici quali Brook Taylor (1685-1731), Daniel
Bernoulli (1700-1782), Leonhard Euler (1707-1783), Jean Le Rond d'Alembert (1717-1783) e nell'Ottocento S.D.
Poisson (1781-1840), R. Clebsch (1833-1872) e Gustav Robert Kirchhoff (1823-1887).
Gli studi di acustica fisiologica furono portati avanti da Hermann von Ilelmholtz (1821-1894) ed in parte da Rudolf
Kònig (1832-1901) il quale fu anche un celebre costruttore di strumenti di acustica.
Da ricordare infine il trattato "Theory of Sound" di Lord Rayleigh (1842-1919) dal 1878 che riporta in sintesi rigorosa
tutti i risultati della dottrina dell'acustica sino alla fine dell'Ottocento.
A1 - SONOMETRO CON ARCO DI VIOLINO
A. Dall'Eco-Firenze
fine '800 dimensioni: 142x15x28.
Il sonometro è uno strumento con il quale si può determinare l'altezza di un suono, cioè il numero delle sue
vibrazioni. Esso utilizza la proprietà per cui il numero delle vibrazioni di una corda tesa, se la tensione non varia, è in
ragione inversa della sua lunghezza. Il sonometro consiste in una cassetta rettangolare di legno, la quale porta
all'estremità due ponticelli fissi dove si appoggia la corda. Questa viene fissata ad un capo mentre dall'altro passa per
la gola di una puleggia ed è tenuta in tensione da un peso. Se si vuole limitare la parte vibrante della corda, la si
preme su un terzo ponticello, scorrevole a piacere lungo lo strumento. La lunghezza della parte vibrante si legge su
una scala disegnata lungo la corda. Scegliamo inizialmente una lunghezza L in modo che la corda eccitata con l'arco di
violino vibri all'unisono con un corista (diapason) che compie n vibrazioni al secondo. Per conoscere il numero delle
vibrazioni di un dato suono si scorre il cavalletto fino a trovare la lunghezza L1 della corda che riproduce esattamente
quel suono. Allora il numero x delle vibrazioni al secondo è dato da x = nL/L1
O. Murani. "Trattato elementare di fisica", voi. 1, U. Hoepli, Milano, 1924, pp. 458-459.
A2 - METALLOFONO
fine '800 dimensioni: 62x33x10.
II metallofono è uno strumento a percussione, composto di una serie di lamine di metallo accordate. Esse sono
appoggiate, su due file, su una base di legno trapezoidale, bloccate in due punti con dei chiodi. La prima fila
comprende 19 lamine accordate per dare una scala di due ottave e mezzo. La seconda ne comprende 13 per produrre
i semitoni della scala precedente, in particolare do diesis, re diesis, fa diesis, sol diesis, la diesis, e così di seguito. Lo
strumento viene suonato con due bacchette; una di queste è mancante.
O. Murani, "Trattato elementare di fisica", voi. 1, U. Hoepli, Milano, 1924, p. 466,
A3 - RUOTE DENTATE DI SAVART
1900 circa dimensioni: ø 10.
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Lo strumento si compone di quattro ruote dentate di ottone di ugual diametro, calettate sulla stessa colonnina
metallica che viene fissata ad una macchina di rotazione. Le ruote hanno dentature isosceli a punta, ciascuna in
numero diverso. I numeri stanno nel rapporto 4:5:6:8. Se le ruote girano di moto uniforme, accostando
successivamente alle dentature un cartoncino rigido, si ottengono in esso vibrazioni proporzionali ai numeri 4, 5, 6, 8
ed i suoni corrispondenti (riferendosi per esempio alle note DO1, mi1; SOL1 e DO2) danno un accordo perfetto.
Ovviamente la frequenza della nota che da il nome all'accordo dipende dalla velocità angolare della macchina di
rotazione.
O. Murani, "Trattato elementare di fisica", voi. 1, U. Hoepli, Milano, 1924, p. 456.
O.D. Chwolson, "Traile de Physique", tome I, fasciente 4, A. Hermann, Paris, 1908, p. 1021.
A4 - DISCO DI SIRENA
Ing. G. Santarelli – Firenze 1900 circa dimensioni: ø 30.
Soffiando con un cannello contro i fori praticati ad ugual distanza in un disco che gira rapidamente per mezzo di una
macchina di rotazione, la corrente d'aria interrotta in modo periodico fa vibrare l'aria ambiente e si ode un suono
tanto più acuto quanto maggiore è il numero dei fori e quanto più veloce è la rotazione del disco. Nel presente caso il
disco di zinco reca quattro serie di fori concentrici i cui numeri stanno nel rapporto 4:5:6:8 generando così un accordo
perfetto.
E bene notare che la sirena non da suoni perfettamente puri perché i fori originano delle armoniche che si
sovrappongono alle frequenze fondamentali. La sirena fu ideata dal fisico tedesco Ludwig Wilhelm August Seebeck
(1805-1849), professore prima a Dresda, ed in seguito a Lipsia. Una forma più elaborata è dovuta allo studioso
tedesco Friedrich Opelt (1794-1836).
O. Murani, "Trattato elementare di fisica", voi. 1, U. Hoepli, Milano, 1924, p. 443.
A5 - UN RISONATORE DI HELMHOLTZ
fine '800 dimensioni: ø 13.
Il risonatore, di frequenza incognita, è formato da una cavità sferoidale di ottone, quasi completamente chiusa,
munita di una apertura circolare e, dalla parte diametralmente opposta, di un piccolo tubo da introdurre nell'orecchio.
Le dimensioni della cavità sono molto minori della lunghezza d'onda del suono da rinforzare. Il risonatore emette un
suono unico la cui frequenza dipende dal volume della cavità e dalla superficie dell'apertura. Quando se ne possiede
una serie preventivamente tarata, è particolarmente agevole rivelare i suoni semplici, anche di piccola intensità, che
esistono in un suono composto.
H. Helmholtz, "Lehrb. den TonempBndungen", Crelles Journ. 57, 48, 1858.
A. Roiti, "Elementi di fisica", voi. 1, Le Monnier, Firenze, 19094910, p. 347.
A6 - APPARECCHIO DI CHLADNI CON LAMINE VIBRANTI DI OTTONE
1903 circa dimensioni: 47x12x27.
Sopra un panchetto sono fissate tre colonnine di legno sulle quali vengono avvitate le lastre di ottone. Lo strumento
ne possiede sei: una circolare, una ellittica, tre quadrate ed una triangolare. Le lastre possono essere fatte vibrare
sfregandone il bordo in vari modi, per es. con un archetto. Le piastre in vibrazione presentano delle linee nodali che
variano in numero ed in posizione a seconda della loro forma e della loro elasticità. Le linee nodali si rendono visibili
coprendo le piastre di un sottile strato di sabbia o di limatura di sughero. Appena iniziano le vibrazioni la sabbia va a
depositarsi sulle linee nodali. La varietà delle figure che si ottengono (figure di Chladni) da un'idea della complessità
del fenomeno. Il fenomeno delle linee nodali delle lamine vibranti fu fatto conoscere per la prima volta da Ernst
Florens Friedrich Chladni (1756-1827), giurista tedesco che fece molto progredire la scienza dell'acustica.
E. Chladni, "Entdeckungen zur Theorie des Klanges", Leipzig, 1787.
A. Ganot, "Trattato elementare di fisica e di meteorologia", F. Vallateli, Milano, 1862, p. 216.
E. Grimshel, "A Textbook of Physics", voi. II, Blackie & Son, London, 1933, p. 262.
A7 - 2 APPARECCHI PER LE "FIGURE DI LICOPODIO" CON IL FISCHIETTO DI GALTON
prob. Max Edeltnann-MimcVien
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1900 circa dimensioni: l 19; h 15.
Un sostegno di ferro verniciato di nero è munito inferiormente di un morsetto di ottone 52da fissarsi ad un tavolo,
mentre superiormente porta un supporto orizzontale sul quale è infilato un cilindro di sughero. Un altro supporto
inferiore, posto su un sostegno scorrevole, regolato da una manopola a vite, reca anch'esso un cilindro di sughero.
Tra i due sugheri viene fissato, perfettamente orizzontale, un tubo di vetro nel quale è stata posta della polvere di
licopodio. Le onde sonore, generate dal fischietto di Galton, smuovono la polvere ammucchiandola in piccole quantità
equidistanti, in corrispondenza dei nodi della colonna d'aria vibrante. L'altro apparecchio, assai simile, ha i supporti
orizzontali ricoperti di gomma.
A8 - DUE DIAPASON IN LA3
fine '800 dimensioni: 20x10x24.
Il diapason (il nome deriva dalla parola greca con cui veniva designato l'intervallo di ottava) è una forchetta metallica
sostenuta da un gambo mediante il quale viene fissata ad un manico o ad una cassetta di risonanza. Se si percuotono
i rebbi (cioè le estremità della forchetta) con un martelletto, si ottiene un suono che è in ottima approssimazione puro
(vibrazione sinusoidale). La teoria delle vibrazioni di un diapason si può ottenere intuitivamente da quella delle
vibrazioni delle verghe. Se l'asticella invece di essere rettilinea è curva e si fa vibrare con le estremità libere, si
formano due nodi M ed N che si avvicinano sempre più mano a mano che la verga si incurva fino a diventare un
diapason. All'estremità dei rebbi corrispondono due ventri di vibrazione ed i due nodi sono nei punti prossimi
all'impugnatura. La frequenza di vibrazione di un diapason è data approssimativamente
a
1.192
2
8l
12
da f =
v1 dove v1 è la velocità di propagazione delle onde longitudinali (nell'acciaio v1 = 51.1O4
cm/sec), l è la lunghezza del diapason, a lo spessore dei rebbi sul piano di vibrazione ed 1.19 è un opportuno fattore
di correzione. Le dimensioni delle casse di risonanza sono scelte in modo che le loro frequenze naturali siano identiche
a quelle dei diapason. La lunghezza del lato della cassa perpendicolare alla superficie di apertura deve essere circa
1/4 della lunghezza d'onda del suono in aria. Nel nostro caso la frequenza LA, è 435 sec, la lunghezza d'onda X =
34.000:435 = 78.2cm ed il lato della cassa =» 20 cm.
In questa situazione si assiste al fenomeno della risonanza cioè al rinforzo del suono. Il diapason infatti da un suono
debolissimo che diventa assai intenso quando lo strumento è montato sulla sua cassa di risonanza.
A. Ganot, "Trattato elementare di fisica e di meteorologia", F. Vallardi, Milano, 1862, p. 209. A. Roiti, "Elementi di
fisica", voi. 1, Le Monnier, Firenze, 1909-1910, pp. 335-336.
A9 - DIAPASON ELETTROMAGNETICO
primi del '900 dimensioni: 26x11x12.
Quando si eccita un diapason montato su cassa di risonanza, l'energia di vibrazione dei rebbi si comunica alle pareti
della cassa, all'interno della quale si generano delle onde sonore. Dalla bocca della cassetta le onde sonore, e quindi
l'energia associata ad esse, si propagano nell'aria circostante. Per mantenere il diapason in oscillazione persistente lo
si fornisce di un dispositivo elettromagnetico di alimentazione, ottenendo cosi un diapason elettromagnetico. Nel caso
presente il diapason è posto orizzontalmente sulla cassetta di legno verniciata di nero, l'elettromagnete, costituito da
due bobine verticali in serie, è situato all'estremità dei rebbi ed esternamente ad essi e l'interruttore periodico è
formato da un'asticella piegata che viene in contatto con un rebbio. Su un rebbio si trova uno specchietto circolare, da
utilizzare per le rivelazioni ottiche delle vibrazioni dello strumento. Per eccitare le vibrazioni si chiude il circuito
elettrico comprendente l'elettrocalamita e si da un leggero urto al diapason. Conseguentemente l'elettromagnete si
magnetizza ed i rebbi vengono alternativamente attratti e subito dopo rilasciati dai poli dell'elettrocalamita.
Mùller - Pouillet's "Lehrbuch der Physik und Meteorologie", voi. 1, Friedrich Vieweg und Sohn, Braunschweig, 1866,
pp. 720-722.
A 10 - DUE DIAPASON CON SPECCHIETTI PER LA COMPOSIZIONE DEI SUONI ING. G. SANTARELLI - FIRENZE
primi del '900 dimensioni: 25x39x33.
Lo strumento permette di ottenere la composizione delle ampiezze delle vibrazioni dei due diapason. Utilizzando un
metodo ideato da Lissajous si può rendere visibile tale composizione. Secondo il metodo di Lissajous un raggio
luminoso, riflesso prima dallo specchietto del primo diapason si riflette di nuovo su quello del secondo e disegna sopra
uno schermo un punto luminoso. Se vibra solo un diapason l'immagine si sposta sullo schermo ed a causa della
persistenza delle immagini sulla retina appare come una linea. Quando si eccitano i due diapason della stessa
frequenza contemporaneamente, la lunghezza delle linee dipenderà dalla differenza di fase dei coristi, supposto che le
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ampiezze delle oscillazioni siano costanti. Se in particolare si varia la frequenza delle vibrazioni di un diapason (per
esempio fissando con la cera una moneta ad un rebbio) la differenza di fase dei coristi non resta costante nel tempo.
Quando i diapason vibrano all'unisono l'uno in un piano orizzontale e l'altro in uno verticale, a seconda della differenza
di fase si ottengono sullo schermo una retta, un'ellisse od un cerchio. Se i diapason hanno frequenze leggermente
diverse la figura dello schermo passa lentamente da una linea retta ad un'ellisse obliqua, ad un cerchio, ad un'ellisse
obliqua in senso contrario ed infine ad una linea retta. Gli stessi ragionamenti valgono quando si tratta di combinare
le vibrazioni di due coristi che sono nel rapporto di ottava, di quinta, etc. In tal caso le curve di Lissajous sono molto
più complicate.
A 11 - OTTO LAMINETTE DI PALISSANDRO
1900 circa dimensioni: max 19,7, min 13,7.
Le otto laminette di palissandro a sezione rettangolare sono costruite in modo tale da produrre le note di una scala
diatonica (da un DO all'ottava superiore).
A 12 - CAMERA DI DISTRIBUZIONE PER SOFFIARE ARIA IN PIÙ TUBI SONORI
2a metà '800 dimensioni: 70x18x17.
La camera di distribuzione, costruita in legno, ha otto sedi coniche per l'applicazione dei tubi sonori. Le valvole per
l'afflusso dell'aria vengono aperte mediante tasti da abbassare e bloccare con chiavette di legno. La camera è
corredata di nove tubi sonori di legno con imboccatura a flauto, aperti, di altezze e di sezioni quadrate diverse. Essi
forniscono le seguenti note: DO3, RE3, MI5, FA3, SOL3, LA3, LA3, diesis; due tubi non portano indicazioni. Le
frequenze relative alle note dei tubi sono rispettivamente (in Hertz): 256, 288,320,340,348,435 e 453,
A 13 - SIRENA DI CAGNARD LATOUR
fine '800 dimensioni: ø 8, h 20.
La sirena in ottone consiste in una scatola cilindrica avente superiormente un disco libero di ruotare. Il disco porta, ad
uguale distanza l'uno dall'altro, una serie di fori circolari, praticati obliquamente, dai quali può uscire un getto d'aria
proveniente da un apposito tubo situato inferiormente. Per far ruotare il disco, posto su una piattaforma fissa
coassiale e munita di una serie di fori in perfetta corrispondenza con quelli del disco, viene sfruttata l'aria fornita dal
getto stesso che, passando attraverso i fori inclinati, imprime un moto di rotazione. Per mantenere costante l'altezza
del suono della sirena è necessario disporre di una soffieria con regolatore di pressione.
La sirena porta superiormente un telaio di ottone sul quale può essere montato un contagiri.
A 14 - SIRENA DI CAGNARD LATOUR CON CONTAGIRI
fine '800 dimensioni: ø 9, h 21.
Lo strumento, simile al precedente, è munito di un contagiri.
Il contagiri reca due quadranti di cui uno indica, da O a 100, il numero dei giri. Nell'altro, con fondo scala di 5000 giri,
ogni divisione indica 100 giri. Il contagiri viene ingranato sull'asse di rotazione premendo un apposito bottone. Il
numero delle vibrazioni complete del suono emesso dalla sirena nell'unità di tempo (cioè la frequenza del suono) è
dato dal prodotto del numero dei fori del disco rotante per il numero dei giri letti sul contagiri, il tutto diviso per la
durata del suono, in secondi.
A 15 - FISCHIETTO DI GALTON
M.T. Edelmann - Munchen
1900 circa dimensioni dell'astuccio: 18x7x3.
Il fischietto fu ideato dall'inglese Francis Galton (1822-1911), studioso di fisiologia sperimentale, per produrre suoni di
alta frequenza od ultrasuoni. Lo strumento costruito da Edelmann, numero di serie 809, contenuto in un astuccio
nero, è formato da una staffa di ottone, a forma di U, con due tubicini allineati lungo lo stesso asse. Uno all'interno
reca un piccolo pistone la cui posizione si può regolare per mezzo di una vite micrometrica, l'altro convoglia un flusso
di aria (per mezzo ad esempio di una pera di gomma collegata al tubicino) sul primo tubo facendo vibrare l'aria
contenuta in esso. Si origina in tal modo un suono la cui frequenza dipende dalla posizione del pistone e dalla distanza
del secondo tubicino (regolabile anch'essa con un'altra vite micrometrica) dal primo. Al fischietto è allegata una
tabella in cui sono indicate le posizioni delle viti micrometriche (Pfeifenlänge e Maulweite) per produrre le frequenze
relative a 4 ottave e quelle ad intervalli di 1000 Hz nella regione tra 10.000 Hz e 70.000 Hz.
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A 16 - CILINDRO DI DUHAMEL
1900 circa dimensioni: 47x31x40.
Due supporti di ferro, posti su una larga base di legno, sostengono un'asta orizzontale filettata, sulla quale è fissato
un cilindro metallico annerito. II cilindro, posto in rotazione con la manovella, compie anche un movimento di
traslazione a causa della filettatura dell'asta. Per eseguire la registrazione grafica di un suono, si procede o
affumicando direttamente il cilindro, oppure rivestendolo di carta patinata, affumicata alla fiamma di cotone imbevuto
di acquaragia. Quindi si colloca in vicinanza del cilindro un diapason, disposto su un sostegno di legno e munito di una
punta d'acciaio. Quando la punta è a contatto con la carta affumicata, si mette in vibrazione il diapason e
contemporaneamente si mette in rotazione il cilindro. La punta allora traccia sulla carta una linea ondulata che
riproduce il movimento oscillatorio dei rebbi sovrapposto a quello traslatorio del cilindro.
A 17 - APPARECCHIO DI WEINHOLD PER L'INTERFERENZA
fine '800 dimensioni: 75x27x7.
I fenomeni dall'interferenza sonora si producono quando i suoni della stessa frequenza prodotti da due sorgenti
diverse si sovrappongono in una regione dello spazio. In particolare se i suoni hanno la stessa ampiezza e la stessa
fase, si avrà un suono di ampiezza doppia; se invece i suoni sono in opposizione di fase essi si neutralizzeranno
reciprocamente. Per avere suoni della stessa ampiezza che mantengono inalterata la differenza di fase conviene
dividere in due le onde che partono da un'unica sorgente sonora per poi ricongiungerle in una assegnata posizione. Ci
si serve allo scopo dell'apparecchio di Quincke composto di due tubi biforcati di vetro, congiunti con tubi di gomma. Il
suono di un corista normale di 435 vibrazioni al secondo che si propaga nel tubo B, si dividerà alla biforcazione A e, se
le due vie differiscono di un tratto di cm 39.1, uguale a mezza lunghezza d'onda, le due vibrazioni arriveranno al
punto O in opposizione di fase. Introducendo il cannello O in un orecchio, e turandosi l'altro orecchio, non si udrà
nulla, II suono tornerà a farsi sentire quando si stringe tra le dita il tubo di gomma D.
L'apparecchio di Weinhold per l'interferenza dei suoni non è altro che un apparecchio di Quincke consistente in un
tubo diviso in due rami, fatti con canne di ottone, che, rientrando le une nelle altre, possono allungarsi o accorciarsi a
piacere. Le onde emesse da un corpo sonoro posto dinanzi ad O si biforcano nei due rami e poi tornano a congiungersi
in P, in concordanza di fase se i cammini sono uguali, in opposizione di fase se i cammini differiscono di mezza
lunghezza d'onda.
A 18 - TUBO BIFORCATO DI HOPKINS
fine '800 dimensioni: 15x5x33.
Un metodo semplice per produrre i fenomeni dell'interferenza sonora è quello di fare uso come sorgente sonora di una
lastra metallica di forma quadrata o circolare, fissata ad un sostegno per il suo punto di mezzo. Se si fa vibrare con
l'archetto la lastra in modo che si abbiano due linee nodali secondo le due diagonali, se la lastra è quadrata, o
secondo due diametri ad angolo retto, se la lastra è circolare, si ottengono quattro regioni di massima vibrazione delle
quali quelle opposte sono nella stessa fase e quelle adiacenti in opposizione di fase. Si prende allora un tubo CD che
termina con due diramazioni uguali A e B e si mettono quest'ultime o di fronte a due regioni opposte della lastra o di
fronte a due regioni adiacenti. È chiaro allora che nelle due diramazioni si propagheranno due sistemi di onde che
giungeranno in CD o con la stessa fase o con fase opposta. Nel primo caso i due sistemi di onde si sommeranno e nel
secondo caso si elideranno.
A 19 - METRONOMO DI MAELZEL
primi del '900 dimensioni: 11x11x23.
Da uno sportello praticato nella parte anteriore di una scatola di legno, avente la forma di tronco di piramide, si estrae
un'asta di acciaio lungo la quale può scorrere una piccola massa metallica. L'asta con il cursore è in sostanza un
pendolo di lunghezza variabile che oscilla in un piano verticale. Ogni scatto dello strumento corrisponde ad una
semioscillazione. Le oscillazioni vengono prodotte da un meccanismo ad orologeria situato nell'interno della scatola.
La regolazione del ritmo dei battiti viene fatta con lo spostamento del cursore dell'asta oscillante. La scala graduata
misura il numero delle semioscillazioni che il pendolo compie in un minuto primo, numero che può essere variato,
entro certi limiti, spostando il cursore.
Nella sua forma attuale il metronomo prende il nome da Johann Nepomuk Maelzel (1772-1838), studioso di
meccanica, che utilizzò un risultato ottenuto nel 1813 dall'olandese Winkel nella costruzione di un doppio pendolo.
L'ECCITAZIONE DEI TUBI SONORI
L'eccitazione dei tubi sonori può ottenersi con due tipi di imboccature: a flauto o a linguetta (od ancia). Nel primo
caso l'aria, compressa in un piccolo serbatoio, urta contro il labbro di una fenditura laterale che rappresenta la via di
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comunicazione con l'esterno. Le vibrazioni del labbro sono quindi trasmesse alla colonna d'aria che si trova all'interno
del tubo. Nel caso di eccitazione ad ancia l'aria penetra nella canna attraverso una piccola finestra cui è fissata una
lamina metallica elastica (ancia). Il periodo di vibrazione della linguetta si può variare usando un'asticella scorrevole.
Spinta dall'aria, l'ancia chiude la finestra e l'aria è costretta a deviare. L'ancia torna quindi elasticamente nella
posizione iniziale e l'aria passa nuovamente attraverso la finestra. Si origina in tal modo una serie di impulsi periodici
di compressione dai quali nasce il suono. L'ancia si dice battente quando chiude completamente la finestra, libera
quando lascia un piccolo spiraglio nella finestra.
La teoria analitica dei tubi sonori è stata sviluppata da Daniel Bernoulli nel 1783. Uno dei più famosi costruttori di tubi
sonori dell'800 è stato il francese Albert Marloye ( 1795-1874). Molte celebri esperienze con i tubi sono state ideate
da Rudolph Koenig (1832-1901).
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Elettromagnetismo
I
RAGGI
X
I raggi X sono onde elettromagnetiche la cui lunghezza d'onda è circa 10^5 volte quella della radiazione visibile.
Essi vengono prodotti dalla forte decelerazione degli elettroni nelle collisioni con i nuclei atomici e dalle transizioni
degli elettroni nelle orbite più profonde all'interno degli atomi.
Essi furono scoperti di W. C. Roentgen (1845-1923) nel 1895 bombardando un bersaglio metallico con un fascio di
elettroni (raggi catodici) emessi dal catodo di un tubo di scarica contenente gas rarefatto.
A causa della loro piccolissima lunghezza d'onda essi interagiscono debolmente con la materia; da qui il loro alto
potere di penetrazione.
Dopo che, nel 1912, Max von Laue (1879-1960) osservò che un fascio di raggi X mostra effetti di interferenza
passando attraverso un cristallo, risultò chiaro che essi differiscono dalla luce solo per quanto riguarda la lunghezza
d'onda.
La disposizione regolare degli atomi nel reticolo cristallino simula un reticolo di diffrazione.
Lo stesso risultato fu ottenuto da W.L. Bragg (1890-1970) analizzando la riflessione dei raggi X.
Egli ricavò la loro lunghezza d'onda dalla conoscenza della direzione dell'interferenza costruttiva e della distanza tra i
piani reticolari (legge di Bragg).
Viceversa la figura di diffrazione può essere utilizzata per ricavare la struttura del cristallo (cristallografia a raggi X di
W. H. Bragg (1862-1942)).
E1 - 2 SEMISFERE CAVE CON MANICI ISOLANTI
prob. G. Santarelli – Firenze primi del '900
E2 - 2 DISCHI DI OTTONE, 2 DISCHI DI ZINCO, 1 DISCO DI ACCIAIO
E3 - 2 DISCHI DI METALLO CON MANICO ISOLANTE
uno è firmato Officine Galileo Firenze-Milano
1920 circa
E4 - UNA PICCOLA SFERA DI BIOT SU SOSTEGNO DI EBANITE CON DUE SEMISFERE CAVE
E5 - 2 BACCHETTE DI EBANITE ED UNA BACCHETTA DI VETRO
E6 - UN SOSTEGNO ISOLANTE PER UN PENDOLINO DI SAMBUCO
E7 - CINQUE SOSTEGNI DI HOLTZ
primi del '900
E8 - UN ECCITATORE A CERNIERA DI OTTONE CON MANICI DI VETRO
primi del '900
E9 - UNA BISACCIA CONICA DI FARADAY CON MANICO DI VETRO
primi del '900
E10 - UNA GABBIA DI FARADAY CON PENDOLINI DI SAMBUCO
primi del '900
E11 - UNA GRANDE SFERA DI OTTONE CON SOSTEGNO ISOLANTE
prima del '900 dimensioni: 0 25, h 120.
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Simone Testa
E12 - UN DISCO DI METALLO SU SOSTEGNO ISOLANTE
prob. G. Santarelli - Firenze
primi del '900
II disco reca alcuni fili di cotone. Quando viene elettrizzato, i fili divergono l'uno dall'altro per la repulsione
elettrostatica.
E13 - ELETTROMETRO DI HENLEY
primi del '900 dimensioni: h 23.
Si dà questo nome ad un piccolo strumento elettrico consistente in un'asta isolante alla quale è fissato un semicerchio
di metallo.
Al centro di quest'ultimo si trova un piccolo pendolo di midollo di sambuco. Collegandolo con una macchina
elettrostatica il pendolo, che funziona da indice, ruota ed indica grossolanamente il potenziale.
Lo strumento è attribuito a William Henley (? - 1779) commerciante londinese di stoffe, che fu eletto membro della
Royal Society nel 1773.
E14 - SFERA DI METALLO SU COLONNA ISOLANTE
prob. G. Santarelli - Firenze
primi del '900 dimensioni: ø 16, h 38.
Anche questa sfera reca alcuni fili di cotone.
La sfera, insieme alle due semisfere cave con manici isolanti (E1), costituisce l'apparecchio di Biot e serve a verificare
la distribuzione superficiale della carica elettrica, Jean Baptiste Biot (1774-1862) fu un celebre fisicomatematico
francese, assai noto per i suoi studi di acustica, di elettromagnetismo e di ottica.
Nel 1820 insieme a Savart enunciò la famosa legge sul campo magnetico prodotto da una corrente rettilinea indefinita
E15 - CAMPANELLO ELETTROSTATICO
1900 circa dimensioni: l 20, h. 36.
Una colonnina di vetro su base di legno termina con un gancio.
Alla colonnina è fissata orizzontalmente un'asticella.
Da essa pendono, attaccati ad aste della stessa lunghezza, i campanelli di bronzo e, appese a funicelle, due sferette
metalliche.
Tenendo a terra il campanello centrale e collegando gli altri due ad un conduttore di una macchina elettrostatica, i
pendolini con le sferette vengono alternativamente attratti e poi respinti dai due campanelli laterali e da quello
centrale a causa delle forze elettrostatiche, dando origine ad un vivace scampanellio.
E16 - 2 ISOLATORI DI MASCART
primi del '900 dimensioni: ø 16, h 50.
Per evitare che il vetro diventi conduttore, a causa dell'umidità che tende a ricoprirlo in superficie, si utilizza l'isolatore
di Mascart.
Esso è costituito da un recipiente di vetro il cui fondo si prolunga all'interno in una specie di tubo che esce dal collo del
recipiente.
Il tubo è mantenuto perfettamente asciutto da uno strato di acido solforico concentrato posto all'interno del
recipiente. I due isolatori di Mascart recano alla sommità dei tubi due tappi di ottone sui quali sono stati saldati nel
gabinetto di fisica della Badia Hesolana due dischi metallici.
I dischi probabilmente venivano utilizzati per eseguire esperienze sull'induzione elettrostatica, sui condensatori, etc.
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E17 - POZZETTO DI BECCARIA
prob. G. Santarelli - Firenze
primi del '900 dimensioni: ø 12, h 38.
È un recipiente cilindrico cavo di metallo, chiuso superiormente, sostenuto da una colonna isolante su base di
porcellana. Serve a verificare che l'elettricità si porta sulla superficie dei conduttori.
II coperchio AB è attraversato da una bacchetta di ebanite che si può innestare in G al manico isolante di una sfera
conduttrice S (per esempio la sferetta E4).
Si elettrizza la sfera, si introduce nel recipiente, si copre e, spingendo verso il basso la bacchetta F, si tocca la parete
interna. Estratta la sfera, la si trova completamente diselettrizzata.
Viceversa si trova carico il recipiente cilindrico. Con il pozzetto di Beccaria ed un elettroscopio si possono eseguire
alcune esperienze, fondamentali per la teoria dell'elettricità.
UN INSIGNE CULTORE DI ELETTRICITÀ E DI GEODESIA: IL PADRE SCOLOPIO GIOVANNI BATTISTA BECCARIA (1716-1781)
Francesco Beccaria nacque a Mondovì il 3 ottobre 1716. Nel 1732 andò a Roma dove vestì l'abito dei chierici regolari
degli scolopi e cambiò il nome di Francesco in quello di Giovanni Battista con il quale fu universalmente conosciuto.
Dopo aver insegnato filosofia nel Collegio Calasanzio di Roma, nel 1748 fu chiamato ad insegnare fisica sperimentale
presso l'Università di Torino.
Nel 1753 stampò la sua celebre opera "Dell'elettricismo naturale ed artificiale", nella quale fece una accurata analisi
della teoria di Benjamin Franklin.
L'opera ebbe grande e favorevole accoglienza ed il suo autore diventò membro delle accademie di Bologna e di Londra
ed amico, per sempre, dello stesso Franklin con il quale intraprese un fitto scambio epistolare.
In questi termini il fisico americano scriveva al Dalibard il 29 giugno 1755: "Vous me demandez mon sentiment sur le
livre italìen du P. Beccaria, je l'ai lu avec beaucoup de plasir, et je le regard comme un des meilleurs ouvages que
j'aye vùs dans aucun langue, sur cette matière.".
Anche Joseph Priestley lo considerava uno dei più eminenti cultori di elettricità.
Lo studio dell'elettricità non rappresentò il solo interesse scientifico del Beccaria.
Nel 1759 il Boscovich ebbe modo di illustrare al re del Piemonte la convenienza di misurare un grado di meridiano. Il
Beccaria ne ricevé l'incarico e in 14 anni, misurata la base di Rivoli, vi si appoggiò deducendo la lunghezza dell'arco di
meridiano tra Andrate e Mondovì ("Gradus Taurinensis", Augusta Taurinorum, 1774).
Notevole fu anche l'attività di ingegnere elettricista del Beccaria; tra l'altro nel 1770 diresse a Milano l'erezione dei
parafulmini a difesa del duomo.
Oltre che matematico, fisico ed ingegnere, fu anche umanista, scrivendo versi latini che dimostrano grande
padronanza della lingua ed indubitabile gusto.
E18 - 2 CONDUTTORI CILINDRICI SU SOSTEGNI ISOLANTI
prob. G. Santarelli - Firenze
primi del '900 dimensioni: 1 30, h 32.
Si tratta di due cilindri metallici, isolati su un piede di vetro, che in origine portavano alle estremità due piccoli pendoli
elettrici formati da palline di sambuco sospese a fili conduttori.
Con essi si possono eseguire le esperienze fondamentali dell'elettrizzazione per influenza, della separazione delle
cariche positive da quelle negative, della diversa distribuzione superficiale delle cariche elettriche.
E19 - MULINELLO ELETTRICO
1900 circa dimensioni: ø 22, h 21.
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Il mulinello, o arganetto, elettrico è un piccolo strumento composto di sei raggi metallici, curvati tutti nello stesso
verso, terminati a punta e fissati ad un cappelletto comune mobile su un perno posto alla sommità di una colonnina
isolante.
Collegando l'apparecchio ad una macchina elettrica, appena si carica i raggi acquistano un rapido moto di rotazione in
direzione opposta alle punte.
Il movimento è dovuto all'effetto di repulsione tra l'elettricità che le punte comunicano all'aria e quella che si trova
sulle punte stesse.
E20 - BOTTIGLIA DI LEYDA
del '800 dimensioni: ø 8, h 24.
La bottiglia di Leyda è essenzialmente un cilindro di vetro, chiuso inferiormente, le cui due facce, interna ed esterna,
sono ricoperte fino ad una certa altezza di un sottile strato di stagno.
La lamine di stagno rappresentano le armature della bottiglia la quale è nient'altro che un condensatore elettrico.
Il contatto con l'armatura interna viene fatto mediante una bacchetta di ottone che termina con una sferetta od un
uncino.
Per la carica della bottiglia si collega una macchina elettrostatica, mediante gli opportuni conduttori metallici, con la
sferetta o l'uncino di ottone, mentre l'armatura esterna viene collegata a terra.
In alcuni casi le armature interne ed esterne sono mobili.
La bottiglia di Leyda è stata scoperta quasi simultaneamente da Ewald Georg von Kleist (1707-1748), decano della
cattedrale di Camin in Pomerania nell'ottobre 1745 e da Pieter van Musschenbroek (1692-1761), professore
nell'università di Leyda in Olanda, nel gennaio 1746. Benjamin Franklin (1706-1790) per primo pensò di connettere in
serie ed in parallelo più bottiglie di Leyda.
Secondo la descrizione fatta da Pieter van Musschenbroek, in una lettera al signor de Réaumur nel gennaio 1746, il
suo assistente Cunaeus voleva elettrizzare l'acqua contenuta in una bottiglia di vetro di cui teneva il fondo con una
mano.
Caricata l'acqua mettendola in comunicazione, con un filo metallico, con una macchina elettrostatica, quando volle
toccare il filo con la mano libera, per sconnettere la bottiglia della macchina, sentì una violenta scossa.
La bottiglia costituiva un vero condensatore: l'acqua ne era l'armatura collettrice e la mano l'armatura condensatrice
collegata al suolo per mezzo del corpo; il vetro era il dielettrico.
E21 - ELETTROFORO DI VOLTA
1900 circa dimensioni: ø del disco 23.
Il piatto collettore ha l'impugnatura di ebanite. La schiacciata è di resina. L'elettroforo serve per ottenere elettricità
per influenza elettrostatica in maniera molto semplice. Il disco di resina, battuto con un pannolano (o con una pelle di
gatto), acquista una carica negativa e perciò, appoggiandovi il piatto metallico, che in realtà è a contatto con la
superficie rugosa della resina solo in pochi punti, lo elettrizza positivamente sulla superficie inferiore, negativamente
su quella superiore. Mettendo quest'ultima a terra (per esempio toccandola con un dito), l'elettricità negativa si
disperde al suolo di modo che, tolto il collegamento con la terra, resta sul piatto collettore una carica positiva che può
essere trasportata dove vogliamo. L'operazione può essere ripetuta più volte senza dover ricaricare il disco di resina.
Gli studi e le indagini sulla "Elettricità Vindice" del padre Beccarla portarono il Volta all'invenzione dell'elettroforo. Il
Volta in una prima memoria scritta in latino "De vi attractiva ignis electrici, ac phoenomenis inde pendentìbus" del
1769 aveva studiato i fenomeni dell'Elettricità Vindice, interpretandoli correttamente, in opposizione alla teoria di
Giovanni Battista Beccarla, in base al fenomeno dell'induzione elettrostatica, che egli chiamava col nome di
"attuazione". La descrizione ed il funzionamento del suo strumento furono comunicati dal Volta a Joseph Priestley,
celebre scienziato inglese, con una lettera del 10 giugno 1775.
E22 - BATTERIA DI SEI BOTTIGLIE DI LEYDA
A. Dall'Eco-Ing. G. Santarelli successore - Firenze
1900 circa dimensioni: 40x28x57.
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Invece di adoperare come condensatore una grandissima bottiglia di Leyda, torna più comodo riunirne parecchie in
"batteria", o anche, come si dice, in parallelo, stabilendo il contatto metallico fra tutte le armature interne, e così tra
le esterne.
La capacità elettrica di una batteria è uguale alla somma delle capacità delle singole bottiglie da cui formata.
Le sei bottiglie sono contenute in una cassetta di legno sulla cui base delle strisce metalliche provvedono al
collegamento elettrico tra le armature esterne.
E23 - MACCHINA ELETTRICA DI VOSS
A. Dall'Eco, Firenze
1880 circa dimensioni: 53x28x40.
La macchina di Voss è formata da due dischi di vetro verniciati di gomma-lacca, quello posteriore è fisso, l'altro è
girevole ed è munito di sei bottoni metallici ad ugual distanza fra loro e dal centro.
Gli induttori sono rappresentati da due strisce di stagnola incollate nel mezzo delle armature di carta portate dal disco
fisso.
Esse sono in comunicazione con due piccoli pennelli metallici che toccano i bottoni un po' prima del loro passaggio
dinanzi ai pettini.
Questi sono isolati e si trovano davanti al disco mobile ad una piccola distanza da esso, verso le estremità del
diametro orizzontale.
Comunicano con due asticciole metalliche le quali sono fornite di manichi isolanti e di due sferette che costituiscono lo
spinterometro.
Un altro conduttore diametrale, inclinato sul diametro orizzontale, è munito di pennelli metallici e di pettini.
La macchina, se il disco anteriore viene fatto ruotare, si eccita da sé.
Quando le sferette dello spinterometro sono a contatto, la corrente si trasmette lungo le aste dal polo positivo a
quello negativo e la macchina è un generatore di corrente elettrica.
Se le sfere sono scostate si origina una serie di scintille, che diventano assai rumorose e vivaci se si fanno comunicare
i poli con le armature interne di due bottiglie di Leyda (mancanti nell'apparecchio).
La macchina poggia su una robusta base di legno.
ELETTROMETRI
Elettroscopi ed elettrometri: le tappe di costruzione
Tra i primi strumenti in grado di misurare la "tensione" elettrica e quindi di rivelare la presenza di cariche, vi furono gli
elettroscopi, il più semplice dei quali, descritto da John Canton nel 1753, consisteva di due palline di sambuco sospesa
ognuna ad un filo. I due pendolini divergevano dalla verticale, in direzioni opposte, per effetto delle forze repulsive di
natura elettrostatica. Sullo stesso principio si basavano l'elettroscopio portatile di Cavallo (lili) e quello a foglie d'oro di
Bennet (1787). L'aggiunta di una scala permise di eseguire le prime misure quantitative.
Di seguito riportiamo una tavola cronologica dei principali strumenti:
1753 - elettroscopio di John Canton (1718-1772), gnomone elettrico di Wilhelm Richmann (1711-1753)
1766 - bottiglia a scintilla di Timothy Lane (1743-1807)
- elettrometro di John Robison (1739-1805)
- elettrometro di William Henley (? - 1779)
1777 - elettroscopio portatile di Tiberio Cavallo (1749-1809)
- elettrometro di Jean Andre de Lue (1727-1817)
- elettroscopio a foglie d'oro di Abraham Bennet (1750-1790);
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- elettroscopio a pagliuzze di Alessandro Volta (1745-1824)
1789 - elettrometro di Jonathan Cuthberson (1744-1806)
1793 - elettrometro di William Nicholson (1753-1815)
1798 - galvanoscopio di W.H. Pepys (1775-1856)
1803 - micro-elettrometro di P.L. Maréchaux (1764-?)
1806 - elettroscopio di T.G.B. Behrens (1775-1813)
1814 - elettroscopio di J.G.F. von Bohnenberger (1763-1831)
1829 - elettrometro di G.T. Fechner (1801-1887)
1831 - bilancia bifilare di William Snow Harris (17194867)
1837 - termometro di P.T. Riess (1804-1883)
1842 - elettrometro di J.F.G. Dellmann (1805-1870)
1843 - elettrometro di J.C.A. Peltier (1785-1845)
1844 - elettrometro bifilare di Luigi Palmieri (1807-1896)
1847 - elettrometro di R.H.A. Kohlrausch (1809-1858)
1855 - elettroscopio di Macedonie Melloni (1798-1854)
1858 - elettrometro a quadranti di Lord Kelvin (1824-1907}
Da questo elettrometro sono derivati, con modifiche, gli elettrometri di Eleuthére Mascart (1837-1908), di Friedrich
Dolezalek (1873-1920), di Edouard Branly (18441940), di Max Edelmann (1845-1913), dei fratelli Compton, Karl
(1887-1935) e Arthur (1892-1962). Sono ancora da ricordare l'elettrometro assoluto (o voltmetro elettrostatico) di
Lord Kelvin, l'elettrometro di Exner (1849-1931), quello di Ferdinand Braun (1850-1918), di Augusto Righi (18501920), di Lippmann, di Schmidt, di Rutherford e molti altri. In fig. 54 sono riportati alcuni elettrometri.
E24 - BILANCIA DI TORSIONE DI COULOMB
Officina Galileo - Firenze
1899 dimensioni: ø 30, h 52.
La bilancia di torsione di Coulomb serve per verificare sperimentalmente la legge delle azioni delle cariche elettriche.
La cassa cilindrica completamente di vetro poggia su una base circolare di ottone con tre viti di livello.
Essa porta a metà altezza, una scala con divisioni in gradi, incisa all'acido e ben visibile a distanza.
Il coperchio è un robusto disco di ottone che si appoggia sulla cassa.
Nel centro del coperchio si eleva un tubo di vetro che porta superiormente la testa graduata girevole a frizione.
Al filo di sospensione è appesa un'asticciola isolante (giogo della bilancia) che porta ad un'estremità una pallina
metallica ed all'altra un contrappeso o smorzatore che la mantiene in equilibrio orizzontale.
Nel coperchio, oltre al foro centrale, sono praticati altri quattro fori, dove venivano fatte passare altrettante palline
metalliche sorrette da un'asta di ebanite con pomello isolante.
Attualmente esiste solo una pallina.
Quando si esegue l'esperienza, se la pallina collegata al pomello e quella del giogo sono elettrizzate, il giogo ruota a
causa delle forze elettriche attrattive o repulsive, destando la reazione elastica del filo e disponendosi in una nuova
posizione di equilibrio.
La graduazione sulla superficie laterale dell'involucro esterno consente di leggere la variazione angolare tra le
posizioni iniziali e quelle finali delle due palline.
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I risultati che si ottengono dalle misure sono consistenti con la legge dell'inverso del quadrato della distanza.
Utilizzando un ago magnetico e delle barrette magnetizzate, con la stessa bilancia si possono eseguire le
corrispondenti esperienze sui poli magnetici.
Quella che oggi è nota come legge di Coulomb venne in realtà scoperta indipendentemente prima da Joseph Priestley
nel 1766 e poi da H. Cavendish nel 1773.
Coulomb fu però il primo a sottoporla ad una verifica sperimentale nel 1785 utilizzando la bilancia di torsione da lui
realizzata nel 1777.
Le sue memorie sull'elettricità, che comparvero tra il 1785 ed il 1786, fornirono i dati sui quali Poisson in seguito
fondò la sua teoria matematica dell'elettrostatica.
E25 - ELETTROMETRO DI LANE
Ing. Giorgio Santarelli - Firenze
1900 circa dimensioni: 35x18x40.
Questo strumento costituisce uno dei primi apparecchi in grado di fornire valutazioni quantitative della carica elettrica.
Esso fu ideato dal farmacista inglese Timothy Lane (1743-1807) nel 1765.
È una bottiglia di Leyda, la cui armatura esterna viene posta in comunicazione con un elettrodo orizzontale B a forma
di sferetta (incompleta nello strumento) situato in cima ad una colonnina verticale D.
La sferetta si può avvicinare o allontanare, per mezzo di una vite F, ad un altro elettrodo A posto alla stessa altezza e
collegato all'armatura interna della bottiglia.
La carica si poteva misurare grossolanamente dalle scintille che scoccavano tra gli elettrodi opportunamente
distanziati.
E26 - ELETTROMETRO DI PELTIER
Officina Galileo - Firenze
1898 dimensioni: ø 21, h 50.
Nei primi studi sull'elettricità atmosferica gli apparati utilizzati per riconoscere la presenza dell'elettricità erano
elettrometri a palline di sambuco o a foglie d'oro, l'apparato di Dalibard (1703-1799) ed il cervo volante di Franklin.
Per osservare l'elettricità con il tempo sereno, essendo in tal caso gli effetti generalmente deboli, si usava di
preferenza l'elettrometro di Saussure.
Lo scienziato ginevrino per difendere dalla pioggia il suo apparato Io coprì con un piccolo cappello conico di ottone.
Anche Becquerel, nelle sue esperienze fatte sul monte San Bernardo, usò un elettroscopio di Saussure modificato.
A sua volta Peltier realizzò un elettroscopio il quale utilizzava l'azione del campo magnetico terrestre su un magnete
permanente.
Lo strumento di Peltier è caratterizzato dal fatto che l'indice mobile a b solidale con il piccolo magnete e d poggia su
una punta metallica i e resta in contatto elettrico permanente con il conduttore fisso D.
Si evitano in tal modo le cause d'errore dovute a perdite d'elettricità quali ad esempio quelle di un conduttore mobile
sospeso ad un filo di seta.
Non è neppure necessario scaricare il sistema quando si desidera passare da un'esperienza ad un altra.
La deviazione rispetto alla configurazione iniziale si legge su una scala circolare incisa sulla cassa di vetro che
protegge il sistema di misura.
Lo strumento deve essere tarato.
Si può utilizzare orientandolo in modo che, in assenza di carica, l'indice mobile a b assuma una direzione parallela o
perpendicolare al conduttore orizzontale (anch'esso in contatto elettrico con il conduttore fisso) che porta la pallina E.
Lo strumento è munito di un cappello sormontato da una voluminosa sfera di rame.
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E27 - ELETTROMETRO DI MASCART
Ing. G. Santarelli - Firenze
1900 circa dimensioni: ø 20, h 45.
L'elettrometro a quadranti di William Thomson (Lord Kelvin) è costituito da 4 quadranti metallici isolati con molta
cura. Fili sottili di rame uniscono elettricamente i quadranti opposti a due a due.
Al di sopra, ma molto vicino ai quadranti, è sospesa una lamina leggera conduttrice, tagliata a forma di 8, il cosi detto
ago.
Più spesso i quadranti circolari sono sostituiti dalle quattro parti di una scatola cilindrica ed allora l'ago si trova
all'interno.
Le quattro scatole cilindriche sono disposti in modo tale che due di esse, adiacenti, possono essere ruotate per
accedere all'ago.
L'ago, molto leggero, è sospeso mediante un filo di bozzolo, che scende lungo l'asse di una colonnina di ottone
innestata sul coperchio della scatola di ottone annerito.
Nella scatola sono praticate due finestre circolari, protette dal vetro, in corrispondenza dello specchietto collegato
all'equipaggio mobile.
Altre quattro finestre rettangolari, situate nella parte più alta della scatola cilindrica, e protette originariamente da
fogli di mica, permettono l'ispezione visiva dei quadranti.
Tutto il dispositivo poggia su una base circolare di ottone, sorretta da tre gambe dotate di viti calanti.
Sotto la base è presente una vaschetta di piombo che durante l'uso deve essere riempita di acido solforico.
L'ago dello strumento infatti, mediante un filo di platino, comunica con l'acido. Si realizzano cosi tre condizioni: il buon
isolamento igroscopico dell'elettrometro; il contatto elettrico tra l'ago e, tramite un serra-filo esterno, una sorgente di
elettricità; infine lo smorzamento delle oscillazioni nel liquido grazie a due o tre sbarrette trasversali incollate sul filo
di platino.
E28 - ELETTROMETRO DI ELSTER E GEITEL
1900 circa dimensioni: ø 16, h 20.
Storicamente lo strumento fa parte di una serie di elettrometri ideati agli inizi del XX secolo per misurare l'elettricità
dell'atmosfera terrestre oppure la radioattività di una so stanza.
Il capostipite è l'elettrometro di Exner1511 per lo studio dell'elettricità atmosferica.
Con l'elettrometro di Elster e Geitel, che è una modificazione di quello di Exner, si misura comodamente la scarica
lenta di un conduttore per effetto della presenza di ioni nell'aria.
Nell'interno di una scatola cilindrica di metallo, chiusa sulla faccia anteriore da un vetro, si eleva dal fondo una
colonnina rigida verticale isolata con ambra o pietra dura.
A questa sono unite in alto due foglioline di alluminio, la cui divergenza si può misurare su una scala unita allo
strumento o per mezzo di un cannocchiale con oculare micrometrico.
La colonnina termina in alto con una sferetta che ha un foro.
La scatola, infine, presenta superiormente una piccola apertura chiusa con un coperchio. L'elettroscopio è posto su un
treppiedi con viti calanti.
Per usarlo si allontanano i pezzi laterali che servono a proteggere le foglie quando lo strumento non è in funzione.
Inoltre, in caso di umidità, si colloca nel tubetto sul fondo della scatola un pezzetto di sodio per mezzo di uno spillo
infisso in un tappo di gomma.
Tolto poi il coperchio si innesta nel foro della sferetta una sonda metallica, munita di un manico di ebanite, quindi per
mezzo di un corpo elettrizzato (per esempio una pila a secco di Zamboni) si da all'asticina e alle foglie una carica.
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Dopo che le foglie si sono aperte si estrae la sonda e si richiude la scatola con il suo coperchio.
L'isolamento è cosi buono che la divergenza delle foglie può mantenersi inalterata per diverse ore.
Se invece si unisce permanentemente al sistema dell'asticina e delle foglie un grosso cilindro conduttore (mancante)
innestato nel foro attraverso il coperchio, si vede che le foglie cadono più velocemente per effetto degli ioni dell'aria.
Infatti gli ioni presentì nell'atmosfera ed aventi carica opposta a quella del cilindro vengono astratti e scaricano lo
strumento.
AGHI
MAGNETICI, CALAMITE, ELETTROCALAMITE
Calamite naturali, calamite artificiali, elettrocalamite
Si chiama "calamita naturale" o "pietra calamita" un minerale, la magnetite (Fe3O4), che è abbondante in natura ed
ha la proprietà di attirare il ferro.
La calamita artificiale è un pezzo di acciaio, a forma di sbarra o di ferro di cavallo che, posto in un campo magnetico,
viene magnetizzato più o meno permanentemente acquistando le proprietà di un magnete naturale.
L'elettrocalamita consiste di un avvolgimento attorno ad un nucleo di ferro dolce; quando nell'avvolgimento scorre
una corrente elettrica il nucleo si magnetizza comportandosi come un magnete.
Il gabinetto di fisica dell'Istituto Calasanzio possiede magneti di vario genere.
E29 - E 30 - 3 AGHI MAGNETICI ED UN AGO MAGNETICO SU SOSTEGNO
primi del '900
Si tratta di 4 piccoli aghi magnetici e di un sostegno a punta verticale. Disponendo un ago sul sostegno si osserva che
uno dei suoi estremi, e sempre lo stesso, si rivolge costantemente verso il nord, mentre l'altro verso il sud. Tali
estremi si chiamano rispettivamente polo nord e polo sud.
E31 - AGO MAGNETICO DI DECLINAZIONE ED INCLINAZIONE PROB. OFFICINE GALILEO - FIRENZE
primi del '900
Sospendendo un ago calamitato in modo che esso possa ruotare in un piano orizzontale si osserva che il suo asse non
si dirige esattamente da nord a sud. L'angolo che il meridiano magnetico fa col meridiano astronomico si chiama
"declinazione magnetica". Essa si distingue in orientale ed occidentale secondo che il polo nord si dispone ad est
oppure ad ovest del meridiano geografico. Se adesso si fa ruotare l'ago nel piano del meridiano magnetico, si osserva
che esso avrà, nel nostro emisfero, il polo nord al di sotto del piano dell'orizzonte. L'angolo che l'asse dell'ago fa con il
piano dell'orizzonte si chiama "inclinazione magnetica."
E32 - CALAMITA A FERRO DI CAVALLO SU SOSTEGNO DI LEGNO
primi del '900 dimensioni: 21x15x33.
Quando si vuol utilizzare la calamita per sostenere un peso è preferibile la forma a ferro di cavallo, perché con questa
sono simultaneamente utilizzati i due poli.
I poli sono collegati con un'ancora di ferro dolce a cui vengono attaccati i pesi.
La calamita è mantenuta verticale da un sostegno di legno.
E33 - CALAMITA NATURALE ARMATA
fine '800 dimensioni: 11x7x21.
Si tratta di una calamita naturale fornita di armature: sulle facce corrispondenti ai poli si trovano due zoccoli massicci
di ferro dolce che si magnetizzano ed aumentano la potenza magnetica della calamita.
I due poli sono chiusi da un'ancora di ferro dolce che reca nel suo centro un gancio per appendere i pesi.
E34 - FASCIO MAGNETICO DI COULOMB
fine '800 dimensioni: 11x2x27.
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Un fascio magnetico è un insieme di stanghe magnetiche sovrapposte in modo che i poli dello stesso nome si trovino
ad un'estremità.
Talvolta si da a questi fasci la forma di ferro di cavallo (fascio magnetico di Jamin) e tale altra una forma
parallelepipedale (fascio magnetico di Coulomb).
Il fascio magnetico in questione risulta da 7 sbarrette magnetiche tenute assieme da due serraggi di ottone.
Il fascio è chiuso alle due estremità da un'armatura e da un'ancora di ferro dolce.
E35 - DUE SBARRE MAGNETIZZATE IN ASTUCCIO DI LEGNO
fine '800 dimensioni: 31x10x25.
Si tratta di due sbarre magnetiche artificiali disposte parallelamente con i poli contrari. Due piccole sbarre di ferro
dolce, ora mancanti, dovevano chiudere il circuito magnetico per evitare gli effetti della smagnetizzazione. Le sbarre
sono contenute in una cassetta di legno.
Ganot, "Trattato elementare di fisica e di meteorologia" F. Vallardi, Milano, 1862, pp. 572-594.
O. Murani, "Trattato elementare di fisica", voi. 2, U. Hoepli, Milano, 1924, pp. 504-510.
E36 - ELETTROCALAMITA SU SOSTEGNO DI LEGNO
fine '800 dimensioni: 29x20x35.
Si tratta di due avvolgimenti di filo di rame (ricoperto di tessuto verde) eseguiti su piccoli rocchetti di legno.
Essi sono disposti in serie verticalmente, l'uno accanto all'altro, su un sostegno di legno.
Un nucleo di ferro ad U passa dentro i rocchetti e li collega superiormente.
Un'ancora di ferro dolce chiude inferiormente il circuito.
Facendo passare corrente mediante i due serrafili alla base dell'apparecchio il nucleo di ferro si magnetizza.
A. Ganot, "Trattato elementare di fisica e di meteorologia", F. Vallardi, Milano, 1862, p. 741.
E37 - 2 PILE DI ZAMBONI
prob. Officina Galileo - Firenze
primi del '900 dimensioni: ø 4, h 37; ø 3, h 26.
La pila a secco a colonna inventata da Giuseppe Zamboni nel 1812 era originariamente costituita da numerosi dischi
di carta argentata e dorata sovrapposti alternativamente.
Alle due estremità della pila si trovano le armature (o i serrafili) di contatto.
Nella pila di Zamboni il feltro imbevuto di una soluzione acida, presente nell'elemento voltaico, è sostituito dalla carta
che in qualche modo trattiene sempre un po' dell'umidità presente nell'atmosfera.
Con una pila di questo tipo, in cui sono presenti qualche migliaio di coppie di dischetti, si possono raggiungere forze
elettromotrici dell'ordine del centinaio di volt, ma correnti piuttosto deboli.
Per questo motivo la pila Zamboni veniva usata sovente per dare la carica negli elettrometri, per esempio
nell'elettrometro di Bohnenberger.
Nel nostro caso le pile Zamboni sono formate da dischetti di carta, argentata o stagnata da una parte, infilati su
un'asta di ebanite, sulla quale si avvitano le due armature estreme.
Sull'altra parte dei dischetti è fatta aderire della finissima polvere di perossido di manganese (Mn O2).
Ciascun dischetto corrisponde ad una coppia: il polo positivo è dalla parte del perossido, il negativo dalla parte dello
stagno.
La resistenza della pila è enorme.
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Simone Testa
Un disco di alluminio, parallelo alle coppie, divide una pila in due parti uguali; essa serviva al tempo stesso a fissarla
nel suo astuccio metallico (andato perduto).
E38 - 2 PILE DI GRENET
una è firmata Luigi Pelli - Firenze
fine '800 dimensioni; ø 15, h 40; ø 11, h 21.
Scoperta da Bunsen (e probabilmente utilizzata anche dal Poggendorff) ed alla quale Grenet dette la forma usuale di
bottiglia, sostituisce l'acido nitrico (presente nella antecedente pila di Grove-Bunsen) con l'acido cromico, evitando in
tal modo l'inconveniente dello sviluppo di vapori nitrosi.
È una pila irreversibile per correnti piuttosto forti e di breve durata.
Nella bottiglia, contenente una soluzione acquosa di bicromato di potassio con acido solforico e bicromato di sodio,
sono immersi due grossi pezzi paralleli di carbone compatto di storta che sono saldati ad un anello metallico portato
dal coperchio di ebanite. Su questo sono fissati i serrafili.
I due carboni funzionano da elettrodo positivo.
Tra di essi si immerge al momento dell'uso l'elettrodo centrale di zinco amalgamato, che costituisce il polo negativo.
La forza elettromotrice è di circa 2 volt ma, tenendo chiuso il circuito, diminuisce rapidamente.
La soluzione acquosa della pila di Grenet è formata da 92 gr di bicromato di potassio (K2 Cr2 CO, 81 gr di bicromato
di sodio (Na2 Cr2 O7) e 94 gr di acido solforico puro disciolti in 900 gr di acqua.
L'acido solforico è il liquido attivo, la cui reazione con lo zinco fornisce l'energia necessaria al funzionamento della pila,
il bicromato di potassio è l’ossidante che agisce come depolarizzante.
E59 - ELEMENTO VOLTAICO RAME-ZINCO
primi del '900 dimensioni: ø 11, h 17.
Durante le sue ricerche sulla differenza di potenziale (d.d.p.) dovuta al contatto tra due metalli Volta osservò che in
una catena aperta di conduttori, a temperatura uniforme, avente agli estremi due metalli uguali ma comprendente
anche conduttori di seconda classe, ad esempio una soluzione di acido solforico in acqua, la somma delle d.d.p.
dovute ai singoli contatti ha un valore diverso da zero.
Perciò collegandone gli estremi in modo da chiudere il circuito, attraverso questo passa una corrente.
Essa non ha la brevissima durata che si osserva nel caso elettrostatico, ma continua a fluire con regime permanente
per un tempo, a volte, molto lungo.
La catena considerata prende il nome di elemento voltaico o, genericamente, pila.
Una disposizione, escogitata dallo stesso Volta, consiste nel riempire con una soluzione elettrolitica un recipiente
isolante (di vetro) immergendo in essa due bastoni, o due lamine, o, come nel caso presente, due superficie ricurve di
metalli diversi, per esempio rame e zinco.
Due fili di rame, saldati alle lamine, fuoriescono dal recipiente e costituiscono i poli dell'elemento voltaico.
Chiudendo la pila su una resistenza elettrica, il passaggio di corrente dovrebbe procedere fino a che tutto l'acido
solforico della soluzione elettrolitica non si è trasformato in solfato di zinco secondo la reazione H2SO4 + Zn -» Zn
SO4 + H2 In realtà la forza elettromotrice dell'elemento voltaico va diminuendo progressivamente poiché l'anodo di
rame adsorbe idrogeno (polarizzazione della pila).
A. Roiti, "Elementi di fisica", voi. 2, Le Monnier, Firenze, 1913-14, pp. 220-228.
E40 - PILA TERMOELETTRICA DI GULCHER
prob. Max Kohl - Chemmtz
1900 circa dimensioni: 71x19x33.
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Due metalli riuniti e saldati tra di loro, i punti di contatto dei quali sono mantenuti a temperatura differenti,
costituiscono la cosiddetta "coppia termoelettrica". La forza elettromotrice di una coppia termoelettrica dipende dalla
natura dei due metalli a contatto e dalla differenza di temperatura delle saldature. La dimostrazione sperimentale
dell'esistenza delle forze elettromotrici termoelettriche fu data da TJ. Seebeck nel 1821. Per ottenere forze
elettromotrici abbastanza elevate conviene riunire in serie molte coppie termoelettriche e scaldare le saldature poste
dalla medesima parte. Si ottiene così una pila termoelettrica. Si è cercato di costruire delle pile termoelettriche di
grande potenza, che uniscano ad una notevole forza elettromotrice una piccola resistenza interna. Il Gulcher in
particolari costruì una pila termoelettrica scaldabile a gas e capace di dare una forza elettromotrice; di 4 volt. Essa è
formata da 66 elementi di nickel (o di argentana) e di una lega di antimonio, riuniti in serie.
Il nickel è a forma di tubicini che servono a portare il gas e sono fissati su una piastra di ardesia nell'interno
dell'apparecchio. Nella parte superiore di ogni tubo è saldato un pezzo di contatto che si allarga superiormente in
un'espansione unita ai pezzi di lega di antimonio. Questi elettrodi sono foggiati ad angolo ed alle loro estremità sono
saldate lunghe strisce di rame che servono per il raffreddamento. Nei fori che si vedono sulla parte superiore sono
infilati dei piccoli cammini di asbesto mediante dei tubicini di mica. La resistenza interna della pila è 0,65 Ω e, a corto
circuito. la corrente elettrica è 6 Ampère. La pila funziona in breve tempo accedendo il gas.
E41 - SERIE DI 6 APPARECCHI DI BERGHOFF
Max Kohl, Chemnitz
1910 circa dimensioni di ogni apparecchio: 18x16x4.
Per mettere in evidenza le linee del campo magnetico prodotto dalle correnti o dai poli magnetici si utilizzano le due
serie di apparecchi didattici ideati da Berghoff.
Essi possono essere usati anche con una macchina da proiezione, purché vengano messi orizzontalmente.
Nei sei apparecchi della prima serie il campo magnetico è prodotto dalla corrente che scorre in un conduttore di rame
di forma assegnata.
Mettendo sopra il vetro della limatura di ferro finissima si riesce a visualizzare le linee del campo.
La serie comprende:
a) il campo magnetico di un filo rettilineo;
b) campo magnetico di due correnti parallele e di verso opposto;
c)
campo magnetico di due correnti parallele e di verso concorde;
d) campo magnetico di un solenoide;
e) campo magnetico esterno ad un avvolgimento di numerose spine;
f)
campo magnetico terrestre.
E42 - 6 LASTRE DI VETRO PER I POLI MAGNETICI
Max Kohl, Chemnitz
1910 circa dimensioni di ogni apparecchio: 18x13x1.
In questa seconda serie degli apparecchi di Berghoff il campo magnetico è prodotto da dipoli magnetici. Anche in
questo caso le linee del campo si mettono in evidenza con la limatura di ferro. La serie comprende: a) campo
magnetico uniforme, b) campo magnetico prodotto da due dipoli con i poli eteronomi affacciati; e) campo magnetico
di un magnete a ferro di cavallo; d) campo magnetico di una sbarretta magnetizzata; e) campo magnetico di due
dipoli magnetici paralleli; f) campo magnetico in prossimità di un polo.
Le proprietà magnetiche di una corrente furono messe in evidenza per la prima volta nel 1820 dal fisico danese Hans
Christian Oersted (1771-1851). L'equivalenza degli effetti magnetici dei poli magnetici e delle correnti elettriche fu
stabilità sempre nel 1820 dal fisico francese Andre Marie Ampère (1775-1836) con il suo celebre principio di
equivalenza.
BANCO AMPÈRE
Ing. G. Santarelli - Firenze
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1895 circa dimensioni: 18x38x41.
Commentando il lavoro di Ampère del 1826: "Memoire sur la theorie mathematique de phénomènes
èlectrodynamiques uniquement deduite de l'expérience", James Clark Maxwell, mezzo secolo dopo, lo giudicò "one of
the most brillant achievements in science". In effetti le ricerche di Ampère sull'elettrodinamica hanno completato ed
ampliato in modo cospicuo quelle di altri celebri fisici e fisici-matematici: Oersted, Biot, Savart, Laplace.
Il banco di Ampère permette di eseguire una serie di esperimenti che mostrano gli effetti ponderomotrici delle correnti
nei conduttori, il principio di equivalenza tra magneti e spire di corrente, le azioni mutue tra correnti e magneti
permanenti. Il banco di Ampère della ditta Santarelli risale alla fine dell'800. Esso è identico a quello descritto nel
testo di Weinhold di cui alla bibliografia. Sulla base di mogano con viti di livello sono fissate due colonne per reggere
l'una i circuiti fissi e l'altra i circuiti mobili, più un commutatore-invertitore di corrente con manopola di ebanite. I
circuiti mobili erano tutti di alluminio con punte di platino per il contatto nel mercurio. Degli accessori restano il telaio
astatico, le due vaschette per il mercurio (una con divisione trasversale ed una con due pozzetti anulari ed un circuito
mobile ad arco semplice. Mancano invece il circuito fisso a semicerchio, il solenoide fisso da disporsi sulla vaschetta
del mercurio ed il solenoide mobile.
E44 - PROPRIETÀ ELETTRODINAMICHE DI CORRENTI E MAGNETI
Ing. G. Santarelli - Firenze
1900 circa dimensioni: 14x22x32
Lo strumento serve per riprodurre le tre esperienze fondamentali delle azioni reciproche tra correnti e magneti:
rotazione di un magnete verticale intorno al proprio asse, sotto l'azione di una corrente laterale; rotazione di un
circuito percorso da corrente intorno ad un magnete fisso; rotazione di un magnete intorno ad una corrente.
E45 - CASSETTA DI RESISTENZE
Ing. G. Santarelli, Firenze
fine '800 dimensioni: 22x17x12.
Si tratta di una cassetta di legno, nel cui interno si trovano delle bobine di manganine di resistenza fissata, avvolte in
modo tale da eliminare gli effetti induttivi.
I valori di tali resistenze si leggono sul coperchio della scatola. Le estremità delle bobine sono collegate superiormente
a dei conduttori di ottone corti e spessi, di resistenza praticamente trascurabile, isolati tra di loro e situati sul
coperchio della cassetta.
Inserendo le chiavette (o cavicchi) si collegano tra di loro i grossi conduttori, escludendo in tal modo le resistenze.
Viceversa se si toglie una chiavetta si inserisce nel circuito la resistenza della bobina sottostante.
Togliendo un certo numero di chiavette, si inserisce nel circuito una resistenza uguale alla somma dei valori delle
singole resistenze.
E46 - RECORDO
primi del '900 dimensioni: 13x7x7.
Il recordo consiste in un filo metallico sottile, calibro il più possibile, di lega metallica preferibilmente di manganina
(rame al 12% di manganese ed oltre il 40% di nickel), per il piccolissimo coefficiente di temperatura di questo
materiale. Un serrafilo è unito ad un capo del filo, l'altro è attaccato ad un contatto scorrevole lungo il filo. Il filo è
disteso sopra una tavoletta di legno al di sopra di un scala con divisioni in mm.
La resistenza del tratto x di filo compresa tra i due serrafili si ottiene moltiplicando la resistenza totale del filo per il
rapporto x/1 dove 1 è la lunghezza del filo.
E47 - RESISTENZA A CURSORE OFFICINE GALILEO - FIRENZE
1920 circa dimensioni: 30x9x10.
Le cassette di resistenza permettono di inserire in un circuito resistenze determinate e misurate.
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Volendo invece inserire in un circuito delle resistenze, senza conoscere esattamente il loro valore, si possono usare i
cosiddetti “reostati”.
Esso è formato da un filo nudo di metallo o lega metallica per esempio costantana, avvolto generalmente su un pezzo
di ardesia e sul quale viene a premere il cursore S, scorrevole lungo la sbarra a.
Il filo è unito col morsetto k1 il cursore, mediante la sbarra, col morsetto k2.
Facendo scorrere S da k1 a k2 si inserisce nel circuito un tratto sempre più lungo di filo e quindi una resistenza
elettrica sempre più grande.
E48 - LAMPADA A FILAMENTO DI METALLO
primi del '900 diametro del globo: ø 5
Nelle lampade ad incandescenza la luce è prodotta da un filo conduttore, reso incandescente dalla corrente elettrica.
Occorre naturalmente un filamento che resista alle più alte temperature.
Edison, inventore di queste lampade, fece uso di un filamento di carbone, che ricavava dalla carbonizzazione delle
fibre di bambù.
In seguito il filamento si fabbricava meglio con una pasta di celluloide, trafilata in forma di filo sottile, e carbonizzata
in assenza di aria.
Il filamento di carbone, ricurvo a spirale, era racchiuso in un globetto di vetro in cui si faceva il vuoto spinto, sia per
impedire al carbone di bruciare, sia per evitare la perdita di calore per conduzione da parte del gas.
I due capi del filo erano attaccati a due fili di platino, saldati nel vetro e collegati uno con una ghiera a vite, da
avvitare nel portalampada, l'altra con un dischetto centrale, isolato dalla ghiera.
Con il tempo il carbone si volatilizzava, annerendo il vetro, finché si rompeva.
In media una lampada di carbone non durava più di 600 ore.
Una lampada ad incandescenza di 16 candele richiedeva per il suo funzionamento circa 0,5 ampere con una differenza
di potenziale di 100 volt. La potenza consumata era quindi di 50 watt e la resistenza interna 200 ohm.
Essa consumava perciò circa 3 watt a candela.
Lampade ad incandescenza molto più pratiche ed economiche si sono ottenute agli inizi del XX secolo utilizzando dei
filamenti metallici.
Poiché quest'ultimi hanno temperatura di fusione più elevata di quella del carbone, il rapporto tra la radiazione
emessa sotto forma di luce ed il calore raggiante totale è maggiore per i filamenti metallici che per il carbone.
Nei primi anni del Novecento le ditte specializzate riuscirono a produrre lampade a filamento metallico che
consumavano non più di mezzo watt per candela, aumentando contemporaneamente la durata media delle lampade.
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La società Auer mise in commercio per prima la lampadina Osram, seguita dalla Siemens- Schuckert con la lampadina
Wotam e dalla A.E.G. con la Metalum.
GALVANOMETRO,
AMPEROMETRI E VOLTMETRI
I GALVANOMETRI
Si usa il termine "galvanometro" per indicare uno strumento atto a misurare le correnti elettriche.
Agli inizi dell'800 con tale parola si indicavano gli elettrometri più sensibili.
I primi galvanoscopi (cioè strumenti che consentono di rivelare con l'aiuto di un ago magnetico la presenza di una
corrente elettrica) sono associati (1820-1821) ai nomi di Johann Solo uno Christoph Schweigger (1779-1857),
professore di chimica presso l'Università di Halle, Johann Christian Poggendorff (1796-1877), allora studente presso
l'Università di Berlino e James Cunnings (1777-1861), professore di chimica all'Università di Cambridge.
Per annullare la perturbazione del campo magnetico terrestre Andre Marie Ampère (1775-1836), professore di fisica a
Parigi, propose fin dal 1821 il sistema astatico formato da due aghi di bussola paralleli ma con i poli in direzioni
opposte, attaccati ad un filo di ottone.
Anche il fisico torinese Antonio Maria Vassalli-Eandi (1761-1825) studiò la disposizione astatica.
Nel 1822 Amedeo Avogadro (1776-1856), professore di fisica sublime (fisica-matematica) all'università di Torino,
realizzò il suo "voltimetro moltiplicatore".
Il primo sistema asiatico con sistema di sospensione dell'equipaggio mobile fu presentato da Leopoldo Nobili (17841835), celebre fisico emiliano, alla Società Italiana delle Scienze di Modena nel 1825.
Per lungo tempo il galvanometro di Nobili, in varie forme e con diverse modifiche, fu lo strumento ideale per eseguire
misure di correnti elettriche.
Galvanometri molto sensibili furono costruiti in seguito da Claude Servais Mathias Pouìllet (1790-1868), Gustav
Wiedemann (1826-1899) e specialmente da William Thomson (Lord Kelvin) (1824-1907).
Nel 1882 Marcel Deprez (1843-1918) e Arsene d'Arsonval (1851-1940) realizzarono il primo galvanometro a bobina
mobile.
I galvanometri del tipo di Deprez-d'Arsonval, nelle versioni di Siemens, Carpentier e Weston, furono in pratica i soli
utilizzati a partire dalla fine dell'ottocento.
E49 - GALVANOMETRO ASIATICO TIPO NOBILI
1890 circa dimensioni: ø 22, h 29.
Il galvanometro presentato da Leopoldo Nobili il 13 maggio 1825 alla Società Italiana delle Scienze di Modena aveva
l'originale sistema astatico ed un sistema di sospensione simile a quello della bilancia di Coulomb.
Successivamente, nel 1828, il Nobili, ideò, sulla base degli stessi principi, uno strumento da laboratorio assai pratico e
maneggevole, la cui forma restò praticamente inalterata anche quando nei decenni successivi i costruttori di strumenti
scientifici lo commercializzarono.
Galvanometri astatici tipo Nobili furono prodotti, tra gli altri, dall'atelier di Ruhmkorff a Parigi, dal Salleron, dal
Carpentier e, tra gli italiani, dal Tecnomasio Italiano e dalle Officine Galileo.
Con questo sensibile strumento Nobili riuscì a mettere in evidenza le correnti bioelettriche.
Nobili e Melloni lo utilizzarono anche per esperimenti sul calore raggiante misurando le correnti della pila
termoelettrica (termomoltiplicare di Nobili e Melloni).
Nel caso presente il galvanometro è formato da una base circolare in ottone con tre viti di livello, una bobina di filo di
rame sottile, isolato con filo di seta, un disco graduato orizzontale di ottone argentato, con una fessura centrale
parallela ai piani che contengono le spire della bobina, ed un telaio rigido di aghi astatici sospeso verticalmente,
mediante un filo di seta, al centro dell'apparecchio.
Sul telaio c'è uno specchietto il cui piano è perpendicolare al piano degli aghi.
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L'ago inferiore penetra, attraverso la fessura, all'interno della bobina, risentendo dell'azione del campo magnetico
creato dalla corrente che scorre nella bobina. La rotazione degli aghi si legge sopra il disco graduato da 0° a 90° su
due quadranti adiacenti, aventi lo zero comune allineato con la fessura.
Il disco e la bobina si possono ruotare mediante una vite d'ottone che esce orizzontalmente dalla base
dell'apparecchio; il telaio astatico viene alzato ed abbassato lungo il filo di sospensione grazie ad una vite posta alla
sommità dello strumento. Il galvanometro è racchiuso in una campana cilindrica di vetro, ornata superiormente da un
anello di ottone.
Su di essa, all'altezza della scala si trovano due finestre, perpendicolari tra loro, per le osservazioni col cannocchiale.
Nei galvanometri che si costruivano a Firenze sotto la direzione del Nobili il filo di rame inargentato per misurare le
correnti termoelettriche faceva 120 giri intorno al telaio su cui era avvolto ed aveva una lunghezza di circa 12-13
metri ed un diametro di 0,5 mm; quello per le correnti idroelettriche (della pila voltiana) faceva 500 e più giri, con il
diametro di 0.25 mm e la lunghezza di 66-67 m.
E50 - GALVANOMETRO A QUADRO MOBILE DI HOLDEN-D'ARSONVAL
Ing. G. Santarelli - Firenze
1901 dimensioni: ø 22, h 30.
Si tratta di un galvanometro del costruttore fiorentino Giorgio Santarelli (numero di serie 1652), probabilmente
importato dall'estero.
E del tipo a bobina mobile e ricorda, per la disposizione dei magneti, i galvanometri di Ayrton e Mather, anche se
l'equipaggio mobile è quello classico di Deprez-d'Arsonval'.
Nel galvanometro Santarelli tre viti di livello sorreggono la base circolare di ebanite.
La colonna centrale sorregge l'equipaggio mobile formato da un telaietto sospeso con filo di bronzo fosforoso.
Il campo magnetico è realizzato con quattro magneti a forma di toro, a sezione rettangolare, sovrapposti e collegati
con tre colonnine di ottone verticali.
La forma cilindrica del traferro è ottenuto con due sagomature di ferro poste sulle espansioni polari dei magneti.
Lo strumento è coperto da una corazza di ottone cilindrica il cui scopo è quello di proteggere il sistema sospeso
principalmente degli effetti di campi elettrici esterni variabili.
Sulla corazza, all'altezza dello specchietto, si trovano due finestre circolari di vetro a 90° tra di loro.
E51 - RADIOMICROMETRO TERMOELETTRICO HI DUDDEL E BOYS
1908 dimensioni: 20x21x36.
E un galvanometro del genere d'Arsonval, a bobina mobile in campo magnetico fisso.
La parte mobile è costituita da una semplice spira bimetallica formata dalla coppia bismuto-antimonio terminata
inferiormente a forma lamellare.
Il tutto è sospeso a una fibra di quarzo che esercita un momento di forza antagonista con la sua torsione.
Un piccolo specchio solidale con il telaietto mobile serve per le letture a riflessione.
Dirigendo un fascio di radiazione calorica sopra il punto di giunzione del bismuto con l'antimonio, si genera nel circuito
per effetto termoelettrico una corrente che fa deviare il sistema mobile.
L'apparecchio riunisce così in sé la pila termoelettrica ed il galvanometro.
Esso può misurare correnti fino a pochi microampère.
Il presente strumento è un radiomicrometro termoelettrico di Boys, nel quale il riscaldamento della giunzione viene
eseguito con la radiazione calorifica passante attraverso il tubo direzionale orizzontale.
Lo strumento funziona da galvanometro (di Duddel) se sotto alla giunzione viene fatto passare il filo conduttore che
porta la corrente continua od alternata da misurare.
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In tal caso il riscaldamento della giunzione avviene per effetto Joule.
E52 - AMPEROMETRO DI KOHLRAUSCH
Hartmann & Braun - Frankfurt am Mein
1898 dimensioni: 28x19x33.
In questo strumento, ideato da F. Kolhrausch e costruito dalla casa Hartmann & Braun (numero di serie 47643), una
molla ad elica di acciaio brunito sostiene un nucleo di ferro dolce che comunica ogni suo spostamento verticale ad un
lungo indice mobile su una doppia scala: quella superiore va da O a 2 ampère, quella inferiore da O a 10 ampère.
Il nucleo è sospeso lungo l'asse di un rocchetto (spule) di molte spire e di resistenza elettrica di 0.97 ohm il quale,
quando è attraversato dalla corrente, genera il campo magnetico. Il nucleo sarà quindi succhiato all'interno del
rocchetto e l'entità dello spostamento si potrà mettere in relazione con l'intensità della corrente. L'avvolgimento del
rocchetto termina ai morsetti fissati alla base. Uno dei morsetti si può connettere con una resistenza di shunt
(nebenschluss) di 0.242 ohm, formata da un grosso filo di argentana, posta in parallelo al circuito del rocchetto.
Escludendo lo shunt la corrente circola solo nel circuito del rocchetto ed allora si legge sulla scala superiore. Quando è
inclusa la resistenza di shunt il valore della corrente che attraversa complessivamente lo strumento si legge sulla
scala inferiore.
E53 - VOLTMETRO DI KOHLRAUSCH
Hartmann & Braun - Frankfurt am Mein
1898 dimensioni: 28x19x33.
Questo strumento, costruito dalla casa Hartmann & Braun (numero di serie 47633) è simile al precedente, differendo
soltanto per l'avvolgimento del rocchetto (spule) e per i valori delle resistenze elettriche.
Il rocchetto ha la resistenza di 9.36 O.
Esso termina a due morsetti di cui uno si può connettere con una resistenza in serie in modo che la resistenza totale
(Gesammtwiederstand) risulta uguale a 93.6 Sì.
Escludendo la resistenza in serie la corrente circola solo nel rocchetto e la tensione si legge sulla scala superiore (0-3
volt).
Quando è inclusa la resistenza in serie la tensione si legge sulla scala inferiore (0-30 volt).
E54 - STRUMENTO DI MISURA UNIVERSALE APERIODICO A BOBINA MOBILE OFFICINE GALILEO - FIRENZE
1926 dimensioni: 39x23x39.
Lo strumento compare già nei cataloghi delle Officine Galileo del 1911.
Esso è del tipo a bobina mobile. La graduazione è sul piano verticale. Per mezzo di vari serrafili, disposti sul davanti,
lo stesso apparecchio può servire:
come millivoltmetro o galvanometro molto sensibile (200-0-200 millivolt, e 2-0-2 milliampère);
come amperometro a lettura diretta (1 ampère per divisione, 10-0-10 ampère);
come voltmetro a lettura diretta (5 volt per divisione, 50-0-50 volt).
Il magnete a ferro di cavallo M, disposto verticalmente, è fornito di espansioni polari P di ferro che comprendono nella
loro cavità il circuito mobile.
Il rocchetto di filo S ruota attorno al nucleo cilindrico di ferro fisso E.
Il rocchetto è unito alle molle visibili nella parte anteriore ed è attraversato dalla corrente che gli giunge per mezzo
dei fili L.
Al rocchetto girevole è attaccato un indice che si sposta in fronte alla scala graduata.
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E55 - VOLTMETRO A FERRO DOLCE
Max Kohl - Chemnitz
1900 circa diametro della scatola: ø 14.
Gli amperometri e voltmetri usati per scopi tecnici si basano sulla rotazione che subiscono piccole masse di ferro in un
rocchetto percorso dalla corrente.
Tali strumenti vengono chiamati genericamente elettromagnetici.
Nell'interno del rocchetto a è fissato un pezzo di ferro e foggiato a segmento di mantello cilindrico, che viene
magnetizzato dalla corrente.
In vicinanza e concentricamente ad esso vi è un altro ferro b che gira attorno all'asse d appena viene respinto dal
pezzo fisso e.
Al ferro mobile è applicata una lancetta f ed uno stantuffo smorzatore e.
La lancetta ruota sopra una scala graduata.
Nel presente caso la corrente che scorre all'interno del rocchetto è in derivazione e quindi si tratta di un voltmetro.
E56 - MILLIAMPEROMETRO DI PRECISIONE
G. Santarelli - Firenze
1900 circa diametro della scatola: ø 22.
L'apparecchio ha fondo scala di 5 milliampere e divisioni di 0.1 milliampère.
Fra i poli N ed S di due potenti calamite piegate a C, si trova un rocchetto RR di poche spire, disposto obliquamente
sulla linea dei poli.
Entro ad esso è imperniato un corto ago di ferro dolce a, a cui è unito un indice mobile sopra una scala graduata.
Quando la corrente percorre il rocchetto, l'ago, che i magneti tendono a mantenere parallelamente alla linea NS, viene
sollecitato dalla corrente a disporsi secondo l'asse del rocchetto RR.
Esso quindi prenderà una posizione tale per cui le due azioni si compensano, e per ogni valore dell'intensità di
corrente si ha una determinata posizione.
Le oscillazioni sono prontamente smorzate.
Occorre usare la precauzione di non sottoporre l'apparecchio a correnti intense.
O. Murani, "Trattato elementare di fisica", voi. 2, U. Hoepli, Milano, 1924, pp. 622-623.
E57 - AMPEROMETRO PER MISURARE LA CORRENTE DI UNA LAMPADINA
Max Kohl-Chemmitz
1900 circa diametro: ø 6
Dal riscaldamento di un conduttore e di conseguenza dalla sua dilatazione si può dedurre l'intensità della corrente che
Io attraversa. Si tratta in questo caso di amperometri (o di voltmetri) termici, per la misura in particolare di correnti
alternate delle quali essi danno i valori efficaci dell'intensità (o della forza elettromotrice). Negli strumenti industriali,
come questo amperometro, le indicazioni sono fornite da un indice mosso dalla dilatazione di un filo metallico molto
sottile, affinché le indicazioni siano rapide. Il filo, non potendo condurre che debolissime correnti, è messo in
derivazione su un conduttore r di opportuna resistenza (shunt) se lo strumento deve servire come amperometro, o in
serie con una grande resistenza R se deve servire come voltmetro.
E58 - CONTATORE IN SCATOLA CILINDRICA AEG
primi del '900 diametro della scatola: ø 18.
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Il primo vero e proprio contatore di energia, funzionante sia per corrente continua che per alternata, fu sviluppato nel
1889 da Elihu Thomson, fondatore della Thomson-IIouston Electric Company, che più tardi si fuse con la Edison
General Electric formando la General Electric Company.
Il contatore di Thomson è costruito secondo il principio dei motori elettrici, colla differenza che non contiene ferro.
Quando l'apparecchio viene attraversato dalla corrente, l'indotto è posto in rotazione.
Al suo asse è fissata un'impanatura che entra tra i denti di una cremagliera, per farla ruotare. Il numero dei giri viene
rivelato da appositi indici.
Tale numero è proporzionale ai Watt-ore consumati cioè all'energia elettrica che è stata utilizzata.
La Allgemeìne Elektrizitats Gesellschaft, più nota come A E G fu fondata nel 1882 da Emil Rathenau (1838-1915),
ingegnere tedesco nato a Berlino, considerato uno dei pionieri dell'industria tedesca.
La ditta già alla fine del secolo contava più di 18.000 dipendenti.
Attualmente conta oltre 50.000 dipendenti.
E59 - AMPEROMETRO IN SCATOLA CILINDRICA
Siemens &c Halske-Berlin
1930 circa diametro della scatola: ø 22
Si tratta di uno strumento a bobina mobile, fondato cioè sulla deviazione di un rocchetto in un forte campo magnetico.
All'interno della cassetta cilindrica di metallo una sbarra di acciaio piatto, fortemente magnetizzata, è piegata in modo
che i due poli vengano a trovarsi di fronte. Essi terminano con due massicce espansioni tagliate in modo da lasciare
libero uno spazio cilindrico per il rocchetto mobile. Quest'ultimo, di filo sottile avvolto su un telaio di metallo, con
all'interno un cilindretto cavo di ferro, porta sull'asse un indice che si muove su una scala graduata. Una molla di
richiamo a spirale fa equilibrio alle forze elettriche. Lo strumento misura correnti continue (50 ampère di fondo scala).
E60 - VOLTMETRO IN SCATOLA CILINDRICA
Siemens & Halske-Berlin
1930 circa diametro della scatola: ø 22.
Si tratta di uno strumento simile al precedente. Esso misura tensioni costanti (80 volt di fondo scala).
COMMUTATORI,
INTERRUTTORI
I dispositivi utilizzati in un circuito elettrico per dare alla corrente una via diversa da quella che percorreva prima
prendono il nome di commutatori.
Quando servono semplicemente per chiudere o interrompere un circuito si chiamano interruttori.
Ne esistono di svariati tipi.
Esempi di commutatori si trovano nelle macchine magneto-elettriche per trasformare in modo meccanico (per
rotazione) la corrente alternata in corrente continua.
Esempi di interruttori si trovano nei rocchetti di induzione.
Il gabinetto di fisica dell'Istituto Calasanzio possiede molti di questi dispositivi.
Tra i commutatori appartenenti ad apparecchiature più complesse conviene ricordare il commutatore "svizzero" (fig.
77) delle due stazioni telegrafiche Morse
E86 A) ED E86 B).
Esso è costituito da spranghette incastrate parallelamente tra loro sulle due facce di una tavoletta graduata, però da
una parte secondo un senso e dall'altra in senso perpendicolare al primo. Nei loro incrociamenti sono praticati dei fori,
nei quali si possono inserire delle spine,o cavicchi, e stabilire la comunicazione tra le piastrine superiori e quelle
inferiori.
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Tra gli interruttori è opportuno menzionare il relais dell'apparecchio ricevente di Marconi (si veda Elio). Secondo la
prima idea di Wheatstone (1837) il relais, o soccorritore, aveva lo scopo di chiudere il circuito di una pila locale per
ottenere correnti più intense di quelle che si possono avere all'estremità di una linea telegrafica.
Oltre a questi dispositivi ne esistono numerosi altri da utilizzare separatamente per le differenti esperienze di
laboratorio.
A. Wilke, S. Pagliani, "L'elettricità, sua produzione e sue applicazioni", UTET, Torino, 1898, p. 74, 254, 466, 1240,
1431, 252, 462, 472, 1175, 1173, 1178, 1233.
E61 - COMMUTATORE A BASCULA DI POHL
fine '800 dimensioni: ø 12, h 17.
Il dispositivo è sostenuto da una base di ceramica.
Su uno spesso disco isolante sono praticati sei pozzetti dai quali escono i contatti elettrici per i rami del circuito.
I pozzetti vengono riempiti di mercurio e, tramite un sistema a bascula, i grossi conduttori di rame assumono le due
posizioni per commutare la corrente.
Lo strumento può essere utilizzato come invertitore di corrente.
E62 - COMMUTATORE DI BERTIN
fine '800 dimensioni: 12x12x5.
Del commutatore di Bertin esistono diverse versioni.
La presente è una delle più frequentemente usate.
All'interno di una barra di rame piegata a ferro di cavallo si trova una corta barretta di rame.
Esse sono poste orizzontalmente sopra un disco isolante girevole in due sensi per mezzo di una impugnatura di legno.
In tal modo le due barrette vengono portate alternativamente a contatto con due conduttori fissi ai quali fanno capo
gli estremi del circuito elettrico di uscita.
Il disco isolante ed i conduttori fissi sono montati su una tavoletta di legno.
E63 - INTERRUTTORE A COLTELLO
fine '800 dimensioni: 6x11x27.
L'interruttore, su base di ardesia, viene fissato ad un tavolo per mezzo di una vite di pressione - Portata: 250 volt, 40
ampère.
E64 - INTERRUTTORE A CAVICCHI
fine '800 dimensioni: 15x8x17.
Lo strumento, su base di ebanite, ha un sistema di fissaggio con vite di pressione. I cavicchi, opportunamente
posizionati, fanno funzionare il dispositivo anche come commutatore.
E65 - PACHITROPO
fine '800 dimensioni: 60x10x14.
Il pachitropo è costituito da un cilindro di legno sul quale sono riportate delle lamine orizzontali conduttrici con bottoni
di contatto platinati.
Ruotando il cilindro si possono collegare, a seconda della necessità, in serie od in parallelo, ed in numero differente,
gruppi di pile o di accumulatori, bobine di galvanometri, bobine d'induzione, etc.
E66 - INTERRUTTORI A PULSANTE E A CAVICCHI
Ing. G. Santarelli-Firenze
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1931 dimensioni: 23x9x10.
Lo strumento porta una targhetta con la data di donazione 1930-31, anche se ovviamente la firma G. Santarelli risale
ai primissimi anni del '900.
Su una base di bachelite sono riportati due interruttori-commutatori a pulsante ed a cavicchi.
INDUZIONE
ELETTROMAGNETICA
E67 - DOPPIA BOBINA CON NUCLEO DI FERRO
primi del '900 dimensioni: ø 8, h 33.
Il sistema comprende due rocchetti di legno, uno a molti strati di filo sottile, l'altro con filo più spesso.
All'interno di quest'ultimo è posto un nucleo di fili di ferro dolce provvisto di manico.
Complessivamente i tre pezzi vengono a costituire un rocchetto di induzione che si può completare con l'aggiunta di
un interruttore.
Collegando, attraverso gli appositi serrafili di ottone, il rocchetto esterno con una batteria di forza elettromotrice e
quello interno con un galvanometro si possono eseguire le classiche esperienze di Faraday sull'induzione
elettromagnetica.
I rocchetti servono anche per lo studio delle proprietà magnetiche.
Complessivamente i tre pezzi vengono a costituire un rocchetto di induzione che si può completare con l'aggiunta di
un interruttore.
Collegando, attraverso gli appositi serrafili di ottone, il rocchetto esterno con una batteria di forza elettromotrice e
quello interno con un galvanometro si possono eseguire le classiche esperienze di Faraday sull'induzione
elettromagnetica.
I rocchetti servono anche per lo studio delle proprietà magnetiche dei solenoidi, per magnetizzare aghi e sbarrette di
acciaio e per mettere in evidenza il potere succhiante dei solenoidi.
E68 - PICCOLO TRASFORMATORE (DI TESLA)
1920 circa dimensioni: 14x14x18.
Effetti vistosi dell'induzione elettromagnetica si osservano con il trasformatore. Si tratta essenzialmente di un
apparecchio costituito da due circuiti formati di numeri di spire molto diversi ed accoppiati in modo che il flusso
magnetico del primo circuito attraversi il secondo. Nel caso che non ci sia dispersione del flusso magnetico né
dissipazione di energia sotto forma termica si può verificare che il rapporto delle forze elettromotrici ai capi dei due
circuiti, V1 e V2, è uguale a quello del numero n, delle spire del primario ed n, del secondario, cioè V1/V2 = n1 n2. Di
solito il circuito magnetico del trasformatore è realizzato con un nucleo di fili o lamine di ferro verniciati per impedire il
passaggio delle correnti di Focault.
Nel caso presente si tratta di un trasformatore per le esperienze di Tesla ad alta frequenza, come verrà mostrato più
in dettaglio in seguito. Lo strumento è costituito da una tavoletta di legno sulla quale sono disposti verticalmente,
l'uno interno all'altro, due circuiti di forma cilindrica, con numeri di spire assai diversi. L'isolamento tra i due circuiti è
ad aria.
E69 - BOBINA D'INDUZIONE CON INTERRUTTORE A RUOTA DENTATA
fine '800 dimensioni: 12x11x10.
L'apparecchio è formato da due rocchetti di molte spine di filo sottile posti in serie sopra una tavoletta di legno.
Il sistema viene alimentato da un generatore di forza elettromotrice continua.
Nel circuito è inserito un. interruttore a ruota dentata verticale che viene messo in rotazione con una piccola
manopola di avvio.
Interrompendo periodicamente la corrente nel circuito nascono delle forze elettromotrici di autoinduzione che danno
luogo alle cosiddette "extracorrenti".
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Gli effetti di queste forze elettromotrici indotte sono tanto maggiori quanto più rapidamente viene interrotta la
corrente nel circuito.
Mettendo due elettrodi a manopola ai capi delle bobine si avvertono nettamente le scosse faradaiche.
E70 - BOBINA PER LA ROTAZIONE NEL CAMPO MAGNETICO TERRESTRE
fine '800 dimensioni: ø 20.
L'apparecchio è un telaio circolare di legno di circa 20 cm di diametro con molte spire di filo di rame. I due capi della
bobina comunicano ad un collettore ad anelli. Il telaio viene applicato ad un apparecchio di rotazione. A causa della
rotazione varia il flusso del campo magnetico terrestre attraverso la bobina e quindi nasce una forza elettromotrice
indotta ai suoi capi. Il funzionamento dell'apparecchio prevede due contatti elettrici da appoggiare al collettore per
ricevere la corrente alternata. Un apparecchio più elaborato, il cerchio di Palmieri, prevede che il telaio possa ruotare
attorno a due assi perpendicolari. In particolare disponendo con la prima rotazione il piano del telaio parallelamente
alle linee del campo magnetico terrestre, la seconda rotazione attorno ad un opportuno asse perpendicolare non
produce né variazioni di flusso né, quindi, correnti indotte.
E71 - ROCCHETTO DI INDUZIONE
1899 dimensioni: 60x30x44.
Il rocchetto di induzione, o rocchetto di Ruhmkorff, è essenzialmente un trasformatore ad alto rapporto di
trasformazione. I due avvolgimenti, primario e secondario, abbracciano concentricamente un nucleo di ferro dolce,
costituito da un fascio di fili isolati tra di loro allo scopo di limitare le correnti di Focault. Nel circuito primario
l'interruttore è costituito da un grosso conduttore metallico (attualmente mancante) che pesca in una vaschetta
contenente mercurio. L'altezza della vaschetta viene regolata da una grossa vite micrometrica. Durante il passaggio
della corrente, il nucleo si magnetizza attirando la lamina di ferro che trascina il conduttore fuori dal mercurio. In tale
modo la corrente si interrompe, il nucleo si smagnetizza, la lamina ritorna nella posizione iniziale ed il conduttore
torna a pescare nel mercurio stabilendo nuovamente il contatto elettrico. II primario viene collegato ad un generatore
di forza elettromotrice (una serie di pile od una macchina elettrostatica). Il passaggio di corrente viene comandato da
un interruttore (di Ruhmkorff) consistente in un cilindretto di materiale isolante ricoperto da due placche di rame, il
quale per rotazione le pone in contatto elettrico con due linguette metalliche collegate ai due serrafili. L'avvolgimento
secondario, aperto, termina superiormente con due elettrodi, o poli del rocchetto, la cui distanza può essere variata a
piacere e tra i quali durante il funzionamento si sviluppa la scarica elettrica. Il sistema è posto su un'ampia base di
legno. Didatticamente il rocchetto di Ruhmkorff offre una delle più vistose dimostrazioni della legge dell'induzione
elettromagnetica.
E72 - RIVELATORE MAGNETICO DI ONDE
Dall'Eco, Ing. G. Santarelli
1907 dimensioni: 30x20x28.
Il rivelatore magnetico di onde è stato utilizzato da Marconi nel 1902 al posto del coherer per mettere in evidenza le
onde hertziane.
Esso si basa sul fatto sperimentale che l'isteresi magnetica del ferro diminuisce bruscamente quando il ferro è sottoposto all'azione di correnti alternate di alta frequenza.
Se un fascio di fili di ferro si trova in un campo magnetico variabile periodicamente, in modo da percorrere lentamente
un ciclo di isteresi, e se facciamo agire sul fascio una corrente ad alta frequenza generata da onde elettromagnetiche,
il campo magnetico del ferro varierà rapidamente.
Tale variazione può essere rivelata mediante il fenomeno dell'induzione elettromagnetica utilizzando una bobina
collegata ad un telefono.
Nella configurazione datagli da Tissot il rivelatore magnetico consiste di un fascio di fili di ferro attorno ai quali è
avvolto un avvolgimento lungo e stretto, come il primario di un rocchetto di Ruhmkorff.
Gli estremi dell'avvolgimento sono collegati da una parte con l'antenna che riceve le onde, dall'altro con la terra.
Sopra questo avvolgimento se ne trova un altro, ben isolato dal primo, di lunghezza minore e di filo più sottile.
Esso è collegato ad un apparecchio telefonico. Il campo magnetico lentamente variabile è prodotto da un magnete a
forma di ferro di cavallo che ruota attorno ad un asse verticale.
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Lo strumento dell'Istituto Calasanzio poggia su una base rettangolare di legno.
Il magnete permanente a ferro di cavallo viene posto in rotazione manualmente tramite un grosso volano orizzontale
collegato al magnete.
Le due bobine (mancanti nell'apparecchio), avvolte sopra un nucleo di ferro, erano sorrette, sopra ai poli del magnete,
da un sostegno a mollette di ottone e venivano collegate ai quattro serrafili.
E73 - MACCHINA DI CLARKE
fine '800 dimensioni: 22x9x14.
La macchina magneto elettrica progettata dal costruttore inglese Edward Montagne Clarke verso il 1835 segue
storicamente quella di Hyppolite Pìxii (1832) e quella dell'inglese Saxton (1833).
In realtà tra Clarke e Saxton vi fu un'accanita discussione per la priorità dell'invenzione.
Lo strumento è formato da un magnete permanente orizzontale curvato a ferro di cavallo tra i cui poli ruotano
verticalmente due bobine.
La rotazione è assicurata da una ruota provvista di manovella che, con una cinghia di trasmissione, trasmette il
movimento alle due bobine.
Quando una bobina passa sopra un polo magnetico si sviluppa in essa una forza elettromotrice secondo la legge
dell'induzione elettromagnetica.
Ovviamente, continuando la rotazione, la forza elettromotrice cambia di segno quando la bobina passa sopra il polo
magnetico di opposta polarità.
In ogni caso gli avvolgimenti nelle due bobine sono realizzati in modo che gli effetti si sommano.
Ogni mezzo giro compiuto dai rocchetti si inverte il senso della tensione.
Si tratta quindi di una macchina che da luogo a forze elettromotrici alternate.
Tali forze elettromotrici possono essere facilmente rese dello stesso segno utilizzando un commutatore simile a quello
della macchina di Pixii.
E74 - PENDOLO DI WALTENHOFEN
prob. Officine Galileo-Firenze
1910 circa dimensioni: 23x14x40.
Il pendolo di Waltenhofen è il più semplice degli apparecchi che servono a evidenziare le correnti di Focault nelle
masse metalliche che si spostano in un campo magnetico. Un disco di alluminio (probabilmente non originale),
sospeso tra le espansioni polari di un'elettrocalamita, può oscillare liberamente e a lungo in assenza di campo
magnetico. Se si eccita l'elettrocalamita il disco si arresta bruscamente come se incontrasse un forte attrito
nell'attraversare il campo magnetico. Tutto questo non avviene se si sostituisce un disco che presenta dei tagli radiali,
i quali impediscono parzialmente la formazione delle correnti indotte vorticose.
E75 - APPARECCHIO DI ELIHU THOMSON
Officine Galileo - Firenze
1930 dimensioni: ø17, h 36,
L'apparecchio serve a mostrare tra le altre cose gli effetti repulsivi esercitati sui corpi metallici che si trovano in un
forte campo magnetico prodotto da correnti alternate. Una bobina cilindrica formata da un avvolgimento di molti fili
ed un nucleo mobile di fili di ferro si trova all'interno di una base circolare sostenuta da tre colonnine metalliche.
Quando si poggiano gli anelli di rame e di alluminio sopra la base ed attorno alla bobina si osservano al passaggio
della corrente delle forti azioni meccaniche sugli anelli. Considerando l'anello come un circuito secondario accoppiato
alla bobina, in esso scorre una corrente alternata, prodotta dalla variazione temporale del flusso di induzione
concatenato. L'azione elettrodinamica è in ciascun istante proporzionale al prodotto delle intensità delle correnti del
primario e del secondario. A causa delle differenze di fase tra la corrente primaria e secondaria la forza risulta sempre
repulsiva. Si osserva perciò che gli anelli vengono sollevati ed in alcuni casi (alluminio) spinti lontano dalla bobina. Un
altro accessorio consiste in un anello vuoto di rame con una apertura tubolare. Si pone l'anello sulla base dopo averlo
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riempito d'acqua e chiusa l'apertura con un tappo. Le correnti di Foucault scaldano l'acqua fino a vaporizzarla. Il tappo
verrà proiettato lontano mentre un getto di vapore esce dall'apertura. Infine una bobina con lampada ad
incandescenza viene posta sopra la bobina ed entro il nucleo di ferro. Quando scorre corrente nel primario, il
filamento della lampada è portato ad incandescenza per effetto delle correnti indotte nel secondario. Lo strumento in
origine aveva altri accessori.
APPLICAZIONI
TECNOLOGICHE
LE APPLICAZIONI DELL'ELETTRICITÀ ALLA TERAPEUTICA
Le prime applicazioni dell'elettricità alla terapeutica risalgono all'epoca della scoperta della bottiglia di Leyda.
Nollet (1700-1770), Bose (1710-1761) e generazioni di fisici e medici, immaginarono che le punture e le frizioni
elettriche fossero il rimedio universale di tutti i malanni anche se purtroppo i risultati non corrisposero alle speranze
degli sperimentatori.
Dopo la scoperta dell'elettricità dinamica, Galvani (1737-1798) ne propose l'applicazione alla medicina e, sebbene tra
grandi contrasti, moltissimi fisici e fisiologi preferirono l'uso delle correnti a quello dell'elettricità statica e le correnti
periodiche, o meglio interrotte, alle correnti continue.
Infine si utilizzarono nettamente le correnti di induzione rispetto a quelle delle pile.
Così si esprimeva Carlo Matteucci nelle sue lezioni di fisica: "Bisogna sempre usare da principio una corrente
debolissima.
Questa precauzione mi sembra ora più importante di quanto avrei giudicato prima che vedessi un paralitico preso da
convulsioni veramente tetaniche sotto l'azione di una corrente fornita da un solo elemento.
Abbiasi l'avvertenza di non prolungare di troppo il passaggio, soprattutto se la corrente è energica. Si applichi la
corrente interrotta piuttosto che la continua; ma, dopo venti o trenta scosse al più, si lasci all'ammalato qualche
istante di riposo."
Si immaginarono numerosi apparati per applicare alla terapeutica le correnti interrotte, ottenute dalle macchine
magneto-eletriche, o dai rocchetti di induzione o dalla stessa pila.
Fino alla fine dell'Ottocento si utilizzarono le macchine di Clarke, gli apparati elettro-voltaici del dottor Duchenne, i
rocchetti di induzione per le scosse faradaiche, le catene galvaniche di Pulvcrmacher.
I più celebri costruttori furono i francesi Dujardin e Gaiffe, i tedeschi Fuess ed Ernecke e all'inizio del Novecento
l'italiano Balzarini.
E76 - APPARECCHIO PER LE SCOSSE FARADAICHE
1880 circa dimensioni della cassetta: 18x12x12.
Si tratta di una macchinetta utilizzata comunemente nella seconda metà del secolo scorso per scopi terapeutici. Il
generatore di scosse elettriche è un piccolo rocchetto di induzione racchiuso dentro una cassetta di legno.
Il rocchetto è alimentato da un generatore di forza elettromotrice continua (la pila è mancante nello strumento) in
serie con una resistenza variabile a cursore.
Il secondario del rocchetto è collegato con due manopole di metallo tra le quali si stabiliscono le forti differenze di
potenziale indotte.
E77 - MACCHINA DI CLARKE PER USO MEDICO
A. Gaiffe - Parigi
1880 circa dimensioni della cassetta: 19x12x12.
Si tratta di una macchina magneto-elettrica di Clarke, da utilizzarsi per scopi terapeutici.
La macchina è contenuta all'interno di una cassetta di legno e viene fatta funzionare girando una manovella
dall'esterno.
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La ruota dentata ingrana sull'ingranaggio collegato con le due bobine che ruotano sopra i poli del magnete a ferro di
cavallo.
Nelle ordinarie macchine costruite per uso medico il filo avvolto su ogni rocchetto doveva essere sottile e lungo
almeno 500 e 600 metri.
Le scosse si rinnovavano ad ogni mezza rivoluzione delle bobine e la loro intensità aumentava con la velocità di
rotazione.
I due elettrodi (uno è mancante) hanno la forma di manopole, collegate alla macchina da lunghi fili di rame.
La macchina è stata realizzata dal costruttore francese Gaiffe (1832 - ?).
LA
NASCITA DELL'INDUSTRIA ELETTRICA
La fine dell'Ottocento, insieme con l'estendersi della distribuzione dell'energia elettrica, è caratterizzata dalla nascita
delle grandi industrie elettriche. Fin dal 1847 era stata fondata in Germania la ditta Siemens & Halske per la messa in
opera di linee telegrafiche.
Nel 1877 lo scozzese Alexander Graham Bell (1847-1922} costituiva la Bell Telephone Com-pany.
Nel 1879 Thomas Alva Edison (1847-1931) avviava su scala industriale la produzione e la messa in commercio delle
lampade ad incandescenza.
Nel 1878 la Casa Ganz di Budapest costituiva nel suo interno una sezione elettrotecnica e già nel 1885 i suoi ingegneri
Zipernowsky, Déry e Blàthy avevano costruito il celebre trasformatore Ganz.
Nel 1880 nasceva negli Stati Uniti la General Electric Company ed in Inghilterra la Cambridge Instrument Company ad
opera di Borace Darwin a A.G. DewSmith.
Nel 1883 Emil Rathenau fondava a Berlino la Società tedesca Edison per l'elettricità applicata da cui derivò la
Allgemeine Elektrizitàts Gesellschaft (AEG). Negli stessi anni George Westinghouse fondava a Pittsburgh la
Westinghouse Electric and Manifacturing Company.
Nel 1890 Charles Brown e Walter Boveri si associarono per costruire in Svizzera una fabbrica di generatori elettrici.
Nel 1891 l'olandese Leonard Frederik Philips (1858-1942) avviava a Eindhoven in Olanda una nuova fabbrica di
lampade ad incandescenza.
Nel 1899 negli Stati Uniti veniva fondata la fabbrica di contatori Sangarno Electric Company da parte di Robert
Lanphier a Springfield ed in Inghilterra la Leads (dal 1903 Leeds & Northanp).
In Italia il ritardo tecnologico del paese impedì l'affermarsi di una forte industria elettrica a parte alcune rare eccezioni
quali il Tecnomasio Italiano, che da fabbrica di strumenti didattici si trasformò per merito di Bartolomeo Gabella in
industria elettromeccanica, l'Ansaldo, fondata nel 1853 dal genovese Giovanni Ansaldo (1819-1859), che dal 1899 si
impegnò nello sviluppo di un'industria nazionale di macchine elettriche, la "Società Anonima per Istrumenti Elettrici",
fondata ad Ivrea nel 1896 da Camillo Olivetti (1868-1943) che nel 1904 si trasferì a Milano prendendo il nome di
C.G.S..
E78 - MOTORE ELETTROMAGNETICO DI GRÜEL
1928 dimensioni: 40x21x25.
Nel motore di Grüel un'armatura di ferro dolce sotto l'azione di un elettromagnete tende a disporsi con una delle sue
facce sopra i poli di esso e così mediante un sistema di bielle comanda la manovella di un volano.
Al momento opportuno un interruttore collocato accanto al volano interrompe la corrente nel primo elettromagnete e
la fa passare nel secondo.
L'armatura di ferro dolce, leggermente piegata ad angolo, riceve un nuovo impulso e così via.
I due elettromagneti, formati ciascuno da due bobine verticali poggiano su una larga base metallica verniciata. Il
motore di Grüel fu preceduto nel 1830 da quello di Salvatore Del Negro, professore di fisica nell'Università di Padova,
che per primo aveva costruito un motore elettromagnetico in cui si trasformava un moto oscillatorio in moto rotatorio.
Più elegante e più perfezionato del motore Grüel è quello di Page (1834) il quale invece di un elettromagnete
ordinario adoperò un solenoide succhiante.
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E79 - MOTORE ELETTROMAGNETICO DI FROMENT
fine '800 dimensioni: 19x13x16.
Nel motore elettromagnetico ideato nel 1845 da Froment una serie di sbarre di ferro dolce viene disposta sulla
periferia di un tamburo, secondo le sue generatrici.
Queste sbarre sono attratte, l'uria dopo l'altra, da più elettrocalamite fisse ed in tal modo si produce una rotazione
continua del tamburo.
Nel modello del motore di Froment, tipico dei gabinetti di fisica di fine '800, si hanno quattro elettrocalamite (doppie)
fisse ed otto sbarre di ferro dolce.
Un interruttore, calettato sull’albero della ruota lascia entrare, ad intervalli di tempo, la corrente prodotta da una
batteria di pile nelle elettrocalamite, le quali eccitate esercitano sulle sbarrette di ferro dolce una serie di impulsi da
cui risulta un movimento di rotazione continuo.
Il Froment utilizzava il motore elettromagnetico di sua invenzione per far agire, nella sua officina, una macchina a
dividere.
E80 - MODELLO DI DINAMO
primi del '900 dimensioni: 19x14x20.
Col nome di dinamo si intende una macchina che produce una corrente elettrica utilizzando i fenomeni dell'induzione
elettromagnetica.
Si distinguono le dinamo a corrente continua ed a corrente alternata, secondo che la corrente prodotta è
unidirezionale o alternata. Nel secondo caso si parla spesso di alternatori.
Nella dinamo si distingue un induttore, destinato alla produzione del campo magnetico, ed un indotto, nel quale si
origina la forza elettromotrice e quindi, se il circuito è chiuso, la corrente.
La forza elettromotrice è, di solito, alternata. Nelle dinamo a corrente continua questa viene raddrizzata solo all'uscita
della macchina.
Il modello di dinamo è di tipo bipolare, cioè il campo magnetico ha due poli e l'indotto è costituito da un tamburo
cilindrico sul quale sono avvolte otto bobine dove hanno sede le forze elettromotrici indotte durante la rotazione entro
il campo dell'induttore.
Ogni bobina ha gli estremi saldati a due piastrine di un collettore calettato sull'asse di rotazione.
Il collettore è costituto da un cilindretto formato da tanti segmenti metallici elettricamente isolati tra loro e fissati
all'albero di rotazione dell'indotto.
Due spazzole metalliche, strisciando contro i segmenti del collettore, prelevano una forza elettromotrice che, a causa
delle opportune connessioni delle bobine sui segmenti stessi, può considerarsi continua.
La prima dinamo a corrente continua con indotto ad anello fu realizzata da Antonio Pacinotti nel 1860.
La descrizione si trova nella rivista del "Nuovo Cimento", fascicolo del giugno 1864, pubblicato il 3 maggio 1865.
La macchina di Pacinotti è riportata in fig. 84.
Toccò a Teophile Granirn, meccanico nell'officina parigina di Doumulin, il merito di avere per primo applicato le idee di
Pacinotti alla costruzione di una macchina industriale.
La macchina costruita da Gramme nel 1870 fu presentata all'Accademia delle Scienze di Parigi nel 1871 dal fisico
Jamin.
E81 - MODELLO DI CAMPO MAGNETICO ROTANTE DI GALILEO FERRARIS
Ing. G. Santarelli - Firenze
1900 circa dimensioni: 44x22x23.
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Simone Testa
L'apparecchio dimostrativo (numero di serie 1212} consta di una base di legno sulla quale è fissato un avvolgimento
di filo conduttore piegato a forma di toro. Per mezzo di un commutatore doppio girevole a manovella si mettono in
comunicazione i poli di una batteria di forza elettromotrice con due punti del suddetto circuito, varianti di posizione
ma sempre diametralmente opposti tra di loro. Sulla stessa base sono collocati due rocchetti (o moltiplicatori) ad
angolo retto tra di loro, all'interno dei quali, sotto al centro comune, sta un dipolo magnetico costituito da una lamina
circolare magnetizzata, verniciata di nero e con una striscia rossa diametrale. La lamina è appoggiata, per il suo
centro, su una punta metallica ed è libera di ruotare in un piano orizzontale. I circuiti dei due rocchetti sono collegati a
quattro deviazioni, a 90° tra di loro, prese sul toro conduttore. La corrente erogata dalla pila viene inviata nei due
moltiplicatori in proporzioni diverse secondo la posizione del contatto del commutatore sul circuito toroidale. Per
esempio quando la corrente è massima in un rocchetto, è nulla nell'altro e viceversa. Così i due rocchetti generano un
campo magnetico risultante di intensità costante ma girevole sincronicamente alla manovella. Il dipolo magnetico ne
indica la direzione.
Il primo esempio di campo magnetico rotante fu costruito nel 1885 dal fisico piemontese Galileo Ferraris.
E82 - MOTORE ELETTRICO PER LA MACCHINA A ROTAZIONE
1900 circa dimensioni: ø 12, h 23.
Il motore elettrico, a corrente continua, è stato probabilmente costruito dalla ditta tedesca Max Kohl. Esso fornisce la
potenza di circa 1/8 di borse power (1hp = 745.7 Watt); ha eccitazione in serie per 110 volt ed indotto a tamburo.
Se si considera una dinamo e si invia nell'indotto una corrente continua, si può verificare facilmente che nascono delle
coppie di forze atte a far ruotare l'indotto. Appare cosi una perfetta reversibilità di funzionamento: spendendo energia
elettrica, l'indotto si mette in rotazione trasformandola in energia meccanica. In questo caso si ha un motore. Nel motore si da il nome di statore alla parte fissa e di rotore alla parte mobile. Nel caso presente il circuito di eccitazione è
in serie con il circuito dell'indotto; esso viene quindi attraversato da tutta la corrente assorbita dal motore. Il circuito
magnetico è di ferro dolce. Il traferro è di forma cilindrica, modellato in modo da dare un campo uniforme diretto
verso l'asse di rotazione del rotore. L'indotto è a tamburo, o di Siemens, con avvolgimento a larghe spire intorno al
nucleo e si presenta come un gomitolo con i fili collegati da una parte al collettore, che forma quasi un prolungamento
dell'indotto. Il collettore porta sulla superficie tante lamelle di rame indurito, di sezione cuneiforme, isolate tra di loro
e dal sostegno. Le spazzole sono costituite da gruppi di sottili lamine flessibili di rame.
Werner von Siemens, il fondatore dell'industria elettrotecnica tedesca
Werner Siemens (Lenthe, presso Hannover, 1816 - Berlino, 1892) £u in gioventù ufficiale di artiglieria nell'armata
prussiana. Nel 1842 prese il suo primo brevetto per la doratura e l'argentatura galvanoplastica. Nel 1847 in società
con il meccanico Johann Georg Halskee (1814-1890) fondò la firma Siemens & Halske, società per la costruzione di
telegrafi. La fabbrica installò tra il 1848 ed il 1849 la prima grande linea di comunicazioni telegrafiche europee tra
Berlino e Francoforte, poi nel 1850 le prime linee telegrafiche in Russia. La nascente industria elettrotecnica ebbe in
Siemens uno dei principali costruttori con la realizzazione delle dinamo ad autoeccitazione (1866). Con i fratelli
Wilheln e Cari costruì numerose linee telegrafiche tra l'Europa e T'India (1868-70) ed a partire dal 1874 cavi
transatlantici. Al momento del suo ritiro (1889) la sua ditta dominava, insieme all'AEG (Allgerneiiie Elektricitats
Gesellschaft) di Emil Rathenau, la scena dell'industria elettrica tedesca. La ditta nel 1897 divenne la società anonima
Siemens & Halske, nel 1903 si fuse con la ditta di Sigismund Schuckert di Norinberga, diventando una delle prime
industrie elettrotecniche mondiali. Attualmente la Siemens è una delle maggiori industrie di elettronica e di
elettrotecnica.
Werner Siemens divenne membro dell'Accademica delle Scienze di Berlino, fu fatto nobile dall'imperatore Friedrich III,
partecipò alla formulazione delle leggi tedesche sui brevetti, fu artefice della costituzione del Physikalìsche-Technische
Reichanstalt. I figli Arnold (1853-1918), Wilhelm (1855-1819) e Cari Friedrich (1872-1941) assicurarono lo sviluppo
della firma Siemens.
E83 - CAMPANELLO A CORRENTE ALTERNATA
1900 circa dimensioni: 23x15x16.
Nel campanello a corrente alternata il movimento del battaglio viene prodotto dalla variazione periodica della corrente
e quindi in esso è eliminato ogni meccanismo di interruzione della corrente. Nello strumento della collezione
dell'Istituto Calasanzio due piccoli magneti a ferro di cavallo sono disposti con i poli omonimi l'uno accanto all'altro ed
alloggiano nel loro interno due nuclei di ferro sui quali sono avvolti i rocchetti. I nuclei sono uniti direttamente con i
poli inferiori mentre tra le estremità dei nuclei ed i poli superiori della calamita permanente si trova un piccolo giogo di
bilancia di ferro dolce il quale è unito con il battaglio. La corrente circola nei rocchetti in modo da polarizzarli in
direzioni opposte. A seconda del verso della corrente si ha un aumento di magnetizzazione all'estremità di un nucleo
oppure dell'altro. Tale effetto si ripete con periodicità seguendo l'andamento temporale della corrente. II giogo viene
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alternativamente attirato verso un nucleo oppure verso l'altro ed il battaglio lo segue battendo sopra l'una o l'altra
campana e producendo quindi un suono continuo.
E84 - MICROFONO A 3 CARBONI
primi del '900 dimensioni: 14x17x13.
L'apparecchio ideato nel 1877 da David E. Hughes è estremamente semplice e si basa sulla possibilità di produrre
mediante delle vibrazioni sonore un contatto più o meno stretto fra due pezzi di carbone attraverso cui passa
corrente: la resistenza dei carboni varierà notevolmente, producendo delle forti oscillazioni nell'intensità di corrente
del circuito. Nello strumento due pezzi di carbone sono fissati ad una tavoletta verticale di legno. Tra di essi sono
poste, orizzontalmente ed in debole contatto con i due pezzi di carbone, altre tre piccole bacchette di carbone. Il
sistema viene collegato in serie con una batteria di forza elettromotrice e con un ricevitore telefonico. Utilizzando la
proprietà prima ricordata della resistenza elettrica dei carboni, se una persona parla davanti al microfono di Hughes, il
suono viene chiaramente ricevuto dal ricevitore telefonico. Rispetto al telefono di Bell, nella disposizione di Hughes il
microfono deve trovarsi in circuito con una pila* il suono non serve ad altro che a rinforzare o ad indebolire in
determinato modo la corrente che già circola.
E85 - MODELLO DI AVVISATORE ELETTRICO
primi del '900 dimensioni: 19x15x37.
Negli avvisatori elettrici utilizzati nella telegrafia e nelle telefonia per informare il ricevitore dell'inizio della
comunicazione si ha a che fare con un'ancora di ferro dolce trattenuta da una molla a breve distanza dai poli di
un'elettrocalamita. Nella sua posizione di riposo essa appoggia contro un contatto C, cosicché, se si chiude il circuito
della pila P, premendo il bottone del tasto M, la corrente polarizza l'elettrocalamita che attira l'ancora la quale a sua
volta interrompe il circuito in C. L'elettrocalamita allora si smagnetizza, la molla riporta indietro l'ancora, il circuito si
chiude nuovamente in C e tornando a circolare corrente l'ancora viene di nuovo attratta, e così di seguito. L'ancora
perciò oscilla rapidamente ed il martelletto B di cui essa è fornita fa vibrare il campanello per tutto il tempo in cui
viene premuto il tasto M.
O. Murani, Trattato elementare di fisica, voi. 2, U. Hoepli, Milano, 1924, pp. 572-573.
E86 - DUE STAZIONI TELEGRAFICHE MORSE
Si tratta di due stazioni telegrafiche uguali:
Officina Galileo - Firenze 1898
Rosati - Milano 1898
dimensioni: base di appoggio 60x40, h 42.
Dopo parecchi tentativi i primi che riuscirono a stabilire una comunicazione telegrafica furono, nel 1833, Gauss e
Weber a Gottingen. Essi unirono l'osservatorio magnetico ed il gabinetto di fisica mediante due fili della lunghezza
complessiva di 3000 m. In seguito Cari SteinheiF1' a Munich e Cooke e Wheatstone a Londra (1837) fecero fare
importanti progressi alla telegrafia. Infine Wheatstone nel 1840 utilizzò l'elettrocalamita e Morse (1840) inventò il
telegrafo registratore.
Le due stazioni telegrafiche sono formate ciascuna da un apparecchio ricevente di Morse, da un tasto telegrafico o
manipolatore, da una bussola telegrafica, che consiste in un ago di declinazione in mezzo ad un telaio moltiplicatore di
Schweigger, e da un interruttore-deviatore a cavicchi. I contatti elettrici sono ben visibili sulla tavoletta. Ciascuna
stazione telegrafica deve essere usata con una pila. La trasmissione e ricezione dei messaggi nei sistemi telegrafici si
effettua mediante un manipolatore o tasto che è, in definitiva, un interruttore a leva mediante il quale si apre o si
chiude un circuito di cui fa parte la linea telegrafica. Abbassando il tasto si produce un contatto che chiude il circuito di
trasmissione, mentre, lasciandolo a sé, una molla lo risolleva interrompendo la corrente ed abilitando contemporaneamente il circuito di ricezione. L'apparecchio ricevente è formato da un'elettrocalamita la quale, quando circola
corrente, magnetizza un nucleo di ferro dolce. Esso attrae l'estremità di una leva facendola ruotare attorno al suo
fulcro. In tal modo l'altra estremità si solleva e fa urtare una strisciolina di carta, che le scorre di fronte, contro il
bordo netto di un disco. Il moto uniforme della strisciolina di carta è comandato da un meccanismo ad orologeria con
carica a molla, mentre il disco a bordo netto è inchiostrato da un piccolo rullo. A seconda della durata della corrente,
sulla striscia di carta viene lasciata una traccia più o meno lunga di inchiostro. Quando la corrente si interrompe una
molla provvede a rimettere a posto la leva. Tenendo abbassato il tasto per pochissimo tempo, il disco a bordo netto
lascia sulla carta un punto, per un tempo più lungo viene tracciata una piccola linea. Su queste basi si poteva
costruire un codice per trasmettere messaggi. Era universalmente usato il codice proposto da Morse.
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E87 - MODELLO DI SISTEMA TELEFONICO
1920 circa dimensioni: 16x10x28.
Il merito dell'invenzione del telefono viene di solito attribuito a Graham Bell che lo fece funzionare all'esposizione di
Filadelfia del 1876. Quasi contemporaneamente Elisila Gray presentava la stessa invenzione. Tra gli altri anche il
fiorentino Antonio Meucci costruì un apparecchio simile a quello di Bell e nel 1871 lo brevettò ma non poté diffonderlo.
In realtà il merito dell'invenzione del telefono può forse essere attribuito al tedesco Philip Reis (1843-1874), che
condusse i suoi esperimenti nel 1861 e presentò il suo strumento al congresso di Stettino del 1863. I due apparecchi
che compongono il modello di sistema telefonico, il trasmettitore ed il ricevitore, entrambi a scatola, sono montati su
un supporto di legno. All'interno di ciascuna scatola si trova un piccolo magnete permanente avente forma
semicircolare le cui espansioni polari si innalzano normalmente al magnete verso il coperchio della scatola. Due
piccole bobine di sottile filo di rame si avvolgono attorno ai poli del magnete in modo tale che le correnti che si
producono si rinforzino a vicenda. Davanti ai poli si trova un sottilissimo diaframma di ferro e di fronte ad esso una
guaina metallica bucherellata si chiude a forma di microfono o di imbuto. I due apparecchi possono essere collegati
tra di loro. Per comprendere il funzionamento supponiamo di avvicinare ai poli della calamita il diaframma. Varierà
allora il flusso di induzione magnetica attraverso le bobine e nascerà una debole corrente di induzione che, tramite il
collegamento, fluirà anche nelle bobine dell'altro apparecchio. Si produce quindi in quest'ultimo una variazione della
magnetizzazione della calamita che solleciterà il diaframma in un certo senso. Se il primo diaframma si muove n
volte, lo stesso farà anche il secondo riproducendo lo stesso suono che fa vibrare il primo. In realtà l'apparecchio di
Bell funziona bene come ricevitore ma è difettoso come trasmettitore. Un buon funzionamento si ottiene con il
microfono a carbone di David Edward Hughes,
E88 - GRUPPO ALTERNATORE - DINAMO
1901 dimensioni: 45x24x23.
Vi sono numerose applicazioni in cui è conveniente servirsi di correnti continue. Sì rende necessario in tal caso
procedere spesso a trasformare la corrente alternata in corrente continua. Alla trasformazione a mezzo di macchine
ruotanti da un tipo all'altro di corrente si da il nome di conversione ed alle macchine che la producono quello di
convertitori.
La soluzione più facile del problema della conversione della corrente alternata in continua è quella di collegare un
motore in alternata ad una dinamo, formando così un gruppo convertitore alternatore - dinamo.
TUBI
DI SCARICA
L'elettrone
Gli "atomi di carica elettrica" furono postulati già da Michael Faraday allo scopo di spiegare il fenomeno dell'elettrolisi.
L'idea fu ripresa da William Crookes (1832-1919) e da Arthur Schuster (1851-1934) I quali erano convinti che i raggi
catodici generati nei loro esperimenti fossero fasci di particelle cariche negativamente. Nel 1897 l'esistenza dell'unità
discreta di carica fu stabilità da JJ. Thomson, Usando campi elettrici e magnetici incrociati nei tubi di scarica egli
dimostrò che i raggi catodici erano formati da particelle cariche in moto a velocità molto minore di quella della luce e
misurò il rapporto tra la loro massa e øa quello che G. Johnstone Stoney (1826-1911) trovò nel 1891 essere portato
dagli ioni degli elementi monovalenti nell'elettrolisi. In tal modo riuscì a valutare anche la massa delle particella alla
quale, usando il nome già introdotto da Stoney, venne dato il nome di elettrone. Ben presto ad opera di Hendrik
Lorentz, Philipp Lenard (1862-1947), Henri Becquerel (1852-1908) ed Ernest Rutherford (1851-1937) fu chiarito che
la presenza dell'elettrone era necessaria per spiegare molti fenomeni fisici come l'emissione termoionica, l'effetto
fotoelettrico e la radioattività. Negli stessi anni Robert Millikan (1868-1953) riusciva a misurare con grandissima
precisione la carica dell'elettrone e la sua massa.
Nel 1924 Louis de Broglie avanzò l'ipotesi che l'elettrone possedesse anche proprietà ondulatorie. Su questa ipotesi
Erwin Schroedinger fondò la nuova meccanica ondulatoria. Nel 1927 Clinton Davisson (1881-1958), Lester Germer
(1896-1971) e George P. Thomson (1892-1975) verificarono sperimentalmente le proprietà ondulatorie dell'elettrone.
Nel frattempo Samuel Goudsmit (1902-1978) e George Uhlenbeck (1900-) introdussero lo spin. Il lavoro di Paul Dirac
"The relativistic theory of the electron" del 1928 inquadrò tutte le ipotesi ed i dati sperimentali nella giustamente
celebre "equazione di Dirac".
E89 - UOVO ELETTRICO
primi del '900 dimensioni: ø 12, h 43.
L'apparecchio fu ideato dal fisico ginevrino Auguste De La Rive per studiare la scarica elettrica in un gas rarefatto.
Esso è costituito da un globo ovoidale di vetro attraversato lungo l'asse maggiore di simmetria da due elettrodi
metallici (quello superiore è scorrevole), che terminano con due sferette.
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Inferiormente il globo comunica all'esterno attraverso un foro praticato nella base di ghisa. Una manopola permette di
aprire o chiudere il passaggio dell'aria da e verso l'interno. Per estrarre l'aria, si pone l'uovo sul piatto di una pompa a
vuoto. Inizialmente si applica una tensione tra gli elettrodi e quando si raggiunge il valore opportuno, corrispondente
alla distanza esplosiva, si produce la scintilla. Estratta l'aria la scarica elettrica assume le caratteristiche di una luce
rosso-violacea diffusa in tutto il globo in forma di strisce longitudinali. Aumentando la rarefazione le strisce si fanno
più larghe e sfumate ed una luce continua fusiforme, color porpora, riunisce i due elettrodi. Infine a pressioni minori
di 2 mm di Hg il polo negativo è circondato da un involucro luminoso color lavanda, da quello positivo parte una luce
rossa, nel mezzo c'è una regione oscura detta "spazio oscuro di Faraday", che al crescere della rarefazione si estende
verso l'anodo.
E90-E91-E92-E93 - TUBI DI SCARICA SEMPLICE
primi del '900 dimensioni: E90 1 .50, ø 4; E91 I 23, ø 4; E92 1 52, ø 5; E93 1 49, ø 3,5.
Per studiare i fenomeni di scarica nei gas rarefatti si hanno a disposizione dei tubi di vetro muniti alle estremità di
elettrodi metallici tra i quali si può variare la distanza, come nell'uovo elettrico, oppure saldati con smalto e vetro alle
pareti del tubo, come nei tubi di Geissler. In questo caso gli elettrodi sono generalmente di alluminio uniti a corti fili di
platino, questi ultimi saldandosi bene al vetro. Si usano elettrodi di alluminio perché alle altissime tensioni, fornite dai
rocchetti di Ruhmkorff, gli altri elettrodi, di platino compreso, sono facilmente polverizzati. Per eseguire le esperienze
si devono utilizzare una pompa pneumatica ad alta rarefazione (per esempio la pompa a mercurio di Gaede) ed un
rocchetto di induzione.
Quando si raggiungono pressioni di circa 1 cm di Hg una sottile colonna luminosa di colore rosso-viola parte
dell'elettrodo positivo o anodo e finisce indebolendosi gradatamente ad una piccola distanza dall'elettrodo negativo o
catodo. Lo spazio relativamente oscuro che separa il pennello luminoso dal catodo è lo spazio oscuro di Faraday. Il
pennello luminoso che parte dall'anodo è la "luce positiva". Esso è sensibile agli effetti di un campo magnetico. Per
vuoti più avanzati (1-2 mm di Hg) la luce positiva aumenta di volume fino a riempire la sezione del tubo.
Contemporaneamente lascia fra sé ed il catodo uno spazio maggiore. Procedendo nella rarefazione la luce positiva
scompare a poco a poco ritirandosi verso l'anodo mentre la luce proveniente dal catodo (luce negativa o bagliore)
guadagna estensione. Si osserva inoltre che questa luce (secondo strato o strato catodico negativo) non solo si
estende sempre più ma si stacca dal catodo in modo da formare un nuovo spazio oscuro (spazio oscuro negativo o
spazio oscuro di Hittorf, od anche spazio oscuro di Crookes). A misura che la rarefazione aumenta lo spazio oscuro di
Crookes si estende fino alla parete laterale del tubo e contemporaneamente si dilata anche lo strato luminoso
aderente al catodo (primo strato catodico).
E94 - APPARECCHIO DI DE LA RIVE DELL'AURORA BOREALE
Max Kohl - Chemnitz
1936 dimensioni: 12x19x33.
Ponendo tra i polì di un'elettrocalamita un tubo di scarica dei gas a moderata rarefazione, la stria luminosa che parte
dall'anodo si sposta e si deforma a seconda delle direzione del campo magnetico. La stria luminosa può anche
eseguire un moto di rotazione. Si ricorre per questo ad un palloncino ovoidale con il fondo rientrante come una
campana allungata, un elettrodo filiforme in cima ed uno anulare che circonda in basso la campana. In esso si
introduce un cilindro di ferro dolce da appoggiare sopra una faccia polare dell'elettrocalamita, in modo che il ferro
diventa la sua espansione polare. Nel palloncino ovoidale viene fatto il vuoto con la macchina pneumatica. Si osserva
allora che le scariche luminose passano da anodo a catodo girando lentamente attorno alla campana. L'ideatore di
questo apparecchio, il fisico ginevrino De La Rive, pensava di riprodurre in piccolo il fenomeno dell'aurora boreale,
consistente secondo lui nella trasmissione di elettricità agli strati superiori dell'atmosfera sotto l'influsso del campo
magnetico terrestre.
A. Ganot, "Trattato elementare di fisica e di meteorologia", F. Vallardi, Milano, 1862, pp. 805-807. A. Roiti, "Elementi
di fisica", voi. 2, Le Monnier, Firenze, 1913-14, p. .565.
E95 - SERIE DI 8 TUBI DI GEISSLER
primi del '900
Si tratta di otto tubi di varie forme e colori per mostrare le scariche nei gas rarefatti. I tubi di Geissler sono tubi di
vetro muniti di elettrodi di alluminio e contenenti un gas ad alto grado di rarefazione (la pressione è di qualche mm. di
mercurio). In queste condizioni la scarica elettrica produce una colonna luminosa di colore variabile con la natura del
gas, che si allunga tra anodo e catodo seguendo tutte le sinuosità del tubo. Per pressioni inferiori ad un millimetro di
mercurio la colonna luminosa si spezza in strie, concave verso l'anodo ed egualmente distanziate in vicinanza del
catodo. Per pressioni ancora minori (0.1 mm di Hg) la luminosità del tubo si attenua ma il vetro acquista una
fluorescenza dovuta all'urto contro di esso della radiazione catodica.
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Simone Testa
R. W. Stewart, "The higher text-book of Magnetism and Electricity", University Tutorial Press, London,
182-185.
1.907, pp.
E96 - TUBO DI PLÜCKER CON VAPORI DI MERCURIO
primi del '900
La scarica elettrica in un tubo a gas rarefatto fu usata da Plücker come sorgente di luce nell'analisi spettrale. Il tubo di
Plücker ha nel mezzo un tratto a diametro piccolissimo poiché l'intensità della luce è massima in quella
configurazione. Gli elettrodi metallici, con capsula di contatto, vanno collegati ad una sorgente di alta tensione (3-6
Kvolt). Nella forma della scarica normale di un gas rarefatto (pochi mm. di mercurio) si distingue, muovendosi dal
catodo verso l'anodo, una piccola zona oscura, detta spazio oscuro di Crookes (1879) o di Hittorf (1869), un piccolo
tratto debolmente illuminato, detto del bagliore catodico, una seconda regione oscura o spazio oscuro di Faraday
(1838) ed infine una lunga colonna luminosa che si estende fino all'anodo (colonna positiva). La luce osservata è
dovuta agli atomi del gas che da uno stato eccitato ritornano allo stato fondamentale emettendo radiazione luminosa
la cui frequenza dipende dalla natura del gas. L tubo di Plücker in questione contiene vapori di mercurio. Esso emette
radiazione luminosa di frequenze 0,74 • IO15, 0.69 - 1015 e 0.55 • IO15 Hertz.
E97 - TUBO DI GAEDE CON FINESTRA DI ALLUMINIO PER I RAGGI DI LENARD
prob. E, Leybold's Nachfolger - Coeln
primi del '900 dimensioni: l 32, ø 3.5.
Le esperienze di Lenard mostrarono ancor più chiaramente ciò che Hertz aveva scoperto, cioè che gli elettroni prodotti
nei tubi di scarica a gas rarefatti, o raggi catodici, possono attraversare sottilissimi strati di metallo. Egli costruì un
tubo chiuso nella regione anticatodica da un setto di alluminio di tenue spessore. Il catodo circolare è posto sull'asse
del tubo, l'anodo è formato da un cilindro che lo circonda. Il tubo è chiuso di fronte al catodo da un'armatura
metallica avente un foro F del diametro di 1.7 mm, ricoperto da una sottile foglia di alluminio di 0.003 mm di spessore
che può tenere il vuoto ed è opaca per la luce. Una capsula metallica posta nell'interno dell'armatura protegge la
finestra contro le azioni elettrostatiche, inoltre una cassa metallica , messa a terra, circonda il tubo. Lenard dimostrò
che i raggi (che egli considerava una specie di perturbazione ondulatoria dell'etere) passavano nell'aria libera dando
origine ad effetti di fluorescenza ed impressionando le lastre fotografiche. Essi producevano effetti sensibili nell'aria
fino a 6 cm circa, in anidride carbonica ed in idrogeno a pressione normale fino a 4 cm e a 30 cm rispettivamente.
Tuttavia, raccogliendoli con un elettrometro, divenne presto evidente che ai raggi di Lenard erano associate le cariche
negative proprie degli elettroni.
O. Murani, "Trattato elementare di fìsica", voi. 2, U. Hoepli, Milano, 1924, pp. 989-993.
A. Roiti, "Elementi di fisica", voi. 2, Le Monnier, Firenze, 1913-1914, p. 565.
L. Graetz, "L'elettricità e le sue applicazioni", F. Vallardi, Milano, 1924, p. 286.
E. Leybold's Nachfolger, "Catalogne pour l'Enseignement de la Physique", Cologne, 1910 circa, p. 116.
P. Lenard, Ann. Physik 51,225, 1894; 52,23,1894.
E98 - TUBO A RAGGI CATODICI DI BRAUN
1906 dimensioni: l 65, ø 11.
La proprietà dei raggi catodici di essere deviati da un campo magnetico (Hittorf, 1869) si mette in evidenza
utilizzando il tubo di Brami. I raggi catodici partono dal catodo in linea retta e attraversano un diaframma dotato di
un piccolo foro, il fascio, reso sottile dalla piccola apertura, rende luminoso il punto dove incontra lo schermo di mica
che è ricoperto di solfuro di calcio fluorescente. Se, uscendo dal diaframma, i raggi catodici entrano in un campo
magnetico, il punto luminoso si sposta sullo schermo. Quando il campo magnetico è uniforme dalla misura della
deviazione subita dal fascio sottile si può risalire facilmente al rapporto e/m tra la carica e la massa dell'elettrone. Il
campo magnetico associato al tubo di Braun dell'Istituto Calasanzio è prodotto da due elettrocalamite di cui una
girevole. Se esse sono poste ad angolo tra di loro e vengono alimentate opportunamente da correnti sinusoidali, il
punto luminoso si muove sullo schermo descrivendo le figure di Lissajous.
E99 - E100 - E101 - TUBI A RAGGI CANALE
primi del '900 dimensioni: E99: l 24, E100 l 33, E101 l 50
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In un tubo di scarica gli elettroni, che si formano in vicinanza del catodo, vengono respinti da esso e, acquistando
velocità per effetto del campo elettrico, raggiungono il secondo strato catodico con energia sufficiente ad ionizzare per
urto le molecole del gas. Gli ioni positivi che si producono si muovono verso il catodo per formare il primo strato catodico. In particolare quando il catodo è forato essi lo attraversano e, se hanno una velocità sufficiente., formano i raggi
canali. Il nome di questi raggi (Kanalstrahlen), scoperti da Goldstein, deriva appunto dall'usare per catodo una lamina
con dei fori (canali). Facendo passare la corrente nel tubo si osserva che mentre i raggi catodici si estendono dal
catodo in linea retta verso una parte del tubo, dai fori del catodo partono dei fasci di raggi debolmente luminosi diretti
verso l'altra parte del tubo. Un campo magnetico li devia debolmente In direzione tale da mettere chiaramente in
evidenza la loro carica positiva. Il cloruro di litro risplende di luce azzurra quando è colpito dai raggi catodici, mentre
ha una fluorescenza rossa per effetto dei raggi canale.
E102; E103 - TUBI A RAGGI ANODICI
prob. E. Leybold's Nachfolger - Coeln
dimensioni: ø dei globi 17.
Oltre ai raggi canale vi è un altro mezzo per ottenere dei raggi con gli ioni positivi. Gehrke e Reichnheim idearono dei
tubi nei quali l'anodo emette dei raggi detti raggi anodici. L'anodo è formato da un cannellino di vetro che contiene un
sale di metallo, ioduro di litio, o di calcio o di sodio. Il catodo si trova all'estremità superiore. Mettendo in
comunicazione gli elettrodi con un rocchetto d'induzione, dall'anodo partiranno delle particelle in forma di raggi. A
seconda del sale contenuto nel cannellino, i raggi assumeranno colori differenti (rosso per il litio, giallo per il sodio,
ecc).
E104 - TUBO DI CROOKES
primi del '900 dimensioni: ø del globo 11.
Dopo la loro scoperta da parte di Hittorf nel 1869, l'attenzione verso le proprietà dei raggi catodici fu ripresa nel 1879
da Crookes il quale fece progredire moltissimo il loro studio con disposizioni adatte di tubi a forte rarefazione. Il tubo
di Crookes termina con un appendice da inserire nella macchina pneumatica che può essere infilata in un supporto di
legno. All'interno del tubo si trovano il catodo, costituito da una lamina di alluminio concava, e tre altri elettrodi da
utilizzarsi come anodi. Finché la pressione del gas si mantiene superiore a 0.1 mm di Hg, la caduta di potenziale è
indipendente dalla pressione; sotto questo valore la caduta aumenta rapidamente al diminuire della pressione. A 10‾2
- 10‾3 min di Hg occorrono decine di migliaia di volt per produrre la scarica. L'esperienza prova che la caduta di
potenziale avviene tutta in vicinanza del catodo, cioè il campo elettrico è intensissimo in vicinanza del catodo e nullo
appena ci si allontana un po' da esso. GK elettroni, costituenti i raggi catodici, accelerati dalla forte differenza di
potenziale in prossimità del catodo acquistano subito un'alta velocità e proseguono di moto rettilineo ed uniforme fino
alla parete opposta (che diventa fluorescente) indipendentemente dalla posizione dell'anodo all'interno del tubo.
R.W. Stewart, "The higher text-book of Magnctism and Electricity", University Tutoria! Press, London, 1904, pp. 185187.
E105 - TUBO DI CROOKES PER LA MATERIA RADIANTE
primi del '900 dimensioni: 0 del globo IL
II tubo, nella sua configurazione, serve a verificare che quando i raggi catodici sono concentrati su una piccola
superficie, questa ne è fortemente scaldata. Una laminetta di platino, posta su un supporto di vetro sopra lo specchio
concavo di alluminio che funziona da catodo (mentre l'elettrodo superiore funziona da anodo), diventa incandescente.
Se i raggi catodici vengono concentrati su un tratto di vetro, questo si riscalda fino a rammollirsi.
Per spiegare l'insieme dei fenomeni cui danno origine i raggi catodici, Crookes suppose che, in condizioni di estrema
rarefazione, esistesse un quarto stato della materia che egli chiamò "della materia radiante".
Nonostante la grande autorità di Crookes la sua teoria incontrò numerose opposizioni e presto venne abbandonata.
E106 - TUBO DI ROENTGEN TIPO “FOCUS”
1920 circa
dimensioni: ø del globo 11.I raggi X furono scoperti casualmente da Roentgen (1895) nel corso di esperienze con i
tubi di Crookes. La natura di questa radiazione, originata dagli urti dei raggi catodici sull'anodo, fu oggetto di lunga
controversia ed il nome di raggi X le rimase anche dopo che se ne chiari l'essenza. Per la generazione dei raggi X si
ricorre al tubo di Roentgen. Per ottenere effetti localizzati ed intensi è conveniente far partire i raggi di Roentgen da
un punto e non da una larga superficie. Per questo si da al catodo del tubo (di Crookes) la forma di uno specchio
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concavo. I raggi catodici convergono nel fuoco dove viene collocata una lamina metallica, detta anticatodo, che colpita
dagli elettroni produce i raggi X. Per questo motivo il tubo prende il nome di "focus". Oltre l'anticatodo si trova il
catodo vero e proprio che di solito è collegato all'anticatodo con un conduttore metallico. Un tubo di vetro, turato a
mezzo di fusione e ricoperto da un tubo di gomma, era collegato in origine ad una pompa pneumatica per produrre il
vuoto nel tubo focus. Dalla parte opposta si trova il regolatore di vuoto che si basa sul fatto che all'incandescenza
rossa il palladio diventa permeabile all'idrogeno. Perciò saldato nel vetro del tubo vi è un cannellino chiuso di palladio.
Se il tubo focus è diventato troppo duro (cioè se il vuoto è troppo spinto), si riscalda il cannellino di palladio per cui un
po' d'idrogeno entrerà all'interno del tubo, rendendolo meno duro. Questo procedimento è chiamato "la regolazione
osmotica del vuoto".
O. Murami, "Trattato elementare di fisica", voi. 2, U. Hoepli, Milano, 1924, pp. 999-1000.
L. Graetz, "L'elettricità e le sue applicazioni", F. Vallardi, Milano, 1924, pp. 305-307.
E107 - TUBO DI ROENTGEN
E. Leybold's Nachfolger - Coeln
1910 circa dimensioni: 1 80, ø 12.
Si tratta di un i tubo di Roentgen, infilato in un supporto di legno per mezzo del sottile condotto che deve essere
collegato alla pompa a mercurio di Gaede. Alle due estremità del lungo tubo cilindrico si trovano l'anodo ed il catodo;
nel centro del globo è situato l'anticatodo.
E. Leybold's Nachfolger, "Catalogue pour l'Enseignement de la Physique", Cologne, 1910 circa, p. 115.
E108 - TUBO DI ROENTGEN SU UN SUPPORTO DI LEGNO
1910 circa dimensioni (incluso il supporto): 30x15x48
Si tratta di un tubo a vuoto fissato su due colonne di legno poggianti su un'ampia base di legno.
Il globo sferoidale porta tre elettrodi: il catodo di alluminio, di forma concava, l'anodo, pure di alluminio, e
l'anticatodo, disposto davanti al catodo ed inclinato di 45° rispetto alla perpendicolare uscente dal centro del catodo.
L'anticatodo si compone di una grossa testa metallica con una lamina di platino (o di tungsteno).
Un tubo di ferro, fissato sul collo dell'anticatodo stesso e rivestito di vetro, impedisce all'anticatodo di arrivare
all'incandescenza troppo rapidamente, specialmente se il tubo deve lavorare con interruttori di Wehnelt.
L'anodo e l'anticatodo sono collegati metallicamente per evitare differenze di potenziale, pericolose per il tubo, tra due
punti assai vicini.
Il tubo presenta superiormente un regolatore di vuoto contenuto dentro una piccola ampolla comunicante con il tubo
stesso e collegato a due elettrodi. Il rigeneratore sprigionando gas con delle scariche elettriche ripristinava facilmente
le condizioni di lavoro quando, col prolungato funzionamento, il vuoto diventava troppo spinto ed il tubo meno
efficace.
W.K. Rontgen, "On a new forra of radiation", Electridan (London), 36, pp. 415-417 e 850-851, 1896.
L. Graetz, "L'elettricità e le sue applicazioni", F. Vallardi, Milano, 1921, pp. 303-344.
R. W. Stewart, "The higher text-book of Magnetism and Electricity", University Tutorial Press, London, 1904, p. 187.
E109 - CRIPTOSCOPIO
1920 circa dimensioni; 32x27x27.
Per poter osservare gli effetti di fluorescenza prodotti dai raggi X è necessario che il luogo in cui si esegue
l'esperimento sia all'oscuro. Per evitare di rendere oscuro l'ambiente si usa il criptoscopio. Lo schermo fluorescente,
per esempio un rettangolo di cartone ricoperto di platino-cianuro di bario, viene a costituire il fondo di una cassetta in
cui non penetra la luce. L'apertura superiore serve all'osservatore per appoggiarvi la fronte in modo da poter vedere
esclusivamente il fondo della cassetta, senza essere disturbato dalla luce esterna. Durante l'esperienza si esponeva la
parte posteriore dello schermo di platino-cianuro di bario ai raggi Roentgen. Si inseriva quindi la mano tra il tubo di
Roentgen e lo schermo. Poiché i raggi X passano facilmente attraverso la carne e più difficilmente attraverso le ossa,
si vedeva sullo schermo l'ombra della mano con le ossa oscure su fondo più chiaro.
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L. Graetz, "L'elettricità e le sue applicazioni", F. Vallardi, Milano, 1924, pp. 310-311.
ONDE
ELETTROMAGNETICHE
Le onde elettromagnetiche
Ecco qualcuna delle date più importanti nella storia delle onde elettromagnetiche e delle radiocomunicazioni.
1678. Il fisico olandese C. Huygens enuncia la teoria ondulatoria della luce.
1820. C. Oersted scopre sperimentalmente che la corrente elettrica produce un campo magnetico attorno ad un
conduttore.
1831. M. Faraday mostra la generazione di correnti elettriche per induzione ed intuisce la relazione diretta tra i
fenomeni luminosi da una parte ed i fenomeni elettrici e magnetici dell'altra.
1865. C. Maxwell traduce le idee di Faraday in forma matematica e afferma che la luce e le onde elettromagnetiche
sono uno stesso fenomeno, che la loro propagazione avviene, nello stesso mezzo, con la stessa velocità e che
differiscono solo per la lunghezza d'onda. Dalle equazioni formulate da Maxwell risulta che le onde elettromagnetiche
si propagano solo con vibrazioni trasversali (come la luce),
1879-80. D. Hughes scoprì casualmente che ogni interruzione di corrente in una bobina produce una extracorrente il
cui effetto si può rivelare con uno speciale rivelatore ed un telefono fino ad una ventina di metri di distanza. Egli
eseguì le sue esperienze alla presenza di alcuni scienziati; ma, avendo qualcuno di essi affermato non trattarsi di onde
elettromagnetiche ma di semplici effetti dell'induzione elettromagnetica, Hughes abbandonò lo studio del fenomeno.
1884, T. Calzecchi-Onesti dimostrò in una serie di esperienze che la limatura metallica contenuta in un tubetto
isolante diviene conduttrice sotto l'influenza di extracorrenti, correnti indotte, vibrazioni sonore e verificò inoltre che
tale conducibilità viene facilmente distrutta mediante una perturbazione meccanica, per esempio un urto,
1886-88. Ad Heinrich Hertz doveva spettare il merito di dimostrare praticamente l'esistenza delle onde
elettromagnetiche, in particolare le radio-onde che da lui presero il nome di "onde hertziane". Il suo dispositivo
consisteva di due piccole sfere metalliche collegate ognuna con una placca metallica (oscillatore). Tra le due sfere
scoccava la scintilla prodotta con un rocchetto di Ruhmkorff. Le onde elettromagnetiche si propagavano in tutte le
direzioni ed Hertz le rivelò con un risonatore costituito da un cerchio di metallo spezzato in un punto.
1890. E. Branly compì esperimenti con un dispositivo analogo a quello di Calzecchi, cui diede il nome di coherer, per
la rivelazione delle onde prodotte da un oscillatore. Tale rivelazione infatti riusciva molto difficile col risonatore di
Hertz.
1892. Thompson brevettò un sistema ad arco (N. S. Pat. 500.630) per la produzione di correnti ad alta frequenza
1892-93. N. Tesla consigliò l'uso di un'antenna e di una presa di terra per la trasmissione di onde elettriche. Propose
inoltre delle tecniche per la generazione di correnti alternate in alta frequenza per l'uso in radiotelegrafia,
1895. Popoff usò un coherer in serie con un'antenna elevata da terra ed un registratore. Intravide la possibilità di
trasmettere segnali a distanza per mezzo delle onde elettriche senza tuttavia riuscirci in pratica.
1895-1901. G. Marconi concepì ed attuò l'idea di applicare le scoperte di Hertz e di Branly per trasmettere segnali a
distanza. Nel 1895 iniziò i primi esperimenti presso la casa paterna a Pontecchio (Bologna). Nel 1896-97 riuscì a
stabilire comunicazioni radio alla distanza di 3 Km usando onde di circa Im. Nel 1899 trasmise segnali attraverso la
Manica. Nel 1901 trasmise la lettera "S" in stile telegrafico attraverso l'Atlantico tra Terranova e la Cornovaglia.
E110 - TRASFORMATORE DI ALTA TENSIONE DI ELSTER E GEITEL G. SANTARELLI - FIRENZE
1920 circa dimensioni:53x37x60.
Per produrre oscillazioni elettriche ad alta tensione N. Tesla si valse delle proprietà del trasformatore producendo le
oscillazioni elettriche in un circuito aperto, formato da due bottiglie di Leyda, da uno spinterometro e da alcune spire
di grosso filo di rame (primario), ed alimentato da un potente rocchetto di induzione. Il collegamento veniva eseguito
unendo gli estremi dell'avvolgimento del secondario del rocchetto con le armature interne delle due bottiglie. Le
armature esterne, che risultano cariche di elettricità di segno contrario, erano riunite tra loro mediante appunto il
rocchetto primario e lo spinterometro.
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Attorno al primario egli dispose un rocchetto secondario formato da molte spine di filo sottilissimo. Si producevano
così correnti di induzione aventi la stessa frequenza di quelle del primario ma di tensione notevolmente maggiore. Al
sistema dei due rocchetti si dà il nome di trasformatore di Tesla.
I due rocchetti devono essere tra loro bene isolati a causa delle tensioni altissime. Questo si ottiene con la
disposizione di Elster e Geitel: lo strato d'aria tra i rocchetti effettua un buon isolamento. Il rocchetto secondario è
posto in un cilindro di vetro, in alcuni casi pieno di olio di paraffina. Con il trasformatore di Elster e Geitel si possono
osservare notevoli fenomeni luminosi, quali ad esempio pennacchi azzurrognoli dal polo verso terra, oppure
l'illuminazione dei tubi di Geissler posti in contatto con il polo o addirittura nelle sue vicinanze.
E111 - GROSSO CONDUTTORE DI RAME CON LAMPADA AD INCANDESCENZA
Ing. Santarelli - Firenze
1900 circa dimensioni:41x40.
Il filo di rame con la lampada ad incandescenza in parallelo è un accessorio dell'apparecchio di Tesla. Il conduttore di
rame è stato sostituito nel Gabinetto di Fisica dell'Istituto. Esso nella esperienza di Tesla veniva messo al posto del
trasformatore di Elster e Geitel in serie al condensatore, rappresentato dalle due bottiglie di Leyda e dallo spinterometro. Senza gli effetti dell'autoinduzione, la corrente di scarica del condensatore passerebbe tutta per il filo metallico in
parallelo, di resistenza pressoché nulla. In presenza di frequenze f alte (106 sec-1), se valgono le disuguaglianze L >
L1, ed f L > R / 2π, è facile verificare che la corrente passa prevalentemente nel ramo della lampadina che presenta
impedenza minore. Si osserva infatti la lampada brillare di viva luce.
O. Murani, "Trattato elementare di fisica", voi. 2, U. Hoepli, Milano, 1924, pp. 836-839.
E112 - SPECCHI PARABOLICI PER LE ONDE HERTZIANE
Ing. G. Santarelli - Firenze
primi del '900 dimensioni: 45x20x31.
I classici esperimenti di Hertz sulla generazione e la propagazione delle onde elettro-magnetiche possono essere
facilmente realizzati con l'uso di due cilindri parabolici di metallo che funzionano da specchi. La fig. 101 rappresenta
una disposizione adatta per l'esperienza. Lo specchio I comprende nella linea focale lo spinterometro F mentre nella
linea focale dello specchio II è disposto il coherer C. Lo spinterometro F è formato di due piccole punte sferiche
metalliche, vicine l'una all'altra, collegate sul retro dello specchio ad un piccolo apparecchio d'induzione J. Il coherer C
è in comunicazione con una pila E e con un campanello elettrico G. Posti di fronte gli specchi e fatto funzionare
l'apparecchio d'induzione, le scintille che scoccano in F fanno agire il coherer e quindi il campanello. Utilizzando una
lastra metallica M (fig. 102) si verificano le leggi della riflessione delle onde elettromagnetiche.
H. Hertz, "Untersuchungen ùber die Ausbreitung elektrischer Kraft", J. A. Barth, Leipzig, 1895.
L. Graetz, "L'elettricità e le sue applicazioni", F. Vallardi, Milano, 1924, pp. 268-271.
E113 - OSCILLATORE DI HERTZ
primi del '900 dimensioni: 52x10x26.
Le onde elettromagnetiche possono generarsi con un apparecchio, detto oscillatore di Hertz, attraverso il quale
scoccano delle scintille. Due lunghe aste metalliche recano alle estremità due larghi dischi di lamiera zincata, costruiti
artigianalmente. In origine al loro posto vi erano due sfere di grande diametro per dare al sistema un'elevata capacità
elettrica. Le altre due estremità terminano con due piccole sfere (tra le quali scocca la scintilla) immerse nella
vaselina (od altro olio) contenuta in un recipiente chiuso di vetro. L'impiego della vaselina ha lo scopo di impedire
l'ossidazione delle sfere al passaggio delle scintille. Le aste sono poste in comunicazione con un rocchetto di induzione
per mezzo di due serrafili. Quando il rocchetto comincia a funzionare le due asticciole dell'eccitatore con i dischi
metallici sono portate a potenziali diversi e la scintilla stabilisce, durante un tempo brevissimo, un passaggio di debole
resistenza attraverso il quale il conduttore rettilineo si scarica su se stesso, originando oscillazioni elettriche. Tali
oscillazioni si estinguono prima che ti rocchetto abbia avuto il tempo di ricaricare le sfere e di dare origine a nuove
oscillazioni. Quindi il fenomeno si ripete allo stesso modo, ad ogni oscillazione del primario del rocchetto.
Per ogni scintilla dell'oscillatore si produce un sistema di onde elettromagnetiche. Le azioni elettriche sono dovute alle
variazioni alternative del potenziale sui dischi. La distribuzione delle linee di forza, ad un certo istante, è presso a poco
quella che corrisponderebbe a due cariche uguali e di segno opposto localizzate sui dischi. Le azioni magnetiche sono
invece dovute alle correnti oscillanti che percorrono il conduttore rettilineo, le linee del campo magnetico, almeno
nella parte centrale sono delle circonferenze concentriche all'asse dell'eccitatore.
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L. Graetz, "L'elettricità e le sue applicazioni", F. Vallardi, Milano, 1924, p. 267.
O. Murani, "Trattato elementare di fisica", voi. 2, U. Hoepli, Milano, 1924, pp. 846-852.
E114 - SERIE DI COHERER
Uno dei metodi più usati negli anni a cavallo tra l'800 ed il '900 per rivelare le onde elettromagnetiche si basava sul
rimarchevole fatto che la limatura metallica, che oppone una notevole resistenza al passaggio della corrente elettrica,
diventa un buon conduttore allorché è investita da un'onda elettromagnetica. Tale conducibilità sussiste in generale
anche dopo che è cessato l'effetto dell'onda ma basta una piccola scossa perché si ristabiliscano le condizioni iniziali.
Su questa proprietà è fondata la costruzione del coherer, composto da un tubicino di vetro riempito di limatura di
ferro, di argento o di nickel. Alle estremità del tubicino due placchette metalliche permettono di inserire il coherer nel
circuito rivelatore.
La scoperta della diminuzione di resistenza elettrica dei tubi con limature metalliche attraversate da scariche elettriche
risale al Munick (1838) e fu applicata nel 1870 dal Warley alla costruzione dei parafulmini. T. Calzecchi-Onesti (18531922), professore di fisica nel R. Liceo di Fermo, fece uno studio sistematico della conducibilità acquistata dalle polveri
metalliche sottoposte a scariche con una macchina elettrostatica e pubblicò le sue numerose esperienze in alcune note
"Sulla conduttività elettrica delle limature metalliche" e "Di una nuova forma che può darsi all'avvisatore
microsismico", le quali videro la luce negli anni 1884-85-86 sulla rivista di fisica "II Nuovo Cimento". Al francese
Edouard Branly (1844-1940) e all'inglese Oliver J.Lodge (1851-1940) spetta il merito di aver utilizzato le proprietà
delle polveri metalliche in un tubicino di vetro per la rivelazione delle onde elettromagnetiche.
E115 - RISONATORE ELETTRICO DI HERTZ
primi del '900 diametro del risonatore: ø 27.
Per esplorare sistematicamente il campo elettromagnetico prodotto dal suo oscillatore, Hertz si servì di un cerchio di
grosso filo di rame avente una interruzione di frazioni di millimetro, che si poteva regolare con una vite micrometrica.
Dando a questo cerchio dimensioni convenienti, si può accordarlo con l'eccitatore. Ponendo questo anello ad una
distanza non troppo grande dall'oscillatore si vede una serie continua di scintille passare tra le due sferette che si
trovano ai capi della interruzione. Esiste un diametro del cerchio di rame per il quale le scintille sono più frequenti e
più brillanti. Le oscillazioni proprie dell'anello hanno in tal caso il medesimo periodo di quelle dell'oscillatore: si parla
perciò di risonanza e di risonatore elettrico.
O. Murani, "Trattato elementare di fisica", voi. 2, U. Hoepli, Milano, 1924, pp. 854-856.
E116 - DETECTOR DI MARCONI
prob. G. Santarelli - Firenze
1906 dimensioni della base: 60x40.
Nell’apparecchio di Guglielmo Marconi la parte superiore è il trasmettitore, costituito da due sfere metalliche disposte
l'una di fronte all'altra e così vicine che si possono far scoccare fra di loro le scintille mediante un rocchetto
d'induzione. Nel circuito della corrente primaria del rocchetto è inserita una batteria ed il tasto telegrafico. Il
ricevitore, rappresentato nella parte inferiore, è costituito da un coherer unito a due superfici metalliche di grandezza
opportuna. Sui due elettrodi del coherer è applicato in derivazione un circuito in cui si trova inserita una pila Leclanché
(1.5 volt) ed un ricevitore telegrafico. L'apparecchio telegrafico è alimentato in parallelo ad un secondo circuito dalla
batteria. Il secondo circuito contiene il martelletto di un campanello elettrico che ha il compito di battere, subito dopo
ogni segnale, sul tubo del coherer, per rimettere la polvere metallica nello stato iniziale. Per impedire poi che la
scintilla, prodotta nell'interruzione del circuito in cui è inserito il martelletto, agisca sul coherer, si interpongono in
parallelo al martelletto due forti resistenze elettriche. Altre due resistenze sono in parallelo al relais e all'apparecchio
scrivente. Sulla base di legno sono riportati tutti gli elementi del rivelatore di Marconi con i contatti elettrici in
evidenza. Al centro, nell'apposito contenitore, andava inserita la pila Laclanchè. L'elettrocalamita con il martelletto è
posta davanti al coherer, con accanto le quattro resistenze del circuito. In alto si trova il soccorritore. Esso, secondo la
prima idea di Wheatstore, che lo ideò nel 1837 per la telegrafia, aveva lo scopo di chiudere il circuito di una pila locale
per ottenere correnti più intense di quelle che si possono avere all'estremità di una linea, e sufficienti per attivare il
registratore. Il soccorritore è generalmente costituito da un elettromagnete la cui armatura determina l'oscillazione di
una leva metallica tra due viti di contrasto in modo da chiudere il circuito della pila locale. Quando i poli dell'elettrocalamita sono magnetizzati per induzione da un magnete permanente si ha un relais polarizzato.
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Ottica
01 2 SORGENTI LUMINOSE A CANDELA
primi del '900 dimensioni: h 26; ø 7, h 38.
Si tratta in un caso di un semplice porta-candele; nell'altro caso di un illuminatore di ottone con sostegno ad altezza
variabile e specchio sferico concavo sul retro.
02 ILLUMINATORE CON DIAFRAMMI CIRCOLARI
primi del '900 dimensioni: ø 10, h 21.
Quando si vuole che il fascio di luce prodotto da una sorgente luminosa abbia sezione circolare si può utilizzare un
illuminatore munito di un foro centrale praticato sul coperchio di base di un corto cilindro.
All'interno della cavità si trova la sorgente luminosa.
Sopra il coperchio può girare intorno al suo centro un disco metallico munito di fori di varia grandezza che vengono
portati successivamente di fronte al foro centrale in modo da variare la sezione del fascio di luce.
03 DIAFRAMMA AD IRIDE
fine '800 apertura del diaframma: ø 6.5, h 50.
Una robusta colonna sorretta da un treppiedi porta una larga cornice circolare nel cui centro si trova un diaframma ad
iride, composto di tanti settori metallici che formano una apertura circolare.
Il diametro dell'apertura si regola con una piccola leva di ottone.
04 2 FENDITURE CON VITE MICROMETRICA
fine '800 altezza delle fenditure: h 5; h 2,5.
Le due fenditure rettangolari sono regolate da viti micrometriche che permettono di variare a piacere la loro
larghezza.
Esse servono a limitare un fascio luminoso per eseguire esperienze d'ottica di vario tipo.
Una fenditura è verniciata di nero, l'altra più piccola, è di ottone verniciato con una vernice trasparente.
LA VELOCITÀ DELLA LUCE
Gli esperimenti più recenti assegnano alla velocità della luce nel vuoto il valore di 2.997 108 m/s.
A causa di questo valore così elevato per lungo tempo si pensò che la luce si propagasse con velocità infinita. Galileo
(1564-1642) propose senza successo un esperimento per misurare la velocità della luce.
Toccò ad Ole Ròmer (1644-1710) escogitare un metodo astronomico (1676) basato sulla osservazione che il periodo
di rivoluzione dei satelliti di Giove appare leggermente più breve quando la terra si avvicina a Giove che non quando
essa si allontana.
Il suo risultato, circa 3/4 del valore attuale, fu utilizzato da Robert Hooke (1635-1702), da Newton (1642-1727) e da
Huygens (1629-1695).
Nel 1850 Armand Fizeau (1819-1896) e Leon Foucault (1819-1868) usarono il celebre metodo degli specchi rotanti
per confrontare la velocità di due fasci di luce che si propagano l'uno nell'aria e l'altro nell'acqua.
Nel 1862 James Clerk Maxwell (1831-1879) dedusse una equazione d'onda per la propagazione del campo
elettromagnetico nella quale la velocità era espressa in funzione della permeabilità elettrica e magnetica nel vuoto.
Maxwell utilizzò il valore numerico ottenuto nel 1857 da Rudollip Kohlrausch (1809-1858) e da Wilhelm Weber (18041891) per la misura del rapporto tra l'unità elettromagnetica di carica e l'unità elettrostatica di carica.
Tale rapporto, come è noto, ha dimensione di velocità e la sua conoscenza permette di ricavare il valore numerico
della permeabilità elettrica. Il risultato di Weber e Kohlrausch era 193.088 miglia/sec..
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Nel 1878 Albert Michelson (1852-1931) utilizzando un metodo interferometrico fece accuratissime misure della
velocità della luce e della sua indipendenza dalla velocità della sorgente.
Secondo la teoria della relatività la velocità della luce nel vuoto è la velocità limite per la trasmissione d'informazione
di qualsiasi natura.
Il suo valore numerico è indipendente dal moto della sorgente.
Essa è perciò una costante universale della fisica.
Di fatto la velocità c della luce entra in maniera essenziale nella teoria elettrodinamica, sia classica che quantistica, in
quella dei campi, nell'astrofisica, nella meccanica quantistica, nella fisica delle particelle fondamentali.
05 FOTOMETRO DI BUNSEN
Il fotometro "a macchina d'unto", ideato di Bunsen nel 1841, è pregevole per la sua semplicità anche se i risultati che
si ottengono sono approssimativi.
Esso consiste in un telaietto di carta sul cui centro si è fatta cadere una goccia d'olio, di cera o di stearina.
La macchia appare oscura quando l'occhio si trova tra il telaio e la sorgente luminosa, viceversa è trasparente
guardando la luce attraverso il telaio.
Volendo con questo fotometro comparare l'intensità di due sorgenti, lo si farà scorrere lungo la retta che le unisce
finché non si vedrà sparire la macchia centrale.
Allora si potrà affermare che le intensità luminose delle sorgenti stanno in ragione diretta ai quadrati delle loro
distanze dal telaio.
Nel fotometro di Bunsen per osservare contemporaneamente le due facce dello schermo viene usato un sistema di
due specchi che fanno un angolo di circa 140° tra di loro, disposti simmetricamente rispetto al telaio.
L'osservatore posto di fronte vede le due facce dello schermo riflesse dagli specchi. L'apparecchio è posto su una
colonnina metallica sostenuta da un treppiedi di ghisa.
A. Battelli, P. Cardani, "Trattato di fisica sperimentale", voi. 2, F. Vallardi, Milano, 1916, pp. 926-928.
E. Edser, "Light for Students", Me. Miliari, London, 1907, pp. 11-12.
LA
FOTOMETRIA
I primi tentativi di stimare l'intensità luminosa relativa dei corpi sono da ricollegarsi ai problemi astronomici.
Sia Adrien Auzout (1622-1691) che Christiaan Huygens (1629-1695) utilizzarono dei metodi sostanzialmente
soggettivi per confrontare la luminosità del sole e delle altre stelle. Il primo trattamento sistematico è dovuto a Pierre
Bouguer (1698-1758) con il suo "Traité d'optique sur la gradation de la lumière".
Egli inventò il fotometro e con esso, combinando la tecnica sperimentale con l'analisi matematica, studiò la luminosità
relativa delle varie parti del sole e della luna, l'assorbimento della luce stellare da parte dell'atmosfera, la riflettività
delle superfici lisce e rugose e scopri la legge che porta il suo nome: l'assorbimento della luce in un mezzo trasparente
omogeneo cresce esponenzialmente con il percorso di penetrazione.
Anche Johann Heinrich Lambert (1728-1777) nella sua "Photometrie" del 1760 applicò la fotometria ai problemi
astronomici e meteorologici.
Nel suo studio assiomatico applicò tre principi: la diminuzione dell'intensità luminosa con il quadrato dello spazio
percorso, la sua proporzionalità all'area di una sorgente luminosa uniforme, infine la proporzionalità al coseno
dell'angolo tra la direzione di propagazione della luce e la normale alla superficie.
Nel XIX0 secolo gli studi fotometrici astronomici sono legati al nome di John Herschel (1792-1871).
Nel 1859 Johann Zòllner (1834-1882) inventò il fotometro a polarizzazione, utile per gli studi spettrali, infine nel 1893
Johann Elster (1854-1920) e Hans Geitel (1855-1923) costruirono il fotometro fotoelettrico.
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06 SPECCHIO CONCAVO/CONVESSO
1900 circa dimensioni: ø 14, h 61.
Una base di legno verniciata di nero sorregge verticalmente un'asta metallica mobile a frizione. Essa reca alla
sommità una corona di legno, verniciata anch'essa di nero e girevole attorno ad un asse orizzontale, entro la quale si
trovano da facce opposte uno specchio sferico concavo ed uno convesso entrambi di vetro. Nello specchio sferico il
vertice della calotta sferica è detto centro della figura, il centro della sfera alla quale la calotta appartiene è il centro di
curvatura, la retta passante per il vertice ed il centro di curvatura è l'asse principale. Il punto di mezzo tra il vertice ed
il centro di curvatura si chiama fuoco dello specchio. Un fascio di raggi luminosi paralleli all'asse principale converge
nel fuoco. Per lo specchio concavo l'immagine è reale, cioè tali raggi si riflettono sulla superficie dello specchio e
concorrono nel fuoco. Per lo specchio concavo l'immagine è virtuale, cioè è il prolungamento ideale di tali raggi che
concorre nel fuoco.
O. Murani, "Trattato elementare di fisica", voi 2, U. Hoepli, Milano, 1924, pp. 89-97.
07 SPECCHIO CILINDRICO
fine '800 dimensioni: ø 7, h 26.
Uno specchio cilindrico può essere considerato come la riunione di tanti piccoli specchi della forma di archi circolari
sovrapposti ed aventi i centri allineati sull'asse del cilindro. Ad ognuno di essi si può applicare la proprietà che il fuoco
si trova a metà tra il centro del circolo ed il vertice dell'arco. Perciò, invece di avere un semplice fuoco, si ha una linea
focale cioè una serie di fuochi allineati sopra una retta parallela all'asse, contenuta nella sezione mediana
longitudinale, a metà distanza tra la superficie e l'asse. Se, come nel caso presente, lo specchio è riflettente sulla
superficie convessa, si comporta come uno specchio piano nella direzione parallela all'asse, e come uno specchio
convesso nella direzione perpendicolare. Esso perciò produce delle immagini virtuali che hanno le stesse dimensioni
dell'oggetto parallelamente all'asse, ma che sono rimpicciolite in direzioni trasversali.
L'immagine ne risulta deformata. Si fanno invece dei disegni di oggetti di proporzioni alterate, detti "anamorfosi", che,
posti davanti ad uno specchio cilindrico, danno immagini di giuste proporzioni.
08 SESTANTE
Norie & Wilson - London
1898 dimensioni della cassetta: 29x27x13.
Il sestante, contenuto in una cassetta di mogano rivestita internamente di velluto verde, consta di un settore angolare
graduato, con scala platinata, di ampiezza poco superiore a 60° (da qui il suo nome) ed è munito inferiormente di una
presa di legno per sorreggerlo all'atto dell'osservazione. Sul suo piano, perpendicolarmente ad esso, sono disposti due
specchi: il primo, argentato nella metà inferiore, è fisso mentre l'altro è girevole attorno ad un asse passante per il
centro del settore graduato. Quest'ultimo specchio è provvisto di un'alidada terminante con un nonio con scala dorata,
munito di vite d'arresto e di richiamo. Il raggio del sestante è di 6 pollici e 3/4 (= 17 cm); la divisione sulla scala, da
0° a 150°, (effettivamente da 0° a 75°) va di 10' in 10' con il nonio che legge i 10". Per facilitare la lettura un piccolo
microscopio è montato sul braccio dell'alidada: ha il suo movimento per l'adattamento a vista e per spostarsi lungo le
divisioni del nonio. Lo strumento è provvisto di 3 cannocchialetti che vengono avvitati in un anello montato sul braccio
del sestante opposto a quello degli specchi; una vite sotto l'anello serve ad alzare ed abbassare il cannocchiale. Lo
strumento è corredato inoltre di tre vetri colorati davanti allo specchio fisso e di 4 davanti a quello mobile. Nella
cassetta si trovano, oltre al sestante, anche un oculare (l'altro è montato su un cannocchialetto), due cannocchiali ed
il microscopio per la lettura del nonio. Volendo misurare l'angolo tra due direzione CD e BD si dispone il sestante nel
piano BDC e, guardando il punto B nella parte dello specchio fisso non amalgamato, si ruota l'alidada, e di
conseguenza lo specchio mobile, finché l’immagine di C, visibile nella parte amalgamata dello specchio fisso, coincida
con l'immagine di B. Per proprietà costruttive, l'angolo di cui è ruotata l'alidada è la meta dell'angolo BDC, perciò
l'angolo letto nel settore graduato, già raddoppiato, da la misura esatta di BDC.
Il sestante è corredato dal certificato di esame dell'Osservatorio di Kew, Richmond, Surrey, datato November 1898 e
firmato da Charles Chree, Sovrintendente dell'Osservatorio.
E. Edser, "Light for students", MacMillan, London, 1907, p. 212.
09 CALEIDOSCOPIO
fine '800 dimensioni: ø 7, h 26.
Se un oggetto è posto tra due specchi piani formanti un angolo, si ottiene un numero di immagini che dipende dal
detto angolo. Per esempio se i due specchi sono ad angolo retto, le immagini sono tre; se fanno l'angolo di 60°, le
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immagini sono cinque; se, in particolare, l'angolo è zero, cioè i due specchi sono paralleli, si forma, per le successive
riflessioni, un'infinità di immagini. Il caleidoscopio, gioco ottico inventato nel 1817 dal fisico scozzese David Brewster
(1781-1868), permette di osservare immagini variabili e simmetriche grazie appunto ad un sistema di specchi tra loro
angolati. Esso è formato da un tubo di ottone ricoperto di cuoio. Ad un'estremità del tubo, in cui si guarda attraverso
un foro, vi sono longitudinalmente tre lastre di vetro argentato che formano un prisma equilatero vuoto. Ruotando lo
strumento i frammenti di vetro contenuti al suo interno si muovono e riflettendosi negli specchi formano molteplici
immagini che variano continuamente.
O. Murani, "Trattato elementare di fisica", voi. 2, U. Hoepli, Milano, 1924, p. 87.
010 PRISMA SU SUPPORTO
primi del '900 dimensioni del prisma: lato 3.7, h 5.
In ottica ha grande importanza il caso in cui la luce è obbligata ad attraversare un mezzo rifrangente qualsiasi limitato
da due facce piane che fanno tra loro un certo angolo.
A tale mezzo si da il nome di prisma e generalmente si suole completare il solido dandogli la forma di un vero e
proprio prisma triangolare.
Lo spigolo nel quale concorrono le due facce piane sopra considerate prende il nome di spigolo rifrangente, la sezione
del prisma fatta da un piano perpendicolare allo spigolo rifrangente si chiama sezione normale o principale e l'angolo
formato tra due rette di intersezione di questo piano con le due facce del prisma si chiama angolo rifrangente.
Nel nostro caso l'angolo è di 60°.
Una base circolare di ottone sorregge uno stelo di ottone sul quale a sua volta è inserito il sostegno del prisma di
vetro. Il prisma può ruotare e disporsi in tutte le possibili orientazioni.
Battelli, P. Cardani, "Trattato di fisica sperimentale", voi. 2, F. Vallardi, Milano, 1916, p. 213.
A. Ganot, "Trattato elementare di fisica e di meteorologia", F. Vallardi, Milano, 1862 pp. 452-458.
011 POLIPRISMA COMPOSTO DA 5 PRISMI
primi del '900 dimensioni del poliprisma: lato 3, h 6.8.
La deviazione prodotta su un raggio luminoso qualsiasi da un prisma dipende prima di tutto dalla sostanza di cui
questo è formato e dal sua angolo rifrangente.
Per mettere in evidenza la dipendenza dal materiale ci si serve del poliprisma il quale è formato da numerosi piccoli
prismi di sostanze diverse (per es. varie qualità di vetro).
Quando si fa cadere sul poliprisma un fascio di raggi paralleli, quelli che lo attraversano si dividono in diversi fasci
corrispondenti alle diverse sostanze che compongono lo strumento, deviando di angoli più o meno grandi rispetto ai
raggi che non passano per il poliprisma.
Poiché gli angoli di incidenza e gli angoli rifrangenti sono gli stessi per tutti i prismi che costituiscono il poliprisma, la
diversità delle deviazioni dipende soltanto dal diverso indice di rifrazione delle sostanze che compongono i prismi
elementari.
012 CUNEO OTTICO
fine '800 dimensioni del cuneo: 2x2x14.
Si tratta di un prisma di vetro cavo nel suo interno, le cui facce oblique sono costituite da vetri ottici a facce piane e
parallele. L'interno del prisma è riempito da un liquido colorato di blu. Il prisma, sigillato, è conservato in un astuccio
di pelle e cuoio. Su un lato vi è scritto il nome del costruttore "W. Ausenrieth n° 39947" e la sostanza, Ilarnsàure, cioè
acido urico.
La funzione principale di questo prisma era quello di agire come un filtro per esperienze di fotometria, in quanto
poteva attenuare la luminanza di un fascio di luce in modo lineare cioè proporzionalmente allo spessore attraversato
dalla luce.
013 PRISMA AD ANGOLO VARIABILE CON VASCHETTA
fine '800 dimensioni: ø 15, h 30.
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Per mostrare la dipendenza della deviazione di un raggio luminoso dall'angolo rifrangente si utilizza, per le sostanze
Kquicìe, il prisma ad angolo variabile. Esso è costituito da una bacinella a forma di prisma, due pareti opposte della
quale sono fisse ed hanno la forma di due settori circolari; le altre due pareti opposte sono rettangolari di vetro e sono
girevoli intorno al loro spigolo inferiore. Nel prisma si versa dell'acqua od un altro liquido trasparente. Quando le facce
di vetro sono parallele tra di loro, I raggi luminosi non subiscono alcuna deviazione. Allontanando fra loro le facce, si
manifesta subito la deviazione e questa cresce tanto più quanto maggiore diventerà l'angolo fra le facce medesime. Il
prisma ad angoli variabili è sostenuto da una colonnina di ottone, posta su un treppiedi metallico con tre viti di livello.
Una vaschetta di porcellana bianca sotto al prisma serve a raccogliere il liquido.
A. Battelli, P. Cardani, "Trattato di fisica sperimentale", voi. 2, F. Vallardi, Milano, 1916, p. 221.
014 PRISMA CONICO
fine '800 dimensioni: ø 4.7, h 4.
Il cono di vetro flint, su montatura e sostegno di ottone, era utilizzato per la produzione di uno spettro circolare
(arcobaleno). Una qualsiasi intersezione del prisma con un piano contenente il vertice e l'asse del cono è un triangolo
isoscele. I raggi di una sorgente di luce bianca (situate sull'asse del cono), che si propagano sul piano considerato,
forniscono sopra uno schermo uno spettro costituito da due zone. Un comportamento analogo si verifica ruotando il
suddetto piano attorno all'asse del cono: gli spettri ruotano anch'essi attorno al medesimo asse generando uno
spettro di forma circolare.
015 3 LENTI SU SUPPORTO METALLICO
fine '800 dimensioni: ø delle lenti 13.5, h 36.
Dicesi lente un mezzo diafano, terminato comunemente da due facce opposte di forma sferica. Di solito le due facce
hanno i vertici sulla retta, chiamata asse ottico, che unisce i loro centri di curvatura. Si distinguono, a seconda del
verso in cui sono rivolte le curvature delle due calotte, i tipi di lente biconvessa, lente biconcava, menisco piano
convesso, menisco piano concavo, menisco concavo convesso, che è convergente quando la faccia concava ha un
raggio di curvatura maggiore di quello della faccia convessa e divergente nel caso contrario.
Le lenti hanno base e colonna di ottone. Si alzano e si abbassano in altezza ruotando a pressione un anello zigrinato
che sblocca il colonnino interno. Sono contenute in una cornice di ottone e possono ruotare attorno ad un asse
orizzontale.
In origine facevano parte di una serie di due lenti divergenti e due convergenti. Una lente convergente è andata
perduta.
A. Battelli, P. Cardani, "Trattato di fisica sperimentale", voi. 2, F. Vallardi, Milano, 1916, p. 247.
016 RECIPIENTE PER GAS
fine '800 dimensioni: 10x7x3.5.
Si tratta di una vaschetta di rame, a forma di parallelepipedo, chiusa in due facce opposte da due lastrine di vetro
piane. La vaschetta veniva utilizzata per misure ottiche di assorbimento e per realizzare filtri ottici con gas.
017 - PICCOLO TEODOLITE
2a metà '800 dimensioni: ø 28, h 23.
Si tratta di un piccolo teodolite di linee semplici, leggero e pratico.
L'altezza della colonnetta
sulle tre viti di livellazione
è di circa 10 cm.
Alla base di essa la piccola
piattaforma è dotata di
viti di arresto e di
richiamo.
Il cannocchiale di spia, di
circa 25 cm, girevole
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intorno alla piattaforma ed al lembo orizzontale, viene bloccato anch'esso con una vite.
Alla sommità della colonnetta ricorrono, concentrici, il cerchio orizzontale (o azimutale, o lembo) a raggi e la doppia
alidada con i nonii e la livella fissa.
Il cerchio orizzontale ha il diametro di circa 20 cm col grado diviso in tre parti; i suoi nonii danno i 30".
Sopra il cerchio orizzontale si trova il cannocchiale non capovolgibile di 25 cm, imperniato su un settore graduato
verticale, o eclimetro, fisso all'alidada.
L'eclimetro ha l'ampiezza di 90° numerato da 0° a 45° in un senso e da 0° a 45° nell'altro, col grado diviso in due
parti. Anche l'eclimetro è provvisto di nonio.
O.D. Chwolson, "Traité de Physique", tome I, fascicule 1, A. Hermann, Paris, 1906, p. 321.
018A CANNOCCHIALE DA LETTURA PER GALVANOMETRI
fine '800 dimensioni: l 25, h 14.
Il cannocchiale di ottone è posto su una base con tre piedi. La scala di lettura deve stare sotto di esso, nella guida, e
deve essere orizzontale e perpendicolare all'asse dello strumento. Il cannocchiale viene puntato sullo specchietto
piano solidale con l'equipaggio mobile del galvanometro. Finché l'equipaggio e quindi lo specchio stanno fermi,
l'immagine virtuale della scala, fornita dallo specchio, è ferma anch'essa ed in tal caso lo zero può essere fatto
coincidere con il punto di incontro dei fili del reticolo. Quando l'ago è deviato, sul reticolo appare l'immagine di
un'altra divisione. Si può dimostrare facilmente che quando lo specchietto ruota di un angolo a, il raggio riflesso ruota
di un angolo doppio 2a. Indicando con d la distanza della scala dallo specchio e con d il numero di divisioni di cui si
sposta l'immagine sulla scala, si ha con semplici calcoli: d = d tg 2 a. e per piccoli angoli, confondendo la tangente
con l'arco, a ~ d/2d. Le cifre sulla scala sono scritte a rovescio, allo scopo di vederle diritte nel cannocchiale. Il
metodo di misura è dovuto al Poggendorff.
018B SCALA PER MISURE CON IL METODO OTTICO
fine '800 dimensioni: 54x15x41.
È un accessorio da usare per la misura dell'angolo di rotazione dell'equipaggio mobile di un galvanometro.
La lastra di vetro smerigliato sulla quale era incisa la scala, da leggere in trasparenza, è mancante. Al di sotto si trova
una finestra rettangolare davanti alla quale è montato uno specchietto orientabile. Lo specchio invia la luce di una
sorgente, attraverso la finestra, allo specchietto dell'equipaggio mobile. Quest'ultimo da parte sua riflette sulla scala
l'immagine della finestra attraversata dall'ombra del filo metallico verticale teso nel centro.
019 APPARECCHIO PER LA RIFLESSIONE E LA RIFRAZIONE
primi del '900 dimensione: ø 33, h 35.
L'ottica geometrica è regolata dalle leggi della riflessione e della rifrazione: a) il raggio incidente, quello riflesso,
quello ritratto e la normale nel punto di incidenza alla superficie di separazione dei due mezzi stanno in un medesimo
piano; b) l'angolo di incidenza è uguale a quello di riflessione; e) il seno dell'angolo di incidenza sta in un rapporto
costante col seno dell'angolo di rifrazione; tale rapporto si chiama indice di rifrazione del secondo mezzo rispetto al
primo. Le leggi della riflessione erano già note fin dall'antichità; nell' “Ottica” di Euclide ne viene fatto uno studio
accurato. Le leggi della rifrazione furono enunciate nel 1837 da Cartesio, anche se l'olandese Willebroad Snell, più
noto per i suoi lavori di geodesia, le aveva scoperte alcuni anni prima. L'apparecchio (essenzialmente un goniometro)
è costituito da un largo cerchio graduato sostenuto da una colonna verticale che poggia su un treppiede di ghisa. Due
alidade sostengono una le fessure longitudinali, attraverso la quale passa la luce collimata emessa dalla sorgente
luminosa monocromatica e l'altra l'oculare (mancante), mediante il quale si osserva la luce che viene riflessa o
rifratta. I valori degli angoli si ottengono leggendo le posizioni degli indici delle alidade sul cerchio graduato. Sul
piccolo sostegno centrale si può porre lo specchietto metallico per le esperienze della riflessione oppure il recipiente di
vetro, di forma semicilindrica, per la misura dell'indice di rifrazione delle sostanze liquide. L'apparecchio, quando si ha
a disposizione un prisma, può servire anche a misure dell'angolo di deviazione minima.
Battelli, P. Cardani, "Trattato di fisica sperimentale", voi. 2, F. Vallardi, 1916, p. 434 e sg.
O. D. Chwolson, "Traité de Physique", tome II, fascicule 2, A. Hermann, Paris, pp. 204-208.
O20
- SPETTROSCOPIO DI BUNSEN – KIRCHHOFF
prob. Max Kohl - Chemnitz
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1901 dimensioni: ø 40, h 42.
Si tratta del classico apparecchio a prisma di Bunsen e Kirchhoff (1860) da utilizzare per l'analisi spettroscopica.
L'analisi spettroscopica costituisce uno dei più potenti metodi di studio delle proprietà della materia per via ottica.
Mediante il loro apparecchio Bunsen e Kirchhoff, scoprirono il cesio ed il rubidio. I tubi di scarica di Geissler e di
Plùckcr furono adoperati correntemente nella seconda metà dell'800 come sorgenti luminose per l'analisi
spettroscopica. Nello spettroscopio di Bunsen e Kirchhoff il prisma in vetro flint è posto al centro di una piattaforma
circolare, munita di coperchio, sostenuta da una robusta colonna che poggia su tre piedi di metallo. I raggi luminosi
da esaminare, provenienti da una fenditura posta all'estremità del collimatore e resi paralleli all'uscita del collimatore
stesso, vengono deviati dal prisma equilatero ed osservati attraverso un cannocchiale con oculare a cremagliera. Un
secondo collimatore provvede ad inviare dentro al cannocchiale l'immagine di una scala graduata in modo che essa si
sovrapponga allo spettro. Lo strumento, che ha alcune parti in alluminio, è stato riverniciato.
R. Bunsen, Poggendorff Annalen 109, 148, 1860
R. Bunsen, G. Kirchhoff, Poggendorff Annalen 110, 161, 1860; 113, 337, 1861.
A. Battelli, P. Cardani, "Trattato di fisica sperimentale", voi. 2, F. Vallardi, Milano, 1916, p. 557 e seguenti.
O.D. Chwolson, "Traité de Physique", tome II, fascicule 2, A. Ilermann, Parigi, 1906, chap. VII.
LA
SPETTROSCOPIA
La spettroscopia è lo studio quantitativo della radiazione ottica attraverso l'analisi delle frequenze che la compongono
e della intensità relativa di ciascuna di esse.
Il termine, oltre che alla radiazione luminosa, si applica anche ai raggi X, alla fisica del nucleo, a quella delle particelle
elementari, alla fisica dello stato solido.
Le tecniche spettroscopiche danno informazioni sulla costituzione sia chimica che atomica della sorgente della
radiazione e fin dalla metà del XlXmo secolo sono diventate indispensabili nell'astronomia e nella chimica.
I fondamenti della spettroscopia furono gettati da Isaac Newton (1642-1727) con i suoi esperimenti sulla dispersione
della luce. William Wollaston (1766-1828) osservò per primo (1802) lo spettro solare per mezzo di fenditure che ne
limitavano la larghezza.
Nel 1814 Joseph Fraunhofer, mentre provava la qualità delle sue lenti acromatiche, osservò che lo spettro solare è
interrotto da centinaia di righe oscure, di lunghezza d'onda assegnata, di cui costruì una mappa accurata in
frequenza. Gli studi spettroscopici ripresero molto più tardi, nel 1854 ad opera di Gustav Kirchhoff (1824-1887) e di
Robert Bunsen (1811-1899). George Stokes (1819-1903), William Thomson (18244907) e lo stesso Kirchhoff
suggerirono che ciascun elemento è caratterizzato da precise frequenze di risonanza: quando è ad alta temperatura
esso emette delle righe luminose, quando è a bassa temperatura esso le assorbe.
La spettroscopia permette perciò lo studio degli elementi e l'analisi chimica delle stelle lontane. La teoria dei quanti ha
permesso di precisare meglio i primitivi suggerimenti dei pionieri della spettroscopia.
Nei primi anni di questo secolo si è andata affermando la spettroscopia a raggi X con i lavori di Charles Barkla (18771944) e di H. G. J. Moselcy (1877-1915).
021 - APPARECCHIO PER OSSERVARE LE RIGHE DI FRAUNHOFER
1902 dimensioni: 20x25x46.
Se da un forellino S si lascia cadere su un prisma un fascette divergente di raggi monocromatici, questi emergono
formando ancora un fascio di raggi divergenti che, prolungati si incontrano nel punto J.
L'occhio che riceve il fascio vede in J un'immagine virtuale di S.
Lo stesso accadrebbe se invece di un forellino si trattasse di una fenditura parallela allo spigolo A del prisma.
Interponendo una lente convergente L, si può proiettare l'immagine reale J' su uno schermo.
Se dalla fenditura partissero sovrapposte tre luci monocromatiche, il prisma scomporrebbe in tre l'unico fascette
incidente e sullo schermo si otterrebbero proiettate tre immagini reali R', J', V’.
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Tali immagini saranno tanto più sottili quanto più stretta è la fenditura e tanto più lontane l'una dall'altra quanto
maggiori saranno la rifrangenza del prisma e l'ingrandimento della lente.
Con un fascio di luce bianca lo spettro è formato da una serie di immagini colorate della fenditura le une contigue alle
altre. Per aumentare la dispersione invece di un prisma solo si adoperano più prismi di seguito l'uno all'altro.
Un prisma di solfuro di carbonio o di vetro flint è preferibile per le maggiori proprietà dispersive.
Quando si opera così con la luce del sole si riconosce che lo spettro solare non è continuo ma presenta delle soluzioni
di continuità sotto forma di tante righe nere, osservate nel 1802 dal Wollaston1"^1 e studiate in seguito (1812) dal
Fraunhofer.
Seguendo il Fraunhofer si distinguono le principali righe con le lettere maiuscole dell'alfabeto: A, B, C sono nel rosso,
D nel giallo, E nel giallo-verde, F nell'azzurro-verde, G nell'indaco, H, H' nel violetto.
Aumentando la dispersione alcune righe di Fraunhofer si vedono sdoppiate, per esempio la linea D si divide in due
linee sottili D1 e D2 Le linee di Fraunhofer servono per fissare punti ben determinati dello spettro solare.
E interessante osservare che le due linee luminose D1 e D2 si osservano nelle esatte posizioni di riferimento quando si
utilizza una sorgente luminosa con vapori di sodio.
Viceversa se si utilizza una sorgente che emette uno spettro continuo (per esempio un arco elettrico) e se si interpone
lungo il cammino dei raggi luminosi uno scodellino con i vapori di sodio, si vedono comparire nello spettro le due righe
D1 e D2 dove prima si osservavano le linee luminose.
Si parla in questo caso di inversione dello spettro o delle righe spettrali od anche di righe di emissione e di
assorbimento.
022 - APPARECCHIO DEGLI ANELLI DI NEWTON
fine '800 dimensioni; ø delle lamine 9
Un sottile strato di aria compreso tra una lastra plana di vetro e la superficie curva di una lente piano-convessa
produce una serie di frange di interferenza circolari o anelli. Tali anelli sono stati studiati sperimentalmente da Newton
il quale ricavò per via empirica le leggi con cui variano i loro diametri. Risulta che:
quando la lamina d'aria è osservata per riflessione, i quadrati dei diametri degli anelli chiari stanno tra loro come i
numeri dispari consecutivi e quelli dei diametri degli anelli oscuri stanno tra loro come i numeri pari. Il contrario
avviene quando la lamina d'aria è osservata in trasparenza;
sia in un caso come nell'altro i quadrati costruiti sui diametri variano in ragione inversa ai coseni degli angoli di
rifrazione;
i quadrati dei diametri sono proporzionali alla lunghezza d'onda della radiazione monocromatica utilizzata;
infine i quadrati dei diametri degli anelli sono proporzionali al diametro della sfera a cui appartiene la calotta della
lente piano-convessa. E quindi necessario che la lente abbia piccolissima curvatura se si vuole che gli anelli non siano
tanto fitti da non potersi distinguere gli uni dagli altri.
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Il fenomeno degli anelli è dovuto all'interferenza dei raggi che, penetrando nello piccolo strato di aria, si riflettono
sulla sua seconda faccia, con quelli che invece si riflettono sulla prima. Poiché ogni anello è caratterizzato da uno
spessore determinato dallo strato d'aria, se si agisce con delle viti micrometriche per variare lo spessore tra lastra
piana e superficie curva della lente piano-convessa, si vedrà passare per un certo punto un certo numero di frange
luminose. Dalla conoscenza di tale numero si può risalire, nota la variazione di spessore, alla lunghezza d'onda della
radiazione monocromatica.
Battelli, P. Cardani, "Trattato di fisica sperimentale", voi. 2, F. Vallardi, Milano, 1916, pp. 387-394.
O. Murani, "Trattato elementare di fisica", voi. 2, U. Hoepli, Milano, 1924, pp. 260-264.
023 - PINZETTA A TORMALINA
primi del '900 dimensioni: ø delle ghiere 3.5.
Una lamina di tormalina tagliata parallelamente all'asse di simmetria, e con uno spessore di circa 2mm, gode della
rimarchevole proprietà di assorbire il raggio ordinario, che prende origine per doppia rifrazione dal raggio incidente, e
di lasciare passare indisturbato il raggio straordinario.
Esso risulta polarizzato in un piano perpendicolare alla sezione principale del cristallo.
La lamina quindi costituisce un analizzatore ed un polarizzatore con l'unico inconveniente che il raggio emergente è
colorato in verde o in giallo bruno, come la tormalina.
Un fascio di raggi polarizzato nella sezione principale della laminetta viene estinto.
Si ha quindi che il fascio emergente da una lamina di tormalina potrà attraversare una seconda tormalina se entrambe
hanno gli assi paralleli e verrà estinto se le due lamine hanno gli assi ad angolo tetto tra di loro.
Le due tormaline sono incastrate in due sugheri fissati a due ghiere metalliche che portano un foro nel mezzo, di
fronte alle lamine.
Le due ghiere sono girevoli entro due anelli portati da una pinzetta.
IL
MICROSCOPIO COMPOSTO
II microscopio composto è un sistema ottico formato da due parti: un obiettivo, sistema convergente a cortissima
distanza focale, che ha lo scopo di formare un'immagine reale ed ingrandita dell'oggetto, ed un oculare che, rispetto a
questa immagine, funziona come un microscopio semplice e quindi, a sua volta, ne da un'immagine virtuale e ancora
ingrandita.
La distanza focale f dell'obiettivo e quella f* dell'oculare sono piccole rispetto alla lunghezza ottica l dello strumento
cioè rispetto alla distanza tra il fuoco posteriore dell'obiettivo ed il fuoco anteriore dell'oculare.
Il microscopio è montato su un robusto sostegno, detto "stativo", costruito talvolta di due parti incernierate fra loro
che permettono di trovare l'inclinazione più comoda per l'osservazione.
La parte superiore dello stativo sorregge il "tubo" alle cui estremità si trovano l'obiettivo e l'oculare.
La lunghezza meccanica del tubo, cioè "il tiraggio" è circa 15 cm.
Lo stativo regge il "piatto" dove si appoggia il preparato da esaminare.
Il piatto è girevole e spostabile lateralmente.
Il preparato di solito è tenuto tra un vetrino portaoggetto ed un vetrino coprioggetto incollati tra loro con olio di cedro.
Il tubo è collegato allo stativo con un sistema a cremagliera con il quale, tramite una vite macrometrica ed una
micrometrica, si realizza la "messa a fuoco".
Sotto al piatto si trova il "condensatore", sistema ottico, destinato a far convergere la luce sul preparato.
L'ingrandimento lineare del microscopio è, in buona approssimazione, dato da d l / ff* dove d è la distanza della
visione distinta che per un occhio normale è circa 25 cm.
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In particolare l'ingrandimento ci appare come il prodotto di due termini l / f, detto ingrandimento di obiettivo, ed d /
f*, detto ingrandimento di oculare. Di solito gli oculari e gli obiettivi recano l'indicazione del loro ingrandimento.
La casa costruttrice fornisce inoltre indicazioni su altre caratteristiche, quali ad esempio II grado di correzione (per es.
acromatico, apocromatico, etc.) ed il valore dell'apertura numerica.
024 - MICROSCOPIO COMPOSTO TIPO CUFF PASSEMANT
Paris 1750 circa dimensioni della cassetta: 24.5x23x45.
Le origini del microscopio risalgono alla fine del Cinquecento ed alla prima decade del Seicento.
Allo sviluppo della microscopia del XVII secolo sono associati i nomi dei costruttori italiani Eustachio Divini e Giuseppe
Campani.
Nel '700 i principali costruttori di microscopi furono gli inglesi, specialmente Edmund Culpeper (1660-1738), John Cuff
(1708-1772) e più tardi George Adams (1704-1778).
Gli strumenti inglesi vennero poi imitati e perfezionati anche nel continente.
Lo splendido microscopio composto in ottone realizzato da Passemant è sul tipo di quelli costruiti da John Cuff.
Esso è a colonna laterale, con messa a fuoco a vite e grande specchio condensatore della luce posto sotto il tavolino
portaoggetti.
La colonna si allarga in basso sopra la base di legno verniciata di nero con cassettino di legno e reca incisa la scritta
"Passemant Ingenieur du Roi au Louvre, Paris".
Lo strumento con la sua base viene inserito a misura in una custodia tronco piramidale di legno, simile a quelle già
ideate da Culpeper.
La custodia ha in basso una cassetta recante all'interno, oltre a vari accessori, una scritta su Passemant.
Il microscopio è completo di vari obiettivi, pinzetta di ottone, due serie di vetrini con preparati da osservazione, lo
specchio di riflessione, il cono di ottone che poteva essere inserito sotto il tavolino quando venivano utilizzati obiettivi
più potenti, ed altri accessori.
O25 MICROSCOPIO COMPOSTO INCOMPLETO
David Stalker - Leith
1900 circa dimensioni: 14x14x35
Il microscopio è sorretto da una base, a forma di treppiede ricurvo, verniciata di nero. Anteriormente termina a ferro
di cavallo. Lo strumento è privo delle ottiche, essendo rimasto solamente il diaframma. Il tubo di ottone del
microscopio scorre tramite una cremagliera ricavata sullo spigolo di una guida prismatica a sezione triangolare. Il
movimento è comandato da una manopola. Una vite a passo corto permette di effettuare la messa a fuoco
microscopica.
Il nome del costruttore è riportato sopra una targhetta fissata al piede dello strumento.
026
- MICROSCOPIO REICHERT CON ACCESSORI
C. Reichert - Wien
1890 circa dimensioni: 12x15x33
Nella forma questo pregevole microscopio composto della celebre ditta Reichert di Vienna rassomiglia i modelli di fine
secolo di altre ditte, quali la Zeiss di Jena e la Koristka di Milano.
La solida base di ottone a ferro di cavallo sostiene una robusta colonna, verniciata di nero, in cima alla quale è posto il
piano portaoggetti.
Al di sotto si trovano lo specchio concavo per inviare la luce al preparato ed il condensatore di Abbe con diaframma ad
iride.
Dal tavolino portaoggetti si innalza la colonnina cilindrica che sorregge con un braccio ricurvo il tubo del microscopio.
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Il tavolo porta oggetti, insieme alla colonna cilindrica ad esso solidale, si alza e si abbassa mediante una vite laterale
posta al di sotto.
A sua volta le regolazioni grosse del tubo del microscopio sono eseguite con una vite che comanda il sistema a
cremagliera del braccio, mentre la regolazione fina si esegue dall'alto.
Il tubo termina con un sistema a revolver che porta tre obiettivi.
II microscopio è corredato di obiettivi ed oculari, alcuni dei quali probabilmente non originali.
Gli obiettivi contenuti in una cassettina di dimensioni 5x5x5 sono numerati con i numeri 3, 3, 7, 9.
Gli oculari sono contenuti in una cassettina di dimensioni 11x7x6; due portano i numeri 3 e 5, un altro è un oculare
analizzatore con prisma di calcite.
Alcuni oculari ed obiettivi sono andati perduti.
027A MICROSCOPIO COMPOSTO INCOMPLETO
fine '800 dimensioni: ø 5, h 16.
Il tubo del microscopio si muove a frizione entro un altro tubo, aperto in parte lateralmente, che termina in una base
circolare. Sopra di essa, all'interno del tubo, è situato lo specchio per l'illuminazione. Lo strumento è privo delle
ottiche. Si tratta di uno strumento di minor valore, assai comune alla fine dell'Ottocento. La sua cassetta di legno ha
dimensioni 17x7.5x6.
027B ALTRO MICROSCOPIO COMPOSTO INCOMPLETO
fine '800 dimensioni: 8x10x25.
Il microscopio è sorretto da una base verniciata di nero, terminante anteriormente a ferro di cavallo. Lo strumento è
privo dell'oculare.
028 PORTALUCE CON MICROSCOPIO SOLARE ED ANALIZZATORE DI LUCE POLARIZZATA
1900 circa dimensioni: ø 24, h 100.
Il microscopio solare, inventato verso il 1740 da Lieberkùhn a Berlino, ha lo scopo di mostrare ad un pubblico
numeroso dettagli ingranditi di preparati trasparenti. Una delle prime illustrazioni dell'impiego di un microscopio solare
è riportata nelle "Leςons de Physique experimentale" dell'abate Nollet pubblicate nel 1755. Strutturalmente simile ad
un microscopio, svolge in realtà la funzione di proiettore. Per la necessità di usare una sorgente luminosa molto
intensa viene usato di solito insieme ad un eliostato o ad un portaluce. Il portaluce si compone essenzialmente di uno
specchio piano e di un lungo tubo di lamiera: lo specchio viene fissato all'esterno per ricevere i raggi solari, il tubo si
protende invece all'interno di un locale. Ruotando lo specchio per mezzo di una vite situata sulla ghiera di ottone si
può fare in modo che il fascio di luce incidente sullo specchio si rifletta lungo l'asse del tubo e penetri così nella
stanza. Nel microscopio solare, posto sopra al portaluce, la luce viene convogliata su una lente convergente
(condensatore) situata all'estremità del tubo cilindrico più piccolo, immediatamente prima della piattina portaoggetti.
Il fascio viene cosi concentrato sul preparato in un piano distante dall'obiettivo di un tratto un po' più grande della
distanza focale. Sopra la piattina, regolabile con un sistema a cremagliera, si trova un disco revolver con tre obiettivi:
n° 1, 2 e ad immersione omogenea 1/12"; su quest'ultimo c'è scritto C. Reichert, Wien, n° 30583. Al di sopra
dell'obiettivo è situato il corto tubo che contiene l'analizzatore di luce polarizzata composto di un cristallo di spato
d'Islanda (o un prisma Nicol). La vite micrometrica montata all'estremità della cremagliera serve a mettere a punto
l'obiettivo; con la vite laterale sotto al portacampioni si regola la posizione del condensatore in modo da illuminare
vivamente e uniformemente il campo visivo.
029 SERIE DI PREPARATI PER MICROSCOPI
1900 circa dimensioni degli astucci: 20x34.
I preparati sono contenuti in alcuni astucci di cuoio. Si tratta di parti di insetti, sezioni di piante, fiori, pollini, ed altri
argomenti di scienze naturali.
030 STEREOSCOPIO CON TRE FOTOGRAFIE
primi del '900 dimensioni 18x33x22.
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Lo stereoscopio, immaginato da Wheatstone nel 1838 e modificato in seguito da Brewster, è uno strumento per
mezzo del quale si vedono in rilievo le immagini di oggetti a tre dimensioni disegnate, o fotografate, sopra una
superficie piana. Il principio fondamentale dello stereoscopio consiste nel collocare davanti a ciascun occhio
l'immagine d'uno stesso oggetto, una delle quali però è disegnata con la prospettiva dell'occhio destro e l'altra con
quella del sinistro (coppia di immagini leggermente sfasate tra di loro o immagine stereoscopica). Se ciascun occhio
vede soltanto l'immagine che gli è destinata e le due immagini si sovrappongono si ottiene una percezione viva e
distinta del rilievo.
Nello stereoscopio di Wheatstone la sovrapposizione delle immagini si otteneva per mezzo di due specchi piani, in
quello di Brewster con due lenti convergenti. Nel presente caso si tratta di uno stereoscopio "americano". Una scatola
di alluminio, sagomata per essere appoggiata agli occhi, reca in corrispondenza di questi due lenti prismatiche. Alla
scatola è fissata una guida piatta di legno sulla quale può scorrere trasversalmente un'asta di legno munita di sostegni
metallici tra i quali si pone la stereoscopica. Una tavoletta di legno fissata sopra la guida divide I campi visivi degli
occhi. Lo strumento è corredato di tre vedute stereoscopiche, formate ognuna da due fotografie dello stesso soggetto.
031 APPARECCHIO DI PROIEZIONE CON ACCESSORI
1908 dimensioni: 30x85x50.
Nella camera oscura le immagini risultano generalmente reali, capovolte e impiccolite, nella lanterna per proiezioni (o
lanterna magica) l'immagine viene ingrandita allo scopo di far vedere ad un numeroso pubblico dettagli di disegni
tracciati su lastre di vetro.
E’ necessario che l'oggetto sia vivamente illuminato per avere una immagine chiara e definita.
L'apparecchio da proiezione si compone di una scatola metallica, su telaio di legno, entro cui è racchiusa una lampada
ad arco che serve da sorgente luminosa.
Essa ha il pregio di essere sensibilmente puntiforme.
Perciò il condensatore fornisce un fascio luminoso conico i cui raggi componenti tendono a convergere in un punto O
coniugato della sorgente rispetto al condensatore.
Affinché il punto O si mantenga fisso, nonostante il progressivo consumo dei carboni, la lampada ad arco è munita di
regolatori a mano dalle due viti, che regolano il punto luminoso in senso verticale ed orizzontale, mentre la terza vite
avvicina tra loro i carboni man mano che essi si consumano.
Nel sistema di Dubosq, che è quello comunemente utilizzato, la sorgente luminosa si trova nel fuoco di un sistema di
due lenti destinate a rendere paralleli i raggi.
Una terza lente, che insieme alle altre due forma il "condensatore della luce", trasforma il fascio parallelo in un fascio
leggermente conico che illumina il diagramma da proiettare.
La luce trasmessa dal diagramma viene raccolta da un obiettivo, sostenuto nella macchina da proiezione da due aste
orizzontali.
L'obiettivo è simile a quello della macchina fotografica.
Davanti ad esso si trovano diaframmi circolari di varie aperture.
Mediante una manopola si regola la posizione dell'obiettivo in maniera che la figura e lo schermo stiano in piani
coniugati rispetto all'obiettivo.
L'apparecchio da proiezione, di elegante fattura, era probabilmente corredato di molti accessori, andati perduti.
Oltre ad un telaietto di fattura artigianale, esso attualmente è corredato da una bellissima cassetta di legno pregiato
che racchiude una serie di proiezioni astronomiche movimentate, con immagini impresse su dischi di vetro protetti da
telai etti di legno, e da una vaschetta da laboratorio per eseguire l'elettrolisi.
ACCESSORIO 1: CASSETTA DI PROIEZIONI ASTRONOMICHE
dimensioni della cassetta: 26x21x14.
La cassetta contiene 10 telai di legno contenenti le seguenti immagini: 1 - moto diurno della terra; 2 - moto annuale
della terra; 3 - eclissi della luna; 4 - cause di alta e bassa marea; 5 - sistema solare; 6 - forma della terra; 7 parallelismo dell'asse della terra durante il moto di rivoluzione; 8 - eclissi del sole; 9 - moto di Venere e di Mercurio;
10 - moto di una cometa. Le scritture sono in lingua inglese.
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ACCESSORIO 2: VASCHETTA DI LABORATORIO
dimensioni: 23x6x20.
È una vaschetta smontabile, chiamata anche vaschetta di Molteni, adatta per l'apparecchio di proiezione.
Due lamine di vetro, separate da una spessa lamina di caucciù, tagliata ad U, sono serrate con viti a pressione tra due
lastrine di rame.
La vaschetta è disposta su uno zoccolo di legno che sostiene due colonnine di ottone provviste di pinzette metalliche.
Le colonnine sono messe in contatto elettrico con i poli di una pila mediante due serrafili disposti sulla base dello
zoccolo di legno.
Le pinzette servono per fissare gli elettrodi nella vaschetta.
Con questo apparecchio si possono eseguire facilmente reazioni chimiche (ad. es. elettrolisi} che si osservano
attraverso le immagini proiettate dalla macchina.
Oltre a questi due accessori esiste anche una scatola di dimensioni 40x11x12 contenente una serie di diapositive su
vetro su argomenti vari di scienze naturali.
H. Fourtier et A. Molteni, "Les projections scientifiques", chap. 3, Gauthier-Villars & fils, Paris, 1894.
Battelli, P. Cardani, "Trattato di fisica sperimentale", voi. 2, F. Vallardi, Milano, 1916, pp. 973-975.
A. Ganot, "Trattato elementare di fisica e meteorologia", F. Vallardi, Milano, 1862, p. 516.
ALTRI STRUMENTI DI OTTICA
fine '800 - primi del '900
1 Crocifilo su supporto in ottone
dimensioni: ø 10, h 20.
2 Diaframma a più fori circolari su supporto di ottone
dimensioni: ø 10, h 20.
3 Scatoletta in pelle con 4 diaframmi per obiettivo di macchina fotografica
dimensioni: 4x7x1.
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Meccanica
M1 - MODELLO DI NONIO IN LEGNO
prob. Max Kohl - Chemnitz
1900 circa dimensioni: 112x9.
L'invenzione del nonio, o verniero, sembra risalire a Pierre Vernier (1580-1637), il quale l'avrebbe fatto conoscere con
la sua opera "La construction, l'usage et les propriétés du quadrant nouveau de Mathématique", pubblicata a
Bruxelles nel 1631, oppure al portoghese Pedro Nunez.
Lo strumento serve a valutare le frazioni delle graduazioni ed è costituito da un regolo che scorre di lato alla scala con
le divisioni.
Se la scala, ad esempio, è divisa in millimetri, il nonio è lungo 9mm ed è diviso in 10 parti, ciascuna delle quali vale
9/10 di mm.
In questo modo con lo strumento si può valutare il decimo di millimetro.
A. Roiti, "Elementi di fisica", voi. 1, Le Monnier, Firenze, 1909, p. 165.
G. Erede, "Elementi di Geometria Pratica e Topografia", Lorenzo Della Casa, Genova, 1878, p. 14.
M2 - NONIO DI BAROMETRO
2a metà '800 dimensioni: 29x5.
Si tratta della scala in ottone di un barometro. La scala riporta l'intervallo dell'altezza della canna barometrica
compreso tra 25 e 28 pollici francesi. Ogni pollice è diviso in 12 linee ed ogni linea è divisa in 2 parti. Il nonio, mobile
a cremagliera lungo la scala, è diviso in 24 intervalli. La sua lunghezza complessiva è di 23/24 di pollice, cioè circa
2,594 cm ed ogni intervallo vale 1,08 mm. Con il nonio si può apprezzare 1/24 di 1/24 di pollice cioè circa 0.047 mm.
A. Roiti, "Elementi di fisica", voi. 1, Le Monnier Firenze, 1909, p. 165.
M3 - PIANO INCLINATO DI BERTRAM
prob. E. Leybold's Nachfolger - Kòln
1900 circa dimensioni: 65x25x65.
II piano inclinato di Bertram è interamente metallico ed è realizzato in modo che le forze di trazione possano essere
dirette parallelamente sia al piano sia alla base del piano. Se noi prescindiamo dall'attrito e consideriamo un corpo di
peso P appoggiato al piano inclinato (nel nostro caso il carrello con il suo piattello), e soggetto ad una forza F
passante per il suo centro di gravità (realizzabile nel nostro caso tramite il filo che passa attraverso la gola della
carrucola e collegato all'altra estremità ad un piattello pieno di pesi), la condizione di equilibrio è che P ed F
ammettano una risultante perpendicolare al piano e passante entro la base di appoggio.
Nello strumento le lunghezze dei lati del triangolo rettangolo ABC si leggono sulle tre scale situate rispettivamente
sull'asta orizzontale, sul piano inclinato e sull'asta verticale. II carrello è formato da una coppia di ruote di ottone ed è
munito di ganci per l'attacco del piattello e della funicella.
Battelli, P. Cardani, "Trattato di fisica sperimentale", voi. 1, F. Vallardi, Milano, 1916, pp. 88-90.
O.D. Chwolson, "Traile de Physique" tome I, fascicule 1, A. Hermann, Paris, 1909, p. 214.
A.F. Wienhold, "Physikalische Demonstrationes", Leipzig, 1905.
M4 - PARADOSSO DEL DOPPIO CONO
fine '800 dimensioni del cono: l 31, ø 10
L'apparecchio è incompleto, mancando le due guide di legno inclinate rispetto all'orizzontale e convergenti verso il
basso.
Nell'esperienza il doppio cono di noce viene posto sulle guide, nella parte più bassa.
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Si osserva allora che esso, ruotando, si sposta verso l'alto dove le guide si allargano.
In realtà ciò avviene perché, a causa dell'inclinazione delle guide e della forma del doppio cono, il centro di gravità del
sistema si abbassa durante il movimento.
O. Murani, "Trattato elementare di fisica", voi. 1, U. Hoepli, Milano, 1924, p. 124.
M5 - BILANCIA A TRE PIATTI
prob. E. Leybold's Nachfolger, Coeln
fine '800 dimensioni: 65x25x65.
La bilancia è formata da una funga colonna di ottone posta verticalmente su una larga base di legno.
Tre viti calanti consentono di posizionare orizzontalmente l'apparecchio.
Alle estremità del giogo sono appesi, tramite attacchi (uno è stato ricostruito), due piatti di uguale altezza per le
ordinarie esperienze scolastiche.
Un lungo indice, solidale con il giogo, si muove in un piano verticale sopra una piccola scala con lo zero centrale.
Un terzo piatto da appendere ad una quota più alta serve per eseguire le esperienze di idrostatica sul principio di
Archimede. Si utilizzano allo scopo alcuni corpi cilindrici di ottone annessi allo strumento.
Un corpo è pieno, un altro è cavo, avendo la sua cavità lo stesso volume del primo cilindro.
Essi si agganciano l'uno sull'altro al piccolo gancio situato nella parte inferiore del terzo piatto e si equilibra il sistema
mettendo alcuni pesi sull'altro piatto della bilancia.
Immergendo il cilindro pieno nell'acqua, la bilancia trabocca dalla parte dei pesi rivelando la spinta di Archimede
ricevuta dal cilindro pieno.
Riempiendo di acqua il cilindro cavo si ristabilisce l'equilibrio.
Battelli, P. Cardani, "Trattato di fisica sperimentale", voi. 1, F. Vallardi, Milano, 1916, pp. 327-328.
A. Ganot, "Trattato elementare di fisica e meteorologia", F. Vallardi, Milano, 1862, p. 85.
A. Roiti, "Elementi di fisica", voi. 1, Le Monnier, Firenze, 1909-10, p. 192.
M6 - PICCOLA BILANCIA SMONTABILE IN CASSETTA DI LEGNO
fine '800 dimensioni della cassetta: 27x24x11.
Si tratta di una piccola bilancia a due piatti con colonna di ottone, smontabile, contenuta in una elegante cassetta di
mogano. Nel cassetto estraibile trovano alloggiamento le varie parti della bilancia ed i pesi. Sollevato il coperchio della
cassetta, la bilancia viene montata sopra un piano di legno bloccando la colonna entro una piastra rettangolare di
ottone.
M7 - PENDOLO SU SOSTENGO DI LEGNO.
fine '800 dimensioni: 29x15x71.
Ad un sostegno verticale di legno, su base di legno verniciata di nero, è sospesa tramite una sottile asta rigida, una
pesante massa lenticolare di metallo.
La sospensione è realizzata per mezzo di una lamina metallica (bloccata sul sostegno e sull'asta) la quale si flette
dolcemente seguendo le oscillazioni del pendolo. In questo modo si eliminano gli attriti del vincolo di sospensione.
Inferiormente una vite permette di alzare od abbassare legger-mente la massa lenticolare.
Si tratta di un apparecchio che è possibile approssimare ragionevolmente al classico pendolo semplice di Galileo.
Nel 1602 Galileo pensava di avere scoperto il fenomeno dell'isocronismo delle oscillazioni pendolari.
Tuttavia apparve presto evidente sperimentalmente che il periodo di oscillazione variava con l'ampiezza.
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Fu Huygens nel 1659 a dimostrare matematicamente che l'isocronismo valeva soltanto per le piccole oscillazioni.
Battelli, P. Cardani, "Trattato di fisica sperimentale", voi. 1, F. Vallardi, Milano, 1916, pp. 111-114.
O. Murani, "Trattato elementare di fisica", voi. 1, U. Hoepli, Milano, 1924, pp. 171-173.
M8 - PENDOLO CHE BATTE IL SECONDO
A. Dall'Eco, Ing. Santarelli, Firenze
1890 circa dimensioni: h 145.
Una base di ghisa, livellabile con tre viti calanti sostiene una colonna di legno in cima alla quale un supporto di metallo
dotato di appoggi di acciaio può fare oscillare, su coltelli, un pendolo.
Esso è costituito da un'asta metallica lungo la quale, nella parte inferiore, si trova la massa lenticolare d'ottone. Le
semioscillazioni sono rivelate acusticamente dai battiti di un dispositivo situato in cima all'asta.
L'intervallo tra due battiti è dato da T/2 =2π√l/g dove 1 è la lunghezza del pendolo e g è l'accelerazione di gravita: g
= 9.81 m/s2.
Dalla formula si ricava subito che, se vogliamo che il pendolo batta il secondo, la lunghezza deve essere di circa 1
metro.
Lo strumento è corredato di un interruttore elettrico che comanda il sistema di sboccaggio della macchina di Atwood.
M9 - MACCHINA DI ATWOOD
A. Dall'Eco, Ing. Santarelli - Firenze
1890 circa dimensioni: h 230.
Su una base di ghisa livellabile con tre viti calanti poggia una colonna di legno impiallacciato a sezione rettangolare,
alta circa 2m e verniciata di nero. Lateralmente alla colonna si trova una scala in metallo graduata in cm che reca
nella parte superiore, coincidente con lo zero della graduazione, un piattello snodato da collocarsi orizzontalmente,
nella parte intermedia un traguardo orizzontale forato internamente e nella parte inferiore un piattello di arresto dei
pesi. La puleggia di ottone in cima alla colonna è equilibrata e girevole con minimo attrito. All'apparecchio vengono
uniti i pesi di differente valore della cassetta, adatti ad eseguire tutte le esperienze sul moto verticale dei gravi.
L'esperienza si esegue sostanzialmente abbracciando alla puleggia un filo sottile alle cui estremità vengono applicati i
pesi p e p + p1 Posto il grave di peso p + p1 sul piattello snodato ed utilizzando un dispositivo di sganciamento (per
esempio il dispositivo elettrico collegato con il pendolo che batte il secondo M8), al comando inizierà il moto dei gravi.
Si verifica allora che il moto di caduta verticale avviene con accelerazione g' = g p1 / (2p + p1 + I/r2) dove g è l'accelerazione di gravita, I è il momento di inerzia della carrucola ed r il suo raggio.
M1O - APPARECCHIO PER LA CADUTA DI UN GRAVE LUNGO LA CORDA ED IL DIAMETRO DI UN CERCHIO
Max Kohl - Chemnitz
1910 circa dimensioni: 30x14x36.
L'apparecchio ha come riferimento un grande disco di metallo verniciato di nero, davanti al quale è mobile un piano
inclinato a cerniera.
Il sistema è posto verticalmente sopra una vaschetta di legno che poggia su una robusta base rettangolare di legno
sorretta da tre viti calanti.
Il funzionamento dell'apparecchio si basa sulla proprietà per cui un grave impiega lo stesso tempo a percorrere il
diametro verticale AB di un cerchio e le porzioni di piani inclinati rappresentate da una qualsiasi corda BC e AC
concorrente negli estremi del diametro stesso.
Perciò se vari gravi partissero insieme da A secondo le infinite rette della stella di verticale A, essi si troverebbero ad
uno stesso istante sulla circonferenza di diametro AB.
Se invece partissero insieme da A e dai punti C di questa circonferenza, giungerebbero nello stesso istante nel punto
B seguendo i percorsi AB e CB.
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Per ottenere gli spazi percorsi in ugual tempo basta condurre per il punto B la perpendicolare BC, cioè costruire il
triangolo ABC.
Indicando con v l'angolo BAC e con l il diametro AB, semplici calcoli trigonometrici danno BC = 1 sin υ (AC = 1 cos θ)
ed a1 = g sin v (a2 = g cos υ) dove a1(a2) è l'accelerazione lungo BC (AC) e g è l'accelerazione (di gravita) lungo AB.
Dalla formula del moto uniformemente accelerato lungo AB: 1 = 1/2 g t2 e lungo BC (AC): 1 sin v = 1/2 g sin υ
t12(1 cos υ = 1/2 g cos υ t22) segue che t = t1 ( = t2).
Nell'apparecchio un cursore permette di variare la lunghezza del piano inclinato (la corda BC) cambiando
l'inclinazione.
Un semplice dispositivo con un filo permette di lasciare nello stesso istante due sferette, le quali vengono poi ad
urtare l'una contro l'altra all'estremità B del diametro verticale prima di essere raccolte nella cassetta.
M11 - SFERA DI MARMO PER L'ESPERIENZA DEL PENDOLO DI FOUCAULT
prob. Max Kohl - Chemnìtz
1900 circa dimensioni: ø 10.
La rotazione terrestre può essere messa in evidenza dalla presenza delle cosiddette forze fittizie.
I tentativi di rivelare tale rotazione ebbero successo solo alla metà dell'800 con la famosa esperienza di Foucault,
basata sull'invarianza del piano di oscillazione del pendolo rispetto ad un sistema di riferimento inerziale.
La grossa sfera di marmo da porre in oscillazione è formata da due semisfere unite insieme da un serraggio circolare
di ottone.
Superiormente un'avvitatura di ottone permette di stringere il filo di acciaio di sospensione, inferiormente un lungo
ago metallico serve durante l'esperimento a lasciare un sottile segno sopra il pavimento ricoperto di sabbia.
Allontanando la sfera dalla sua posizione di equilibrio si ha un moto oscillatorio periodico con un piano di oscillazione
ben definito.
Alla nostra latitudine θ il vettore velocità angolare si scompone in un componente ωsinθ normale alla superficie
terrestre ed in uno ωcosθ, tangente lungo il meridiano.
Solo il primo contributo dovrebbe essere messo in evidenza dal pendolo, il cui piano dovrebbe ruotare con velocità
angolare ωsinθ in direzione est-sud-ovest-nord.
Foucault eseguì la sua misura nel 1851 in tre esperienze successive, l'ultima delle quali, quella del Pantheon di Parigi,
con una sfera di 28 Kg, munita inferiormente di una punta e sospesa alla cupola con un filo di 67 m.
L'esperienza di Foucault ebbe una risonanza eccezionale anche in Italia dove p. Angelo Secchi (1818-1878), direttore
dell'Osservatorio del Collegio Romano, la ripeté nella chiesa di S. Ignazio a Roma pochi mesi dopo, allo scopo di
mettere a confronto i dati sperimentali con la teoria elaborata a Pisa da Fabrizio Mossotti (1791-1863).
Tra gli altri l'esperienza fu felicemente ripetuta a Firenze nel 1866, nella chiesa di S. Maria del Fiore, da p. Giovanni
Antonelli (1818-1872) dell'Osservatorio Ximeniano.
In quella circostanza fu utilizzata una sfera di piombo di 16 cm di diametro e di 33 Kg di peso, sospesa alla base della
lanterna della cupola con un filo di oltre 88 m di lunghezza.
La sfera non era registrante e le deviazioni venivano lette con un teodolite.
M12 - MODELLO DI PENDOLO DI FOUCAULT PER LA MACCHINA DI ROTAZIONE
prob. Officine Galileo - Firenze
primi del '900 dimensioni: ø 21, h 43.
Il pendolino, fissato ad un arco metallico su una base di legno, viene posto su un apparecchio di rotazione.
Fatto oscillare il pendolo ed avviata la rotazione della base si osserva che la direzione del piano di oscillazione rimane
invariata.
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Se fossimo trascinati nel moto di rotazione della base si avrebbe l'impressione, in mancanza di altro riferimento, che il
piano di oscillazione del pendolo ruoti rispetto a noi in senso contrario.
M13 - APPARECCHIO PER LE ESPERIENZE DELLE MACCHINE SEMPLICI: CARRUCOLE FÌSSE E MOBILI, POLISPASTI, ASTA DI
OTTONE PER LE FORZE PARALLELE.
primi del '900 dimensioni: 90x19x95.
Sul telaio rettangolare di legno sono riunite le carrucole (o pulegge) fisse e mobili, due sistemi di tre carrucole (o
polispasti), due colonne metalliche che sorreggono le carrucole. Tra queste ultime, inserita nel telaio entro una lunga
asola, viene sospesa orizzontalmente un'asta graduata. Utilizzando dei pesi si possono verificare le ben note leggi
sull'equilibrio delle carrucole, dei paranchi e delle forze parallele.
M14 - CASSETTA D: LEGNO CONTENENTE, VARIE PALLE DI LEGNO, PESI PER BILANCIA, PESI PER LA MACCHINA DI ATWOOD
primi del '900 dimensioni della cassetta: 27x12x10.
Si tratta di pesi di differenti valori da utilizzare in svariate esperienze di meccanica.
M15 - MACCHINA DI ROTAZIONE CON I SEGUENTI ACCESSORI:
anelli elastici
sfere scorrevoli
tubi inclinati
regolatore di Watt
apparecchio per la sedimentazione centrifuga
dinamometro per la misura della forza centrifuga
L'apparecchio di rotazione, con un volano di ferro ed un robusto telaio metallico verniciato di nero, è posto sopra una
spessa base di legno. Esso può essere utilizzato sia in posizione verticale che orizzontale. E’ uno strumento che viene
usato oltre che con gli accessori di cui sopra, mostranti tutti gli effetti della forza centrifuga, anche in numerose altre
esperienze di acustica (sirena di Seebeck, ruote dentate di Savart, ecc), di elettromagnetismo (cerchio di Palmieri,
esperienza di Arago), di meccanica (modello di pendolo di Foucault).
Con i presenti accessori si possono verificare le proprietà della forza centrifuga, cioè che essa è proporzionale alla
massa del corpo ed al quadrato della sua velocità ed inversamente proporzionale al raggio della circonferenza
descritta.
Accessorio 1. Due anelli elastici circolari metallici sono forati in modo che, guidati dall’asse possono schiacciarsi o
distendersi. Quando l'apparecchio di rotazione è in quiete essi conservano la forma circolare, ma assumono la forma
ellittica appena si mettono a ruotare. Ciò avviene a causa della forza centrifuga che sarà maggiore per quelle parti
degli anelli che sono più lontane dall'asse di rotazione.
Accessorio 2. Sulla guida orizzontale di un telaio possono scorrere due sfere di legno di massa diversa, legate da una
cordicella. L'equilibrio sussisterà, quanto il telaio ruota, se le sfere si trovano da parti opposte, rispetto all'asse di
rotazione, ed a distanze da esso inversamente proporzionali alle rispettive masse.
Accessorio 3. Un telaio sostiene due tubi di vetro, sigillati alle estremità ed inclinati entrambi di circa 60° rispetto
all'asse verticale di rotazione. In una provetta si introducono acqua e mercurio, nell'altra acqua e un pezzo di sughero.
Durante la rotazione il mercurio ed il sughero si scambiano di posto con l'acqua nelle due provette, dimostrando che
la forza centrifuga è tanto maggiore quanto maggiore è la massa.
Accessorio 4. Il regolatore di Watt è costituito da un telaio metallico con parallelogramma articolato in cui due lati
sostengono due sfere di ottone di uguale massa e gli altri due trascinano un cursore. Le sfere per effetto della forza
centrifuga si allontanano dall'asse ed il cursore sale verso l'alto. Un dispositivo simile fu applicato nel 1772
dall'inventore scozzese James Watt (1736-1819) alle macchine termiche per comandare la valvola di accesso del
vapore nei cilindri.
Accessorio 5. Nei due alloggiamenti vanno introdotte le provette di vetro contenenti sostanze in polvere non solubili in
acqua. Mettendo l'apparecchio in rotazione, si ha la separazione dell'acqua dalle sostanze in essa contenute.
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Accessorio 6. Una piccola sfera di ottone, collegata ad una molla può muoversi lungo una guida. Posto l'apparecchio in
rotazione, la sfera si porterà per effetto della forza centrifuga verso la periferia della guida, deformando le molle.
L'entità della deformazione viene rivelata allo spostamento di un cursore a fascetta metallica sopra una scala lineare.
M16 - PIANO PER L'URTO ELASTICO DEI CORPI
1930 circa dimensioni della base: 14x14.
Si tratta di un piano quadrato di vetro incassato in una base di legno. Con esso e con una pallina di vetro si possono
eseguire qualitativamente le classiche esperienze dell'urto elastico dei corpi. Per esempio si può verificare che in un
urto l'angolo di incidenza e quello di riflessione sono uguali. In realtà l'urto non è mai rigorosamente elastico.
M17 - UN GIROSCOPIO
1900 circa dimensioni: ø 9.
Un volano di ottone con un rigonfiamento pesante al contorno e girevole attorno ad un’asse con punte di acciaio. Esso
è munito di un anello di protezione (il cui piano di giacitura contiene l'asse del volano) corredato alla periferia di base
di appoggio per una punta metallica. Posto in rapida rotazione con un cordoncino, l'apparecchio, detto anche
giroscopio di Fessel, consente di eseguire le classiche esperienze sull'effetto giroscopico, come l'equilibrio sulla punta
di appoggio oppure su un filo teso orizzontalmente. Si verifica inoltre che l'asse di rotazione conserva immutata la sua
direzione iniziale comunque si trasli o si inclini l'apparecchio.
M18 PENDOLO DI AIRY
Succ. Duroni, Torino
1930 circa dimensioni: 31x35x72.
Un recipiente M di ottone di forma conica, contiene sabbia finissima che può fuoriuscire da un foro posto nella sua
estremità inferiore. Il recipiente è sospeso mediante un filo ad un punto C dove concorrono due fili AB e BC di
lunghezza diversa.
Si tratta in definitiva di un doppio pendolo sostenuto da un telaio rettangolare di metallo fissato su una base di legno.
I fili AG e BC passano attraverso dei fori praticati sull'asta orizzontale del telaio e sono bloccati ad un pomello N, al
quale possono essere avvolti per variare la loro lunghezza.
Quando M viene spostato dalla sua posizione di equilibrio, il punto P descrive in un piano orizzontale una figura di
Lissajous, Tale figura viene evidenziata su un foglio di carta appoggiato sulla base di legno dalla sabbia che cade dal
recipiente M.
George Biddel Airy (1801-1892), nato a Northumberland, ha dato, nel 1834, la prima teoria completa dell'arcobaleno,
ha studiato le aberrazioni degli strumenti astronomici, ha esaminato i fenomeni di polarizzazione nelle lamine sottili
(spirali di Airy).
Ha fatto inoltre numerose scoperte astronomiche. G.R. Duroni era specializzato nel lavoro del vetro e tra i suoi
apparecchi scientifici si trovano specialmente termometri, barometri ed areometri.
Fondata nel 1853, verso il 1880 la sua ditta aveva sede a Torino in via Carlo Alberto 21.
Ancora verso il 1950 la ditta G.R. Duroni, commercializzava strumenti di fisica.
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Fluidi
F1 - APPARECCHIO DI HALDAT
Ing. G. Santarelli, Firenze
1898 dimensioni: 38x14x45.
L'apparecchio di Haldat serve per verificare il principio di Pascal.
In una bilancia posta su una base di legno uno dei piattelli è sostituito da un disco metallico su cui si possono
innestare quattro recipienti di forma diversa.
Si dispone sul piattello un peso conveniente e si versa dell'acqua nel recipiente conico innestato nel disco.
Ad un certo momento si vede traboccare la bilancia dalla parte del disco: parte dell'acqua uscirà ed automaticamente
si ristabilirà l'equilibrio.
Per mezzo dell'indice mobile si segna allora il livello della superficie libera del liquido.
Ripetendo l'esperienza quando al recipiente conico si sostituiscono i recipienti di forma diversa, si osserva che
l'equilibrio si ha sempre quando l'acqua raggiunge in essi lo stesso livello indicato dall'indice mobile.
F2 - CASSETTA DI LEGNO CONTENENTE 11 AREOMETRI E DENSIMETRI
Costruttori vari
fine '800 dimensioni della cassetta: 33x8x41.
In una cassetta di legno di forme tronco-piramidale con finestra di vetro anteriore sono contenuti 11 areometri di
forme e dimensioni diverse.
Si tratta, per ognuno, di un tubo di vetro di varia forma, chiuso ai due estremi, ad uno dei quali è zavorrato con
mercurio e con pallini di piombo. Lo strumento viene immerso nel liquido che si esamina.
La parte immersa è tanto maggiore quanto minore è il peso specifico del liquido; perciò con un'opportuna graduazione
segnata sopra l'areometro, o su una scala di carta contenuta in esso, si potrà avere, leggendo in corrispondenza del
punto di affioramento, il peso specifico cercato.
Tale areometro, che ci da approssimativamente il peso specifico, prende il nome di densimetro.
Gli areometri di Beaumé (o Baumé), che datano da molto tempo, sono graduati in modo del tutto empirico e
arbitrario. Servono a giudicare il grado di concentrazione degli acidi, delle soluzioni saline, degli spiriti, ecc...
Nell'areometro pesa-sali o pesa acidi per liquidi più densi dell'acqua, lo zero è segnato al punto di affioramento
nell'acqua a 12.5 °C., il 15 in una soluzione di 85 gr di acqua e 15 gr di sale marino, il 66 nell'acido solforico
monoidrato.
Nell'areometro pesa-eteri, per liquidi più leggeri dell'acqua, lo zero si ha in una soluzione di 10 gr di sale marino in 90
gr di acqua, il 10 nell'acqua distillata, il 36 nell'alcool in commercio. Rispetto alla scala precedente (per i liquidi più
pesanti dell'acqua), la graduazione è fatta in senso inverso.
Nell'alcoolometro di Gay-Lussac sono indicate quante parti in volume di alcool sono contenute in cento parti di
miscuglio di acqua e alcool, come ad esempio il vino, l'acquavite, etc.
La cassetta contiene un areometro di Baumé della ditta Alvergniat Fréres di Parigi, un pesa-sali, un areometro di GayLussac, un densimetro ed un pesa-aceto della ditta Luigi Pelli di Firenze, un alcoolometro Gay-Lussac, della ditta
Giovanni Barbero di Napoli, un pesa-latte ed altri quattro densimetri senza nessuna indicazione.
F3 - CASSETTA DI 26 INDICATORI DI PESO SPECIFICO E DI DENSITÀ PER I LIQUIDI
prob. Max Kohl - Chemnitz
1910 circa dimensioni della cassetta: 34x12x13.
Si tratta di una cassetta di legno, nella quale trovavano posto originariamente 27 indicatori di peso specifico di vetro,
zavorrati inferiormente con mercurio. Attualmente ne sono rimasti 26. La quantità di mercurio contenuta in ciascun
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indicatore è tale che con essi viene riprodotta una scala di pesi specifici, o di densità, da 0,7 a 2,0 ad intervalli di 0.05
in 0.05.
Gli indicatori sono muniti di un piccolo gancio di vetro situato superiormente. Tramite un lungo gancio pure di vetro
essi vengono posti nel liquido di cui si vuoi misurare la densità. Quando la densità del liquido ha un valore pari a
quello riportato sull'indicatore, si vede quest'ultimo flottare dentro la sostanza in esame.
F4 - AREOMETRO DI NICHOLSON
primi del '900 dimensioni: ø 6, h 27.
L'areometro di Nicholson è un vaso cavo e leggero di metallo sormontato da un'asticella fina che termina con un
piattello.
Nella parte inferiore lo strumento viene zavorrato con un peso M a forma di vaschetta in modo che immergendolo
nell'acqua vi stia in equilibrio stabile verticalmente.
Si carica di pesi il piattello superiore finché lo strumento affondi fino al punto di affioramento ά.
Si pone quindi sul piattello una massa conveniente del corpo di cui si vuoi conoscere il peso specifico e si tolgono tanti
pesi fino a quando venga ristabilito l'affioramento come prima.
Il peso P del corpo è uguale a quello dei pesi che si sono dovuti togliere.
Si pone successivamente il corpo nell'acqua, dentro ad M.
Per ripristinare il punto di affioramento ά. occorre aggiungere sul piattello i pesi P' che misurano la spinta e quindi il
peso di un volume di acqua uguale a quello del corpo.
Il rapporto P/P* misura il peso specifico.
F5 - MARTELLO AD ACQUA
dimensioni: h 25.
Il martello ad acqua è formato da un tubo di vetro con un rigonfiamento sferico ad un'estremità. L'interno, evacuato
dall'aria, è stato riempito di una piccola quantità di acqua. Capovolgendo bruscamente il tubo si osserva che nel vuoto
il liquido cade in massa unita e non a gocce. L'urto sul fondo del tubo si fa sentire secco e sonoro.
F6A - APPARECCHIO DEI VASI COMUNICANTI
fine '800 dimensioni: 37x8x24.
Un recipiente di vetro comunica mediante due condotti di vetro orizzontali con quattro tubi di vetro (uno dei quali
spezzato) di varia forma e di sezione variabile. Il sistema poggia su una base circolare di legno.
Posto l'apparecchio su un piano orizzontale ed introducendo dell'acqua nel recipiente, si osserva che questa si dispone
alla stessa altezza (misurata per esempio dal piano di appoggio orizzontale) sia nel vaso che nei tubi.
Questo risultato, detto anche "principio dei vasi comunicanti", è un'immediata conseguenza del principio di Pascal.
F6B - APPARECCHIO PER I FENOMENI DI CAPILLARITÀ
1900 circa dimensioni: ø 6, h 25.
Una piccola base circolare di legno sorregge due lungi tubi cilindrici di vetro di diametro differente comunicanti tra di
loro.
Uno di essi è un capillare.
Questo apparecchio, riempite parzialmente di un liquido, serve a mettere in evidenza l'effetto della tensione
superficiale, che è duplice:
a) rende curva la superficie libera del liquido;
b) produce all'interno del capillare un innalzamento od un abbassamento del liquido, rispetto alla superficie del
liquido nell'altro tubo, a seconda che il liquido stesso bagni o no le pareti del tubo.
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La superficie libera del capillare prende il nome di menisco (da greco: piccola luna).
La formazione di un menisco concavo (quando il liquido bagna il tubo) porta di conseguenza un innalzamento del
liquido nel capillare; la formazione di un menisco convesso comporta un abbassamento.
Gli innalzamenti e le depressioni seguono una legge molto semplice, enunciata nel 1670 da Giovanni Alfonso Borelli
(1608-1679), medico e matematico napoletano, membro dell'Accademia del Cimento, e riproposta successivamente
(1718) da James Jurin (1684-1750), medico londinese: "Gli innalzamenti e le depressioni, per un dato liquido ed ad
un'assegnata temperatura, sono in ragione inversa dei raggi dei tubi".
F7 - LIVELLA A BOLLA D'ARIA
fine '800 dimensioni: 43x3x6.
Questo apparecchio consiste in un tubo di vetro ricurvo che viene riempito di un liquido molto scorrevole, alcool od
etere, lasciandovi una grossa bolla d'aria che tenderà sempre per la sua leggerezza a porsi nel punto più alto.
Il tubo dopo averlo chiuso viene introdotto in un astuccio metallico in modo che sia visibile dall'esterno.
L'astuccio è fissato ad un regolo di ottone con la base parallela al piano tangente nel punto più alto del tubo.
In queste condizioni se il regolo è posto su un piano orizzontale anche il piano tangente nel punto più alto sarà
orizzontale e la bolla d'aria si disporrà con tale punto nel suo mezzo.
F8 - APPARECCHIO DI PLATEAU
prob. Officine Galileo - Firenze
1910 circa dimensioni: 30x20x30.
Questo apparecchio serve a verificare le condizioni di equilibrio dei liquidi soggetti alle sole forze molecolari.
Per realizzare questa condizione è necessario annullare in qualche modo gli effetti della gravità.
Joseph Plateau ottenne tale risultato versando in un liquido opportunamente preparato un altro liquido che presenta la
stessa densità e non è miscelabile con il primo.
Le esperienze vengono eseguite in un recipiente a pareti di vetro masticiate tra di loro e con il fondo.
Una base di legno sorregge il recipiente e l'asse di una ruota con manovella; con essa si mette in rapida rotazione una
sottile asta verticale metallica posta al centro del recipiente.
Il recipiente contiene una miscela di acqua ed alcool le cui proporzioni sono calcolate in modo da formare un liquido
che ha esattamente la stessa densità di un olio assegnato (colorato adeguatamente per distinguerlo meglio dal
liquido). Con una pipetta si versa l'olio nel liquido dove esso si raccoglie in gocce approssimativamente sferiche.
Utilizzando delle piccole strutture di filo di ferro, l'olio assume configurazioni geometriche diverse.
Per esempio se il diametro del cerchio è maggiore di quello della sfera di olio, quest'ultima si appiattisce assumendo
una forma lenticolare.
Una delle esperienze più curiose consiste nel fare attraversare la goccia di olio dalla sottile asta al centro
dell'apparecchio e successivamente imprimere un movimento di rotazione.
Inizialmente si vede la goccia appiattirsi; se la rotazione aumenta la goccia si spezza in due partì: la prima, interna,
conserva la forma sferoidale appiattita, l'altra, esterna, assume una forma anulare che per la disposizione ed il
movimento ricorda quella degli anelli di Saturno.
F9 - MODELLI DI FIGURE PER L'ESPERIENZA DELLE LAMINE LIQUIDE
1900 circa dimensioni: 42x22x37.
Una serie di intelaiature di filo metallico sono alloggiate in un contenitore di legno. Le intelaiature presenti sono tre
anelli circolari, un tetraedro, una lamina piana, un cono ed un scheletro elicoidale. Esse vanno immerse in una
soluzione di acqua saponata e glicerina contenuta in un recipiente. Togliendo gli scheletri metallici dal liquido, si forma
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su ognuno di essi un sistema di lamine liquide distribuite in modo da dar luogo ad una superficie aperta. All'equilibrio
la legge di Laplace della tensione superficiale diventa 1/R1 + 1/R2 = O dove R1 ed R2 sono i raggi di curvatura
principale (secondo due direzioni perpendicolari tra loro) della superficie libera. Le superficie che godono della
proprietà di avere, in ogni punto, secondo due sezioni perpendicolari, curvature uguali ed opposte si dicono superfici a
curvatura media nulla. Esistono molte superfici (in teoria infinite) a curvatura media nulla e le figure ottenute con gli
scheletri di Plateau ne sono alcuni esempi. Tutte quante godono della particolarità che, comunque complicato sia lo
scheletro, mai più di tre membrane si tagliano lungo uno spigolo come pure mai più di quattro spigoli o di sei
membrane si incontrano in un punto.
F10 - VASO DI TANTALO
primi del '900 dimensioni: ø 15, h 24.
Il vaso di Tantalo, o sifone intermittente, è un recipiente con il fondo attraversato da un tubo ripiegato che funziona
da sifone.
L'acqua viene immessa nel vaso con un cannello di portata minore di quella del tubo ripiegato.
Appena il livello dell'acqua copre il gomito del sifone, quest'ultimo entrerà in funzione e non cesserà di agire fino a
quando il livello dell'acqua dentro al vaso non sarà sceso al di sotto dell'orifizio del sifone.
Il vaso comincerà di nuovo e riempirsi ed il sifone riprenderà a produrre l'efflusso dell'acqua non appena il livello
sorpasserà nuovamente il gomito.
F11 - BILANCIA DI MOHR
A.C. Zambelli - Torino
1910 circa dimensioni: l 25, h 20.
La bilancia idrostatica è stata semplificata da Mohr allo scopo di determinare rapidamente il peso specifico dei liquidi.
Essa è costituita da un giogo L H h, che ha il fulcro in H.
In luogo dei piatti da una parte vi è un uncino a cui si appende un cilindro di vetro (o più spesso, un termometro),
dall'altra un peso L che fa equilibrio nell'aria al cilindretto. La parte H h del giogo è divisa i 10 parti uguali.
Alla bilancia sono uniti quattro cavalierini, due dei quali, AA1, hanno lo stesso peso, gli altri, B e C, pesano rispettivamente 0,1 e 0,01 di A.
Il cavalierino A1 ha peso tale che attaccato all'uncino h ristabilisce l'equilibrio quando il cilindretto viene immerso in
acqua distillata a 4 °C, cioè esso pesa quanto l'acqua spostata dal cilindretto.
Il cavalierino A rappresenta, quando è posto sulla divisione n del giogo, un peso pari ad n/10 di quello dell'acqua
spostata dal cilindretto, B rappresenta gli n/100 e C gli n/1000.
Se si vuole determinare il peso specifico di un liquido più leggero dell'acqua, basta immergervi il cilindretto, spostante
esattamente 10 cm di acqua e collocare A, B e C in modo tale da ristabilire l'equilibrio.
I numeri corrispondenti alle posizioni di A, B, C danno rispettivamente i decimi, centesimi e millesimi del peso
specifico cercato.
Un procedimento analogo si segue con I liquidi più pesanti dell'acqua, in tal caso all'uncino h va appeso uno o più
cavalieri uguali ad A1.
La bilancia è corredata di un termometro speciale (di Reimann) da appoggiare sul bordo della provetta originale e di
un cestellino con piattello (i pesi sono andati perduti) per determinare il peso specifico dei solidi.
Nel catalogo della ditta Zambelli la bilancia è chiamata di "Reimann - Sartorius". In origine essa era alloggiata in una
elegante cassetta di noce.
F12 - PIEZOMETRO DI OERSTED
fine '800 dimensioni: ø 16, h 75
I primi studi sulla comprimibilità dei liquidi risalgono agli Accademici del Cimento. In seguito Canton (1718-1772) nel
1761, Oersted (1777-1851) nel 1823 e D. Colladon (1802-1893) e Sturn (1803-1855) nel 1827 si occuparono
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dell'argomento. Gli apparecchi che misurano la comprimibilità dei liquidi prendono il nome di piezometri. Quello di
Oersted, modificato da Despretz è costituito esternamente da un robusto cilindro di vetro chiuso alla base da un piede
di legno con guaina di ottone e superiormente da un cilindro d'ottone con tappo a vite. Il coperchio porta un imbuto
che serve ad introdurre l'acqua nel cilindro ed un piccolo corpo di tromba nel quale vi è uno stantuffo a tenuta che si
fa avanzare mediante una vite di pressione. All'interno, sopra una lamina di ottone che serve da sostegno, si trova
una riserva che termina in un capillare piegato ed un manometro ad aria compressa per misurare la pressione. Il
liquido di cui si vuole misurare la comprimibilità è contenuto nella riserva mentre il capillare ricurvo è riempito di
mercurio che serve a separare il liquido dall'acqua.
F13 - PRESSA IDRAULICA
fine '800 dimensioni: 33x18x27.
La pressa idraulica è una rimarchevole applicazione del principio di Pascal poiché permette di ottenere, con sforzi
limitati e con piccole quantità d'acqua, delle pressioni assai elevate. Sopra una stessa base metallica sono fissati due
cilindri, o corpi di pompa "c" e "C", i quali comunicano tramite un tubo. Il primo cilindro comunica a sua volta con una
riserva di acqua. Esso è munito di un pistone p azionato dalla leva L. L'acqua inviata in C agisce su un altro pistone P,
sormontato da una larga piastra metallica (mancante nello strumento). Gli oggetti da comprimere vengono posti sulla
piastra che, ad ogni colpo di pistone, si alza avvicinandosi alla base F superiore. In virtù del principio di Pascal la forza
che si ottiene con la pressa idraulica dipende dal rapporto tra le sezioni dei pistoni P e p. Se ad esempio tale rapporto
è 100, anche la forza esercitata da P sarà cento volte maggiore di quella esercitata su p.
F14 - APPARECCHIO DI PIZZARELLO
A. Dall'Eco, Ing. Santarelli - Firenze
1890 circa dimensioni: h 230,
L'apparecchio di Mariotte, modificato da Roiti e da Eccher, venne perfezionato da Antonio Pizzarello e proposto per la
esecuzione di numerose esperienze.
La parte essenziale dell'apparecchio risulta formata da due robuste canne di vetro poste in comunicazione da un tubo
di gomma di forte spessore, riempito di mercurio.
Le canne sono fissate a supporti scorrevoli lungo un grande regolo verticale, che è diviso in centimetri ed ha una
graduazione ben visibile a distanza.
I supporti possono fissarsi sulle aste di legno laterali mediante viti di pressione.
La verifica della legge di Boyle e Mariotte, "i volumi occupati da una data massa di gas, a temperatura costante, sono
inversamente proporzionali alle pressioni", può farsi nella maniera seguente.
Per mezzo della chiavetta si chiude nel primo tubo un certo volume di aria e, alzando od abbassando opportunamente
il secondo tubo, si opera in modo che il livello del mercurio si disponga alla stessa altezza.
È chiaro che in tali condizioni la pressione dell'aria racchiusa è uguale alla pressione atmosferica.
Si innalza successivamente il tubo aperto fino a produrre nei due rami un dislivello corrispondente alla pressione
atmosferica (760 mm di Hg).
L'aria nel tubo chiuso è sottoposta ad una pressione doppia di quella iniziale. In questo caso si verifica che il volume
da essa occupato è la metà di quello di partenza.
Se il dislivello fosse doppio, triplo, etc. il volume sarebbe ridotto a 1/3, 1/4, etc.
Abbassando invece il tubo aperto in modo da produrre un dislivello di mezza canna barometrica, l'aria nel tubo chiuso
occupa un volume doppio e così via.
Lo strumento si presta a numerose altre esperienze.
Vasi comunicanti: con le chiavette delle canne aperte, il mercurio presenta lo stesso livello nei due rami. Servendosi
dell'imbuto terminale si versa un secondo liquido sopra il mercurio di una canna e si misurano i livelli a partire dalla
superficie di separazione che ne consegue. Si ricava subito la densità relativa del secondo liquido rispetto
al mercurio.
Vuoto torricelliano.
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Manometro ad aria libera. È sufficiente collegare un tubetto a doppia squadra innestato nella canna graduata con il
recipiente che contiene il gas di cui si vuoi misurare la pressione mantenendo aperta la chiavetta dell'altra canna.
Manometro ad aria compressa.
Termometro a gas a volume costante. Si utilizza un palloncino di vetro con rubinetto innestandolo nella canna
graduata. Basta quindi scaldarlo in un bagno di paraffina e ricondurre il volume della massa gassosa a quello iniziale.
Si applica poi la formula di Volta e Gay-Lussac P(t) = po (1 + t/273) e si risolve rispetto alla temperatura t (relativa
a quella dell'ambiente), dopo aver sostituito a po il valore della pressione esterna e a P(t) la stessa pressione
aumentata del dislivello prodotto dal riscaldamento.
F15 - APPARECCHIO DI HUBER
Geissler - Bonn
fine '800 dimensioni: 6x9x80.
L'apparecchio di vetro chiamato di Huber nei cataloghi tedeschi dell'epoca, è montato su un cursore separato di legno
da inserire nella guida verticale dell'apparecchio di Pizzarello.
La canna interna graduata ha un rubinetto a tre vie e serve per esperienze sulle leggi di dilatazione dei gas e per
esperienze eudiometriche alla temperatura di ebollizione di un liquido qualsiasi (in generale acqua a 100° C).
Il manicotto è collegato da tappi di sughero o di gomma alla suddetta canna e la circonda per l'intera lunghezza
permettendo una regolare circolazione di vapore e assicurando l'uniformità della temperatura della canna.
Nel portagomma superiore del manicotto viene innestato un tubo idoneo al trasporto del vapore, il cui altro estremo
comunica con un generatore di vapore (per esempio un pallone di vetro in cui bolle il liquido scelto).
Il portagomma inferiore del manicotto comunica a sua volta con un tubo di scarico e con un distillatore.
L'apparecchio di Huber si inserisce nell'apparecchio di Pizzarello al posto della canna graduata.
La canna interna verrà indicata con A, l'altra canna dell'apparecchio di Pizzarello con B.
Per la misura del coefficiente di dilatazione dei gas a pressione costante si lascia innanzitutto circolare il vapore nel
manicotto e si riscalda la canna A ed il mercurio per togliere l'umidità.
Quando tutto l'apparecchio si è raffreddato, si solleva B fino a portare il mercurio asciutto al di sopra della chiavetta.
Sì aspira aria secca dal rubinetto a tre vie (possibilmente attraverso un tubo con H2 SO4) introducendone una certa
quantità.
Si livellano i menischi, si legge il volume (sia esso V0) e si torna a far circolare vapore, Man mano che il gas si
riscalda, si abbassa B per conservare il mercurio allo stesso livello.
Quando non si ha più variazione si legge il volume del gas caldo e si ricorre alla formula
a =
(V-Vo) / [V0 (t-t0)]
dove V e V0, t e t0, indicano rispettivamente i volumi e le temperature del gas riscaldato e del gas freddo.
Per determinare il coefficiente a volume costante, dopo aver aspirato nella canna A aria secca, si conserva inalterato il
volume del gas che si riscalda, sollevando continuamente B. Si legge il dislivello e si sostituisce in
β =
(V-Vo) / [Vo (t-to)]
dove V e Vo , t e to, indicano le pressioni e le temperature del gas caldo e freddo. Poiché nell'esperienza la pressione
interna supera quella esterna, è prudente applicare alla chiavetta una legatura in croce.
L'apparecchio può usarsi anche come eudiometro.
Esso ha il vantaggio di permettere l'aspirazione del gas in studio attraverso il rubinetto a tre vie.
Per verificare la legge dei volumi di Volta - Gay - Lussac, si deve avere cura di inviare il vapore d'acqua nel manicotto
e di misurare il volume della massa gassosa nelle condizioni iniziali e finali, dopo una prolungata circolazione di
vapore.
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Simone Testa
F16 - EUDIOMETRO DI BUNSEN
fine '800 dimensioni: ø2,7, h 65.
Nella sua forma più semplice l'eudiometro consiste in un tubo cilindrico graduato, la cui estremità superiore chiusa è
attraversata da due fili metallici isolati che terminano con punte affacciate, tra le quali al momento opportuno Si fa
scoccare la scintilla elettrica.
Nell'eudiometro di Volta l'estremità inferiore, allargata ad imbuto, serve da base che si appoggia sul fondo di una
catinella contenente acqua. In quello di Bunsen l'estremità inferiore è immersa in una vaschetta di mercurio a pareti
di vetro (per facilitare la lettura del livello del mercurio dentro l'eudiometro).
L'altezza della canna è regolata in modo che il mercurio raggiunga nell'eudiometro un assegnato punto di riferimento.
Riempito il tubo dell'eudiometro di una miscela di opportune proporzioni di aria infiammabile e di aria comune (o di
ossigeno) se ne provoca l'esplosione con la scintilla elettrica.
Si determina poi la diminuzione di volume e si studia la natura dei prodotti dell'esplosione.
La storia dell'eudiometria è associata ai nomi di Alessandro Volta, di Felice Fontana (1730-1805) e di Carlo Barletti
(1735-1800), un celebre fisico delle Scuole Pie, professore nell'Università di Pavia, che con Volta tenne numerosi e
costanti rapporti scientifici.
F17 - EMISFERI DI MAGDEBURGO
1900 circa dimensioni: ø10.
Sono due emisferi cavi di ottone con gli orli perfettamente combacianti. Essi si possono separare con grande facilità se
racchiudono aria. Tuttavia adagiati l'uno sull'altro dopo averne spalmato gli orli di grasso e vuotato il loro interno
dall'aria contenutavi mediante una macchina pneumatica, si nota che, una volta chiuso il rubinetto e staccata la
pompa, la loro separazione è molto difficile. Ciò è dovuto al fatto che la pressione atmosferica, non più equilibrata
dalla pressione interna, uguale ed opposta, li tiene l'uno contro l'altro.
Il nome deriva dal famoso esperimento eseguito nel 1654 da Otto von Guericke, borgomastro di Magdeburg (fig. 11),
davanti alla Dieta Imperiale a Ratisbona. Per separare gli emisferi di Guericke fu necessario ricorrere alla forza di
trazione esercitata da alcuni cavalli. L'esperimento è descritto nell'opera di Guericke "Experimenta Nova (ut vocantur)
Magdeburgica de Vacuo Spatio", pubblicata ad Amsterdam nel 1672.
F18 - VACUOMETRO DI MCLEOD
prob. E. Leybold - Briiderstrasse 7, Coeln
1909 dimensioni: 39x49x190.
Mentre la prima produzione del vuoto si fa risalire al famoso esperimento immaginato da Torricelli nel 1643 e
realizzato da Viviani nel 1644, è meno certa la prima misura del vuoto, cioè la misura di una pressione inferiore a
quella atmosferica.
L'invenzione della pompa pneumatica di Otto von Guericke (1650 circa) rese possibile la produzione del vuoto in
volumi molto maggiori che non nel tubo torricelliano.
Robert Boyle modificò la pompa di von Guericke mostrando anche che il barometro può essere usato come
"misuratore di vuoto".
Boyle riuscì a raggiungere la pressione di circa 0,25 pollici di mercurio.
La data di questo esperimento non è nota ma è comunque anteriore al 1660, allorché fu pubblicato da Boyle il suo
libro sugli esperimenti di pneumatica. Il manometro a colonna di mercurio di Boyle, in forme più o meno raffinate, ed
il manometro metallico, furono gli unici misuratori di vuoto per circa due secoli.
Nel 1874 McLeod costruì un vacuometro per misure di pressione che ancora oggi, opportunamente modificato, è in
uso nell'intervallo tra 1 e 10‾6 torr.
La forma originaria del vacuometro di McLeod è costituito da:
(a) un tubo di connessione con la pompa a vuoto;
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(b) un barometro a sifone;
(c) un globo di vetro di 48 ml di capacità con, al di sopra, un tubo (di volume) chiuso;
(d) un tubo per misurare la pressione;
(e) un tubo di vetro con derivazione laterale;
(f) un tubo verticale di 80 cm;
(g) una riserva di mercurio;
(h) un regolatore per controllare il flusso del mercurio.
Il tubo di volume ed il tubo (d) hanno lo stesso diametro per evitare errori di capillarità quando si esegue la differenza
delle letture delle altezze della colonna di mercurio nei due tubi.
F19 - APPARECCHIO DI WEINHOLD PER LA DISTILLAZIONE DEL MERCURIO
prob. E. Leybold's Nachfolger, Coeln
primi del '900 dimensioni: 39x50x220.
L'apparecchio è sostenuto da una lunga tavola di legno verticale.
Si versa il mercurio da pulire in una vaschetta collocata su una tavoletta mobile.
Per mantenere il livello più alt
Si riunisce il rubinetto di mezzo ad un aspiratore ad acqua mediante un tubo di gomma.
Si fa pescare l'estremità del tubo a caduta in una piccola vaschetta piena di mercurio pulito.
Messo l'aspiratore in funzione ed aperto il rubinetto di mezzo, il mercurio sale nel tubo barometrico esterno.
Si sposta la tavoletta mobile finche il mercurio non riempie a metà il pallone di distillazione, quindi si accende la
piccola lampada anulare a gas posta sotto al pallone.
Il mercurio volatilizzato passa nello stretto tubo di caduta e cade a goccioline, come avviene in una pompa di
Sprengel, nella sottoposta vaschetta.
F20 - PALLONE DI DISTILLAZIONE DI GAEDE
E. Leybold's Nachfolger, Koln
1910 circa dimensioni del sostegno: 80x35x54.
Il pallone sferico per distillare nel vuoto elevato contiene nel suo fondo la materia da distillarsi. Al tappo smerigliato
del pallone è saldato un tubo, chiuso in basso, in forma di provetta, destinato a contenere una sostanza refrigerante,
per es. acido carbonico. In fondo al tubo è sospesa una capsuletta. La pompa (a mercurio di Gaede) viene collegata al
tubo laterale munito di rubinetto. Secondo i cataloghi Leybold dell'epoca, distillando mercurio a 15° si ha un
rendimento di 11,6 gr in un'ora e mezza.
F21 - APPARECCHIO PER L'ASSORBIMENTO DEI VAPORI DI MERCURIO
E. Leybold's Nachfolger, Koln
1910 circa dimensioni del sostegno: 80x34x54.
La tensione di vapore del mercurio raggiunge circa 0.001 mm alla temperatura ordinaria. Se si desidera trattenere
fuori del recipiente i vapori di mercurio che si sviluppano dalla pompa conviene introdurre l'apparecchio unendo C alla
pompa ed E al recipiente che si deve svuotare. I gas provenienti dal recipiente attraversano il tubo interno B sino ad
"a" e risalgono quindi nel tubo esterno A, in vetro duro, munito di raccordo smerigliato. Una vaschetta D smerigliata
sopra B permette un giunto a tenuta di mercurio.
Per assorbire i vapori di mercurio si possono mettere in B delle foglioline d'oro oppure, in A, un pezzo di zinco, il quale
andrà poi scaldato nel vuoto con un becco Bunsen fino alla deposizione di una spessa patina sulle pareti di A e B. II
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cartone di amianto F serve a proteggere il raccordo smerigliato dall'influenza della fiamma. La deposizione dello zinco
sublimato presenta una superficie tersissima che facilita la formazione dell'amalgama con il mercurio.
F22 - APPARECCHIO PER LA PULIZIA DEL MERCURIO
E. Leybold's Nachfolger - Coeln
1910 circa dimensioni: 30x23x80.
Nell'apparecchio la pulizia del mercurio viene effettuata per l'ossidazione dei metalli disciolti in esso e delle impurezze
organiche e per la volatizzazione delle impurità liquide. Si stabilisce la comunicazione con una pompa a funzionamento
automatico, per esempio una pompa rotativa a capsula. La gomma pesca nel mercurio sporco. Si lascia la pompa in
funzione per un periodo di tempo tra 12 e 24 ore, in modo che l'aria gorgogli attraverso il mercurio che si trova
nell’apparecchio, provocando la volatizzazione o l'ossidazione delle impurezze in esso contenute. Le impurezze
rimangono in parte aderenti al vetro, in parte vengono trascinate via e trattenute dal tampone di ovatta. Si arresta la
pompa, si gira il rubinetto a tre vie e si lascia calare il mercurio purificato in un recipiente. Il mercurio si può ritenere
abbastanza pulito per le esperienze di vuoto elevato quando non lascia dietro di sé un anello di impurità allorché lo si
filtra lentamente attraverso un imbuto di carta. Questo metodo di pulizia ha il vantaggio di eliminare le sostanze
volatili (rispetto al metodo della distillazione), che possono dare molto fastidio nelle esperienze dove necessita un
vuoto elevato.
LA STORIA DELLA POMPA PNEUMATICA
La prima pompa pneumatica, cioè una macchina con la quale l'aria viene progressivamente rimossa da un recipiente
chiuso, venne inventata da Otto von Guericke (1602-1686), verso il 1650. Descritta da Kaspar Schott nell'opera
"Medianica Hydraulica-Pneumatica" del 1657, essa consisteva semplicemente di un tubo cilindrico con due valvole,
una a metà lunghezza e l'altra all'estremità inferiore del cilindro. Guericke ne fece una descrizione nel 1672, nella sua
famosa opera "De Vacuo Spatìo". La pompa descritta da Guericke è probabilmente di costruzione posteriore a quella
disegnata da Schott. Nel 1660 Robert Boyle (1627-1691) descrisse una pompa, costruita in seguito dal suo assistente
Robert Hooke, che aveva prestazioni migliori di quella di Guericke. Nel 1665 lo stesso Boyle presentò una seconda
versione. Nel 1682 infine Boyle, seguendo un'idea di Denis Papin (1647-1712). Realizzò una pompa a due corpi di
tromba. Un progetto decisamente migliore (1709) di una pompa a due corpi di tromba fu quello di Francis Hauksbee
(e. 1666-1713) il cui strumento è attualmente conservato presso la sede della Royal Society di Londra. Il progetto di
Hauksbee rimase sostanzialmente inalterato fino al XIX secolo, quando comparvero la pompa di Bianchi (1856) e
specialmente (1892) la pompa di Fluess (chiamata pompa Geryk in onore di Guericke). Verso la metà del XIX secolo
le necessità di vuoti assai elevati (~ 10 -3mm di mercurio) per i tubi di scarica, portarono all'uso di pompe a
mercurio, basate su principi diversi da quelli delle pompe a cilindro, usate fino ad allora. La prima pompa a mercurio
fu utilizzata da Geissler nel 1855; ad essa seguì la pompa di Toepler (1862) e quella di Sprengel (1873), forse la più
nota per l'uso che ne fece William Crookes dopo le modifiche di Gimingham.
Nel 1905, dopo i primi tentativi di W. Kaufmann, Gaede inventò la pompa rotativa a mercurio con la quale si
raggiungevano pressioni dell'ordine di 10 -6 mm di mercurio. Il pre-vuoto era realizzato con la Kapselpumpe, sempre
di Gaede. Infine nel 1912 Gaede fece fare un altro passo avanti alla produzione di vuoti sempre più spinti con
l'invenzione della pompa molecolare.
F23 - POMPA DI SPRENGEL
Orfeo di Nasso, Costruttore Meccanico, Via S. Agostino 6, Pisa
1900 circa dimensioni: 70x40x200.
La pompa di Sprengel è fondata sulla caduta libera del mercurio che fluisce trascinando seco l'aria. Essa è, in linea di
principio, simile all'aspiratore di Bunsen. La pompa di Sprengel dell'Istituto Calasanzio, a tre tubi di caduta, è posta
all'interno di un robusto telaio rettangolare di legno. Per descriverla faremo riferimento alla fig. 15, dove viene
mostrata una pompa di Sprengel con un solo tubo di caduta. Il recipiente R dal quale si vuole estrarre l'aria è al di là
di F. Esso comunica con un tubo che contiene anidride fosforica per assorbire il vapore acqueo e con un altro tubo
contenente zolfo e selenio per assorbire i vapori di mercurio. Si fa comunicare il recipiente (R) con la tromba aprendo
la chiavetta F, attraverso alla quale l'aria viene aspirata dal mercurio che, a goccia a goccia, cade da A nel cannello K.
Questo si apre nel fondo della bacinella D che serve a raccoglierlo. Per mettere in circolazione il mercurio contenuto in
D, si abbassa il serbatoio B, girando la manovella M, fino alla posizione 1; contemporaneamente si gira la chiavetta a
tre vie C. Si gira nuovamente C in modo da togliere la comunicazione con D e stabilire quella tra B ed H; quindi si
innalza il serbatoio fino alla posizione 2, II mercurio comincia a circolare per C ed O. In HN abbandona le tracce d'aria
che può aver portato con sé e continua per HP fino in A, dove sgocciola aspirando l'aria dal recipiente R. Le bolle di
gas asportate, e mantenute tra le gocce di mercurio lungo il tubo K, cadono nella bacinella D. L'ampolla V (mancante
nello strumento) è destinata a trattenere le piccole bolle d'aria provenienti dal tubo di gomma in basso, le quali
possono essere espulse manovrando il relativo rubinetto. Si fissa infine il serbatoio B nella posizione 3 più conveniente
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per regolare la velocità di afflusso dei mercurio e si abbandona l'apparecchio a sé stesso poiché la corrente dei
mercurio seguita come in un sifone. Quanto B è vuoto, lo si ridiscende in 1 e si comincia nuovamente un ciclo. Infine,
volendo giudicare il grado di rarefazione ottenuto si ricorre alla provetta di McLeod L, manovrando il rubinetto S.
F24 - PIATTO DI MACCHINA PNEUMATICA CON RUBINETTO.
primi dei '900 dimensioni: ø 20.
Il piatto dello strumento è di vetro smerigliato, per ottenere alta adesione con l'orlo rettificato delle campane di vetro.
La carcassa è di ottone. Inferiormente il portagomma con il rubinetto permette il collegamento con la macchina
pneumatica.
F25 - CAMPANE PER MACCHINA PNEUMATICA
primi del '900 varie dimensioni.
Sono campane di vetro di forte spessore da utilizzare sui piatti delle macchine pneumati-che di Geryk e di Carré.
F26 - MANOMETTO AD ARIA COMPRESSA
primi del '900 dimensioni: 13x8x28.
Il tubo di vetro piegato a sifone è sostenuto da una tavoletta sagomata di legno. La pressione che si vuole misurare si
esercita attraverso l'estremità aperta del tubo e sposta il mercurio finché non le venga fatto equilibrio dalla pressione
idrostatica del mercurio stesso aumentata dalla pressione del gas raccolto nel tubo manometrico. La scala associata al
manometro riporta multipli della pressione atmosferica.
F27 - MANOMETRO DI BOURDON
E. Bourdon - Paris
2a metà dell'800 dimensioni: 80x16x42.
Il manometro di Bourdon consiste di un tubo metallico a sezione ellittica e a parete sottile curvato a forma di C. Una
estremità, fissa, è collegata ad un rubinetto, l'altra estremità è chiusa ed è libera di muoversi. Per mezzo di
un'asticella solidale con essa può trasmettere I suoi movimenti ad un indice la cui posizione si legge su una scala
graduata. Aprendo il rubinetto e facendo arrivare nel tubo a C il gas ad alta pressione, il tubo tende a raddrizzarsi e
l'estremo libero della C si sposta facendo ruotare l'indice sulla scala graduata. Il tubo di Bourdon è racchiuso in una
robusta scatola metallica a sezione ellittica posta su un sostegno di legno. La scala, visibile attraverso la finestra
circolare di vetro, è espressa in atmosfere con un fondo scala di 9 atmosfere e divisioni di 0,25 in 0,25 Atm.
Battelli, P. Cardani "Trattato di fisica sperimentale", Voi. 1, F. Valardi, Milano, 1916, p. 492.
G. Cantoni, "Elementi di fisica", F. Vallardi, Milano, 1869, p. 204.
F28 - TUBO DI BOURDON DA DIMOSTRAZIONE
fine '800
Si tratta di un piccolo manometro di Bourdon dimostrativo.
F29 - PICCOLO VACUOMETRO
Max Kohn - Chemnitz
primi del '900
E un piccolo vacuometro metallico, con scala da O a 76 cm di Hg (un'atmosfera) provvisto di due rubinetti e di un
lungo tubo metallico con tappo di caucciù.
F30 - MACCHINA PNEUMATICA AD OLIO DI CARRÉ
Max Kohl - Chemnitz
1900 circa dimensioni: 100x40x27.
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Il processo di vaporizzazione può raffreddare un liquido fino al punto di solidificazione, facendolo diventare solido.
Infatti si arriva a congelare dell'acqua contenuta in un piccolo recipiente A di metallo, o meglio di sughero
internamente affumicato, disponendola sotto la campana di vetro di una macchina pneumatica di Carré insieme ad
una vaschetta V contenente acido solforico che assorbe il vapore e quindi accelera l'ebollizione. La macchina di Carré
non è altro che una pompa aspirante sostenuta verticalmente su un telaio di metallo verniciato di nero e messa in
azione mediante un manubrio. La base, che reca il piatto della pompa ed un manometro troncato (ossia un tubo ad U
con uno dei rami aperto e l'altro chiuso e ripieno di mercurio bollito), è collegata alla pompa da un cannello metallico.
A. Roiti, "Elementi di fisica", voi. 1, Le Monnier, Firenze, 1909, p. 562.
F31 - POMPA AD OLIO DI GERYK
Officine Galileo - Firenze
1925 circa dimensioni: 41x40x65.
Nella pompa di Geryk (chiamata così, in onore di Guericke, dal suo inventore, l'inglese H.A.Fleuss) l'aria proveniente
dal recipiente in cui si deve fare il vuoto penetra nel corpo di tromba dall'orifizio laterale. Lo stantuffo nella posizione
di riposo sta più in basso ed è coperto da un grosso strato d'olio. Sollevando lo stantuffo, l'olio che raggiunge subito il
livello dell'orifizio, impedisce il ritorno dell'aria nel recipiente che si vuole vuotare e comprime l'aria stessa nello spazio
sovrastante chiuso dal coperchio superiore del corpo di tromba. Il coperchio ha un'apertura conica fornita di una
valvola che si apre dal basso verso l'alto ed è premuta da una molla metallica. Sopra il coperchio, poi, si trova un
altro grosso strato di olio. Innalzando lo stantuffo un punzone apre la valvola di modo che l'aria compressa sfugge
attraverso l'apertura conica gorgogliando nell'olio. Riabbassando lo stantuffo la valvola si chiude e si forma il vuoto
dentro il corpo di tromba (limitato dalla tensione di vapore dell'olio). Per impedire che al principio della manovra si
formi il vuoto al di sotto dello stantuffo la pompa è munita di un tubo laterale. Inoltre per il buon rendimento non si
deve mai lasciare entrare acqua o vapore acqueo, onde tra il recipiente da vuotare e la pompa è opportuno inserire
sostanze che assorbono l'umidità.
O. Murani, "Trattato elementare di fisica", voi. 1, U. Hoepli, Milano, pp. 374-376,
F32 - POMPA ROTATIVA A CAPSULA DI GAEDE
E. Leybold - Briiderstrasse 7, Coeln
1909 dimensioni: 52x31x32.
La pompa rotativa a capsula (Kapselpumpe) di W. Gaede può servire tanto per l'aspirazione che per la compressione.
Come aspiratore da un vuoto di circa 10-2 mm di mercurio in pochi minuti, come compressore da una sovrapressione
di un'atmosfera. Inoltre, pur con dimensioni ridotte, ha una portata di 110 cm3 per giro. L'albero principale porta un
cilindro che ruota entro la cavità cilindrica della capsula; due palette in acciaio temperato, che attraversano diametralmente il cilindro, toccando le pareti interne della cavità, funzionano da pareti di chiusura ermetica delle due
camere a forma di lunetta. Una molla elicoidale, posta tra le due palette, tende ad allontanarle l'una dall'altra. La
capsula è chiusa ermeticamente sul davanti da una piastra smerigliata di rame, fissata con delle viti alla sua flangia.
La capsula è montata su uno zoccolo con due viti. La scatola cilindrica, unita alla capsula col filettaggio, serve da
serbatoio dell'olio e da camera ad aria compressa. La scatola viene riempita di olio e il controllo viene fatto attraverso
la finestra. L'olio viene portato all'albero da un anello; infine un premistoppa impedisce all'aria compressa di uscire
dalla scatola cilindrica. La puleggia motrice, montata sull’albero, è comandata, con la cinghia di trasmissione, dal
motore elettrico trifase montato sullo stesso zoccolo. Quando il cilindro gira l'aria viene aspirata in e sospinta,
attraverso la valvola ed il condotto nella camera .
La pompa a capsula si utilizza in aspirazione per tubi di scarica e per tubi Roentgen e in compressione, ad esempio,
per la sirena a disco o per la cassetta di distribuzione dei tubi sonori.
Quando occorrono vuoti più spinti si può utilizzare la pompa a capsula in serie con una pompa a mercurio di Gaede.
F33 - POMPA A MERCURIO DI GAEDE INCOMPLETA
E. Leybold's Nachfolger, Coeln
1910 circa dimensioni: 26x34x40.
La pompa di Gaede a mercurio del gabinetto è incompleta poiché il tamburo di porcellana è andato rotto. Verrà perciò
descritta sommariamente senza entrare nei dettagli costruttivi. La pompa si compone di un recipiente cilindrico di
ghisa, chiuso ermeticamente sul davanti da una robusta lastra di vetro e riempito circa a metà di mercurio. Dentro il
recipiente, per mezzo di due ruote dentate e di una manovella, oppure di un motorino elettrico, si fa ruotare un
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tamburo di porcellana. Questo è diviso in più camere o comparti separati da diaframmi e dal mercurio, i quali
comparti comunicano con canaletti a spirale alla periferia. Il recipiente da vuotare è messo in comunicazione con la
parte superiore del tamburo per mezzo di un tubo a perfetta tenuta d’aria. Mentre il tamburo ruota i diversi comparti
si riempiono alternativamente di aria e di mercurio: i comparti cioè aspirano l’aria dal recipiente la quale resta prima
imprigionata e poi espulsa.
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Termologia
PIROSCOPIO AD ANELLO DI 'SGRAVESANDE
fine '800 dimensioni: 14x11x29.
Il piroscopio ad anello mette in evidenza un fenomeno che accompagna sempre il riscaldamento e il raffreddamento di
un corpo, cioè la sua variazione di volume.
Nell'apparecchio di Gravesande una colonnina di metallo, su base di legno, sorregge un'asta di ottone ricurva alla
quale è appesa, mediante una catenella, una piccola sfera di ferro.
Essa, a freddo, passa con debole gioco entro un anello di ottone posto orizzontalmente sotto di essa, mentre non può
più penetrarvi quando sia stata sufficientemente riscaldata.
T2 - PIROMETRO DI MUSSCHENBROEK
fine '800 dimensioni: 56x16x22.
Una sottile asta metallica è posta orizzontalmente tra due colonnine di ottone sopra una base di legno.
Essa è fissata ad una colonnina per mezzo di una vite a pressione e con l'estremità libera è appoggiata al perno di un
indice rotante.
L'estremità dell'indice scorre in un piano verticale sopra una scala graduata lungo un quadrante di cerchio.
Sotto l'asticella si trova una lunga e sottile vaschetta contenente alcool.
Quando l'asta viene riscaldata essa si allunga e scorrendo sul perno fa ruotare l'indice verso l'alto.
Viceversa durante il raffreddamento l'indice ruota verso il basso.
T3 - APPARECCHIO DI TYNDAL
fine '800 dimensioni: 28x12x14.
L'apparecchio di Tyndal serve per rendere evidente la contrazione di una sbarra durante il raffreddamento.
Si riscalda fortemente, e senza il dado di testa, la sbarra di ferro sopra un becco di gas.
Si depone la sbarra nelle apposite incassature della robusta base.
Quindi si introduce nell'occhiello a base tagliente della sbarra un'asta di ghisa e contemporaneamente si applica il
dado a maniglia e si stringe.
Se si versa dell'acqua fredda sulla sbarra di ferro battuto, essa si raccorcia e, per la tensione a cui viene sottoposta,
l'asta di ghisa si rompe ed i due pezzi saltano a distanza.
IL TERMOMETRO
I primi termometri, in realtà semplici termoscopi ad aria, furono costruiti agli inizi del 17° secolo da Galileo, Santorio
(1562-1636), Cornelius Drebbel (1572-1633) e Robert Fludd (1574-1637).
La dilatazione dell'aria con la temperatura in un tubo di vetro chiuso spinge va una colonna di acqua lungo uno stretto
tubo graduato arbitrariamente.
Il primo strumento contenente un liquido sigillato all'interno di un tubo di vetro fu costruito dall'Accademia del
Cimento verso il 1650. GH accademici fiorentini sperimentarono sia con mercurio che con alcool, preferendo
quest'ultimo per la sua maggiore sensibilità.
In seguito tuttavia fu preferito il mercurio come sostanza termometrica per il fatto che la sua legge di dilatazione è
abbastanza lineare in un largo intervallo di temperatura.
Nel XIX secolo i termometri a gas fornirono entro certi limiti una misura diretta della temperatura assoluta. Il più
importante contributo alla termometria fu tuttavia l'invenzione dei termometri elettrici ad opera di William Siemens
(1823-1883) verso il 1860 e di Hugh Callendar (1863-1930)verso il 1890.
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Sulle proprietà termometriche dei gas si devono ricordare gli studi di Alessandro Volta, Joseph Gay-Lussac (17781850), Jacques Alexandre Charles (1746-1823) e John Dalton (1766-1844).
Su questa base il valore numerico della temperatura venne determinato dal coefficiente di espansione dei gas a
temperatura ordinaria e con l'ipotesi che a temperatura zero essi non occupino alcun volume.
Tuttavia da un punto di vista concettuale il termometro a gas non misurava la temperatura ma le proprietà di
dilatazione di un gas con la temperatura.
Era perciò necessaria una scala di temperatura indipendente dalle proprietà di una particolare sostanza termometrica.
Tale scala fu proposta da William Thomson (1824-1907) che dette una definizione termodinamica della temperatura
(temperatura assoluta, 1848) sulla base del risultato trovato da Sadi Carnet (1796-1832) nello studio dei cicli
termodinamici.
I gradi della scala assoluta o "Kelvin" sono uguali a quelli della scala di un termometro a gas perfetto ideale e
differiscono trascurabilmente da quelli di un termometro ad idrogeno tranne che nel caso delle bassissime
temperature.
T 4 - SETTE TERMOMETRI
fine '800 - primi del '900
II Gabinetto di Fisica dell'Istituto possiede diversi termometri: alcuni fanno parte integrante di apparecchi che
vengono utilizzati per misure di vario genere (per esempio l'igrometro di Daniell, l'apparecchio di Hope, ecc), altri
invece sono di normale dotazione di laboratorio.
Nella foto sono riuniti sette termometri di cui sei a mercurio ed uno ad alcool.
Tra gli strumenti a mercurio si notano un termometro da finestra con armature di ottone verniciato, un termometro
con cappelletto di ottone e scala interna su vetro opalino, un termometro da laboratorio con scala interna su vetro
opalino racchiusa in tubo di vetro Jena, un termometro della casa Reimann con astuccio, da usare con la bilancia di
Mohr - Westphal, un termometro con la scala centigrada incisa sul vetro esternamente ed infine un termometro di
massima e di minima (termometrografo) su tavoletta di legno.
Il termometro di minima è stato rotto.
T5 - SORGENTI DI CALORE: UN BECCO BUNSEN, UNA SORGENTE DI BUNSEN A DUE RUBINETTI, 2 LAMPADE AD ALCOOL.
fine '800.
Si tratta di alcune delle sorgenti di calore del Gabinetto di Fisica dell'Istituto Calasanzio.
Tra queste si trovano un normale becco Bunsen per la fiamma a gas, una sorgente di Bunsen a due rubinetti (o
fiamma a soffieria di Bunsen e Gay-Lussac) adatta per la lavorazione del vetro, entrambi di metallo brunito, una
lampada ad alcool di porcellana ed una lampada ad alcool di metallo, su treppiede, con lungo cannello verticale
protetto da rete metallica.
Si notano anche un sottile cannello ferroluminatore, con beccuccio ricurvo, con il quale si soffia sul fuoco per
aumentare la fiamma, un cannello a gas con la presa d'aria per la miscelazione ed un cannello con un sottile foro
circolare.
T6 - ALTRA SORGENTE DI CALORE
fine '800 dimensioni: 26x9x13.
Questa bella lampada ad alcool, interamente di ottone, è costituita da un serbatoio cilindrico di 9 cm di diametro e da
un bruciatore anch'esso cilindrico, cavo internamente, di 5 cm di diametro.
Lo stoppino circolare, di 4,5 cm di diametro, viene alzato ed abbassato con un sistema a cremagliera.
Infilando dentro al bruciatore un corpo cilindrico, per es. un tubo di vetro, la sorgente riscalda contemporaneamente
tutta la superficie laterale.
T7 - STUFA DI REGNAULT PER LA DETERMINAZIONE DEL PUNTO FISSO SUPERIORE
prob. Officine Galileo - Firenze
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Il Gabinetto di Fisica
Simone Testa
primi del '900 dimensioni: ø 11, h 35.
Per determinare il punto 100 della scala del termometro centigrado, che rappresenta la temperatura corrispondente al
vapore d'acqua bollente alla pressione atmosferica normale, si adopera un recipiente metallico a doppia colonna
composto: a) di un vaso cilindrico sul quale è fissato un tubo aperto alle due estremità, b) di un manicotto
concentrico, chiuso inferiormente, che circonda il tubo e superiormente lo supera in altezza. Un tappo metallico, che
porta al centro un foro circolare, chiude il manicotto. L'apparecchio viene posto su un treppiede di ferro al di sotto del
quale viene messo il becco Bunsen. II recipiente contiene acqua che viene portata all'ebollizione. Il vapore prodotto si
solleva lungo il tubo penetrando nel manicotto esterno dal quale esce per mezzo di un tubo orizzontale posto
lateralmente. Un altro tubo mette in comunicazione direttamente il tubo interno con l'esterno. Esso termina con un
manometro a mercurio che serve per misurare la differenza di pressione tra l'interno e l'esterno. Il termometro, di cui
si vuoi determinare il punto fisso superiore, viene collocato, entro un tappo di sughero o di gomma, nel foro centrale
superiore in modo che il bulbo non tocchi l'acqua bollente. Quando la colonna del mercurio ha raggiunto un livello
costante nel tempo, si segna tale livello sul termometro (punto 100). Per la corretta determinazione del punto 100 è
importante tenere conto della pressione atmosferica, poiché la temperatura di ebollizione dell'acqua varia con essa. Il
Regnault costruì delle tavole che permettono di correggere opportunamente gli effetti delle variazioni di pressione.
Foto
T8 - ALAMBICCO PEL SAGGIO DEI VINI E DEI LIQUORI ALCOLICI
Officina Galileo - Viale Regina Vittoria 46, Firenze
1890 circa dimensioni: 23x8x30.
Lo strumento, costruito dalla Officina Galileo, è corredato da un opuscolo esplicativo di cui viene riportata la prima
pagine con il disegno fedele e la didascalia delle varie parti. Nella seconda pagina ci sono le istruzioni per l'uso, nella
terza pagina una tabella permette di risalire dai dati del termometro e dell'alcolometro alla percentuale di alcool
presente nel vino o nel liquore.
Lo strumento è incompleto, mancando la provetta, il termometro e la lampada ad alcool.
T9 - DUE BOLLITORI DI FRANKLIN
fine '800 dimensioni: l 25, l 15.
Il bollitore di Franklin serve a dimostrare l'influenza della pressione sulla temperatura di ebollizione di un liquido.
L'ebollizione è regolata da due leggi. La prima afferma che "qualunque sia la sorgente di calore, la temperatura di un
liquido rimane la stessa durante l'ebollizione". La seconda afferma che "per un medesimo liquido, la temperatura di
ebollizione a pressione costante è invariabile: tale temperatura è quella a cui il vapore possiede una tensione massima
uguale alla pressione che il liquido sopporta". Questa legge stabilita da Dalton si verifica sotto ogni pressione; la
pressione sovrastante regola dunque la temperatura alla quale il liquido bolle.
Il bollitore di Franklin è formato da due globi sferici (o da una sfera e da un tubo) riuniti da un cannello di piccolo
diametro. Prima di chiuderlo, vi si introduce dell'alcool o dell'etere colorato che si fa bollire finché i suoi vapori
avranno scacciato tutta l'aria. Poi si sigilla l'estremità del tubo fondendola al fuoco di una lampada Bunsen. Non
essendovi più aria nel tubo, il liquido è sottoposto solo alla tensione del suo vapore, la quale è piccola alla
temperatura ordinaria. Prendendo allora un globo nelle mani e disponendo l'apparecchio orizzontalmente, il calore così
fornito da al vapore una tensione tale che respinge il liquido nell'altro globo e determina una viva ebollizione. Uno dei
due bollitori è su sostegno di ottone.
T10 - DUE BOLLITORI DI FRANKLIN AD ALCOOL ED ETERE
fine '800 dimensioni: l 30, l 27.
Si tratta di due strumenti (molto simili ai bollitori di Franklin) da usare con il termoscopio di Looser per confrontare
qualitativamente il calore di vaporizzazione dell'alcool e dell'etere. Essi sono composti da due ampolle di vetro uguali
unite tra di loro obliquamente da un sottile cannello. Entrambi gli apparecchi sono sostenuti da due colonnine di
ottone.
Per eseguire l'esperienza occorrono, oltre al termoscopio di Looser, i due bicchieri calorimetrici con le provette, due
recipienti di vetro, due supporti ed acqua a 50°C.
Per ogni bollitore si lascia calare il liquido nell'ampolla più alta, che forma con il cannello un angolo acuto. Si mette
quindi l'ampolla più alta dentro la provetta contenuta nel bicchiere calorimetrico, mentre l'ampolla più bassa viene
collocata nel recipiente di vetro vuoto, di cui si regola la posizione con un supporto. Si riempiono di acqua le provette,
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e si versa acqua calda a 50°C nei recipiente in modo che il livello dell'acqua sia 5 mm al di sotto del livello del liquido
delle ampolle. Si osserva che: a) le colonne liquide nei due rami del termoscopio salgono con una velocità
sensibilmente uguale; b) le quantità distillate di alcool e di etere sono circa nel rapporto 1 a 3; e) che i liquidi distillati
sono incolori.
T11 - IGROMETRO DI DANIELL
prob. Max Kohl - Chemnitz
1900 circa dimensioni: l 14, h 21.
Se si conosce la temperatura alla quale il vapor d'acqua contenuto nell'atmosfera si condensa, dando luogo al
fenomeno della rugiada, se ne può ricavare la tensione di vapore, poiché a quella temperatura l'aria è satura del
vapore che in essa si trova. Il primo ad introdurre questo metodo per le misure di umidità sembra essere stato nel
1752 Le Roy, medico di Montpellier: egli utilizzava un vaso ricolmo di acqua nel quale gettava lentamente dei pezzetti
di ghiaccio fino a quando il vapore non si condensava sulle pareti del recipiente. Un termometro all'interno del vaso
indicava la temperatura del "punto di rugiada". Nel 1820 John Frederick Daniell (1790-1845), professore di chimica a
Londra ed inventore dell'omonima pila, propose, utilizzando sempre il metodo del punto di rugiada, un igrometro che
divenne in seguito assai diffuso. L'igrometro di Daniell si compone di due bolle di vetro sottile situate all'estremità di
un tubo di vetro piegato per due volte ad angolo retto. Il tubo è sostenuto da un'asta verticale di ottone che poggia su
un sostegno circolare, pure in ottone. All'interno della bolla più bassa, riempita a metà di etere, è situato un sensibile
termometro. La bolla più alta è ricoperta di mussolina, sulla quale si versa dell'etere che, evaporando, la raffredda
rapidamente. A causa della differenza di temperatura tra le due bolle l'etere contenuto nella bolla più bassa distilla in
quella più alta. Ne risulta un abbassamento di temperatura nella prima bolla, sufficiente a far condensare il vapor
d'acqua sulla superficie esterna del vetro. Al momento della condensazione si legge sulla scala termometrica interna
alla bolla il valore della temperatura del punto di rugiada. Conoscendo anche la temperatura ambiente (letta
nell'apposito termometro situata sull'asticella di ottone) ed utilizzando le tavole della tensione di vapore saturo, si
ricava lo stato igrometrico.
Il primo igrometro di cui si ha notizia pare sia dovuto a Nicola Krebs, detto il Cusano (1401-1464) ed apparteneva a
quelli ad assorbimento. Da ricordare sono l'igrometro a corda di minugia costruito dal Santorio (1626), quello di
Ferdinando II di Toscana (1660), quello a condensazione di Felice Fontana (1774); in tempi più recenti, quello di
Horace De Saussure, (1740-1799),.quello di Henri Victor Regnault (1810-1878) e quello di Ciro Chistoni (1852-1927).
T12 - TERMOSCOPIO DI LOOSER CON ACCESSORI
Robert Muller, Essen-Ruhr
1900 circa dimensioni: 33x15x47.
Il termoscopio doppio di Looser è sostanzialmente formato da due manometri ad aria libera uguali tra di loro e
montati sulla stessa tavoletta, con interposta una scala graduata divisa in mezzi centimetri. I rami più corti ed esterni
terminano con due bulbi che hanno funzione di pozzetto per il liquido colorato monometrico ed assicurano a questo, a
causa della loro grande sezione, un riferimento iniziale praticamente costante. Tali rami sono chiusi da chiavette di
vetro a perfetta tenuta e provvisti di portagomma laterali per l'applicazione degli accessori. Le numerose,
svariatissime e brillanti esperienze che si possono eseguire con il termoscopio doppio si riferiscono a molti rami della
fisica e non soltanto alla termologia. Queste esperienze hanno in generale un carattere di estrema semplicità e di
grande immediatezza anche se sono tutte di carattere qualitativo. Una descrizione dettagliata delle esperienze si può
trovare ad esempio nel catalogo Leybold di cui atta bibliografia.
Gli accessori sono numerosissimi, anche se incompleti. Alcuni sono accomodati su un supporto di legno a ripiani
(dimensioni: 45x15x35): 1) due bicchieri calorimetrici con due provette graduate ed altre non graduate; 2) due
ampolle piene di pallini di piombo per esperienze sulla dilatazione dei corpi; 3) due ampolle di cui una è riempita di
grasso di balena e l'altra di cera per esperienze sul calore di fusione; 4) un tubo biforcato; 5) un'ampolla con bulbo
termoscopico per mostrare la differente conducibilità dei liquidi (una è mancante); 6) un'ampolla con bulbo
termoscopico per mostrare la differente conducibilità dei gas; 7) 5 ampolle con due elettrodi esterni; 8) un vaso
metallico cilindrico con un foro per la introduzione di un liquido bollente, da usare come radiatore di energia termica;
9) pipette, tubi di vetro ad angolo, etc.
Altri accessori sono accomodati su un sostegno di legno (dimensioni: 18x12x43): 10) un apparecchio per dimostrare
che la compressione dell'aria produce un riscaldamento e l'espansione un raffreddamento; 11) un apparecchio per
l'esperienza sul calore di reazione di due gas; 12) alcuni accessori per esperienze di aspirazione; 13) un
polverizzatore. In una cassetta di legno (dimensioni: 44x20x4) sono accomodati accessori per esperimenti sulla
conduzione del calore: 14) tre aste piegate ad angolo retto (due di rame, una di ferro); 15) due dischi di legno tagliati
uno parallelamente e l'altro perpendicolarmente alle fibre del legno; 16) un disco di rame ed uno di ferro; 17) un
disco di marmo; 18) un disco di cristallo di rocca; 19) due pezzi di rame e un pezzo di piombo. Nella cassetta manca
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un pezzo di stagno grezzo con un filo metallico; un disco di piombo ed uno di cristallo di rocca. Infine su un sostegno
di legno si trova un sistema di tubi per l'esperienza della propagazione della pressione nei gas.
T13 - TERMOSCOPIO A COLORI DI REBENSTORFF
prob. Max Kohl, Chemnitz
1910 circa dimensioni dei tubi di vetro: ø 3, l 18.
Il termoscopio a colorazione variabile di H. Rebenstorff si compone dei seguenti apparecchi: un cartone con 5 bande
colorate, uno schermo di stagnola, due cunei di legno su schermo di lamiera di ferro, due tubi di vetro riempiti d'aria e
d'idrogeno, uno schermo con lastre di salgemma e di vetro.
Soltanto i due tubi di vetro riempiti d'aria e d'idrogeno sono presenti nella collezione del Gabinetto di Fisica
dell'Istituto.
Per rendere visibile l'azione del calore si adopera la vernice termoscopico di Rebenstorff composta di ioduro d'argento
e mercurio. Questa vernice gialla ha la proprietà di diventare bruno-rossastra quando è riscaldata oltre i 45°C, e a 2830°C ridiventa subito gialla. Essa si spalma su carta e stagnola; per procurare il cambiamento di colore si può usare
una fiamma o, meglio, una lamina di ferro riscaldata. Con la vernice di Rebenstorff si mette in evidenza la diversa
conducibilità termica di due cunei di legno tagliati uno trasversalmente alle fibre, l'altro longitudinalmente, oppure di
due lastre, una di cloruro d: sodio, l'altra di vetro.
Per la conducibilità termica dei gas si usano due tubi, uno pieno di aria, l'altro di idrogeno. All'interno si mette un
cilindretto di vetro spalmato di vernice termica. Ambedue i tubi vengono immersi contemporaneamente in acqua a
60-70°C. Si verifica così che l'idrogeno è miglior conduttore del calore.
T14 - BANCO DI MELLONI
1897 dimensioni: 95x30x46.
Si tratta di uno splendido banco di Melloni, posto sopra un largo sostegno di legno pregiato con un grande cassetto.
All'interno di esso, in scomparti diversi, sono contenuti numerosissimi accessori. Il banco, della fine dell'800, è senza
dubbio uno dei migliori fra quanti si trovano nelle collezioni didattiche italiane. Con esso si possono eseguire tutte le
esperienze per dimostrare le leggi della riflessione, della rifrazione e della diffusione del calore raggiante (raggi
infrarossi). Il banco fu ideato dal fisico Macedonie Melloni, nato a Parma nel 1798, morto a Napoli nel 1854, che con le
sue celebri esperienze sopra le proprietà del calore raggiante acquistò, tra il 1830 ed il 1850, grandissima fama di
scienziato. Nel 1835, su proposta di Faraday, gli venne conferita da parte della Royal Society of London la medaglia di
Rumford che in precedenza era stata solo di Malus e di Fresnel, la Francia gli offrì la cattedra di fisica dell'ateneo
parigino, alla sua morte il celebre fisico ginevrino De La Rive lo chiamò “le Newton de la chaleur”. La caratteristica
fondamentale del banco di Melloni è la presenza di un termometro estremamente sensibile costituito da una pila
termoelettrica collegata al galvanometro astatico tipo Nobili. La pila termoelettrica, costituita di 25 coppie di bismunto
e antimonio, è racchiusa in un contenitore di ottone munito di un collettore conico. Essa è montata su un supporto di
ottone, come tutti gli altri accessori del banco, e può scorrere lungo un'asta metallica graduata orizzontale, della
lunghezza di un metro. Oltre alla pila il banco contiene diversi schemi metallici per fermare le radiazioni, uno schermo
a diaframma variabile, varie sorgenti di calore come la lampada di Locatelli ed il cubo di leslie, uno schermo con foro
centrale e altri schermi con lamine di mica per polarizzare la radiazione calorifica.
T15 - DUE SPECCHI USTORII
fine '800 dimensioni: ø 50, h 150.
Il comportamento del calore raggiante, analogo a quello della radiazione luminosa per quanto riguarda la riflessione
da superfici metalliche, può mettersi in evidenza per mezzo di due grossi specchi parabolici. Nel fuoco di uno specchio
si pone la sorgente di calore, costituita in questo caso di carboni ardenti dentro un piccolo canestro di rete metallica.
Per una ben nota proprietà della parabola, i raggi calorifici verranno riflessi parallelamente all'asse dello specchio. Se
il secondo specchio è posto di fronte al primo con l'asse coincidente, i raggi che incontrano la sua superficie vengono
riflessi nel suo fuoco. Perciò se nel fuoco si trova un batuffolo di cotone bagnato di alcool o lo stoppino di una candela,
il calore che in quel punto viene a convergere è sufficiente ad appiccare il fuoco. Per questo motivo si parla anche di
specchi ustori. I due specchi sono sorretti da due eleganti sostegni di legno.
L'ENERGIA
Lo sviluppo del concetto di energia ha seguito principalmente tre strade differenti. G. Wilhelm Leìbnitz (1646-1716)
introdusse una quantità meccanica, "vis viva", per dare una misura dell'altezza alla quale può arrivare un corpo, in
moto con velocità verticale. In un urto la forza viva non viene perduta ma è trasformata in moto interno delle
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particelle che compongono il corpo. Si tratta in sostanza del primo tentativo di formulare il principio della
conservazione della energia meccanica (somma di energia cinetica ed energia potenziale) e di una ancora primitiva
spiegazione della trasformazione di energia meccanica in calore. Una seconda linea di pensiero viene dalle teorie dei
fluidi imponderabili responsabili dei fenomeni della luce, del calore, dell'elettricità e del magnetismo. Sebbene fin
dall'inizio i fisici settecenteschi propendessero per un unico fluido, le difficoltà di spiegare quantitativamente fenomeni
assai differenti fecero ripiegare su fluidi distinti. La scoperta della pila (1800) da parte di Volta, mise in evidenza
molte correlazioni ed equivalenze tra fluidi differenti. La pila trasformava al suo interno l'"affinità chimica" in
elettricità, all'esterno l'elettrolisi faceva al contrario; la corrente elettrica generava luce e calore. Collegamenti tra
elettricità e magnetismo furono messi in luce da Oersted (1777-1851) e da Faraday (1791-1867), tra calore radiante
e luce da William Herschel (1738-1822) e da Macedonie Melloni (1798-1854). Verso il 1840 molti fisici erano convinti
dell'equivalenza di tutte le forme di "forze".
La terza linea di pensiero viene dall'ingegneria delle macchine termiche. L'analisi di Sadi Carnot (1796-1832) fondata
sul concetto di fluido calorico entrò in conflitto con i risultati sperimentali di James Joule (1818-1889). Il conflitto fu
risolto da William Thomson (1824-1907), William Rankine (1820-1872) e Rudolf Clausius (1822-1888) con la formulazione della termodinamica attraverso i due princìpi, quello di conservazione dell'energia, e quello della sua
dissipazione. La scienza dell'energetica, come fondamento di tutta la fisica, si propose alla fine dell'800 (1890) per
opera di Wilhelm Ostwald (1853-1922). La teoria di Einstein sopra l'equivalenza tra massa ed energia tolse alla teoria
di Ostwald I suoi aspetti più radicali.
TL6 - MODELLO DI MACCHINA A VAPORE IN METALLO
1900 circa dimensioni: ø 16, h 42.
Nelle macchina a vapore l'energia termica si trasforma nell'energia cinetica dello stantuffo che, sollecitato dalla
pressione del vapore ora sull'una ora sull'altra delle sue basi, acquista un movimento di va e vieni. Nella macchina a
vapore si distinguono il generatore di vapore o caldaia e l'apparecchio motore.
La caldaia è un recipiente chiuso in cui si genera vapore d'acqua a una pressione superiore a quella atmosferica. Nel
modello di macchina la caldaia è verticale. Sotto di essa, tenuta sollevata da tre piedi metallici, si pone la sorgente di
calore, per esempio un becco di Bunsen. Sul davanti della caldaia è presente un robusto tubo di vetro, detto
indicatore di livello, che comunica in alto con la camera del vapore ed in basso con l'acqua. Il suo livello dell'acqua è
uguale a quello della caldaia. Attraverso un tubo il vapore viene immesso nella camera di distribuzione affinché agisca
sulle due facce dello stantuffo, su quella di sotto per la fase ascendente, su quella di sopra per quella discendente. Lo
stantuffo, che si muove nel cilindro verticale, porta un'asta che si articola con una manovella in modo da trasformare
il suo moto rettilineo nel moto circolare dell'albero principale della macchina. All'albero fa corpo il volano, fisso
coassialmente con esso.
Lo sviluppo della macchina a vapore è associato ai nomi di Papin, Savary, Newcomen, Smeaton e specialmente James
Watt1401, cui spetta il merito di averla a più riprese completamente trasformata. Il suo primo brevetto è del 1765.
Nel 1769 costui una macchina a semplice effetto, nella quale cioè il vapore esercitava lavoro solo su una faccia dello
stantuffo. Nel 1782 ne realizzò una a doppio effetto. In fìg. 46 è riportato il ritratto di Watt.
T 17 - DUE MODELLI DI MACCHINE
fine '800
Sono due modelli molto accurati di macchina a vapore di cartone. Il primo modello è uno spaccato di macchina a
vapore, in leggero rilievo entro un quadro rettangolare di dimensioni 31x19, firmato O Bartolini, 1892. II secondo
modello, anch'esso in leggero rilievo entro un quadro rettangolare di dimensioni 37x23, è uno spaccato di macchina a
vapore a stantuffi contrapposti per motore marino.
Apparecchi vari per esperienze di elettrostatica
È una serie di semplici e classici apparecchi per le prime esperienze di elettrostatica
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