Introduzione a Hegel (rielaborazione didattica di un testo di Sergio Sammartino1)
Hegel basa la sua riflessione sull’assunto che l’Essere è unico, che ogni singola
individualità esistente ha senso solo in quanto espressione di una Essenza globale, o per meglio dire
“totale”.
Esempio: ogni singola onda del mare esiste in quanto è espressione del mare, che è la vera essenza,
il vero essere. L’onda, in realtà non ha nessuna qualità autonoma, non è qualcosa di “reale” in sé;
non è altro che un’increspatura del mare, che è la realtà autentica. Così come l’onda non è mai stata
separata dal mare (né mai lo sarà), allo stesso modo nessuna vita particolare è mai stata separata
dalla Vita (né mai lo sarà). E’ pura illusione del singolo il credere di costituire un corpo separato e
un’esistenza autonoma.
In verità, quest’idea non è per niente nuova: la convinzione che il singolo esistente sia soltanto un
aspetto dell’Essere Unico, che tutte le cose diverse siano concatenate in un’Unità di cui sono
l’espressione è apparso a molti pensatori un’evidenza incontrovertibile: io esisto, perché un
qualcosa di originario mi origina, perché un Essere presente mi produce come sua espressione.
Questo s’intravede già nei più antichi pensatori greci (Anassimandro, pitagorici, il “conosci te
stesso” di Socrate), si ritrova nella “metafisica delle Mente” di Vico (che sotto alcuni aspetti appare
quasi un precursore dell’idealismo tedesco) e in modo ancor più netto nel panteismo di Spinoza e
nel concetto di sostanza di Cartesio. Tutte le “filosofie dell’Essenza” (più tardi contestate da
Kiekegaard e da Feuerbach) hanno alla base quest’assioma: il transitorio e il limitato è la particolare
espressione di un Essenza, che è ente prima del tempo e dello spazio (i quali sono misurabili e
percepibili soltanto dal punto di vista del finito e del limitato, ossia dell’individuo particolare).
Ciò che è nuovo in Hegel è che egli si accorge di una palese contraddizione, di una curiosa “svista”
che ha ingannato tutti i precedenti filosofi dell’Essenza: tutti hanno affermato che ogni esistente
particolare è espressione dell’Essenza, e ciò deve implicare, a sua volta, che ogni manifestazione
dell’esistente particolare sia riconducibile all’Essenza (ciò che l’Illuminismo chiamerà “Ente
Supremo”2). L’atto del singolo uomo, la sua intelligenza, la sua creatività, e il suo pensiero, in
ultima analisi, devono necessariamente essere atto, intelligenza, creatività e pensiero della stessa
Essenza.
Questo è il punto: i filosofi per i quali ogni esistenza è manifestazione dell’Essenza non hanno poi
considerato come manifestazione dell’Essenza il loro stesso pensiero. Essi hanno continuato a porsi
“davanti” all’Essere, al Cosmo, alla Natura, con l’occhio del singolo che considerando l’immenso
ne descrive natura e comportamenti (pretesa che di per sé sembra già ad Hegel pazzesca) e che
addirittura giudica quegli stessi comportamenti, quasi che il suo occhio (il suo pensiero) non facesse
parte dello stesso Essere, non fosse una manifestazione, una funzione dello stesso Essere.
Superando quest’errore, Hegel asserisce che il pensiero e il pensare (la filosofia, la scienza, la civiltà
umana) sono forme di autoconoscenza del cosmo, il quale – evidentemente – è Ragione, è Idea, e
pensiero appunto. Non già una grande macchina cieca come si era voluto credere durante il
Settecento, ma una Mente assoluta e infinita.
Questa convinzione, se non è completamente nuova, è però espressa da Hegel con una forza mai
prima sperimentata e con una penetrazione analitica insuperata allora, e per giunta modernissima.
1
http://filosofiapagano.wordpress.com/filosofia/introduzione-a-hegel/
Un’antica diatriba concerne il libero arbitrio del singolo e la sua pretta funzione in quest’economia dell’Essenza. Per
Hegel il singolo esistente ha certo una sua libertà, che tuttavia è delimitata entro i confini dell’Essenza e della sua
necessaria auto-realizzazione: io non sono libero di esser nato in America, non sono libero di esser donna, non sono
libero di avere dieci anni di più o di meno, non sono libero di avere gli occhi azzurri, né d’esser alto due metri e
quindici. I dati della mia vita – stabiliti dalla necessaria vicenda del Tutto, ossia dall’Essenza – restringono la mia
libertà entro limiti che pur mi lasciano alcune scelte libere; posso ad esempio scegliere che stile d’abito indossare o che
genere di attività svolgere, ma i dati iniziali m’impediscono di interferire con il piano complessivo dell’Essenza. Ciò
che deve accadere, in ogni modo accade, perché le scelte dei singoli non possono mai allontanarli del tutto dai binari
della Necessità.
2
Alla visione stranamente affermatasi per secoli dell’uomo come creatura a sé stante che osserva e
studia l’Universo quasi “dall’esterno”, Hegel oppone la visione dell’uomo come prodotto massimo
di un cosmo che è esso stesso intelligenza e pensiero, e in cui l’uomo stesso è sostanzialmente
pensiero. Insomma, il pensare non è un fatto eminentemente umano, che si contrappone a un
universo inerte e incosciente: l’uomo pensa in quanto è prodotto e parte di un universo che è sì
materia, ma anche e soprattutto pensiero.
Oltre ad un corpo materiale, l’uomo possiede il pensiero perché è figlio di un universo che è
fondamentalmente ragione e pensiero, oltre che corpo materiale (al modo stesso in cui la singola
onda è immagine sostanziale dell’intero mare).
Da ciò Hegel deduce l’inutilità di giudicare le filosofie come distinti e separati corpi di idee, l’uno
eternamente avverso all’altro, come pure l’assurdità di giudicare la Storia.
Non esiste infatti una sola dottrina filosofica che sia del tutto inutile, per quanto aberrante ed
erronea possa apparire al singolo individuo (il quale, essendo una realtà parziale e individuale, non
potrà mai avere la comprensione totale del processo per cui quella filosofia, magari erronea e
fallace, si è comunque manifestata e sviluppata nella storia del pensiero universale).
Analoga posizione Hegel mantiene verso la storia e i suoi accadimenti: per quanto aberranti ed
erronei possano apparire ai singoli o dal punto di vista di un determinato tempo3, essi hanno una
loro più profonda “utilità” nel processo di autosvolgimento, di realizzazione e di autoconoscenza
della Ragione universale.
Da qui il concetto di dialettica, già anticipato da Fiche ma che Hegel estende in modo totalizzante a
ogni manifestazione tanto della Natura quanto dello Spirito. Nessuna cosa, per quanto riprovevole
se presa in sé, è veramente superflua: tutto concorre all’avanzamento della Ragione attraverso la
lenta ma inevitabile evoluzione di tutte le coscienze individuali che la compongono.
Tanto per fare alcuni esempi attualizzati, la cultura storica dell’Occidente ha archiviato come un
orrore insopportabile i crudeli massacri attuati da alcuni regimi totalitari del ‘900. Ma se quegli
orrori non fossero mai accaduti, la civiltà politica successiva avrebbe mai potuto attestarsi con tanta
forza sulle idee di democrazia e di tolleranza?4
Hegel riconosce i momenti negativi della storia, ma li inserisce in un quadro complessivo in cui essi
diventano momenti necessari di un processo che, globalmente considerato, è interamente positivo.
3
Qui è bene rilevare che nel concetto di “individualità”, nell’ambito del pensiero hegeliano, dobbiamo includere anche
un intero popolo.
4
Non si tratta di eliminare la possibilità di considerare moralmente riprovevoli alcuni fatti storici. In realtà egli afferma
che anche i fatti più orrendi della Storia, s’inseriscono in un’economia dell’evoluzione necessaria, tramite cui l’Idea
continua ad affermare se stessa come Coscienza in crescita. In sintesi potemmo esprimerci col motto “E MALO,
BONUM”. Ciò non cambia il fatto che il male sia tale. Ma non elimina la possibilità che esso pure possa essere
indirizzato dall’Essere Totale verso il proprio automiglioramento. Oggi in linea di massima condanniamo il concetto di
guerra di religione. Ma secondo Hegel sarebbe un errore condannare le crociate, perché la mentalità che ci fa rifiutare
la guerra religiosa si è andata formando anche grazie alle crociate stesse: quella fase, pur sanguinosa ed “errata” in via
di principio, è servita appunto a far emergere una concezione più tollerante della fede. L’orrore dell’antisemitismo e dei
lager non smette di esser tale se rileviamo che proprio a causa di esso si è sviluppata la loro condanna. In altri termini, si
può ipotizzare che senza quell’orrore oggi l’antisemitismo sarebbe ancora molto diffuso, come lo era in tutta l’Europa
prima della II Guerra Mondiale.