“Dalla Parola di Dio al Dio della Parola” Domenica XXXIII del Tempo Ordinario [B] 1 Dalla PAROLA di Dio al DIO della Parola 15 Novembre MMIX Sussidio a cura di TONINO FALCONE sdB [Dimensione teologico-biblica] e di JESUS MANUEL GARCIA sdB [Dimensione teologico-spirituale]. Domenica XXXIII “della Venuta del Figlio dell’uomo nella gloria” [ciclo B] A cura di Tonino Falcone sdb [Dimensione teologico-biblica]; Jesus Manuel Garcia sdb [Dimensione teologico-spirituale]. “Dalla Parola di Dio al Dio della Parola” Domenica XXXIII del Tempo Ordinario [B] DOMENICA “DDEELLLLAA VVEENNUUTTAA DDEELL FFIIGGLLIIOO DDEELLLL’’UUOOMMOO NNEELLLLAA GGLLOORRIIAA” XXXIII DEL TEMPO ORDINARIO [B] “Dalla PAROLA di DIO al DIO della PAROLA!” 1 2 11]] E Evvaannggeelloo11:: M Maarrccoo 1133,,2244--332222 In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: “In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, e la luna non darà più il suo splendore, e gli astri si metteranno a cadere dal cielo, e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Ed egli manderà gli angeli e riunirà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo. Dal fico imparate questa parabola: quando già il suo ramo si fa tenero e mette le foglie, voi sapete che l’estate è vicina; così anche voi, quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, alle porte. In verità vi dico: non passerà questa generazione prima che tutte queste cose siano avvenute. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Quanto poi a quel giorno o a quell’ora, nessuno li conosce, neanche gli angeli nel cielo, e neppure il Figlio, ma solo il Padre”. 22]] E Esseeggeessii ee T Teeoollooggiiaa333 Prendiamo le Letture dal Lezionario del Messale Romano [LEV, 2007], preparato secondo l’editio typica altera dell’Ordo lectionum Missae, utilizzando la versione della Santa Bibbia curata dalla Conferenza Episcopale Italiana [CEI], approvata secondo le delibere dell’Episcopato. L’edizione 2007 del Lezionario del Messale Romano deve essere considerata “tipica” per la lingua italiana, ufficiale per l’uso liturgico. Il Lezionario si potrà adoperare a partire dal 2 dicembre 2007, Prima Domenica di Avvento; diventerà obbligatorio dal 28 novembre 2010. 1 2 Si sta approssimando l’Avvento e la Liturgia inizia ad assumere i toni dell’attesa. L’attesa del Signore che viene ci è proclamata con un linguaggio detto apocalittico; esso è un linguaggio molto particolare e assai distante dal nostro. Il «discorso escatologico [= delle realtà ultime]» [13,5-37], l’ultimo grande insegnamento ai discepoli prima dei fatti della Passione, è un testo difficile, sia per le fonti letterarie pre-redazionali sia per la lettura dei «segni» nella storia sia per il significato dei particolari sia per il senso generale, che a noi moderni appare sintetizzato nel: Quando?, che è la medesima domanda dei discepoli al v. 4. Il discorso comincia con: «Guardate che nessuno vi inganni», v. 5b, e finisce con l’estremo avvertimento: «Vigilate!», v. 37. La divisione del testo può essere: a] i primi segni, vv.5-8; b] il grande segno della persecuzione «a causa del Signore e dell’Evangelo», vv. 9-13; c] la Giudea desolata, vv. 14-18; d] la desolazione finale, vv. 19-23; e] la Venuta del Figlio dell’uomo, vv. 24-31; f] ignoto è il giorno, vv. 32-37. Questa Domenica si legge la Venuta del Figlio dell’uomo, mentre i vv. 33-37, che chiudono il «discorso escatologico» con l’imperativo finale: Vigilate!, sono stati letti alla Domenica 1a di Avvento [ciclo B]. Si salda così l’Omega con l’Alfa: l’inizio dell’Anno liturgico legge l’Omega, con la «lettura Omega». Che significa? Come abbiamo detto presentando l’Avvento, il Signore venne. Viene sempre. Resta con noi. Verrà. La celebrazione di lui Risorto ne segna il momento: «... ogni volta che mangiate questo Pane e bevete la Coppa, voi annunciate la Morte del Signore [Risorto] finché egli venga» [1 Cor 11,26], ossia: affinché egli venga. Ecco la tensione vigilante della comunità; altrimenti perché pregare «Venga il tuo regno?». 3 Si avvisa il lettore che nel commentare “liturgicamente” la Santa Scrittura ci si attiene all’ormai pluridecennale proposta del compianto amico e collega prof. TOMMASO FEDERICI pubblicata nei suoi numerosi scritti [a cui si rinvia in nota e in bibliografia] e da noi rilanciata con le diverse pubblicazioni sullo studio del suo metodo “unico” di lavoro. Per i dettagli cfr. ANTONIO FALCONE, Tommaso Luigi Federici [in memoriam], in Rivista Liturgica 89 [4-5 2002], 576583.801-806; La lettura liturgica della Bibbia: il Lezionario, in Rivista Liturgica 89 [4-5 2002], 747-756; La Bibbia diventa Lezionario, in Atti della Settimana Biblica Diocesana [21-23 febbraio 2002], Piedimonte Matese 2002, 1-16; Profilo biografico e bibliografia di Tommaso Federici, in Itinerarium 11 [2003], 17-55; Il metodo della “Lettura Omega” negli scritti biblici, patristici, liturgici e teologici di Tommaso Federici, in Itinerarium 11 [2003], 71-95; La comunità religiosa oggi, “scuola di preghiera”, in A. STRUS - R. VICENT [a cura di], Parola di Dio e comunità A cura di Tonino Falcone sdb [Dimensione teologico-biblica]; Jesus Manuel Garcia sdb [Dimensione teologico-spirituale]. 2 “Dalla Parola di Dio al Dio della Parola” Domenica XXXIII del Tempo Ordinario [B] Il discorso è riportato anche dagli altri Evangeli Sinottici dove, se Marco ha raccomandato la perseveranza, Luca esorta principalmente alla speranza «perché si avvicina la vostra liberazione»; Matteo, invece, insiste sull’effetto della sorpresa. In Marco il discorso è rivolto, «in disparte», ai primi quattro chiamati [13,3] e si snoda attraverso un inestricabile intreccio di rivelazioni sul futuro [27 verbi al futuro] ed esortazioni e avvertimenti per l’oggi [abbiamo infatti 21 verbi all’imperativo]. La pericope evangelica è senza dubbio il punto culminante di tutto il discorso; letterariamente infatti si presenta staccato e in opposizione a quanto detto fin qui [cfr. il «ma» iniziale nella versione in greco e nella Vulgata]. Anche il campo visuale è diverso, in quanto dal limitato spazio della Giudea [v. 14] si estende fino a comprendervi tutto il cosmo visibile e invisibile, al cui centro domina la figura del Figlio dell’uomo [v. 26]. Analisi teologico-biblica dettagliata della pericope vv. 24-25: «Dopo quella tribolazione»: per i sostenitori dell’interpretazione storica del tratto precedente, il v. 24 segnerebbe il passaggio alla fase propriamente escatologica del discorso. Molti riconoscono, tuttavia, che l’indicazione «dopo quella tribolazione» è troppo generica e del tutto insufficiente a delimitare tale passaggio. «Il sole si oscurerà»: i cataclismi ricordati qui e nel successivo v. 25 fanno parte dello stile profetico e apocalittico; le varie frasi che li descrivono, infatti, sono tutte riprese da testi profetici [Is 13,9-10; 34,4; Ger 4,23-24; Ez 32,7-8; Gl 2,2.10; 3,4; 4,15; etc. Cfr. anche Ap 6,12-14; 8,12. Non pare, perciò, che tali frasi debbano essere interpretate alla lettera e riferite necessariamente alla fine del mondo. Di questo parere sono diversi esegeti, i quali a ragione fanno rilevare che potrebbero esprimere ugualmente bene l’avvento del regno messianico, concepito come il sorgere di un mondo nuovo [Gl 2,10; 3,4; 4,15; Sof 1,14-15; Ag 2,6] e citano come esempio l’applicazione che l’apostolo Pietro fa di Gl 2,10 al giorno della Pentecoste [At 2,16-21]. v. 26: «Il Figlio dell’uomo»: è un’espressione secondo una citazione del libro di Daniele, opera apocalittica del II sec. a.C. Gesù è spesso chiamato negli Evangeli con questo titolo [Mc 2,10; 8,38], che era stato caro nel VI sec. a. C. al profeta Ezechiele che lo usava per indicare se stesso [Ez 2,1.3.6.8; 3,1. etc.]. “Figlio dell’uomo” significa, di per sé, semplicemente “uomo”. Tuttavia nel citato libro di Daniele una figura misteriosa descritta come «simile a un figlio d’uomo» viene presentata a Dio «che gli diede potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano; il suo potere è un potere eterno che non tramonta mai e il suo regno è tale che non sarà mai distrutto» [7,13-14]. Probabilmente Daniele intendeva concentrare in questo personaggio “i santi dell’Altissimo”, cioè gli Ebrei fedeli e perseguitati dal potere siro-greco del suo tempo, facendoli diventare il popolo messianico, investito di autorità da parte di Dio. La tradizione giudaica successiva aveva attribuito a tale termine un significato personale messianico: la figura del Messia risultava dotata di qualità altissime, superiori a quelle che comportava il titolo “Figlio di Davide”, divenendo quasi partecipe della sfera di Dio. È per questo che Gesù l’assume per sé, religiosa, ABS-LDC, Torino 2003, 87-97; The religious community today “a school of prayer”, in M. THEKKEKARA [edited by], The word of God and the religious community, ABS, Bangalore 2006, 117-134; “Annuncia la Parola ...” [2 Tim 4,2], in R. VICENT - C. PASTORE [a cura di], Passione apostolica. Da mihi animas, ABS-LDC, Torino 2008, 161172; Il discorso della montagna. Lettura analitica e retorica di Mt 5,13-16 [Parte I], in Parola e Storia 3 [2008], 67101; Il discorso della montagna. Lettura analitica e retorica di Mt 5,13-16 [Parte II], in Parola e Storia 4 [2008], 241288. È utile avere sotto mano anche TOMMASO FEDERICI, Cristo Signore Risorto amato e celebrato. Commento al lezionario domenicale cicli A,B,C, Quaderni di “Oriente cristiano” 11, Eparchia di Piana degli Albanesi, Palermo 2001; “Resuscitò Cristo!”. Commento alle Letture bibliche della Divina Liturgia bizantina, Quaderni di “Oriente cristiano” 8, Eparchia di Piana degli Albanesi, Palermo 1996; Cristo Signore Risorto amato e celebrato. La scuola di preghiera cuore della Chiesa locale, Dehoniane, Bologna 2005; Per conoscere Lui e la potenza della Resurrezione di Lui. Per una lettura teologica del Lezionario, Ciclo C, Dehoniane, Roma 1988, III, 828; Per conoscere Lui e la potenza della Resurrezione di Lui. Per una lettura teologica del Lezionario, Dehoniane, Napoli 1987, I, 444; Per conoscere Lui e la potenza della Resurrezione di Lui. Per una lettura teologica del Lezionario, Ciclo B, Dehoniane, Napoli 1987, II, 587; Per conoscere Lui e la potenza della Resurrezione di Lui. Per una lettura teologica del Lezionario, Ciclo A, Dehoniane, Roma 1989, IV, 1232. A cura di Tonino Falcone sdb [Dimensione teologico-biblica]; Jesus Manuel Garcia sdb [Dimensione teologico-spirituale]. 3 “Dalla Parola di Dio al Dio della Parola” Domenica XXXIII del Tempo Ordinario [B] sollevando scandalo nei suoi uditori, soprattutto in occasione del suo processo [Mt 26,64]. «Giungere sulle nuvole»: il testo aramaico, ripreso da Mc 14,62, porta «giungere con le nubi del cielo», cioè insieme. La versione greca dei Settanta [LXX] invece traduce «sopra le nubi», come nel testo cristologico di Mt 24,30; 26,64; Ap 14,16 [linguaggio frequente nelle Teofanie: Is 19,1; Sal 17,11. Nel primo caso, dunque, si tratta di una realtà terrena, innalzata fino alla presenza di Dio, nel secondo caso il misterioso personaggio sarebbe assomigliato a Dio. Le nubi secondo la concezione biblica, costituiscono il corteo di Dio [Es 16,10; 19,9; 24,15; 34,5; Lev 16,2; Num 11,25; etc.] e qui il carattere divino del Figlio dell’uomo è rafforzato dalla menzione della «grande potenza e gloria». v. 27: «Manderà gli angeli»: al contrario di altri testi, non sono qui ricordati né l’annientamento di Satana e dell’anticristo [Ap 20,10; 2 Tess 2,8] né il giudizio universale [Mt 13,36-43; 25,31-46], ma solo gli angeli, che hanno la missione di «riunire gli eletti». Il verbo «riunire» è caratteristico di alcuni testi dell’A.T. [Is 27,12-13; Zacc 8,7-8], ove è collegato alla convinzione che alla fine del secolo presente Dio riunirà tutti i figli dispersi d’Israele da ogni parte della terra [Dt 30,3-4; Is 11,11-16; Ger 23,3; Ez 11,17; etc.]. Sulla bocca di Gesù, tuttavia, l’enunciato assume un significato diverso, perché passa ad indicare la comunità degli eletti, riuniti nell’unica fede in Cristo. Secondo Gv 11,52 e Rom 15,16, questa riunione si è già in parte realizzata per mezzo della predicazione apostolica, quando individui di ogni nazione hanno accolto il messaggio evangelico. «Dall’estremità della terra ... del cielo»: il primo è in senso orizzontale, il secondo in senso verticale; insieme esprimono l’universalità dello spazio, secondo la concezione e il modo di esprimere semitico. v. 28: Nella disposizione del testo i quattro versetti che seguono hanno sicuramente la funzione di indicare la prossimità di accadimento delle cose predette finora. La critica letteraria vi riscontra scarsità di collegamento tra una frase e l’altra e suppone che i singoli detti siano stati pronunciati in circostanze diverse, ma imprecisabili. Noi, pertanto, leggeremo il testo così come giace. «Imparate»: l’imperativo aoristo comanda di iniziare un’azione; equivale a dire: incominciate ad imparare, prendete esempio. «Questa parabola»: più che di parabola, si tratta più propriamente di una similitudine, facilmente comprensibile, perché sotto gli occhi di tutti in Palestina. Durante l’inverno o la stagione delle piogge il fico perde tutte le foglie, mentre i suoi nuovi germogli, a differenza di quelli precoci del mandorlo, segnano l’arrivo dell’estate [Ct 2,12-13]. «Sapete»: indicativo pres. 2 pl: il presente ci dice che si tratta di cosa abituale: siete soliti riconoscere. v. 29: «Che è vicino»: porta la versione dal greco; il soggetto non è espresso e pertanto può riferirsi sia al Regno di Dio [come nel passo parallelo di Lc 21,31], sia al Figlio dell’uomo che viene [v. 26], sia alla fine del mondo. La scelta dipende dal tipo di interpretazione adottata per tutto il discorso. L’esempio del padrone di casa nei vv. 34-36 farebbe pensare piuttosto al ritorno del Cristo. «Alle porte»: la porta di casa a due battenti; da qui il plurale. A proposito di attesa e di porte nella Bibbia abbiamo almeno due esempi di delicata bellezza: Ct 5,2 e Ap 3,20. v. 30: «In verità vi dico»: così è in verità. Traslitterazione dell’ebraico ‘amèn = certamente, veramente, sinceramente. Nell’uso del Giudaismo e della Chiesa si riferisce a ciò che precede [è posto alla fine di un discorso o di una preghiera]; nelle parole di Gesù si riferisce sempre a quanto segue [è posto al principio], conferendo solennità alla formula. Quindi con essa Gesù è come se affermasse: «Io vi dico». Il suo insegnamento è impartito con autorità e autonomia. «Questa generazione»: il termine generazione [geneà] può avere due significati: il primo è quello di «razza o genere umano», inteso come complesso di tutti gli uomini [Ebrei inclusi in modo speciale]. Il secondo è quello proprio di «generazione» in senso temporale, come quando diciamo che una generazione succede all’altra [sono gli uomini presenti al tempo di Gesù in Palestina]. Chi ritiene che tutto il discorso presente sia unico nella sua struttura, [significato accettato sino al sec. XVI] conserva il significato primo [razza]; chi invece lo divide in due parti [preferito da molti esegeti moderni], una riguardante la fine del mondo, l’altra la fine di Gerusalemme, sostiene il secondo significato [generazione presente in Palestina in quel tempo]. Ritorna la medesima incertezza del versetto precedente. v. 31: L’affermazione ha valore assoluto per tutte le parole di Gesù, il quale deve aver pronunciato questa frase più di una volta [Mt 5,18; Lc 16,17; vedi anche Is 51,6; 54,10]. Qui dovrebbe confermare la certezza della frase precedente [v. 30] ovvero tutte le cose affermate in questo discorso. A cura di Tonino Falcone sdb [Dimensione teologico-biblica]; Jesus Manuel Garcia sdb [Dimensione teologico-spirituale]. 4 “Dalla Parola di Dio al Dio della Parola” Domenica XXXIII del Tempo Ordinario [B] v. 32: «Neppure il Figlio»: questo inciso, che sembra sminuire la perfezione della conoscenza di Gesù [in cui Paolo diceva, invece, che in lui «abitano tutti i tesori della sapienza e della scienza» : Col 2,3], dovette creare non pochi problemi alla fede dei primi cristiani. Tanto è vero che Luca omette tutto il versetto e non pochi copisti tralasciarono l’inciso nel testo parallelo di Mt 24,36. Ciò, però, conferma la genuinità del detto e spinge a ricercarne il significato preciso. Il testo è indubbiamente difficile ed è stato sempre oggetto di gravi discussioni, specialmente a partire dalla polemica ariana. Tuttavia, anche a prescindere dalle varie spiegazioni che esso può ricevere, si deve dire che non tutto è negativo di quanto vi si dice, in primo luogo perché è Gesù stesso che vi si qualifica come Figlio, e in secondo luogo perché nell’ordine ascendente egli si pone al di sopra degli angeli [8,38; 13,27; Mt 25,31; Lc 12,8] e vicino al Padre. Quanto al «non sapere» in se stesso, diverse sono le possibilità di intenderlo. Agostino, per esempio, riteneva che non rientrasse nel compito di Gesù che noi venissimo a conoscere da lui il giorno della parusia e quindi confessava di ignorarlo. Altri, specialmente in campo protestante, hanno pensato ad una conseguenza della kenosis o annientamento a cui il Figlio di Dio, secondo Fil 2,5-8, ha voluto assoggettarsi. Probabilmente il verbo «conoscere» dovrebbe avere una sfumatura di significato piuttosto semitica. Tutto quello che si vuol dire in questo versetto è che le decisioni concernenti il Regno di Dio sono riservate al Padre». 33]] L Leettttuurraa ee M Meeddiittaazziioonnee I Lettura ed Evangelo contengono un messaggio escatologico: Daniele annuncia il tempo della resurrezione e l’Evangelo l’evento della Venuta gloriosa del Figlio dell’uomo. In entrambi i testi l’evento annunciato è al contempo di giudizio e di salvezza. L’escatologia, con al suo centro la Venuta del Signore nella gloria, è dimensione che presenta difficoltà notevoli per una sua traduzione in termini di vita spirituale e anche di annuncio e di predicazione. Ora, la Venuta gloriosa è anzitutto una parola in cui Gesù impegna se stesso [«Le mie parole non passeranno»: Mc 13,31], è una promessa del Signore che chiede fiducia al credente. Cristo è già venuto nella storia nel passato, ma verrà anche nel futuro alla fine della storia; è il Verbo che ha presieduto la creazione nell’«in principio» e il Veniente che sigillerà la nuova creazione escatologica. Il Christus totus è anche il Cristo che verrà: la venuta finale è pertanto istanza perenne di giudizio della Chiesa. Il Veniente è il Signore della Chiesa. Dire che «il Signore verrà nella gloria» significa affermare la signoria di Cristo sulla storia e sul tempo. La venuta del Signore non porta con sé lo scacco del mondo, ma il suo futuro: mentre annuncia una fine instaura un fine. Il Dio rivelato da Gesù Cristo è il futuro, non il fallimento del mondo. L’Evangelo sottolinea che l’annuncio della Venuta del Signore non aliena il credente dall’oggi anzi gli chiede capacità di aderire al presente, alla terra in cui vive, e di amarla. Una delle parole di Gesù più dense di tenerezza e di attenzione al reale è il detto che segue l’annuncio dei fenomeni cosmici che accompagneranno la Venuta del Figlio dell’uomo: «Dal fico imparate la parabola: quando già il suo ramo si fa tenero e mette le foglie, voi sapete che l’estate è vicina» [Mc 13,28]. Solo chi sa osservare realmente i rami del fico e coglie il momento in cui essi mettono i nuovi germogli può esprimersi così. Solo chi ama la terra, questa terra, può credere la nuova terra della promessa. Mentre annuncia l’evento escatologico, Gesù chiede all’uomo di mettersi alla scuola dell’albero del fico e, con esso, di tutta la natura colta come parabola della storia di Dio con il mondo. La fedeltà alla terra è la condizione per credere e attendere la venuta gloriosa del Signore. La Venuta è annunciata come certa, ma il suo momento è incerto [Mc 13,32]: il credente può dunque assumerla spiritualmente nello spazio di un’attesa che si declina come resistenza [cioè forza nelle avversità e nelle tribolazioni della storia: Mc 13,24 e i vv. precedenti], come pazienza [cioè capacità di vivere l’incompiutezza del quotidiano], come perseveranza [cioè rifiuto di apostatare nei tempi bui], come fede che crede le cose invisibili più salde e sicure di quelle visibili [cfr. 2 Cor 4,17-18]. «Beato chi attenderà con pazienza» [Dan 12,12]. Lo sconvolgimento delle realtà celesti [Mc 13,24-25] dice che è in atto un evento divino, ma sole e luna, astri e potenze celesti erano anche, nel pantheon degli antichi romani [e Marco scrive a cristiani di Roma], entità divinizzate. Qui non vi è solo la fine del mondo, ma la fine di un mondo, il crollo del mondo degli dèi pagani detronizzati dal Figlio dell’uomo. E se si afferma che la fine dell’idolatria si compirà con il Regno di Dio instaurato dalla Venuta del Signore, si insinua anche che la A cura di Tonino Falcone sdb [Dimensione teologico-biblica]; Jesus Manuel Garcia sdb [Dimensione teologico-spirituale]. 5 “Dalla Parola di Dio al Dio della Parola” Domenica XXXIII del Tempo Ordinario [B] prassi dei cristiani nel mondo può costituire un segno del regnare di Dio grazie alla vigilanza per non far regnare su di sé gli idoli. 44]] PPrriim maa lleettttuurraa [[PPrrooffeezziiaa]]:: D Daann 1122,,11--33 In quel tempo sorgerà Michele, il gran principe, che vigila sui figli del tuo popolo. Vi sarà un tempo di angoscia, come non c’era mai stato dal sorgere delle nazioni fino a quel tempo; in quel tempo sarà salvato il tuo popolo, chiunque si troverà scritto nel libro. Molti di quelli che dormono nella polvere della terra si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna. I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento; coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come le stelle per sempre. Il libro di Daniele secondo la critica moderna è tardivo e sarebbe stato redatto con diverso materiale precedente durante l’epopea nazionale condotta dai fratelli Maccabei [intorno al 170-162 a.C.]. esso sarebbe come un “manifesto” di liberazione del popolo santo, e un valido incoraggiamento a proseguire sulla via della fede nel Signore. Il libro di Daniele mostra di conoscere gli episodi accaduti sotto il regno di Antioco IV Epifane in 9,27 e 11,30-35. La profanazione del Tempio di Gerusalemme e la persecuzione contro gli Ebrei che desiderano mantenersi fedeli alla legge di Mosè, attività di cui Antioco è responsabile, vengono accennate nei passi citati. In 11,45 invece si descrive in modo generico l’esito tragico della vita del persecutore. Per questo si può pensare che il libro sia stato composto appena prima del 164 a.C., anno in cui morì Antioco. Siamo in una epoca recente dell’A.T. Tale datazione viene confermata anche dall’insegnamento teologico del libro di cui la fede nella resurrezione è un esempio chiarissimo. Il contenuto della lettura rappresenta lo stadio più maturo di questa fede nella resurrezione che costituisce una delle ultime tappe della rivelazione antico-testamentaria. Questa lettura è molto importante perché costituisce la prima inequivocabile manifestazione scritta della fede nella resurrezione dei morti. I cap. 10° e 11° contengono la visione più lunga di tutto il libro e anche quella dal contenuto più duro: la prova finale. Lo sfondo storico è quello della persecuzione ellenistica e, aggiungiamo ora, delle guerre maccabaiche. I nostri versetti sono la conclusione di quell’ultima visione che aprono una prospettiva di vittoria escatologica, di una risposta positiva e definitiva di Dio non solo alle angosce di cui la visione ha parlato, ma a tutte le sofferenze della storia con la resurrezione, che comporta un giudizio sull’operato umano. Lo stile segue un andamento ritmico che si addice meglio alla soluzione positiva della crisi presentata e celebrata come vittoria. Il primo versetto inizia con un’espressione tipica del formulario profetico: «in quel tempo» che orienta inequivocabilmente verso il momento escatologico, l’intervento finale e decisivo di Dio. Esso sarà ancora più evidente perché coinciderà con un momento di gravissima difficoltà. Proprio nel momento più acuto della crisi si realizzerà l’attuazione della profezia. Di Michele si era già parlato in 10,21 presentandone anche in quella occasione il suo ruolo di difensore. Dio non abbandona chi si trova a combattere per la propria fede, ma gli assicura un alleato potentissimo. L’intervento di Michele, poi, non sarà improvvisato perché egli «vigila» sul popolo. Come sentinella attenta saprà intervenire tempestivamente. L’assistenza e l’intervento di un alleato concesso da Dio non si limitano a qualcosa di occasionale, sono il frutto di una vigilanza costante che viene esercitata sui sofferenti e perseguitati. Destinatari dell’intervento salvifico che Dio stesso compirà, come indicato dal passivo teologico, saranno «coloro che sono scritti nel libro». L’immagine viene dalla tradizione biblica [Es 32,32-33, Is 4,3; Sal 69,29]; nell’Apocalisse sarà ripresa diffusamente [3,5; 13,8; 17,8; 20,15] parlando di «libro della vita». Nel v. 2 si parla della resurrezione. Il soggetto di essa viene indicato da un semitismo: «molti». Anche se l’autore può pensare immediatamente ai fatti di cui è testimone, la persecuzione, e immaginare che nella resurrezione chi è rimasto fedele sarà destinato alla vita, mentre chi ha tradito all’infamia non si deve escludere la prospettiva universale. L’esempio più noto in cui l’espressione semitica «molti» indica la totalità, “tutti” gli uomini, è la narrazione dell’istituzione eucaristica: Mt 26,28 e Mc 14,24. La resurrezione è paragonata a un risvegliarsi e la condizione della morte come un dormire. A cura di Tonino Falcone sdb [Dimensione teologico-biblica]; Jesus Manuel Garcia sdb [Dimensione teologico-spirituale]. 6 “Dalla Parola di Dio al Dio della Parola” Domenica XXXIII del Tempo Ordinario [B] I due verbi diventeranno costitutivi nel linguaggio cristiano per parlare del passaggio dalla morte alla vita [Gv 11,11]. Il versetto per indicare il luogo dove i morti dormono parla di «polvere della terra». I due termini sono presenti in Gen 3,19: Con il sudore del tuo volto mangerai il pane; finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere tornerai!». Chissà se l’autore aveva presenti le parole del Genesi quando compose il suo testo!? Se così fosse avremmo un significativo contrasto tra la pena della morte comminata come conseguenza del peccato e la promessa della resurrezione. Quest’ultima comunque è antitetica alla morte, ma in modo discriminante, il suo esito non sarà uguale per tutti. Per la prima volta abbiamo nel testo santo l’espressione «Vita eterna» [Gv 5,28-29; Mt 25,46b; At 24,15; Ap 20,12]. Essa diventerà l’eredità dei saggi e dei maestri secondo le suggestive immagini cosmologiche usate nel v. 3. Lo splendore fa parte dell’abbigliamento divino secondo il Sal 103,1-2. L’immagine in parallelo con il risplendere delle stelle può così indicare la partecipazione alla vita divina. Destinatari della resurrezione sono coloro che non hanno abbandonato la fede e quelli che hanno incoraggiato alla fedeltà, sulla scorta di 11,33 [Mt 5,19!], anche a prezzo della vita. Queste immagini sono riprese da Cristo Signore quando espone la parabola della zizania [Mt 13,24-30] e poi la spiega [Mt 13,36.43]. I giusti del Signore al raccolto finale saranno separati dalla zizania diabolica e “i giusti splenderanno come il sole nel Regno del Padre loro” [Mt 13,43], con rimando a Dan 12,3 [e a Sap 3,7; Pr 4,18; 1 Cor 15,41-42]. 4 55]] SSaallm moo rreessppoonnssoorriiaallee44:: SSaall 1155,,55..88..99--1100..1111,, SSFFII [[““SSaallm moo ddii FFiidduucciiaa iinnddiivviidduuaallee””]] Il Versetto Responsorio, v. 1, è un’epiclesi per essere sempre salvati dal Signore sulla base della speranza dell’Orante, riposta solo in Lui. 66]] SSeeccoonnddaa lleettttuurraa [[AAppoossttoolloo]]:: E Ebbrreeii 1100,,1111--1144..1188 Ogni sacerdote si presenta giorno per giorno a celebrare il culto e ad offrire molte volte gli stessi sacrifici, perché essi non possono mai eliminare i peccati. Cristo al contrario, avendo offerto un solo sacrificio per i peccati, una volta per sempre si è assiso alla destra di Dio, aspettando ormai soltanto che i suoi nemici vengano posti sotto i suoi piedi. Poiché con un’unica oblazione egli ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati. Ora, dove c’è il perdono dei peccati, non c’è più bisogno di offerta per essi. La pericope di oggi si colloca nella III parte [5,11-10,39] che al punto c] tratta di Cristo quale causa della salvezza eterna. L’Apostolo della Domenica precedente aveva introdotto il tema tipologico tra il sacerdozio dell’A.T. e quello di Cristo. Il sacerdote dell’antica alleanza, infatti, una volta l’anno, il grande Giorno del Kippur, però tutti gli anni, entra nel “Santo dei Santi” con il sangue della vittima per compiere l’espiazione annuale delle colpe sue, dei suoi confratelli nel sacerdozio e dell’intero popolo [Lev 16], così mostrando la parziale efficacia del culto antico [Ebr 9,25]. Mentre non fu così per Cristo 4 T. FEDERICI, Cristo Signore Risorto amato e celebrato. Commento al lezionario domenicale cicli A,B,C, Quaderni di “Oriente cristiano” 11, Eparchia di Piana degli Albanesi, Palermo 2001. Cfr. anche Comprendiamo e celebriamo i Salmi. A. I Salmi di Supplica e Fiducia, «Doxologia» 9, pro manuscripto, P.U.U., Roma 31994, 1-307; Comprendiamo e celebriamo i Salmi. B. I Salmi di Lode, «Doxologia» 10, pro manuscripto, P.U.U., Roma 1990, 307-482; Comprendiamo e celebriamo i Salmi. C. Salmi della Regalità divina. Cantici di Sion, «Doxologia» 11, Parte I, pro manuscripto, P.U.U., Roma 1994, 483-660; Comprendiamo e celebriamo i Salmi. C. Salmi della Regalità divina. Cantici di Sion, «Doxologia» 11, Parte II, pro manuscripto, P.U.U., Roma 1994, 661-862; Comprendiamo e celebriamo i Salmi. E. I Salmi di Azione di Grazie, «Doxologia» 19, pro manuscripto, P.U.U., Roma 1996, 858-1020; Comprendiamo e celebriamo i Salmi. C. Salmi della Regalità divina. Cantici di Sion, «Doxologia» 11, Parte I, pro manuscripto, P.U.U., Roma 1994, 483-660; A. WEISER, I Salmi, I-II, Edizione italiana a cura di T. FEDERICI, Paideia, Brescia 1984. A cura di Tonino Falcone sdb [Dimensione teologico-biblica]; Jesus Manuel Garcia sdb [Dimensione teologico-spirituale]. 7 “Dalla Parola di Dio al Dio della Parola” Domenica XXXIII del Tempo Ordinario [B] Sommo Sacerdote che non poteva affrontare la sofferenza espiatrice diverse volte [Ebr 9,26]. Il v. 11 riprende quel rapporto tipologico, adesso presentando il culto sacrificale quotidiano del sacerdote dell’A.T. [cfr. Num 28,1-5; Lev 1-7]. Il v. 1° della Lettura istituisce ancora una volta il contrasto fra Cristo e i ministri dell’alleanza antica. Nelle scorse Domeniche il confronto è stato tra i ministri ordinari del culto e Cristo. I primi dovevano faticare a turno per assicurare il culto quotidiano nel quale diversi animali venivano immolati; bisognava badare di non lasciar spegnere il fuoco sull’altare degli olocausti [Lev 6,2.6] e la macellazione degli animali da offrire avveniva con riti particolari codificati dal libro del Levitico. Ma tutto questo viene ancora una volta presentato come fatica sprecata perché quei sacrifici non raggiungevano lo scopo di eliminare i peccati, meta alla quale solo Gesù è arrivato sacrificando se stesso. La prima novità della Lettura rispetto a quella delle Domeniche precedenti si trova nei vv. 12-13 che richiamano il Sal 109,1, al quale già si allude in 1,3 e che viene ancora richiamato oltre che nel nostro versetto in 8,1 e 12,2, ed esplicitamente ripreso in 1,13. In 5,6 poi si cita Sal 109,4: «Tu sei sacerdote per sempre alla maniera di Melchìsedek» che introduce una chiave singolare e importantissima attraverso la quale la nostra Lettera illustra il sacerdozio di Cristo. La prima osservazione che viene spontanea porta ancora una volta in evidenza il contrasto. I sacerdoti della vecchia economia sono in piedi affaticati per garantire un culto inefficace; Gesù, al contrario, è seduto, in posizione di riposo e di autorità dopo aver consumato il sacrificio di se stesso. All’idea del sacerdozio viene associata quella della regalità. Il salmo 109 è, infatti, un testo squisitamente regale, canto composto proprio per le cerimonie di incoronazione dei re di Giuda nel quale l’esaltazione del nuovo monarca come consacrato di Dio intreccia il servizio al popolo nel governo e nel culto, conservando però in quest’ultimo una sua peculiarità in quanto il suo sacerdozio è comparato a quello di Melchìsedek e non a quello di Aronne. Ora Cristo si trova a godere della sua regalità, frutto del suo sacrificio, in attesa che essa raggiunga la sua completa consumazione con la sottomissione di tutti i suoi nemici. Nel costume dell’antico vicino oriente i monarchi vincitori ponevano il piede sulla testa degli avversari sconfitti celebrando così la loro vittoria e manifestandola pubblicamente. A questo uso si richiama il Salmo. Nel testo della nostra lettera esso rimane fortemente evocativo per i suoi lettori per indicare la vittoria finale di Cristo, la manifestazione della sua regalità, ulteriore conferma della validità del suo sacerdozio. Nel v. 14 si illustra la conseguenza di quanto Cristo ha compiuto per coloro che ora sono i suoi discepoli. L’espressione «sono santificati» è resa infatti in greco con un participio presente ed indica pertanto un’azione che si sta svolgendo ora. Già in 2,11 si parla di coloro che «vengono santificati» mentre in 5,9-10 si parla di Cristo che «reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono». Così si spiega ulteriormente l’attività sacerdotale di Gesù. La sua attesa della manifestazione definitiva della sua vittoria non è inoperosa; è consumata invece nel rendere progressivamente partecipi della sua perfezione, della sua pienezza d’amore, coloro per i quali si è offerto e che accettano una relazione di obbedienza verso di Lui. La conclusione è del tutto logica. Cristo come Sommo Sacerdote, come Offerente e come Vittima offerta, ha distrutto i peccati, secondo la promessa del Profeta antico, secondo la quale nell’“alleanza nuova” il Signore avrebbe finalmente “dimenticato”, ossia messo nel non essere, le colpe e i peccati del suo popolo [Ger 31,34, qui citato per esteso]. E precisamente, avendo distrutto i peccati, Cristo non può più ripetere un’offerta al Padre per distruggere peccati che non esistono più. Il suo Sacrificio è unico, mai numericamente reiterabile [v. 18]. Questa non reiterabilità vale in eterno e per tutti gli uomini di tutti i tempi. 77]] PPrreegghhiieerraa ee C Coonntteem mppllaazziioonnee A] Il ritorno di Cristo5 Annunciamo la Venuta di Cristo, non la prima solo, ma anche una seconda, molto più bella della prima. La prima fu una manifestazione di pazienza, la seconda porta il diadema della regalità divina. Tutto è 5 CIRILLO DI GERUSALEMME, Catech., 15, 1-3. A cura di Tonino Falcone sdb [Dimensione teologico-biblica]; Jesus Manuel Garcia sdb [Dimensione teologico-spirituale]. 8 “Dalla Parola di Dio al Dio della Parola” Domenica XXXIII del Tempo Ordinario [B] per lo più duplice nel Signore nostro Gesù Cristo: doppia la nascita, una da Dio prima dei secoli, una dalla Vergine alla fine dei secoli; doppia la discesa: una oscura, come [rugiada] sul vello [cfr. Gdc 6,36-40; Sal 70,6], l’altra piena di splendore: quella che verrà. Nella prima venuta fu avvolto in panni nella mangiatoia, nella seconda è circondato di luce come d’un mantello. Nella prima subì la croce, subì disprezzi e vergogna; nella seconda viene sulle schiere degli angeli che l’accompagnano, pieno di gloria. Non fermiamoci dunque alla prima venuta solamente, ma aspettiamo anche la seconda. Nella prima abbiamo detto: “Benedetto ‘Colui che viene’ nel Nome del Signore” [Mt 21,9], e nella seconda lo ripeteremo ancora: insieme con gli angeli andremo incontro al Padrone, ci getteremo ai suoi piedi e diremo: «Benedetto “Colui che viene” nel Nome del Signore». Viene il Salvatore non per essere nuovamente giudicato, ma per chiamare in giudizio quelli che lo condannarono. Egli, che tacque la prima volta quando fu giudicato, lo ricorderà agli scellerati che osarono crocifiggerlo, dicendo: “Questo facesti, e tacqui” [Sal 48,21]. Per la divina economia, venne allora ad ammaestrare gli uomini con la persuasione; ora invece per regnare su di loro a forza, anche se non lo vogliono. Di queste due venute dice il profeta Malachia: “E subito verrà al suo tempio il Signore, che voi cercate” [Ml 3,1]. Ecco la prima venuta. Invece della seconda venuta dice: “E l’angelo del testamento che voi cercate. Ecco, viene il Signore onnipotente: chi sosterrà il giorno della sua venuta, chi sopporterà la sua vista? Si appresserà infatti come il fuoco della fornace, come la soda dei lavandai, si siederà per fondere e pulire” [Ml 3,2s]. E subito dopo il Salvatore stesso dice: “Vi verrò incontro per fare giustizia, e sarò un testimone pronto contro gli avvelenatori e gli adulteri, contro quelli che nel mio nome giurano il falso” [Ml 3,5]. Già Paolo allude a queste due parusie scrivendo a Tito: “È apparsa la grazia di Dio, salvatore di tutti gli uomini, e ci ha insegnato a rinnegare l’empietà e le cupidigie mondane, e a vivere in questo mondo con temperanza, con giustizia e pietà, aspettando la beata speranza e la manifestazione gloriosa del nostro grande Iddio e salvatore Gesù Cristo” [Tt 2,11-13]. Per questo nella fede che a noi è annunciata anche oggi ci è tramandato di credere in colui «che è asceso al Cielo, siede alla destra del Padre, e verrà nella gloria a giudicare i vivi e i morti, e il suo Regno non avrà fine». Viene dunque il Signore nostro Gesù Cristo dai Cieli; viene nella gloria alla fine di questo mondo, nell’ultimo giorno; ci sarà infatti la fine di questo mondo e il mondo creato sarà rinnovato. Infatti la corruzione, il furto, l’adulterio e ogni specie di delitto si è effuso sulla terra e nel mondo si è mescolato sangue al sangue, affinché perciò questa mirabile dimora non resti oppressa dall’iniquità, se ne va questo mondo perché ne sia inaugurato uno migliore. Vuoi una dimostrazione di ciò dai detti scritturistici? Odi Isaia che dice: “Il cielo si avvolgerà come una pergamena e tutte le stelle cadranno come le foglie dalla vite, come cadono le foglie dal fico” [Is 34,4]. E l’Evangelo dice: “Il sole si oscurerà la luna non darà più il suo splendore e gli astri cadranno dal cielo” [Mt 24,29]. Non affliggiamoci come se noi soli dovessimo finire: anche le stelle finiscono, ma forse di nuovo risorgeranno. Il Signore arrotola i cieli, non per distruggerli, ma per farli risorgere più belli. Ascolta il profeta David che dice: “In principio tu, Signore, hai fondato la terra, e opera delle tue mani sono i cieli. Essi periranno, ma tu rimani” [Sal 101,26]. Ma qualcuno obietterà: «Però dice chiaramente che periranno». Ma ascolta in che senso dice «periranno»: è chiaro da ciò che segue: “E tutti invecchieranno come un vestito e tu li avvilupperai come un mantello: ed essi muteranno” [Sal 101,27]. Si parla infatti come di una morte di un uomo, come sta scritto: “Vedete in che modo perisce il giusto, e nessuno se la prende a cuore” [Is 57,1], ma se ne aspetta la risurrezione; così aspettiamo quasi la risurrezione dei cieli. “Il sole si muterà in tenebre e la luna in sangue” [Gl 2,31; At 2,20]. Notino questo i convertiti dal manicheismo: non attribuiscano più la divinità agli astri, né ritengano empiamente che questo sole, il quale si oscurerà, sia Cristo. E ascolta ancora il Signore che dice: “Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno” [Mt 24,25]. Le parole del Signore non possono paragonarsi alle realtà create. Le realtà visibili passano e vengono le realtà che aspettiamo, piú belle delle presenti: ma nessuno ne ricerchi curiosamente il tempo: “Non sta in voi” - è detto infatti - “conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato in suo potere” [At 1,7]. Non osare dunque di stabilire il tempo in cui ciò avverrà; ma neppure, al contrario, non adagiarti supinamente: “Vigilate” - è detto infatti -, “perché nell`ora in cui non aspettate, il figlio dell’uomo verrà” [Mt 24,44]. A cura di Tonino Falcone sdb [Dimensione teologico-biblica]; Jesus Manuel Garcia sdb [Dimensione teologico-spirituale]. 9 “Dalla Parola di Dio al Dio della Parola” Domenica XXXIII del Tempo Ordinario [B] B] Il mistero dell’ultimo giorno6 Affermano alcuni che nessuno, neanche il Figlio, ma il solo Padre, conosca l’ultimo giorno. Ma com’è possibile che la Sapienza ignori anche una sola delle cose che sono, che l’ignori il Creatore e Rinnovatore dei secoli, Colui che è il fine di tutte le cose create, che conosce le cose di Dio, come lo spirito dell’uomo conosce ciò che ha in se stesso? Che c’è al mondo di più pieno e perfetto di questa conoscenza? E com’è possibile che quello stesso che conosce tutto ciò che precede un evento e ne conosce esattamente lo svolgimento, non ne conosca poi ora? È come se uno dicesse di sapere tutto ciò che è innanzi a un muro e di non saper nulla del muro, o come se uno conoscesse la fine di un giorno, ma ne ignorasse il principio della notte seguente. È fuor di dubbio che Cristo, come Dio, conosce l’ora della fine del mondo, ma, poiché qui si parla di Figlio senza alcun riferimento, possiamo ritenere che questa ignoranza la si possa attribuire all’umanità del Cristo, senza coinvolgere la sua divinità. C] Scienza umana e scienza divina di Gesù7 Certo, quando nell’Evangelo dice di sé, come di uomo: “Padre viene l’ora, glorifica tuo figlio” [Gv 17,1], mostra chiaramente che egli conosce, come Verbo, l’ora in cui verrà la fine di tutte le cose, ma che l’ignora come uomo. Perché è proprio dell’uomo ignorare, particolarmente cose di questa specie. Ma questo è un tratto di singolare benevolenza del Salvatore. Fattosi uomo, infatti, non si vergogna di accusare la sua ignoranza di uomo. Non disse: “Neanche il Figlio di Dio lo sa” [Mc 13,32], perché non sembrasse che la divinità lo ignorasse; ma solo: “neanche il Figlio”, perché si capisse che parlava dell’ignoranza del Figlio nato dagli uomini. D] Solo il Padre conosce «il giorno e l’ora»8 È irragionevole, pertanto, che voi, tronfi di alterigia, affermiate con audacia che si possano conoscere i misteri mirabili di Dio, dal momento che lo stesso Signore, il Figlio di Dio in persona, ammise che solo al Padre era dato conoscere il giorno e l’ora del Giudizio, dicendo espressamente: “Quanto poi a quel giorno o a quell’ora, nessuno li conosce, neanche gli angeli del cielo, e neppure il Figlio, ma solo il Padre” [Mc 13,32]. Se dunque la conoscenza del giorno lo stesso Figlio non ebbe remore a riferirla al Padre, ma disse semplicemente quel che è vero, neppure noi dobbiamo averne nel riservare a Dio quelle cose che superano le nostre possibilità di giudizio. “Nessuno”, infatti, “è superiore al proprio maestro” [Mt 10,24; Lc 6,40]. Di conseguenza, se qualcuno ci avrà chiesto: «Come dunque il Figlio è generato dal Padre?», possiamo rispondergli che una tale accezione, o generazione, o denominazione, o spiegazione, o altro termine con cui si voglia chiamare la di lui generazione è indicibile nella sua esistenza, e nessuno lo sa. PER L’ELABORAZIONE DELLA «RIFLESSIONE SULLA PAROLA DI DIO» DI QUESTA XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO [CICLO B], OLTRE AL NOSTRO MATERIALE DI ARCHIVIO, CI SIAMO SERVITI DI: - Lezionario domenicale e festivo. Anno B, a cura della Conferenza Episcopale Italiana, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2008; - TOMMASO FEDERICI, Cristo Signore Risorto amato e celebrato. Commento al lezionario domenicale cicli A,B,C, Quaderni di “Oriente cristiano” 11, Eparchia di Piana degli Albanesi, Palermo 2001; 6 GREGORIO DI NAZIANZO, Oratio, 30,15. 7 ATANASIO, Contra Arian., 3,43. 8 IRENEO DI LIONE, Adv. haer., II, 28,6. A cura di Tonino Falcone sdb [Dimensione teologico-biblica]; Jesus Manuel Garcia sdb [Dimensione teologico-spirituale]. 10 “Dalla Parola di Dio al Dio della Parola” Domenica XXXIII del Tempo Ordinario [B] - TOMMASO FEDERICI, “Resuscitò Cristo!”. Commento alle Letture bibliche della Divina Liturgia bizantina, Quaderni di “Oriente cristiano” 8, Eparchia di Piana degli Albanesi, Palermo 1996; - TOMMASO FEDERICI, Cristo Signore Risorto amato e celebrato. La scuola di preghiera cuore della Chiesa locale, Dehoniane, Bologna 2005; - TOMMASO FEDERICI, Per conoscere Lui e la potenza della Resurrezione di Lui. Per una lettura teologica del Lezionario, Ciclo C, Dehoniane, Roma 1988, III, 828; - TOMMASO FEDERICI, Per conoscere Lui e la potenza della Resurrezione di Lui. Per una lettura teologica del Lezionario, Dehoniane, Napoli 1987, I, 444; - TOMMASO FEDERICI, Per conoscere Lui e la potenza della Resurrezione di Lui. Per una lettura teologica del Lezionario, Ciclo B, Dehoniane, Napoli 1987, II, 587; - TOMMASO FEDERICI, Per conoscere Lui e la potenza della Resurrezione di Lui. Per una lettura teologica del Lezionario, Ciclo A, Dehoniane, Roma 1989, IV, 1232; - TOMMASO FEDERICI, La Trasfigurazione del Signore. Saggio d’esegesi antica e moderna per una «tradizione ermeneutica», P.I.B., Roma 1971, 35; - TOMMASO FEDERICI, Echi d’Oriente, La Trasfigurazione “Ascolto” del “Figlio diletto”, in La vita in Cristo e nella Chiesa, 7 [1979], 13; - TOMMASO FEDERICI, La «narrazione visiva» della Trasfigurazione, in «L’Osservatore Romano», 06.08.1995, 3; - TOMMASO FEDERICI, La Trasfigurazione gloria dell’uomo, in «L’Osservatore Romano», 03.08.1997, 4-5; - TOMMASO FEDERICI, Comprendiamo e celebriamo i Salmi. A. I Salmi di Supplica e Fiducia, «Doxologia» 9, pro manuscripto, P.U.U., Roma 31994, 1-307; - TOMMASO FEDERICI, Comprendiamo e celebriamo i Salmi. B. I Salmi di Lode, «Doxologia» 10, pro manuscripto, P.U.U., Roma 1990, 307-482; - TOMMASO FEDERICI, Comprendiamo e celebriamo i Salmi. C. Salmi della Regalità divina. Cantici di Sion, «Doxologia» 11, Parte I, pro manuscripto, P.U.U., Roma 1994, 483-660; - TOMMASO FEDERICI, Comprendiamo e celebriamo i Salmi. C. Salmi della Regalità divina. Cantici di Sion, «Doxologia» 11, Parte II, pro manuscripto, P.U.U., Roma 1994, 661-862; - TOMMASO FEDERICI, Comprendiamo e celebriamo i Salmi. E. I Salmi di Azione di Grazie, «Doxologia» 19, pro manuscripto, P.U.U., Roma 1996, 858-1020; - TOMMASO FEDERICI, Comprendiamo e celebriamo i Salmi. C. Salmi della Regalità divina. Cantici di Sion, «Doxologia» 11, Parte I, pro manuscripto, P.U.U., Roma 1994, 483-660; - TOMMASO FEDERICI, Comprendiamo e celebriamo i Salmi. C. Salmi della Regalità divina. Cantici di Sion, «Doxologia» 11, Parte II, pro manuscripto, P.U.U., Roma 1994, 661-862; - TOMMASO FEDERICI, Celebriamo Cristo Risorto Battezzato nello Spirito. La grande Festa del Battesimo del Signore Domenica 1 per l’Anno, in Culmine e Fonte, II/7 [1981], 1-10; - TOMMASO FEDERICI, Teologia Biblica. La Resurrezione, «Doxologia» 16, P.U.U., Roma 1994, 146; - TOMMASO FEDERICI, Unica Fonte: la Resurrezione e lo Spirito, in Cristo e lo Spirito Santo nel Nuovo Testamento, 49110; - TOMMASO FEDERICI, Dopo la Resurrezione il tempo ha un senso, in «L’Osservatore Romano», 15.04.1992, 7; - TOMMASO FEDERICI, La Notte del Natale e la Notte della Resurrezione, in «L’Osservatore Romano», 12.04.1995, 6; - TOMMASO FEDERICI, La Resurrezione: mandato missionario perenne, in «L’Osservatore Romano», 20.04.1997, 4-5; - TOMMASO FEDERICI, Resurrezione dono di pace, in «L’Osservatore Romano», 11.04.1993, 4-5; - TOMMASO FEDERICI, Resurrezione recupero della certezza, in «L’Osservatore Romano», 07.04.1996, 4-5; - TOMMASO FEDERICI, Sulla Resurrezione una letteratura portatrice di enormi sviluppi, in «L’Osservatore Romano», 03.04.1996, 8; - TOMMASO FEDERICI, Notte della Resurrezione. Omelia di s. Giovanni Crisostomo per la Resurrezione, pro manuscripto, 2; - TOMMASO FEDERICI, Una Pentecoste continua, in Diaspora 5 [1972] 1-5; - TOMMASO FEDERICI, Parola Sapienza Spirito, Una Pentecoste continua: la normale vita di fede della Chiesa è la Pentecoste in atto, in La vita in Cristo e nella Chiesa, 5 [1977], 4; - TOMMASO FEDERICI, Quella Pentecoste che è pienezza e totalità, in «L’Osservatore Romano», 31.05.1998, 4-5; - TOMMASO FEDERICI, Lo Spirito Santo: Amore vivificante che feconda l’opera della Redenzione, in «L’Osservatore Romano», 9-10.05.1997, 6; - TOMMASO FEDERICI, «Nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo». Lo Spirito Santo nella Theologia e nell’Oikonomia, pro manuscripto, «Incontri con il clero dell’Archidiocesi di Manfredonia-Vieste», 76; - TOMMASO FEDERICI, «Spirito Vivificante». Cristo e lo Spirito Santo nel Nuovo Testamento, «Doxologia» 2, P.U.U., Roma 51995, 270; - TOMMASO FEDERICI, Lo Spirito Santo nell’Anno Liturgico. Annotazioni al Messale Romano di Paolo VI, in RL 62 A cura di Tonino Falcone sdb [Dimensione teologico-biblica]; Jesus Manuel Garcia sdb [Dimensione teologico-spirituale]. 11 “Dalla Parola di Dio al Dio della Parola” Domenica XXXIII del Tempo Ordinario [B] [1975] 246-270; - TOMMASO FEDERICI, Lo Spirito Santo Protagonista della missione [RM 21-30], in Cristo Chiesa Missione. Commento alla «Redemptoris Missio», «Studia Urbaniana» 38, Urbaniana University Press, Roma 1992, 107-151 + Preliminare; - TOMMASO FEDERICI, Lo Spirito Santo Protagonista della Missione, in L. SACCONE [Ed.], Pozzuoli: una Chiesa in cammino, «Puteoli Resurgentes» 8, Pozzuoli 1993, 211-249; - TOMMASO FEDERICI, Testi Trinitari del Nuovo Testamento, «Doxologia» 7, P.U.U., Roma 1993, 400; - TOMMASO FEDERICI, Sulla devozione al Corpo di Cristo, in «L’Osservatore Romano», 09.06.1996, 4-5; - TOMMASO FEDERICI, Un Popolo Corpo e Tempio, in «L’Osservatore Romano», 28.09.1997, 4-5; - TOMMASO FEDERICI, L’Eucarestia convito. 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