Hardvarie2[1]

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Gli inventori del transistor: Bardeen, Shockley e Brattain,
1947. La fotografia del 1947 illustra John Bardeen (a
sinistra), William Shockley (seduto) e Walter Brattain (a
destra) nel Laboratorio della Bell, New Jersey, che
conducono le ricerche che li porteranno all'invenzione del
transistor. Il trio vinse il premio Nobel per la fisica nel
1956.
(Agenzia Ansa)
§@ Transistor
transistor (anche, meno com., transistóre) s.m. (dall'ingl. trans[fer] [res]istor, resistenza di trasferimento). Elettronica e
Telecom. Dispositivo a semiconduttori dotato di tre elettrodi in grado di svolgere le funzioni di amplificazione, di
raddrizzamento e di rivelazione di segnali elettrici, di oscillatore o commutatore e in genere tutte le funzioni
caratteristiche dei tubi elettronici.• Transistor a gradiente di campo, transistor nel quale la diffusione dei portatori di
carica è sostituita da un'accelerazione dovuta a un gradiente di campo elettrico. • Transistor planare, v. parte encicl. •
Transistor unigiunzione, semiconduttore al silicio avente una caratteristica negativa molto stabile. • Radio a transistor,
o transistor s.m., radioricevitore portatile il cui circuito comprende soli transistor con alimentazione a pile.
u Elettronica e Telecomunicazioni
Il transistor fu inventato negli Stati Uniti nel 1948 da tre ricercatori dei Bell Telephone Laboratories, J. Bardeen, W. H.
Brattain e W. B. Shockley (premi Nobel per la fisica nel 1956). I primi modelli, del tipo a punte, erano costituiti da un
cristallo di germanio sulla cui superficie erano appoggiate due punte metalliche molto vicine tra loro. Questo primo
modello, che non aveva stabilità ed erogava una potenza minima, venne sostituito dal transistor a giunzione e
successivamente dal transistor planare, oggi di impiego universale. I transistor, rispetto ai tubi elettronici, presentano il
vantaggio di avere un volume e un peso molto ridotti e di richiedere una minima potenza di alimentazione con una
tensione che non supera la dozzina di volt, così da renderne possibile l'impiego in apparecchi portatili. Il suo rendimento
energetico è elevato, mentre nei tubi una parte notevole della potenza è richiesta per il riscaldamento del catodo.
Eccettuati i tipi dì potenza, i transistor non dissipano praticamente calore e possono quindi essere impiegati in montaggi
molto compatti. Un tubo funziona solo dopo che il suo catodo si è riscaldato, mentre il transistor funziona appena posto
in tensione; infine esso non è soggetto a usura e la sua vita può superare le 100.000 ore, mentre un tubo comincia a non
rendere bene dopo 2.000 ore di funzionamento. Il transistor resiste bene agli urti e alle vibrazioni, ma è invece sensibile
alle alte temperature: i transistor al germanio ne risentono oltre i 55 ºC, quelli al silicio oltre i 150 ºC.
Per la loro realizzazione si devono impiegare semiconduttori molto puri. Dopo aver purificato l'elemento con
procedimenti chimici e fisici, si effettua la formazione del monocristallo conferendo così al semiconduttore una
struttura cristallina ordinata. Contemporaneamente si introduce nel semiconduttore una piccola dose di impurezza del
tipo p o del tipo n. Ciò consente il passaggio di una corrente quando venga applicata una differenza di potenziale tra due
punti del semiconduttore. Se in una parte di un semiconduttore tipo n si introducono impurezze tipo p, si crea al limite
delle zone p e n una giunzione p-n. Su entrambe le facce di questa giunzione le cariche elettriche si ripartiscono
disuniformemente; gli atomi ionizzati negativamente della regione p respingono dalla giunzione gli elettroni liberi della
regione n; e gli atomi ionizzati positivamente nella regione n respingono a loro volta le buche positive della regione p.
La giunzione si comporta come un raddrizzatore di corrente. Un tale semiconduttore costituisce un diodo che può
fungere da rivelatore o da raddrizzatore. Se in un semiconduttore si formano due giunzioni successive di senso opposto,
p-n-p o n-p-n, si ottiene un transistor detto in generale a giunzione. In esso la regione mediana è chiamata “base” e
quelle estreme sono chiamate, a seconda delle loro funzioni, “emettitore” e “collettore”. Normalmente, comunque sia
stabilito il senso della tensione tra emettitore e collettore, non può circolare corrente perché vi si oppone in ogni caso
una delle due giunzioni. Ma se si stabilisce una corrente attraverso la giunzione emettitore-base, si apre
contemporaneamente la strada alla corrente emettitore- collettore. Così, in un transistor del tipo n-p-n, applicando al
collettore un potenziale positivo rispetto all'emettitore, non si può stabilire alcuna corrente. Ma se si applica alla base un
debole potenziale positivo rispetto all'emettitore, una corrente di elettroni si origina dall'emettitore verso la base; la loro
presenza in quest'ultima regione consente lo stabilirsi di una corrente attraverso la seconda giunzione verso il collettore.
Deboli variazioni di corrente tra l'emettitore e la base danno luogo a forti variazioni di corrente tra l'emettitore e il
collettore, originando l'effetto di amplificazione di corrente. Si può paragonare la funzione dell'emettitore a quella del
catodo di un tubo elettronico; analogamente la base può essere assimilata alla griglia e il collettore all'anodo, per cui
(ferma restando la differenza tra il funzionamento “in tensione” del tubo e “in corrente” del transistor) i criteri di
collegamento dei transistor e dei tubi elettronici si corrispondono.
I transistor possono essere classificati principalmente in base a quattro criteri: 1. tipo della regione di contatto (p-n-p o
n-p-n); 2. materiale impiegato (germanio o silicio); 3. campo di impiego (per alta frequenza, per bassa frequenza, di
potenza, per commutazione, ecc.); 4. secondo le tecnologie di produzione. Sotto quest'ultimo punto di vista i transistor a
giunzione si chiamano: per lega quando l'emettitore e il collettore sono ottenuti per ricristallizzazione del materiale
semiconduttore da una lega di questo con una miscela di metalli opportuni; a giunzione accresciuta quando vengono
aggiunte impurezze in dose opportuna. Il transistor unigiunzione è costituito essenzialmente da una barretta di silicio
tipo n alle cui estremità sono disposti due contatti chiamati base 1 e base 2; presso quest'ultima si forma una zona tipo p
che rappresenta l'emettitore. Se si applica una tensione tra le due basi, circola una corrente: applicando una tensione
positiva all'emettitore, circola una corrente da questo verso la base 1 negativa, diminuendo la resistenza del tratto di
circuito. Si ottiene così, all'aumentare della corrente di emettitore, una diminuzione di resistenza, ossia una resistenza
negativa sulla caratteristica di entrata: ciò consente di comandare potenze notevoli. I transistor planari, chiamati
epitassiali per la tecnologia impiegata, sono caratterizzati dal fatto che l'emettitore e la base vengono realizzati su una
faccia di un supporto di silicio (che funge da collettore) mediante successive operazioni di fotoincisione su uno strato di
ossido creato superficialmente e di diffusione di droganti opportuni attraverso le finestre così formate, in modo da
creare le giunzioni per diffusione, sicché questi transistor si chiamano anche a giunzione diffusa. Il transistor a effetto di
campo è dotato di due terminali, chiamati “source” (sorgente) e “drain” (pozzo), tra i quali circola una corrente quando
si applica loro una tensione. Essi sono separati da un canale sul quale agisce una griglia determinando, in base al suo
potenziale, un campo elettrostatico che consente o interdice il passaggio della corrente. La griglia non è percorsa da
corrente poiché è isolata dal canale di conducibilità sottostante. Nei tipi MOS l'impedenza di entrata può raggiungere i
10¹² ohm.
Negli ultimi anni si è ulteriormente esteso il campo di applicazione dei transistor, che hanno sostituito le valvole
elettroniche, grazie ai progressi della tecnologia che ha ampliato la gamma dei tipi e le possibilità di impiego.
Caratteristiche costanti sono stati l'aumento dell'affidabilità, la riduzione delle dimensioni dell'elemento attivo e il
miglioramento delle tecnologie di produzione.
La miniaturizzazione aveva trovato inizialmente un limite nel sistema con il quale si procedeva all'incisione dei wafer
per mezzo della luce: si ricopriva il wafer con un materiale fotosensibile (fotoresist) e lo si esponeva alla luce dopo
avervi posto sopra la maschera con il disegno del circuito da riprodurre. Con lo sviluppo era possibile asportare
chimicamente il materiale fotosensibile esposto (o in alcuni casi [resist negativo] quello non esposto) e quindi incidere
chimicamente in quella zona l'ossido di silicio per mettere allo scoperto il silicio sottostante. Su di esso era infine
possibile compiere l'operazione voluta (drogaggio, collegamento di elettrodi, ecc.) senza intaccare la parte rimasta
coperta dall'ossido. Per ottenere disegni sempre più piccoli occorreva poter ridurre la larghezza delle tracce così
formate, ma esse erano limitate dal fatto che al di sotto di un certo limite la luce visibile produceva fenomeni di
diffrazione. Usando luce ultravioletta (il cui potere risolutivo è di 0,4 m) si potevano ottenere tracce di 1 m. Con la
recente tecnologia “a raggio elettronico” questa difficoltà è superata perché la lunghezza d'onda associata con gli
elettroni in moto di adeguata energia è alcune migliaia di volte inferiore a quella della luce. Il dispositivo impiegato è
costituito all'incirca come un microscopio elettronico, nel quale il pennello è focalizzato e pilotato sul wafer.
Due sono i sistemi essenzialmente impiegati. Con la scansione a punto mobile (flying spot scanner) il comando di
deflessione del pennello elettronico esplora il wafer in sincronismo con un punto luminoso su un tubo a raggi catodici:
un sistema di lenti fa passare la luce di questo punto attraverso una maschera che riproduce il circuito da incidere sul
wafer e poi la invia su un fotomoltiplicatore che comanda l'intensità del pennello elettronico. Nei punti in cui la luce
viene intercettata dalla maschera il pennello elettronico viene deviato lateralmente e non può così colpire il wafer. Una
limitazione di questo sistema è data dal fatto che la risoluzione del sistema dipende dal numero di righe che è possibile
ottenere sul tubo a raggi catodici.
Se invece si pilota il pennello di elettroni tramite un calcolatore elettronico si può ottenere un disegno più fine, limitato
solo dallo spessore del pennello stesso. In questo caso non occorre neppure disegnare lo schema da riprodurre poiché
basta mettere in memoria del calcolatore il programma di esecuzione ed esso potrà comandare direttamente lo
spegnimento del pennello elettronico man mano che esso esplora riga per riga il wafer (scansione a rastrello); è anche
possibile pilotare il raggio solo sul percorso da incidere conseguendo una maggior precisione. In ogni modo
l'operazione richiede una elevatissima precisione relativa in ogni elemento meccanico ed elettrico del sistema,
precisione che deve essere dell'ordine di 1/100.000. Inoltre il pennello elettronico non può essere deflesso troppo perché
darebbe luogo a distorsioni, per cui occorre incidere pochi millimetri quadrati per volta e poi spostare il wafer: questa
operazione deve essere ripetuta centinaia di volte per un wafer di 5 cm di diametro. Ogni volta la collimazione deve
essere perfetta e perciò è ottenuta direttamente dal calcolatore, che si vale di particolari punti del wafer segnati in
precedenza che emettono elettroni secondari rivelati da un apposito strumento.
Tubo a raggi catodici ideato da Wilhelm Röntgen
Tubo elettronico, ampolla di vetro, ceramica o acciaio, a vuoto spinto (tubo a
vuoto) o contenente gas a bassa pressione (tubo a gas, utilizzato come
raddrizzatore), dotato di due o più elettrodi tra i quali si spostano elettroni o
ioni, che serve a produrre, amplificare, raddrizzare, rivelare o modulare
segnali elettrici. (V. parte encicl.) • Tubo fotoelettronico, tubo elettronico a
vuoto nel quale si ha emissione di elettroni da parte di un elettrodo (catodo)
per effetto fotoelettrico. • Tubo termoelettronico (o termoelettrico), tubo
elettronico a vuoto nel quale si ha emissione di elettroni da parte di un
elettrodo (catodo) per effetto termoelettronico. • Tubo termoionico o valvola
termoionica, tubo elettronico a gas nel quale la ionizzazione viene prodotta
per urto dagli elettroni emessi dal catodo per effetto termoelettronico. • Tubo
catodico o tubo a raggi catodici, tubo a vuoto nel quale l'urto di un fascio di
elettroni contro uno schermo fluorescente consente di visualizzare una
grandezza elettrica variabile (v. parte encicl.) o un'immagine televisiva (v.
CINESCOPIO e TELEVISIONE ). • Tubo di potenza, tubo elettronico
amplificatore particolarmente studiato per la conversione di potenza continua
proveniente dall'alimentatore anodico in potenza del segnale alternato d'uscita.
• Tubo multigriglia, tubo elettronico dotato di più di una griglia, come il
tetrodo e il pentodo. • Tubo a fascio, tubo elettronico a quattro elettrodi, nel quale mediante due elettrodi deflettori
collegati all'anodo si crea una carica spaziale negativa che si oppone all'allontanamento dall'anodo degli elettroni
secondari, con funzione analoga a quella della griglia di soppressione del pentodo. • Tubo per microonde, tubo
elettronico speciale nel quale fenomeni dannosi dei tubi normali, come la velocità non infinita degli elettroni e la
corrente indotta da essi prodotta negli elettrodi vicini, vengono sfruttati per renderli adatti a funzionare alle frequenze
delle microonde. (Sono tali i klystron, i magnetron, i tubi a onda progressiva e inversa, i tubi a ghianda.) • Tubo a onda
progressiva, tubo amplificatore per microonde basato sull'interazione di un fascio di elettroni col campo elettrico di
un'onda elettromagnetica che si propaga a velocità di poco inferiore a quella degli elettroni. • Tubo a onda inversa,
tubo oscillatore per microonde derivato dal tubo a onde progressive mediante opportuno collegamento fra entrata e
uscita. • Tubo a ghianda, tubo elettronico per microonde a elettrodi assai vicini e di dimensioni assai limitate. • Tubo
di Braun, v. BRAUN (TUBO DI) .
u Elettronica
Nel corso di studi sulla conducibilità dell'aria nelle vicinanze di metalli riscaldati al calor rosso, J. W. Hittorf riscontrò
nel 1869 che se, in una lampada a incandescenza, si pone una placca di metallo tra le estremità di un filamento a forma
di ferro di cavallo portato all'incandescenza, si constata il passaggio di una corrente, che va dall'estremità positiva del
filamento alla placca. Il fenomeno, studiato da Edison (da cui fu chiamato effetto Edison) e da J. J. Thomson, è dovuto
al flusso di elettroni dal filamento verso la placca. Su di esso è basato il funzionamento dei tubi elettronici.
v Valvola di Fleming
Nel 1904 J. A. Fleming utilizzò l'effetto Edison per raddrizzare correnti alternate in modo termoelettrico; egli applicò il
suo tubo a catodo caldo e anodo freddo alla rivelazione di segnali radiotelegrafici.
v Diodo
È il tipo più semplice di tubo elettronico e comprende unicamente due elettrodi: il catodo e la placca (o anodo). Nel
caso più elementare (riscaldamento diretto) il catodo è costituito da un filamento di tungsteno portato a una temperatura
elevata mediante corrente elettrica. L'agitazione termica degli atomi provoca un'emissione di elettroni nello spazio
circostante. Una placca, portata a un potenziale positivo rispetto al catodo negativo, attira questi elettroni: se si mantiene
il potenziale positivo dell'anodo mediante una sorgente di tensione continua collegata tra l'anodo (polo positivo) e il
catodo (polo negativo), si stabilisce una corrente anodica, la quale riporta il flusso elettronico raccolto dall'anodo verso
il catodo passando attraverso la sorgente di tensione; da qui gli elettroni rifluiscono verso l'anodo.
Se si invertono le polarità della sorgente di tensione, collegando il polo positivo al catodo e il negativo all'anodo, non si
ha passaggio di corrente poiché l'anodo, che è freddo, non può emettere elettroni. Ciò significa che nel diodo il flusso di
elettroni può aver luogo solo dal catodo verso l'anodo; la corrente, il cui senso convenzionale è opposto al movimento
degli elettroni, circolerà perciò dall'anodo verso il catodo. Il diodo viene utilizzato per raddrizzare correnti alternate e
per rivelare segnali radio.
Per raddrizzare correnti intense si utilizzano i diodi a gas: in essi gli elettroni emessi dal catodo, incontrando le
molecole del gas, le ionizzano formando ioni positivi e negativi il cui movimento (corrente di convezione) aumenta
l'intensità del flusso dovuto allo spostamento degli elettroni. Ad es. i tubi a vapori di mercurio sono raddrizzatori.
Il catodo dei primi tubi era formato da un filamento di tungsteno, che emetteva elettroni quando raggiungeva una
temperatura elevata per cui era necessaria una corrente di riscaldamento relativamente alta. Ricoprendo il filamento con
sali di torio o di bario si poté abbassare notevolmente la temperatura necessaria per l'emissione di elettroni e si
ottennero così delle lampade a consumo ridotto (1915). Questi catodi devono essere alimentati con corrente continua.
Per poter utilizzare la corrente alternata si dovettero separare le funzioni di riscaldamento e di emissione elettronica
realizzando (1930) dei catodi a riscaldamento indiretto.
v Triodo
Già dal 1906 Lee De Forest aveva ideato un tubo a tre elettrodi costituito da un catodo che emette elettroni, un anodo a
potenziale positivo e una griglia che regola il flusso elettronico. La griglia è a potenziale negativo: quanto più questo è
elevato in valore assoluto, tanto più essa respinge gli elettroni che sono caricati negativamente, impedendo loro di
raggiungere la placca e quindi riducendo l'intensità della corrente anodica. In questo modo, minime variazioni di
potenziale della griglia rispetto al catodo producono forti variazioni della corrente anodica. Il triodo è quindi una specie
di relè nel quale, applicando all'entrata (tra catodo e griglia) dei segnali di debole potenza, se ne possono raccogliere di
più intensi all'uscita (tra anodo e catodo); però il triodo è nettamente superiore ai relè elettromeccanici essendo privo di
inerzia. Esso viene impiegato anche per amplificare dei segnali.
Il triodo, come il diodo, può rivelare dei segnali, in quanto variazioni della tensione di entrata causano variazioni
dell'intensità di corrente. In alcuni circuiti l'insieme catodo- griglia funge da rivelatore come un diodo, avendosi in più
l'amplificazione dovuta alla presenza dell'anodo.
Se si riporta all'entrata di un triodo la tensione amplificata raccolta all'uscita, si osservano delle oscillazioni elettriche: il
triodo può quindi fungere anche da oscillatore. Infine il triodo svolge anche il compito fondamentale di modulatore:
esso modifica infatti l'ampiezza di una corrente oscillante sotto l'azione di un segnale dato. Nei trasmettitori, ad es., le
correnti microfoniche di bassa frequenza modulano delle correnti portanti di alta frequenza.
Dal lato quantitativo il funzionamento del triodo è definito da varie famiglie di caratteristiche e dai relativi parametri.
Sia la corrente anodica ia, sia la corrente di griglia ig sono funzione del potenziale anodico Va e del potenziale di griglia
Vg. Le caratteristiche anodiche sono le curve ia = f(Va) per Vg costante; le caratteristiche di griglia sono le curve ig =
f(Vg) per Va = costante. Dalla caratteristica anodica si ricava la conduttanza differenziale anodica (¶ia/¶Vg) Vg. Dalla
caratteristica di griglia si ricava la conduttanza differenziale di griglia (¶ig/¶Vg) Va. La relazione fra parametri anodici e
di griglia è espressa dalla transconduttanza differenziale o mutua conduttanza o pendenza (¶ia/¶Vg) Va e dalla
transconduttanza differenziale inversa - (¶ig/¶Va) Vg. Il funzionamento del triodo come amplificatore è definito dal
fattore di amplificazione ma = - (¶Va/¶Vg) ia.
v Tubi a più elettrodi
Per attenuare gli effetti della piccola capacità esistente tra griglia e anodo, dannosi alle frequenze più elevate, si è
interposta una seconda griglia a maglie molto fitte, chiamata griglia- schermo; il tubo è detto allora schermato. Nel
tetrodo che così si ottiene la griglia-schermo deve essere portata a un potenziale positivo elevato, che può giungere fino
a eguagliare quello dell'anodo, per non ostacolare il passaggio degli elettroni. In tal modo però gli elettroni urtano
l'anodo con un'energia talmente elevata da strapparne altri elettroni. Questa emissione secondaria perturba il
funzionamento del tubo; per eliminarla si colloca fra la griglia-schermo e l'anodo una terza griglia (detta di
soppressione) portata al potenziale del catodo. Questo tubo a cinque elettrodi si chiama pentodo. In alcuni casi
(modulazione, variazione di frequenza) la corrente anodica deve essere simultaneamente controllata da due tensioni
indipendenti. Si realizzano allora dei tubi che contengono due griglie di comando, delle quali il tipo più semplice è detto
bigriglia. Per evitare qualsiasi interferenza tra i segnali, le griglie sono separate mediante griglie-schermo. Si può così
arrivare a tubi a quattro griglie (esodi) e, in casi particolari, a tubi con sette od otto elettrodi (eptodi e ottodi). I tubi
elettronici sono stati utilizzati in ogni settore dell'elettronica, anche se il loro impiego ha subito una notevole flessione
in seguito all'introduzione e al perfezionamento dei transistor.
v Tubi speciali
§@ Tubo catodico
§@ Tubo a raggi catodici
Tra i tubi speciali si possono menzionare gli indicatori di sintonia, i tubi a raggi catodici (per televisione) alcuni dei
quali hanno campi magnetici per il pilotaggio degli elettroni.
I tubi trasmittenti sono realizzati per potenze molto elevate, che richiedono particolari circuiti di raffreddamento ad aria
o ad acqua per dissipare il notevole calore prodotto. Il tubo a raggi catodici racchiude i suoi elettrodi in uno spazio a
vuoto spinto formato da un “collo” cilindrico che si prolunga in una parte conica la cui base, piana o leggermente
incurvata, è rivestita internamente da uno strato fluorescente che costituisce lo schermo. Un sottile pennello di elettroni,
detto “raggio catodico”, è prodotto dal cannone posto nel collo nel quale vi è un catodo puntiforme che emette elettroni
quando viene portato all'incandescenza. Dopo aver superato un diaframma chiamato “cilindro di Wehnelt”, il cui
potenziale ne regola l'intensità analogamente a quanto fa la griglia di un triodo, il fascio di elettroni viene concentrato e
focalizzato per effetto dei campi elettrici creati da anodi portati a potenziali positivi elevati. Successivamente il pennello
che ne risulta viene deviato dalla sua traiettoria da campi elettrici o magnetici. Nel primo caso il pennello passa tra gli
elettrodi deviatori ai quali sono applicate tensioni variabili. Gli elettrodi posti orizzontalmente provocano una
deviazione in alto o in basso, quelli verticali una deviazione a destra o sinistra. La deviazione magnetica è prodotta
invece da correnti variabili che circolano in avvolgimenti posti esternamente al tubo, dando origine a campi magnetici.
Con la deviazione nei due sensi, il pennello elettronico può descrivere sullo schermo curve differenti che sono rese
visibili dallo strato fluorescente colpito dagli elettroni. Nei ricevitori televisivi il tubo catodico viene più comunemente
chiamato cinescopio; per la ripresa si impiegano tubi da ripresa, come l'iconoscopio, l'image-orthicon, il vidicon, ecc.,
che trasformano le variazioni di intensità luminosa in variazioni di corrente elettrica.
Il tubo a raggi catodici può essere utilizzato come terminale di uscita di un elaboratore. Sullo schermo si può
visualizzare un reticolato che con i suoi elementi può comporre lettere, cifre o curve, risultato dell'elaborazione le cui
caratteristiche sono contenute in memoria. Il tubo può essere impiegato anche come mezzo di entrata mediante una
matita fotoelettrica che consente, per semplice contatto con il tubo, di cancellare o modificare l'immagine o i simboli
variando corrispondentemente i dati memorizzati nel calcolatore.
microprocessóre s.m. Elettronica. Dispositivo microelettronico costituito da un'unità centrale di elaborazione con
interfacce che permettono il collegamento con varie unità periferiche per l'immissione, la memorizzazione e l'uscita dei
dati.
u Elettronica
I microprocessori, detti talvolta microelaboratori, sono costituiti da cinque elementi: unità di controllo, unità aritmeticologica, registro istruzioni, contatore di istruzioni, registri di lavoro. Per il suo funzionamento un microprocessore ha
bisogno, oltre che di una memoria di controllo in cui è registrato il programma, anche di una memoria di lavoro. Per
scambiare dati con l'esterno il microprocessore utilizza circuiti di ingresso e di uscita che possono venire interrogati (per
ricevere dati dall'esterno) e caricati (per trasferire dati all'esterno). Questo compito viene svolto dai circuiti di interfaccia
verso le linee di comunicazione e verso i supporti magnetici di memoria (dischi, cassette, ecc.). Il microprocessore può
anche essere interrotto nell'esecuzione di un suo programma e in questo caso un altro circuito si preoccupa di stabilire le
priorità impedendo che un organo meno importante (meno prioritario) interrompa un servizio destinato a uno più
importante. In pratica in un microprocessore tutte le funzioni svolte normalmente in parallelo possono venire eseguite
serialmente da un piccolo numero di circuiti. I microprocessori, nati per il calcolo elettronico, stanno diffondendosi nei
settori dell'automazione distribuita (per es. orologi elettronici, sistemi di controllo sulle automobili).
personal computer [pèrsonal kompiùte] s.m. (voce ingl.). Inform. Sistema di
elaborazione completo di piccole dimensioni, destinato a un singolo utente. (La
definizione non ha nulla di tecnico: un personal computer non si differenzia
sostanzialmente da altri tipi di sistemi di elaborazione se non per le dimensioni e,
anche sotto questo aspetto, la distinzione rispetto ad altri tipi di macchine è molto
sfumata. Quando l'espressione si usa con le iniziali maiuscole, Personal Computer,
sta a indicare specificamente il tipo di sistema prodotto dalla IBM, che ha registrato
il marchio. I primi personal computer sono stati commercializzati sotto forma di
scatole di montaggio per appassionati di elettronica, alla fine degli anni Settanta, e
solo nel decennio successivo è iniziata la diffusione di prodotti commerciali intesi
realmente all'esecuzione di attività elaborative come giochi, elaborazione di testi,
calcoli, programmazione. La potenza di calcolo, le dotazioni di memoria di lavoro e
di massa, la disponibilità di apparecchiature periferiche sono cresciute rapidamente,
facendo dei personal computer il comparto più vivace di tutta l'industria
informatica.)
Transistor
La scoperta dell'emissione di cariche elettriche da parte di corpi incandescenti (T. A. Edison, 1884), riconosciute come
elettroni da O. W. Richardson (1901), e dell'effettofotoelettrico preludono all'invenzione del diodo (J. A. Fleming,
1904) e del triodo (L. De Forest, 1906) con i quali nasce l'elettronica.
Nella fase iniziale l'elettronica fu soprattutto un mezzo utilizzato dalla radiotecnica e dalla telefonia a lunga distanza: i
primi tubi elettronici risolsero brillantemente il problema della modulazione, della rivelazione e dell'amplificazione dei
segnali.
Negli anni successivi l'accoppiamento fra circuito anodico e circuito di griglia consentì di usare il triodo come
oscillatore, quindi di diminuire le lunghezze d'onda usate nelle trasmissioni radio. Durante la prima guerra mondiale il
progressivo aumento della potenza dei triodi consentì le trasmissioni radiotelefoniche transoceaniche, mentre il
perfezionamento dei tipi a bassa potenza rese possibile, ad es., la ricezione col sistema eterodina. Durante questo
periodo W. Schottky costruì il tetrodo, a cui seguirono attorno al 1930 il pentodo e altri tubi multigriglia; questi rendono
possibile, ad es., l'installazione degli impianti di diffusione sonora. Intanto dall'antico tubo di Braun (1897) era derivato
il tubo a raggi catodici; questo, insieme con la fotocellula e gli altri tipi di tubi, rese possibile da un lato la nascita della
televisione, dall'altro la tecnica del radar.
La seconda guerra mondiale diede un enorme impulso alla tecnica elettronica. Sotto lo stimolo delle necessità militari si
ebbe una progressiva diminuzione del limite inferiore di lunghezza d'onda, che scese fino al centimetro; i normali tubi
elettronici vennero perfezionati; con i ponti-radio ebbero origine nuovi tipi di tubi, a modulazione di velocità (come i
klystron), a cavità risonante (come il magnetron).
Durante il dopoguerra l'elettronica progredì contemporaneamente in campi diversi. Da un lato si svilupparono le
tecniche di applicazione a operazioni su segnali, le quali furono dapprima prevalentemente lineari (integrazione,
derivazione, traslazione temporale mediante linee di ritardo), con largo uso di amplificatori operazionali;
successivamente la strumentazione elettronica permise di eseguire operazioni non lineari, come quelle eseguite dai
circuiti a scatto, fra i quali sono tipici i circuiti bistabili. L'insieme di queste operazioni trova larga applicazione nei
circuiti logici, quindi nei calcolatori.
Parallelamente l'applicazione dell'elettronica alla televisione determinò la costruzione di nuovi tipi di tubi elettronici, sia
per la ripresa (iconoscopio, orticon, image-orticon), sia per la riproduzione.
Inoltre l'elettronica venne estesamente applicata alla strumentazione nucleare, ad es. all'amplificazione della corrente
continua media d'uscita dalle camere di ionizzazione (per cui si usano amplificatori operazionali, lineari o logaritmici),
al conteggio delle particelle ionizzanti, alle misure di coincidenza o di anticoincidenza di determinati impulsi, alla
discriminazione della loro ampiezza.
Nel 1948 nei laboratori della Bell venne costruito il transistor, col quale comincia la fase più recente dell'elettronica, in
cui le concezioni tradizionali stanno modificandosi radicalmente. Il transistor, basato su quel particolare tipo di
conduzione elettrica che ha luogo nei semiconduttori, è stato in un primo tempo considerato come un semplice sostituto
del triodo (con particolari accorgimenti circuitali) in analoghe operazioni, col vantaggio di non aver bisogno
d'alimentazione catodica, di aver maggior durata e minori dimensioni, e lo svantaggio della marcata dipendenza delle
sue proprietà dalla temperatura. Per il suo impiego si è quindi usata inizialmente una tecnica circuitale simile a quella
dei tubi elettronici.
I progressi della tecnica costruttiva e la miniaturizzazione hanno successivamente consentito una larga estensione del
campo di frequenze per cui è possibile l'uso dei transistor (fino a 8.000 MHz), nonché la costruzione di diodi speciali
per alte frequenze; questi progressi hanno consentito sia la generazione di oscillazioni di frequenze elevatissime, sia
l'amplificazione radio con stadi di ingresso operanti nella gamma delle microonde. Componenti di questo tipo sono stati
applicati, ad es., ai ponti-radio e alle trasmissioni telefoniche in cavo sottomarino con amplificatore sommerso.
Successivamente la progressiva riduzione dimensionale portava alla realizzazione dei micromoduli, elementi funzionali
completi costituiti da un insieme di componenti discreti riuniti in un unico piccolo complesso assai compatto (v.
MICROMODULO ). Con l'introduzione dei semiconduttori planari si passa all'elettronica integrata. Secondo i princìpi
di questa, una porzione limitata di materia viene modificata, nei riguardi della struttura chimico-fisica e del
comportamento elettrico, in modo da renderla equivalente a un circuito o a un insieme di circuiti. Il circuito risulta
costituito di funzioni logiche elementari molto ravvicinate e addensate; si passa dai 10-100 componenti al
decimetrocubo dei circuiti tradizionali ai 104-107 funzioni logiche elementari al decimetrocubo, che possono già essere
confrontati con le 10¹º unità nervose al decimetrocubo del cervello umano.
Per realizzare tali circuiti vengono seguiti due metodi: il primo consiste nel modificare chimicamente e fisicamente
(mediante processi di ossidazione, rimozione dell'ossido in date zone, diffusione di impurità) una porzione di materiale
monocristallino, in modo da suddividerlo in parti, ciascuna delle quali assume la funzione d'un componente elettronico,
attivo o passivo, del circuito; il secondo consiste nel depositare strati sottili del materiale su di un supporto, alternando
più strati conduttori, isolanti e semiconduttori, secondo una rigorosa successione.
La schematizzazione di questi circuiti in elementi singoli, ancora considerati come componenti di un circuito
elettronico, rappresenta una prima approssimazione derivata dall'elettrotecnica; per un'analisi più precisa il
comportamento di questi circuiti va studiato in base ai princìpi della fisica dello stato solido (bande di energia, barriere
di potenziale, effetto tunnel, ecc.). Con questi circuiti, oltre a ridurre notevolmente l'effetto della temperatura rispetto ai
circuiti a transistor precedenti, si ha la possibilità di poter assolvere diverse funzioni con facilissime commutazioni. Si è
poi accentuato lo sviluppo dei circuiti elettronici a stato solido, grazie soprattutto ai progressi nei componenti integrati,
la cui complessità circuitale è andata sempre più aumentando fino a comprendere milioni di funzioni elementari su
un'unica piastrina (v. INTEGRATO ). Parallelamente si sono perfezionate le tecniche di miniaturizzazione dei circuiti di
supporto, siano essi circuiti stampati anche multistrato oppure circuiti a strato (v. CIRCUITO). Il silicio è tuttora il
materiale più impiegato per la realizzazione di dispositivi elettronici, sia come silicio monocristallino, sia come silicio
policristallino, sia ancora (in tempi più recenti e in modo ancora limitato) come silicio amorfo. Nonostante si siano
utilizzati molti altri tipi di materiali, semiconduttori compositi formati dalla combinazione di atomi di elementi diversi,
del III e del V gruppo del sistema periodico, o del IV e del sesto gruppo, il silicio rimane il preferito, sia per la sua
disponibilità, sia per la possibilità di modularne ampiamente le caratteristiche e il comportamento con la tecnica del
drogaggio, cioè dell'inserimento di impurezze, atomi di altre sostanze. Le applicazioni dell'elettronica sono cresciute
rapidamente e ormai è difficile trovare un campo in cui non siano in qualche forma utilizzati dispositivi a
semiconduttori: dagli elettrodomestici ai computer, in tutti i dispositivi di comunicazione (radio, televisione,
registrazione e riproduzione audio e video, telefonia, trasmissione dati), in tutti i tipi di veicoli (tutti i modelli di
automobile più recenti dispongono di centraline elettroniche per il controllo di un buon numero di funzioni, per
esempio), negli strumenti di controllo in tutti i tipi di industrie, negli strumenti di misura.
v Elettronica nucleare
Per quel che riguarda il primo impiego, cioè l'applicazione allo studio di un fenomeno fisico, occorre distinguere due
aspetti fondamentali: la rivelazione del fenomeno e la sua misura. La rivelazione avviene mediante dispositivi
elettronici detti rivelatori che forniscono in generale un impulso elettrico funzione del fenomeno in studio (camere a
ionizzazione, contatore di Geiger-Müller, camere a scintilla). L'informazione fornita dai rivelatori viene elaborata
attraverso una catena di numerazione e di conteggio, variamente costituita a seconda del tipo di informazione finale che
si intende avere dall'evento rivelato e, infine, memorizzata su un opportuno supporto (nastro perforato, nastro
magnetico, pellicola fotografica, ecc.), oppure trasferita in forma digitalizzata a un calcolatore, dove può essere
elaborata e memorizzata su supporto magnetico o ottico.
Per quel che riguarda l'esercizio degli impianti nucleari, il complesso di strumentazione elettronica può essere suddiviso
in: strumentazione per la regolazione di esercizio del reattore; strumentazione per la sicurezza dell'impianto;
strumentazione per la protezione dalle radiazioni.
u Medicina
Applicazioni dell'elettronica sono presenti ormai in ogni fase dell'attività medica. A parte la strumentazione per la
ricerca, per cui si rimanda alle varie voci scientifiche, la tecnologia elettronica offre innanzitutto strumenti per la
diagnosi: dai più noti elettrocardiografo, elettroencefalografo, ecc. a una serie di strumenti per la misurazione non solo
di manifestazioni elettriche ma, con l'impiego di trasduttori, di molte grandezze fisiche e fisico- chimiche di valore
semeiologico e per l'esplorazione di organi profondi (sonar, elettropletismografia, ecc.); inoltre l'analisi automatica dei
tracciati e la parziale automazione di alcune indagini.
Altrettanto lungo e forzatamente generico l'elenco nel campo terapeutico; fra le più attuali, le cosiddette protesi
funzionali, come gli ausili per i minorati degli organi di senso e i pacemakers (segna-passo), cioè gli apparecchi
miniaturizzati per la stimolazione del cuore o di altri organi, che vengono impiantati sul corpo del paziente; inoltre i vari
apparecchi per l'elettroterapia e per la radiologia.
Di importanza crescente l'elaborazione dei dati su calcolatori elettronici, non solo per la statistica sanitaria e la
programmazione, ma anche per un impiego più immediato, quale la possibilità di diagnosi strumentale. (Si noti che il
processo di diagnosi “elettronica”, che peraltro non esclude l'intervento del fattore umano, compensa lo svantaggio di
una “rigidità” di giudizio, cioè della carenza di sintesi, con il vantaggio di un confronto correttamente ponderato e
rapido con una grande quantità di dati.)
Si ricordi infine l'attrezzatura, meno specialistica, di interesse organizzativo e didattico. Fra i contributi più interessanti
citiamo i modelli elettronici come le reti che simulano la circolazione arteriosa e i modelli di funzioni sensoriali, fra cui
il perceptron di Rosenblatt e i suoi successori più moderni basati sulle reti neurali, e il modello della trasformazione
degli stimoli sonori in scariche nervose. Non indifferente è l'importanza degli elaboratori elettronici anche per
l'aggiornamento scientifico: la maggior parte delle riviste specializzate è disponibile in forma elettronica, consultabile
via Internet o su CD-ROM, e le banche dati di carattere medico, con le funzioni di ricerca rese possibili dagli
elaboratori, sono strumenti la cui importanza può essere difficilmente sopravvalutata.
Si è poi avuto un ampio utilizzo del calcolatore sia negli ospedali che nella ricerca clinica. L'impiego del calcolatore nel
campo ospedaliero si esplica in generale nei settori seguenti: organizzazione delle informazioni relative ai pazienti;
analisi statistica di un gran numero di dati, con memorizzazione anche dei casi rari, di grande interesse diagnostico;
banda di dati di grande estensione, facilmente accessibile, utilissima nella ricerca clinica. Il calcolatore è inoltre
utilizzato per particolari problemi di ricerca clinica: analisi di elettrocardiogrammi, applicazione alla cobaltoterapia,
applicazione alla auxologia (crescita e sviluppo infantile), teoria “cinetica” dei farmaci e dei traccianti, elaborazione
delle informazioni in radiologia. Fra gli altri campi di applicazione dell'elettronica alla medicina vanno ricordati i
progressi e sviluppi degli arti artificiali e degli stimolatori cardiaci, il riconoscimento automatico di forme di interesse
clinico (cromosomi; dermatoglifi; tracciati elettroencefalografici), scintigrafia (ad es. per l'esame polmonare), esame
dell'attività bioelettrica delle cellule muscolari del tubo gastroenterico, ecc.
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