EMERGENZE ( Prof. Sabato)
22-03-2004
Avevamo già detto la scorsa volta che, secondo la teoria della TPM (toracyc pump mechanism),
tutta la cassa toracica e il cuore vengono considerati come una sorta di condotto unico in cui ci sono
delle valvole venose che rendono unidirezionale il flusso di sangue durante il massaggio cardiaco.
Per cui cosa succede? Nel momento in cui noi andiamo a rilasciare il torace il sangue entra nella
cavità, quando poi esercitiamo la compressione il sangue viene espulso in modo unidirezionale
grazie alla presenza delle valvole. In definitiva il massaggio cardiaco funzionerebbe come una
imitazione dell’attività cardiaca :questo porta ad una caratteristica particolare e cioè abbiamo da una
parte la riduzione del flusso ematico totale che a seconda degli organi va dal 10 al 33% e questa
teoria spiegherebbe molto bene il fatto che quasi tutto il flusso che andiamo ad espellere dal torace
va verso il comparto sottodiaframmatico ma ciò interessa poco perché gli organi nobili sono più in
alto, soprattutto il cervello. Inoltre il flusso ematico dei visceri è ridotto del 5% rispetto agli altri
organi. Questa fase di capacità di per fusione degli altri organi poi decresce col tempo per arrivare
quasi a zero dopo circa 20 minuti. Questo spiega il fatto che, generalmente, dopo 20 min. il
massaggio cardiaco andrebbe sospeso se non c’è un buon effetto di pompa in modo tale da poter
sentire il polso. Per migliorare il flusso ematico, quindi per ridurre il flusso sottodiaframmatico ed
aumentare quello cerebrale fu sperimentato e andò molto di moda fino a 3-4 anni fa l’uso smodato
di epinefrina (o adrenalina ). L’adrenalina è un farmaco che non è fisiologico (l’unico fisiologico
per noi è la noradrenalina) e si vide sperimentalmente che poiché dava una forte vasocostrizione a
livello splancnico, usando alte dosi di adrenalina migliorava il flusso cerebrale.Essa quindi non
veniva usata per aumentare la capacità del cuore di andare in fibrillazione ventricolare ma per
creare una miglior perfusione cerebrale. Questo è caduto in uso nel senso che si usa ancora a
dosaggi elevati ma le 6-10-20 fiale che venivano usate una volta durante un arresto cardiaco oggi
non si usano più. Ora vediamo il trasporto dei gas durante la CPR. Abbiamo due situazioni
particolari: da una parte abbiamo una alcalosi respiratoria a livello arterioso ed una acidosi
respiratoria a livello venoso. L’alcalosi la creiamo noi dando bicarbonato ma poi non riusciamo a
buttar fuori questo bicarbonato attraverso un sistema di scarico buono a livello venoso e dato che il
ritorno venoso è molto scarso così come la per fusione polmonare, avremo un accumulo di CO2 e
quindi una acidosi respiratoria venosa. Si parla quindi di elevata differenza artero-venosa di CO2.
Questo introduce un problema nel senso che inizialmente l’uso del bicarbonato era molto frequente
mentre oggi non più. Inoltre, quando poi il cuore riparte, tutta questa quantità di acido accumulatosi
a livello venoso, tende a rientrare a livello cardiaco e il cuore viene immerso da tutta questa quantità
di acido per cui c’è una iniziale fibrillazione ventricolare. Inoltre aabbiamo uno scarso rapporto
artero-venoso di CO2 perché il sistema bocca a bocca è un sistema a scarsa eliminazione di CO2
per cui questo porta ad un accumulo di CO2 a livello venoso.
L’altro problema fondamentale è la ventilazione: nei primi 5 min. di CPR, la respirazione bocca a
bocca, soprattutto nei primi 2-3 min., non è molto importante se il paziente respirava fino
all’ultimo, invece se il paziente era ipossico a volte la respirazione bocca abocca fa ripartire subito
la situazione. Però nei primi minuti non c’è una necessità vera e propria perché non c’è una ipossia
e il paziente respirava fino a pochi secondi prima della fibrillazione ventricolare e dell’arresto
circolatorio e ricordiamo sempre che un buon massaggio cardiaco porta ad una minima ventilazione
anche se non è completa, per cui il fatto di fare 10-15 massaggi cardiaci e 2 respirazioni al minuto
in sequenza porta ad una situazione ottimale. Altra cosa importante è che tutti i lavori sperimentali
svolti per valutare la necessità di fare prima la ventilazione meccanica o il massaggio cardiaco o il
contrario, non è mai stato dimostrato se partendo prima con la ventilazione migliorava la prognosi
dell’arresto cardiaco. Comunque tutti i protocolli insistono sulla necessità primaria di liberare le vie
aeree e quindi partire con la ventilazione bocca a bocca. Inoltre ci si è chiesto se il massaggio
cardiaco esterno fosse più efficace di quello interno o alla pari. Quello che è sicuro è che la CPR a
torace aperto migliora la per fusione coronaria e cerebrale però statisticamente si è visto che la
prognosi rimane pressoché invariata sia effettuando un massaggio cardiaco interno sia esterno.
Attualmente le indicazioni al massaggio interno sono: in sala operatoria, dove il chirurgo può aprire
sia direttamente il torace sia accedere al torace stesso tramite l’apertura dell’addome e poi
l’incisione del diaframma; l’altra indicazione è quella in cui il torace già si presenta aperto ad
esempio se c’è un trauma; altra indicazione assoluta è l’endocardite essudativa in cui va inciso
rapidamente il pericardio e con un po’ di massaggio il cuore riparte.
Come valutare l’efficacia di una CPR? Innanzitutto c’è da dire che fuori è impossibile ( per strada o
a casa ) e in questi casi forse l’unico modo è far riferimento alla “spia” della pupilla o al colore delle
unghie, ma comunque non sono riferimenti del tutto certi perché potrebbe trattarsi di un paziente
tossicodipendente che ha già una pupilla a spillo quindi potrebbe sembrarci che stia migliorando
invece non è così. In ospedale ci sono due modi… uno è quello di ricorrere alla pulsiossimetria, che
consiste nel mettere un apparecchio sul dito che ci calcola in maniera indiretta la saturazione di O2
dell’Hb, però la cosa migliore e l’unico modo certo è la valutazione della end-tidalCO2 di fine
espirazione da vedere su un apparecchio che è il capnografo che ci dice se il massaggio cardiaco
funziona e se abbiamo un buon circolo artero- venoso che butta fuori la CO2. Questo eviterebbe
quell’effetto visto prima di accumulo di CO2 a livello venoso. Comunque i capnografi ancora non
hanno preso piede in pronto soccorso. Inoltre, la produzione di CO2 è l’unico segno di attività
cellulare dopo 2-3 minuti.
Ora vediamo quale è l’occorrente per far fronte ad un arresto cardiaco: il primo farmaco di cui
parleremo è l’ISOPRENALINA (fiale): ha un’azione simpatico-mimetica sui recettori betaadrenergici e si presenta in fiale da 0,2 mg/1 ml.
Indicazioni:bradicardie emodinamicamente significative, resistenza all’atropina, torsione di punta.
Sappiamo che la bradicardia è la principale risposta vago-mimetica di un paziente (se un paziente
sviene questo è dovuto all’azione bradicardizzante del vago che prende il sopravvento sul cuore) e
se un paziente con bassa frequenza sviene per prima cosa si prendono due fiale di atropina e
cominciamo a somministrarne mezza dose cioè 0,5 mg e vediamo come risponde il paziente. Se non
si riprende da questa bradicardia estrema con l’uso di atropina, vuol dire che è successo qualcosa di
più, non è un fatto da tono vagale e allora usiamo in questo caso l’isoprenalina come beta 1mimetico come pace-maker farmacologico.Per cui tutti i pazienti che hanno una risposta negativa
all’atropina o sono resistenti ad essa devono essere trattati con atropina, così come quelli con una
torsione di punta, che è una particolare situazione cardiaca con bradicardia.Cosa succede con
l’isoprenalina? Succede che andiamo a far lavorare il cuore ad una frequenza maggiore di quella
normale per cui si ha generalmente una risposta in tachicardia Quindi le controindicazioni sono: le
tachiaritmie, l’angina pectoris (perché l’aumento del lavoro cardiaco può aggravare o scatenare un
attacco di angina), e lo stesso se noi abbiamo una situazione di tossicità digitalina può peggiorare la
situazione. Quindi le indicazioni all’uso di isoprenalina sono le bradicardie estreme o blocchi di
branca completiin cui usiamo il farmaco come pace-maker. La cosa particolare di questo farmaco è
che da una parte è tachicardizzante, ma da una parte può dare anche ipotensione.
Gli effetti collaterali sono: a carico del sistema gastrointestinale con nausea e vomito, del SNC con
vertigini, cefalea vampate, tremori, ansietà che rappresentano un quadro da flash ematico
improvviso e poi a carico del cuore con palpitazioni, angina, ipo/ipertensione, tachiaritmie.
Dato che questo farmaco provoca tachicardia e vasodilatazione periferica, prima di utilizzarlo va
eventualmente corretto uno stato di ipovolemia o va utilizzato un accesso venoso grosso, di 14
Gauche (non so come si scrive ma comunque si legge gosc…)Quindi va usato con prudenza nei
pazienti geriatrici, ipovolemici, con diabete mellito, ipertiroidismo o in trattamento digitalico. Altra
cosa importante è monitorare sempre la situazione con un ECG per valutare la frequenza. Una cosa
che possiamo fare se il paziente è in bradicardia estrema ma non ancora in arresto è quella di dare il
farmaco fino a che non c’è risposta, dopo di che , una volta che la frequenza cardiaca è aumentata,
si riducono le dosi. I farmaci che potenziano l’effetto dell’isoprenalina sono la digitale,teofillina,
anestetici alogenati e antidepressivi triciclici.mentre quelli che ne antagonizzano l’effetto sono i
beta-bloccanti. L’effetto dell’isoprenalina è immediato, l’azione massima si ha dopo 15 minuti e se
lo facciamo in bolo l’azione dura meno di un’ora. Ora passiamo al farmaco principe dell’arresto
cardiaco che è l’ADRENALINA. Mentre l’isoprenalina ha un’azione beta-mimetica e in parte alfalitica, l’adrenalina è un agonista sia alfa che beta adrenergico(sia beta1 che beta2). Le indicazioni
all’uso di adrenalina sono l’arresto cardiaco da tachicardia con fibrillazione ventricolare, ma
soprattutto l’asistolia, poi ancora il broncospasmo massiccio da di stress respiratorio o da anafilassi
quindi shock anafilattico proprio perché ha un’azione tipica dei beta2 con broncodilatazione.
Le controindicazioni sono: il glaucoma ad angolo chiuso (perché il glaucoma è un sistema ad alta
pressione e poiché non scarica c’è il rischio di aggravare la situazione) e poi l’anestesia generale
con alogenati che sensibilizzano moltissimo il miocardio all’adrenalina e quindi il rischio di
fibrillazione è molto elevato. Se poi con l’adrenalina sia la frequenza che la pressione non
rispondono bisogna associare gli anti-H2 di vecchia generazione (non i bloccanti di pompa ma gli
anti-H2 classici )perché a livello del miocardio si è visto che esistono dei recettori H2 che,
soprattutto in caso di shock anafilattico, vengono bloccati quindi avremo la risoluzione del rush
cutaneo e una risposta ipotensiva. Gli effetti collaterali sono: a carico del sistema gastrointestinale
quindi nausea e vomito, del SNC dove sono simili a quelli dell’isoprenalina, quindi ansia, tremori,
vertigini, pallore, sudorazione, convulsioni ed emorragie cerebrali, queste ultime dovute al fatto che
poiché si ha l’aumento improvviso della pressione arteriosa si può avere la rottura di aneurismi
cerebrali. A livello cardiaco è chiaro che stiamo lavorando con un farmaco che da una tachiaritmia
spaventosa e un forte aumento della pressione quindi se è somministrato senza accortezza può dare
una ipertensione arteriosa di difficile controllo. Inoltre se viene somministrato per lungo tempo può
dare piastrinosi.
Precauzioni: è chiaro che se ho un cuore con una ipoperfusione coronarica , aumentare la frequenza
cardiaca significa aumentare l’attività del cuore con scatenamento di angina, della crisi ischemica
cardiaca e lo stesso a livello cerebrale.Le altre precauzioni sono il diabete, l’ipertensione,
l’ipertiroidismo e tossicità da farmaci. Le avvertenza sono: monitorare la pressione arteriosa, la
frequenza cardiaca, fare un ECG; inoltre non può essere somministrato con bicarbonato o sostanze
alcaline perché precipita per cui l’eventuale somministrazione di entrambi va fatta separatamente
attraverso due vie diverse, quindi somministrare attraverso una vena di grosso calibro o il tubo
endotracheale(TET)visto che oggi si è scoperto che fare l’adrenalina attraverso la trachea è come
farla endovena. L’altro problema è che l’adrenalina da un’azione irritante se c’è uno stravaso al di
fuori della vena, che può rompersi per un movimento, per cui va sospeso il farmaco e bisogna dare
5-10 mg di fentolamina diluita in soluzione fisiologica per evitare la necrosi del sottocutaneo.
Per quanto riguarda le interazioni con altri farmaci, ce ne sono alcuni che hanno un effetto di
potenziamento, com’egli anestetici alogenati, i simpaticomimetici o gli antidepressivi triciclici (AD
3c ). Vi ricordo che gli AD3c bloccano il reuptake della noradrenalina e della serotonina per cui
viene ad aumentare l’effetto in pazienti che fanno uso di questi farmaci. Inoltre anche la digitale ha
un effetto di potenziamento, mentre tra i farmaci con effetto antagonizzante ci sono gli alfa e beta
bloccanti. L’effetto dell’adrenalina è immediato, tanto che dopo 3 min. ha il picco pieno. La dose
iniziale endovena, nell’arresto cardiaco, è di 1mg , ma se non risponde o l’effetto è scarso, va
aumentata fino a 2-5 mg ogni 5 min. Invece se si somministra per via endotracheale, la dose iniziale
è di 2 mg in 10 ml di fisiologica e le dosi successive vanno raddoppiate per cui se dopo 5 min non
c’è risposta va portato a 4 fiale o 10 endotracheali se vogliamo migliorare il sistema.
Ricordiamo che il maggior vantaggio dell’adrenalina è l’effetto molto rapido e la risposta
immediata. Se si vuole mantenere lo stato di pressione o la frequenza cardiaca passiamo alla
noradrenalina. Ora parliamo di farmaci di scarso uso come l’ADENOSINA, che porta un
rallentamento della conduzione attraverso il NAV (nodo atrio-ventricolare )e serve per interrompere
tachicardie parossistiche sopraventricolari. Le controindicazioni sono la sick-sinus sindrome,
blocchi di secondo-terzo grado, è chiaro che se devo andare a rallentare la conduzione attraverso il
NAV , cosa che già avviene nelle suddette condizioni per cui se non abbiamo, in caso di un blocco
completo, la partenza di uno stimolatore, avremo dei problemi…per cui se abbiamo delle
tachicardie parossistiche all’interno di un blocco si può usare l’adenosina ma con la possibilità di
avere un miglioramento solo temporaneo. Gli effetti collaterali sono molto similia quelli
dell’atropina, quindi a livello gastrointestinale nausea e vomito, sapore metallico, secchezza delle
fauci; a livello del SNC vertigini, visione sfocata. Le precauzioni sono: pazienti che usano
dipiridamolo che è un farmaco che ha un’azione tachicardizzante a livello cardiaco e
vasodilatatrice, o la carbamazepina, perché quest’ultima agisce in modo molto simile ad un
anestetico locale, bloccando i canali del sodio, per cui l’azione di carbamazepina e adenosina può
portare ad un blocco atrio-ventricolare, così come può aggravare situazioni come
broncopneumopatie e gravidanza. Avvertenze: va sempre somministrata in vene di grosso calibro
(Gauche 14) e l’infusione deve essere seguita dalla somministrazione di 20 ml di fisiologica per
evitare l’azione molto irritante a livello venoso. Viene potenziata dal dipiridamolo e dalla
carbamazepina e antagonizzata dalla caffeina, teofillina e le varie metilxantine. Somministrata per
lungo periodo può creare dei problemi ai globuli rossi e alle cellule endoteliali vascolari per cui va
sempre lavato dopo somministrazione. Di solito si danno 6 mg nei primi 1-2 min seguiti da 20 ml di
fisiologica; se non c’è risposta, dopo 1-2 min si danno 12mg in altri1-2 min sempre seguiti da 20 ml
di fisiologica ; se dopo altri 1-2 min non c’è risposta si fanno altri 12 mg in 1-2 min sempre seguiti
da fisiologica. L’importante è non superare mai i 30 mg di dosaggio massimo.
Passiamo adesso all’IPOTENSIONE.
Diamo qualche definizione: quando un paziente supera cioè è al di sotto dei 40 mmHg rispetto alla
sua P sistolica abituale è in una situazione di shock; quando invece sta all’interno di questi 40
mmHg si parla di ipotensione. Per cui se un paziente ha abitualmente 140 di P si trova ad avere 110120 sta in ipotensione mentre se ha 90 è in shock.
Per quanto riguarda l’ipotensione c’è anche una definizione riguardante la pressione arteriosa media
ovvero la MAP che definisce l’ipotensione come uno stato di MAPinferiore ai 60 mmHg.
Questa ridotta perfusione porta ad oliguria, stato confusionale e alterato stato di coscienza, estremità
fredde e inizio di acidosi metabolica. Cosa fare di fronte ad una situazione di ipotensione?
La prima cosa che bisogna fare è correggere l’ipossia per questo ogni volta che arriva in pronto
soccorso un paziente in stato di ipotensione gli si mette l’ossigeno perché aumentando
l’ossigenazione arteriosa migliora il quadro di ischemia tissutale; la seconda cosa che si fa è
valutare la PVC che si può fare o mettendo un catetere in succlavia o nella basilica che arrivi fino
alla cava superiore, oppure mettendo un laccio al braccio, facendo stringere la mano rapidamente ,
togliere il laccio e sollevare il braccio lentamente…arrivato a livello di 5-10 cm dal cuore le vene
dovrebbero scaricarsi (sgonfiarsi) altrimenti vuol dire che abbiamo un problema a livello cardiaco,
magari il cuore non pompa bene e abbiamo uno shock di tipo cardiogeno. La terza cosa da fare è
monitorare la P arteriosa e infine mettere un catetere per valutare la diuresi. A questo punto si parte
mettendo un agocannula abbastanza grosso con la fluidoterapia.Ricordiamo che la fisiologica ha un
ph abbastanza acido perché l’acqua ha un ph intorno a 7 che per noi è acido, e mettendo NaCl il ph
scende intorno a 5-6, per cui l’ideale in questi pazienti è utilizzare il Ringer lattato che ha la
capacità di essere tamponato dal lattato per cui è meno acidotico della fisiologica. Ma ricordiamo
che il lattato ha il problema che viene modificato in bicarbonato dal fegato quindi se abbiamo un
problema a livello epatico ci rimane lattato quindi è come se non gli avessimo dato niente.
Se pensiamo che ci sia stata una diminuzione del volume plasmatico (paziente disidratato,
emorragia) dobbiamo vedere se è possibile misurare la PVC. Se è possibile si mette un catetere
venoso centrale, si somministrano 200 ml di colloidi (quello più frequentemente usato è l’emagel
che è una soluzione di gelatina animale) si aspettano 5 –10 min e dovremmo aspettarci che la PVC e
la PA aumentino. Se questi due fattori non aumentano dobbiamo risomministrare altri 200 ml di
colloide che corrispondono più o meno a 600 ml di fisiologica ed espandono il V plasmatico
rapidamente richiamando acqua dai tessuti. Se dopo questa ulteriore somministrazione la PVC e la
PA non aumentano, dobbiamo cambiare atteggiamento e vuol dire che ci troviamo di fronte a una
situazione di shock cardiogeno per cui il monitoraggio cambia ad un monitoraggio con catetere
polmonare tipo Swann-Ganz che misuri la gittata cardiaca.
1) L’ipovolemia va trattata con urgenza per evitare insufficienza d’organo e ricordiamoci che
un paziente ipovolemico o ipoteso non va mai lasciato da solo.
2) Mantenere sempre una certa aggressività nel trattare l’ipovolemia
3) Assicurare un adeguato V circolante prima di somministrare farmaci di supporto
cardiocircolatorio
4) Invece di dare tanti liquidi che possono creare una situazione di ingombro (perché se
abbiamo uno shock cardiogeno e diamo troppi liquidi invece di usare i plasma expander, il
cuore non riesce a pomparli e andremo incontro a edema polmonare) per cui l’uso mirato e
non eccessivo dei plasma expander è la soluzione migliore per evitare rischi.
5) Bisogna però dire che alcuni pazienti che sono vasodilatati , in modo particolare gli
epatopatici, hanno bisogno di volumi molto più alti per mantanere la funzione circolatoria
6) Stare attenti a non usare immediatamente vasocostrittori periferici tipo NA perché questi
riportano subito la P arteriosa a valori abbastanza normali ma non correggono l’ipovolemia
per cui creiamo ischemia legata alla vasocostrizione periferica. La vasocostrizione periferica
può far rilevare anche dei valori normali di PVC o PA normali nonostante l’ipovolemia
perché il paziente può essere vasocostretto o per farmaci o perché ha preso freddo …. Ma
man mano che il paziente si riscalda va in shock.
7) La PVC o la PAPnon sono un valore di certezza per giudicare la volemia soprattutto in
pazienti cardiaci cronici o con patologie vascolari polmonari.
8) La risposta della PVC o della PAP (polmonare) alla somministrazione di fluidi è variabile
9) LaPVC non è valida anche nelle patologie ventricolari dxo patologie valvolari.
10) Ricordiamo che una normale PA,PVC o PAP non esclude una condizione di ipovolemia
relativa. I valori normali di questi tre parametri sono : PVC=15mmHg ; PAP=20 mmHg .
Quali liquidi infondere?
1) Non usare mai sangue deplasmato perché quello che ci interessa è il plasma, non emazie
asciugate.
2) I cristalloidi (fisiologica, Ringer lattato) non sono ottimali perché circa i ¾ del loro volume
scompare dal circolo molto rapidamente. Possiamo usare o la soluzionedi albumina al 5%
che dobbiamo crearci da noi mettendo albumina nella fisioogica , togliendo 50 ml di
fisiologica e mettendo 50 ml di albumina, oppure si possono usare gelatine se si vuole
espandere il V per un breve periodo di tempo…le gelatine resistono dalle 4 alle 6 ore e
ricordiamo che esse hanno il difetto che richiamando acqua all’interno e rimanendo in
circolo fa diminuire i fattori della coagulazione…se facciamo oltre 1 lt di gelatine rischiamo
di avere problemi di coagulazione del paziente. Si può anche usare l’acido idrossietilico che
è sempre un plasmaexpander.
Tornando allo schema precedente, dicevamo che se la PVC e la PA non aumentavano in seguito
al trattamento, allora dovremmo mettere lo Swan-Ganz ma nel caso in cui non possiamo usarlo e
quindi fare una rilevazione precisa della gittata cardiaca, possiamo considerare due ipotesi: o la
presenza di una insufficienza cardiaca grave o l’assenza della stessa. Se non c’è un’insufficienza
cardiaca grave dobbiamo pensare all’utilizzo di un vasocostrittore come l’adrenalina alla
concentrazione di 0,06 mcg/Kg/minper cui dovremo avere a disposizione una pompa-siringa
checalcoli esattamente la quantità di farmacoed andiamo ad incrementare in base alla risposta di
0,02 mcg/Kg/min il dosaggio. Se dopo questa somministrazione di adrenalina (noi usiamo anche
adrenalina e noradrenalina insieme) la PVC e la PA non aumentano ancora dobbiamo pensare ad
una situazione molto grave cheè lo shock cardiiogeno per cui considerare l’impiego di un
contropulsatore e dovremo chiamare un cardiologo. Il contropulsatore è un pallone che si mette a
livello dell’Aorta e contropulsa in maniera asincrona rispetto all’attività cardiaca perché aumenta la
P coronarica cioè se io chiudo le valvole aortiche e gonfio un pallone aumenterò la P all’interno
dell’Aorta ma soprattutto aumento la P diastolica che mi aumenta la perfusione a livello coronarico.
A questo punto bisogna portare il paziente a fare la coronarografia e, se possibile, fare quella che
oggi è chiamata angioplastica primaria che consiste nel fare la coronarografia e mettere uno stent
per perfondere questa coronaria il prima possibile. Se non è possibile questo, il passaggio
successivo è l’intervento di cardiochirurgia immediato. Quali sono le condizioni che possono
portare ad uno shock cardiogeno? Un infarto massivo del miocardio, una intossicazione da farmaci,
una tachiaritmia tale che non c’è riempimento cardiaco, una disfunzione valvolare, un
tamponamento cardiaco per una pericardite essudativa massiva, uno stato di emorragia grave, una
embolia polmonare(che è una delle cause di morte più elevate che abbiamo soprattutto per
tromboflebiti) o una cardiomiopatia legata ad uno stato di insufficienza miocardica acuta di tipo
virale (una delle classiche cause di morte che si hanno negli stati di influenza nei giovani è legato a
questo caso di infezione cardiaca). Allora, quando abbiamo una condizione del genere (di shock
cardiogeno ) dobbiamo dare grosse quantità di ossigeno e generalmente si dà dal 24 al 30% di
ossigeno. In una situazione di insufficienza cardiaca grave diamo invece oltre il 60% di ossigeno e
in fase iniziale dare anche il 100% e se la situazione di insufficienza cardiaca o di ipotensione si
mantiene conviene procedere ad una ventilazione meccanica la quale porterà ad una riduzione del
lavoro respiratorio, quindi una conseguente riduzione del metabolismo, una riduzione della
distensione cardiaca dovuta al ridotto ritorno venoso e riduzione delle resistenze. Questo è
importantissimo perché riducendo il metabolismo cerchiamo di garantire la perfusione degli organi
più importanti. L’altro concetto fondamentale è quello di fare attenzione all’uso di furosemide
(lasix) che ha una capacità di vasodilatazione abbastanza importante per cui corriamo il rischio di
ipotendere il paziente aancora di più. Dobbiamo poi ricordare che raramente in una insufficienza
cardiaca grave se stiamo attenti alla fluidoterapia il paziente difficilmente muore per edema
polmonare acuto. Ovvero, l’edema polmonare acuto è una situazione grave ma non è mai mortale.
Bisogna poi stare attenti all’uso sconsiderato dei nitrati perché se abbiamo un paziente con
insufficienza cardiaca e sospettiamo un’ischemia miocardica , diamo i nitrati nellaconvinzione di
aumentare la perfusione coronarica ma per ottenere ciò il metodo migliore è quello di aumentare la
volemia, aumentare la pressione perché i nitrati hanno la caratteristica di ridurre drasticamente le
resistenza periferiche per cui il nitrato provoca un doppio shock, centrale e periferico. Per cui se
vogliamo migliorare la perfusione cardiaca sicuramente è opportuno usare i vasocostrittori e
aumentare le resistenze periferiche senza aumentare la resistenza cardiaca cioè dare un po’ di
noradrenalina e aumentarla piano piano e, aumentando le resistenza periferiche, miglioriamo la
performance cardiaca. Le catecolamine vanno usate sempre in maniera parsimoniosa e possiamo
monitorarle banalmente seguendo la saturazione dell’ossigeno e dell’Hb cioè se abbiamo una
saturazione arteriosa superiore ai 90% ci fermiamo perché quello che a noi interessa è ossigenare il
paziente oppure se non possiamo fare un prelievo arterioso possiamo farne uno venoso e l’ossigeno
deve essere superiore al 60%. Se la saturazione arteriosa è del 90% e quella venosa è uguale o
superiore al 60% ci fermiamo con la somministrazione di catecolamine. Bisogna poi seguire il ph e
la pressione arteriosa sistolica(che rientri in quel range di 40mmHg per cui non si parla più di shock
ma di ipotensione) e l’altro parametro fondamentale da seguire in questi pazienti ischemici è la P
diastolica poiché la perfusione coronarica avviene in diastole. La diastolica deve essere superiore ai
40mmhg. Se i pazienti non rispondono all’adrenalina o alla noradrenalina possiamo usare
l’enoximone(inibitore delle fosfodiesterasi) che ha la capacità di far recuperare la sensibilità alle
catecolamine riducendo la deplezione di AMPciclico ma l’enoximone ha un problema di
somministrazione perché nella fase di somministrazione iniziale può dare uno stato di ipotensione
acuta ma breve. Comunque esso va usato solo nel caso in cui non abbiamo risposta alle
catecolamine, in parte dovuta all’acidosi(quindi l’acidosi va corretta eventualmente prima della
somministrazione delle catecolamine).Inoltre l’enoximone è un inotropo positivo vasodilatante
molto simile alla dobutamina. Le indicazioni sono: l’insufficienza cardiaca grave refrattaria alla
digitale, vasodilatatori e catecolamine, è controindicato nella cardiomiopatia ipertrofica severa o
nella stenosi aortica (per la legge di Starling secondo cui il cuore aumenta la sua performance fino
ad un certo punto e non oltre), IMA. I suoi effetti collaterali, visto che è un sensibiliizzatore delle
catecolamine, sono le aritmie, l’ipotensione e disturbi gastrointestinali. Per quanto riguardail suo
utilizzo deve essere diluito 1:1 in soluzione fisiologicaBisogna sempre monitorare il potassio perché
potrebbe esserci un effetto ipotensivo legato ad una situazione di iperpotassiemia relativa. Potenzia
l’effetto della digitale e ha un’emivita di 6 ore ed è escreto per via renale.
TRAUMA CRANICO NELL’ADULTO
Di estrema importanza nella valutazione del trauma cranico è la prima ora, infatti è anche chiamata
l’ora d’oro proprio perché tutto andrebbe risolto nella prima ora. Superata la prima ora abbiamo una
possibilità di risolvere il problema, dopo6 ore, ridotta quasi a zero.Quello che bisogna fare è la
stabilizzazione delle funzioni vitali del paziente. Trovando un paziente per strada con trauma
cranico tutto il nostro lavoro dovrà essere volto ad evitare l’ipotensione e l’ipossia e si applicano le
stesse fasi A,B e C dell’arresto cardiaco. Prima di passare a queste tre fasi, bisogna vedere se ci
sono lesioni associate al trauma cranico e la prima cosa da fare è mettere un collare rigido cervicale
(se non lo abbiamo va bene anche un pezzo di cartone rigido).Bisogna poi segnalare l’eventuale
presenza di trauma toracico con pneumotorace o trauma addominale con lesione aperta o
sanguinamento in atto. Quando c’è un trauma cranico, la prima cosa che fa il nostro cervello è
quella di immetter in circolo una quantità abnorme di catecolamine soprattutto per lo stress il che
non è un fatto negativo, è che dato che il trauma cranico provoca un edema cerebrale e questo
schiaccia i vasi che portano il sangue al cervello, l’aumento della P arteriosa forza questa
strozzatura dei vasi eriesce a portare sangue anche dove non arriverebbe se il paziente fosse ipoteso
quindi bisogna avere la capacitàdi tollerare i valori pressori sopranormali. L’ideale sarebbe non solo
di tollerarli,ma se il paziente è ipotesodare catecolamine fino ad arrivare a valori di P di 160-170 in
questaprima ora finchè non si risolve il problema vascolare, altrimenti si crea da una parte il danno
da lesione dell’ematoma e dall’altra parte abbiamo il danno dell’ischemia dovuta all’edema
cerebrale. Importante è poi farci raccontare, se è possibile, la dinamica del trauma, specificare se
esso è stato frontale o laterale, indicare se il paziente era sveglio o dopo quanto tempo
eventualmente è entrato in coma; se il paziente ha avuto un episodio convulsivo, se c’è stata la
perdita di liquor a livello del naso o dell’orecchio, perché vuol dire che abbiamo un’apertura
all’esterno ed è una situazione ad alto rischio di infezioni a livello cerebrale.
Altro fattore importante è l’età cioè più il paziente è in età avanzata e più il recupero post-trauma è
difficile perché le strutture cerebrali sono rigide e il contraccolpo crea molta più lesione.Bisogna
chiedere, se c’è un parente vicino, se ci sono allergie a farmaci o patologie preesistenti, se fa uso di
alcool o droghe o se ha mmangiato da poco perché c’è il rischio di una polmonite ab-ingestis.
L’unica scala di valutazione dello stato di coma che oggi viene accettata è la GCS o Glasgow coma
score( o scale). Se il paziente non risponde agli stimoli va messa una cannula oro-faringea e poi
passare all’intubazione oro-tracheale., per evitare che la lingua occluda le vie aeree. Poi bisona
stabilizzare il rachide ma l’importante è far si che il paziente respiri bene.
Si è visto che anche un episodio di P sistolica inferiore a 90mmHg di breve durata porta o ad un
aumento di mortalità dei nostri pazienti con trauma cranico o ad un aumento della disabilità cioè
porterà a lesioni cerebrali irreversibili. Per questo motivo, non solo è importante avere quelle
pressioni di 160-170 mmHg, ma non far scendere mai la P arteriosa sistolica al di sotto dei 110
mmHg (nell’adulto).
Ricordiamo che la P di perfusione cerebrale = PAM(P arteriosa media)- PI (P intracranica) quindi
se la PI aumenta, perché c’è l’edema cerebrale, se non aumentiamo la PAM noi riduciamo la P di
perfusione cerebrale.
Se, oltre al trauma cranico ci sono emorragie esterne, visibili, vanno prima contenute in modo da
tamponarle, poi, appena possiamo, bisogna reintegrare con Ringer lattato lo stato volemico.
Attenzione!! Bisogna evitare assolutamente le soluzioni ipotoniche (Levosan al 5% o la glucosata in
acqua al 5%) perché la soluzione in acqua (non in fisiologica), siccome il glucosio viene
metabolizzato e va all’interno della cellula, succede che rimane acqua libera il che significa acqua
bidistillata, che non ha un suo tono, e andrà a spargersi in tutti i tessuti, quindi anche in quello
cerebrale e gonfierà le cellule cerebrali e in questo modo andremmo a provocare ulteriore edema
cerebrale. Molti autori dicono di usare il mannitolo per togliere l’edema cerebrale ma questo è un
grande errore perché questo provoca unna espansione dell’ematoma, cioè se io ho un ematoma
cerebrale e quindi un edema cerebrale, quest’ultimo ha la funzione sopratttto di tamponare
l’emorragia oltre all’effetto irritativo, quindi se sgonfiamo il cervello col mannitolo succede che
aumenterà l’ematoma e andremo a creare più lesioni alivello cerebrale (questo all’inizio, nella
prima ora). Comunque il mannitolo non va usato in corso di emorragia.
A questo punto va fatta la valutazione neurologica del paziente con la GCS (Glasgow coma scale)
attraverso la valutazione del diametro delle pupille e il riflesso pupillare alla luce. Nel GCS si valuta
l’apertura degli occhi, la risposta verbale,la risposta motoria e si vede se le risposte avvengono
spontaneamente, su comando, al dolore o se infine non c’è risposta. Per quanto riguarda l’apertura
degli occhi, se è spontanea si da un punteggio di 4, sese il paziente risponde a comand si da un
punteggio di 3,, se il paziente risponde solo dopo avergli dato un pizzicotto si d a 2, si da invece 1
se il paziente non apreper niente gli occhi o se ha gli occhi talmente gonfi per il trauma cranico che
comunque non riesce ad aprirli. Per quanto riguarda la risposta verbale, si fa una domanda e se il
paziente è orientato cioè sa dove si trova, dove abita quale è il suo numero di telefono avrà un
punteggio di 5, se la risposta è confusa cioè si contradice punti 4, se la risposta non solo è confusa
ma dice cose senza senso punti 3, se fa anche dei rumori gutturali e incomprensibili punti 2, se la
risposta è assente si da 1, se ha il tubo endotracheale per cui non può rispondere sempre punti 1. Se
ha il tubo ma risponde a gesti ed è orientato si da ugualmente 5.
Risposta motoria: se esegueordini cioè stringe la mano, indica o localizza lo stimolo, il punteggio è
5, allontanamento solo in flessione o retrazione del braccio senza essere coordinato nella
localizzazione dello stimolo punti 4, se ha una flessione abnorme punti 3, se ha un’estensione del
braccio e una rotazione forzata all’interno punti 2, se assente punti 1. La prima fase di flessione
abnorme si chiama decorticazione, la seconda si chiame decerebrazione ed è più grave. Possiamo
trovare una situazione particolare in cui il paziente decortica a dx e decerebra a sin. Il massimo
punteggio della GCS è di 15; sotto gli 8 il paziente è gravissimo.
Quando si fa il GCS è importante annotare l’ora di quando è stato fatto perché un paziente che ha ad
esempio 10, può avere dopo un’ora 8 e dopo due ore 4 quindi sapere il tempo di evoluzione è molto
importante. Bisogna poi sempre sapere chi ha fatto la valutazione GCS e inoltre andrebbe fatto
sempre in un paziente con uno ststo circolatorio normale. Quando abbiamo parlato
dell’ipoteensione, uno dei suoi possibili ststi era quello dell’obnubilamento e della confusione per
cui se abbiamo un paziente confuso possiamo non sapere se ciò è dovuto al trauma cranico o
all’’ipotensione, quindi dobbiamo prima riportare la P arteriosa normale e poi fare il GCS,
altrimenti esso non ha valore. Bisogna poi chiedere se il paziente ha assunto alcool o ha preso dei
sedativi o abusa di sedativi, è chiaro che in tal caso la valutazione del coma di Glasgow decade
perché è inficiata dalla sovrapposizione di farmaci. Potrebbe anche darsi che il paziente sia un
diabetico quindi ha un’iperglicemia acutae anche qui il GCS non ha nessun valore.