Antropologia Teologica
Prof. Alberto Piola
Introduzione
Il tema sintetico è rintracciabile in GS 22 che vede in Cristo l’uomo nuovo, l’uomo perfetto, il
“nuovo Adamo”: « In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero
dell'uomo. Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro (Rm5,14) e cioè di Cristo
Signore». L’antropologia quindi è un guardare a Cristo e a cosa ha fatto per l’uomo:
- rivelare «il mistero del Padre e del suo amore»
- svelare «pienamente l’uomo a se stesso» e manifestargli «la sua altissima vocazione»
- restituire «ai figli di Adamo la somiglianza con Dio, resa deforme già subito agli inizi a
causa del peccato»
- innalzare «anche in noi» la natura umana, che in lui «è stata assunta, senza per questo venire
annientata», «a una dignità sublime».
La questione antropologica va così al nocciolo del messaggio cristiano che parla di Dio e dell’uomo
ed oggi più che mai centrale ed importante tanto che papa Benedetto XVI ha recentemente ricordato
come «in Cristo abbiamo il più grande sì di Dio all’uomo» (cf 2 Cor 1,20).
EPISTEMOLOGIA ANTROPOLOGICA
L’uomo oggetto e soggetto di indagine
È l’uomo il centro di tutti i trattati che vengono affrontati in antropologia teologica e quindi essa
deve ricordarsi sempre che:
 Affrontando l’uomo parliamo di noi stessi.
 Essa deve fare i conti con le domande dell’uomo di sempre: Perché esisto? Da dove vengo?
Dove vado? Perché il male? Ogni suo trattato ha senso come risposta a queste domande.
 Il clima culturale post-moderno richiede uno sguardo di sintesi e quindi, in questo contesto,
all’antropologia cristiana è chiesto di dare un’offerta di senso mediante un’indagine propria,
non descrittiva, ma oblativa di senso. Proprio del cristiano che riflette sull’uomo è quindi
l’essere indagatore e indagato, che porta un’offerta di senso.
Sguardi comuni e diversi
Il metodo che essa deve perseguire è quello di avere una proposta da mettere in dialogo, perciò:
o Deve ricordarsi di avere molto in comune con le altre prospettive, perché non sa tutto e
siccome vede l’uomo in più contesti, in ognuno di essi deve sentire cosa dicono le altre
scienze, deve mettersi in dialogo con esse, rispettandone l’autonomia. Illuminante a tal
proposito GS 36 che dice: «è dalla stessa loro condizione di creature che le cose tutte
ricevono la loro propria consistenza, verità, bontà, le loro leggi proprie e il loro ordine; e
tutto ciò l'uomo è tenuto a rispettare, riconoscendo le esigenze di metodo proprie di ogni
singola scienza o tecnica» e ridendosi al caso Galilei e simili dice che: «A questo proposito
ci sia concesso di deplorare certi atteggiamenti mentali, che talvolta non sono mancati
nemmeno tra i cristiani, derivati dal non avere sufficientemente percepito la legittima
autonomia della scienza, suscitando contese e controversie, essi trascinarono molti spiriti
fino al punto da ritenere che scienza e fede si oppongano tra loro». Certo però che: «Se
invece con l'espressione “autonomia delle realtà temporali” si intende dire che le cose
create non dipendono da Dio e che l'uomo può adoperarle senza riferirle al Creatore,
allora a nessuno che creda in Dio sfugge quanto false siano tali opinioni».
o Deve ricordarsi che ha da offrire uno sguardo diverso, un’eccedenza fondata sulla fede
derivata dall’ascolto del Vangelo, dalla trasmissione della Rivelazione. Le caratteristiche
fondamentali di questa eccedenza sono:
 Vedendo Dio come partner dell’uomo evita riduzionismi “orizzontali” e “verticali”.
 Tratta problemi raramente affrontati da altri: male e peccato, creazione, grazia,
destinazione alla vita eterna.

Il suo punto di partenza è teologico, è l’uomo aperto a Dio e per questo è bene partire
trattando il tema della predestinazione della grazia per far così incontrare l’uomo che
siamo oggi, con la testimonianza della fede a partire dalle Scritture.
La fede procede perciò sull’uomo in modo deduttivo, a partire dalle Scritture, per poi
incontrarsi con la cultura e dialogare con essa e ciò permette di aprire varie piste di
interdisciplinarietà sia ad extra che ad intra della teologia.
Offrire un messaggio di salvezza è il contenuto
Illuminante a tal proposito è il proemio di GS: « Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce
degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le
speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla Vi è di genuinamente umano che
non trovi eco nel loro cuore. La loro comunità, infatti, è composta di uomini i quali, riuniti insieme
nel Cristo, sono guidati dallo Spirito Santo nel loro pellegrinaggio verso il regno del Padre, ed
hanno ricevuto un messaggio di salvezza da proporre a tutti. Perciò la comunità dei cristiani si
sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia.» È proprio questo
messaggio che dà l’eccedenza dell’antropologia teologica ed i cinque nodi che essa tratta sono il
messaggio di salvezza alle domande di fondo dell’uomo: Da dove vengo? Dove vado? Perché
esisto? Chi mi salva? Come faccio ad essere liberato? Questo messaggio indica perciò che la
salvezza è eteronoma, indipendente da ogni nostro merito, dice cioè la nostra incompletezza, perché
Dio in Cristo ci dà il nostro compimento, reso attuale dallo Spirito Santo, di ogni nostra domanda
più profonda. C’è quindi un Vangelo per tutti gli uomini e per tutto l’uomo, che non ignorando il
limite, il peccato e il fallimento sa dare una buona novella, una risposta fondata su Cristo, uomo
perfetto. Anche qui illuminante a questo punto è GS 10:
 «In verità gli squilibri di cui soffre il mondo contemporaneo si collegano con quel più
profondo squilibrio che è radicato nel cuore dell'uomo. È proprio all'interno dell'uomo che
molti elementi si combattono a vicenda. Da una parte infatti, come creatura, esperimenta in
mille modi i suoi limiti; d'altra parte sente di essere senza confini nelle sue aspirazioni e
chiamato ad una vita superiore. Sollecitato da molte attrattive, è costretto sempre a
sceglierne qualcuna e a rinunziare alle altre. Inoltre, debole e peccatore, non di rado fa
quello che non vorrebbe e non fa quello che vorrebbe …» Si parte quindi prendendo atto
della problematicità e complessità dell’uomo.
 «… Per cui soffre in se stesso una divisione, dalla quale provengono anche tante e così
gravi discordie nella società. Molti, è vero, la cui vita è impregnata di materialismo pratico,
sono lungi dall'avere una chiara percezione di questo dramma; oppure, oppressi dalla
miseria, non hanno modo di rifletterci. Altri, in gran numero, credono di trovare la loro
tranquillità nelle diverse spiegazioni del mondo che sono loro proposte. Alcuni poi dai soli
sforzi umani attendono una vera e piena liberazione dell'umanità, e sono persuasi che il
futuro regno dell'uomo sulla terra appagherà tutti i desideri del suo cuore. Né manca chi,
disperando di dare uno scopo alla vita, loda l'audacia di quanti, stimando l'esistenza umana
vuota in se stessa di significato, si sforzano di darne una spiegazione completa mediante la
loro sola ispirazione. Con tutto ciò, di fronte all'evoluzione attuale del mondo, diventano
sempre più numerosi quelli che si pongono o sentono con nuova acutezza gli interrogativi
più fondamentali: cos'è l'uomo? Qual è il significato del dolore, del male, della morte, che
continuano a sussistere malgrado ogni progresso? Cosa valgono quelle conquiste pagate a
così caro prezzo? Che apporta l'uomo alla società, e cosa può attendersi da essa? Cosa ci
sarà dopo questa vita? …» La Chiesa si pone in dialogo con le grandi questioni della vita.
 Poste queste basi ecco quindi che arriva la risposta: «… Ecco: la Chiesa crede che Cristo,
per tutti morto e risorto, dà sempre all'uomo, mediante il suo Spirito, luce e forza per
rispondere alla sua altissima vocazione; né è dato in terra un altro Nome agli uomini,
mediante il quale possono essere salvati …» La risposta è cioè innanzitutto Cristo.
 Ma non finisce qui, perché: «… Essa crede anche di trovare nel suo Signore e Maestro la
chiave, il centro e il fine di tutta la storia umana. Inoltre la Chiesa afferma che al di là di
tutto ciò che muta stanno realtà immutabili; esse trovano il loro ultimo fondamento in
Cristo, che è sempre lo stesso: ieri, oggi e nei secoli. Così nella luce di Cristo, immagine del
Dio invisibile, primogenito di tutte le creature il Concilio intende rivolgersi a tutti per
illustrare il mistero dell'uomo e per cooperare nella ricerca di una soluzione ai principali
problemi del nostro tempo …» Tutto ciò che la Chiesa quindi insegna sull’uomo viene, è
centrato e fondato su Cristo.
Compito dell’antropologia è quindi quello di tradurre il Vangelo per gli uomini, per offrire loro il
messaggio di Salvezza che è Cristo e che Lui ha portato.
Proposta metodologica
Guardiamo alla scelta metodologica di GS, i passi che essa compie per costruire un’antropologia
teologica centrata su Cristo e che indica in Lui l’uomo:
 Subito dopo il proemio ecco che, abbastanza inaspettatamente, si mette al centro della
attenzione l’uomo, la concreta situazione dell’uomo contemporaneo indicando solo alla fine
(n°10), come Cristo sia la risposta, applicando così il metodo di ascolto-eccedenza.
 La prima parte, intitolata “la Chiesa e la vocazione dell’uomo” è così divisa:
o Il capitolo I intitolato “La dignità della persona umana”, dice che questa è dovuta al
fatto che è creata ad immagine di Dio e che è dotata oltre che del corpo anche
dell’anima, della coscienza morale e della libertà, e proprio per questo è superiore al
resto del creato e neanche la morte le pone fine, grazie a Cristo!
o Il capitolo II intitolato “La comunità degli uomini” parla di come Cristo ha rivelato
la fraternità degli uomini e su questa base va letta la socialità degli uomini.
o Il capitolo III intitolato “L’attività umana nell’universo” dice come ogni attività
umana debba tendere a Cristo e non serve più quindi parlare di due piani, del
naturale e del soprannaturale.
o Il capitolo IV intitolato “La Missione della Chiesa nel Mondo Contemporaneo” dice
che questa è presentare Cristo all’uomo, alla comunità e ad ogni attività, cosicché:
«Chiunque segue Cristo, l'uomo perfetto, diventa anch'egli più uomo» (41). Solo
così essa: «cammina insieme con l'umanità tutta e sperimenta assieme al mondo la
medesima sorte terrena; essa è come il fermento e quasi l'anima della società
umana, destinata a rinnovarsi in Cristo e a trasformarsi in famiglia di Dio». Questa
è la proposta della Chiesa al mondo e mirabile è la conclusione: «La Chiesa, nel dare
aiuto al mondo come nel ricevere molto da esso, ha di mira un solo fine: che venga
il regno di Dio e si realizzi la salvezza dell'intera umanità. Tutto ciò che di bene il
popolo di Dio può offrire all'umana famiglia, nel tempo del suo pellegrinaggio
terreno, scaturisce dal fatto che la Chiesa è «l'universale sacramento della salvezza»
che svela e insieme realizza il mistero dell'amore di Dio verso l'uomo. Infatti il
Verbo di Dio, per mezzo del quale tutto è stato creato, si è fatto egli stesso carne,
per operare, lui, l'uomo perfetto, la salvezza di tutti e la ricapitolazione universale.
Il Signore è il fine della storia umana, « il punto focale dei desideri della storia e
della civiltà », il centro del genere umano, la gioia d'ogni cuore, la pienezza delle
loro aspirazioni. Egli è colui che il Padre ha risuscitato da morte, ha esaltato e
collocato alla sua destra, costituendolo giudice dei vivi e dei morti. Vivificati e
radunati nel suo Spirito, come pellegrini andiamo incontro alla finale perfezione
della storia umana, che corrisponde in pieno al disegno del suo amore: «
Ricapitolare tutte le cose in Cristo, quelle del cielo come quelle della terra » (Ef
1,10). Dice il Signore stesso: « Ecco, io vengo presto, e porto con me il premio, per
retribuire ciascuno secondo le opere sue. Io sono l'alfa e l'omega, il primo e l'ultimo,
il principio e il fine» (Ap 22,12-13)» (45).
 Molto importante come principio architettonico è il n°22 perché pone il fondamento
cristologico di tutta l’antropologia. Così:
o «In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero
dell'uomo. Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro (Rm5,14) e cioè
di Cristo Signore. Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del
Padre e del suo amore svela anche pienamente l'uomo a se stesso e gli manifesta la
sua altissima vocazione. Nessuna meraviglia, quindi, che tutte le verità su esposte in
lui trovino la loro sorgente e tocchino il loro vertice.» L’uomo va cioè letto alla luce
del secondo Adamo, Cristo, e non del primo.  Partenza cristologica
o E bisogna guardare a Lui perché: «Egli è « l'immagine dell'invisibile Iddio »
(Col1,15) è l'uomo perfetto che ha restituito ai figli di Adamo la somiglianza con
Dio, resa deforme già subito agli inizi a causa del peccato. Poiché in lui la natura
umana è stata assunta, senza per questo venire annientata per ciò stesso essa è stata
anche in noi innalzata a una dignità sublime. Con l'incarnazione il Figlio di Dio si è
unito in certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d'uomo, ha pensato con
intelligenza d'uomo, ha agito con volontà d'uomo ha amato con cuore d'uomo.
Nascendo da Maria vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi
fuorché il peccato. Agnello innocente, col suo sangue sparso liberamente ci ha
meritato la vita; in lui Dio ci ha riconciliati con se stesso e tra noi e ci ha strappati
dalla schiavitù del diavolo e del peccato; così che ognuno di noi può dire con
l'Apostolo: il Figlio di Dio « mi ha amato e ha sacrificato se stesso per me»
(Gal2,20). Soffrendo per noi non ci ha dato semplicemente l'esempio perché
seguiamo le sue orme ma ci ha anche aperta la strada: se la seguiamo, la vita e la
morte vengono santificate e acquistano nuovo significato.» Si noti il latino che dice
“homo perfectus” e non “perfectus homo” cioè perfettamente uomo, che
significherebbe un ribadire semplicemente Calcedonia, mentre qui si dice che Lui è
l’uomo perfettamente compiuto e realizzato e immagine di Dio e proprio per questo
è Salvatore  Parte soteriologica
o «Il cristiano poi, reso conforme all'immagine del Figlio che è il primogenito tra
molti fratelli riceve «le primizie dello Spirito» (Rm8,23) per cui diventa capace di
adempiere la legge nuova dell'amore. In virtù di questo Spirito, che è il «pegno della
eredità» (Ef1,14), tutto l'uomo viene interiormente rinnovato, nell'attesa della «
redenzione del corpo » (Rm8,23): « Se in voi dimora lo Spirito di colui che risuscitò
Gesù da morte, egli che ha risuscitato Gesù Cristo da morte darà vita anche ai
vostri corpi mortali, mediante il suo Spirito che abita in voi» (Rm8,11). Il cristiano
certamente è assillato dalla necessità e dal dovere di combattere contro il male
attraverso molte tribolazioni, e di subire la morte; ma, associato al mistero
pasquale, diventando conforme al Cristo nella morte, così anche andrà incontro alla
risurrezione fortificato dalla speranza.»  Parte ecclesiologica
o Ma il messaggio di salvezza che portano i cristiani non è per pochi eletti, perché:
«Ciò vale non solamente per i cristiani, ma anche per tutti gli uomini di buona
volontà, nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia. Cristo, infatti, è morto per
tutti e la vocazione ultima dell'uomo è effettivamente una sola, quella divina; perciò
dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire associati,
nel modo che Dio conosce, al mistero pasquale».  Parte universalistica
o «Tale e così grande è il mistero dell'uomo, questo mistero che la Rivelazione
cristiana fa brillare agli occhi dei credenti. Per Cristo e in Cristo riceve luce
quell'enigma del dolore e della morte, che al di fuori del suo Vangelo ci opprime.
Con la sua morte egli ha distrutto la morte, con la sua risurrezione ci ha fatto dono
della vita, perché anche noi, diventando figli col Figlio, possiamo pregare
esclamando nello Spirito: Abba, Padre!».
La filiazione divina è quindi paradigmatica per l’antropologia e l’uomo nel suo essere nella
storia va visto come incamminato verso Cristo, verso l’unica salvezza: la vita divina.
NODO I – L’uomo chiamato alla salvezza (cf 1 Tm 2,3-6; Rm 8,28-30). La dottrina della
predestinazione, letta nell’insieme del suo sviluppo teologico nella Tradizione, annuncia la volontà
di Dio di fare alleanza con il suo popolo e con ogni persona umana; tale alleanza si esplicita nel
disegno di ricapitolare tutto in Cristo (cf Ef 1,10) e dona all’uomo un orizzonte soprannaturale, che
si realizza nel dialogo tra grazia e libertà.
La dottrina della predestinazione in teologia biblica è detta della elezione. Trattando il tema è bene
guardare subito il rapporto tra disegno di Dio e libertà umana.
Innanzitutto cosa si intende per predestinazione in Cristo? Per il Colombo essa dice l’intenzione
originaria di Dio di comunicarsi ad extra , dando origine alla realtà creata, che risulta determinata in
fondamento in Cristo. L’eccedenza dell’umano è la conformità all’uomo di Gesù Cristo, intesa
come partecipazione alla sua condizione propria ed esclusiva di Figlio del Padre.
Vediamo ora cosa il messaggio biblico dice sulla predestinazione. San Paolo (Rm8,28-30) presenta
il seguente Disegno di Dio (protesis):
- Ci sono alcuni che Dio ha preconosciuto, a cui Dio ha dato in anticipo un orizzonte: la stessa
forma dell’immagine del Figlio Suo, di Colui che è il primogenito (prototipo) tra molti
fratelli. Questi li ha convocati, giustificati, chiamati alla(doxa), ovvero alla gloria nel Cristo.
- Questo disegno di Dio si ritrova nella storia della salvezza. Soprattutto il Deuteronomio
presenta la storia di Israele come storia dell’elezione del popolo.
- Questa chiamata (Kaleo), dura tutta la storia della salvezza fino al centro che è Cristo, il
perno di tutto il disegno di salvezza (Ef 1,3 -14).
- Questa predestinazione di Dio ha un’unica direzionalità (1Tim. 2,3-6): che tutti gli uomini
siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità.
Ma cosa dice la dottrina della predestinazione cosa dice a livello biblico all’uomo?
 Dà un’origine e un traguardo
 Non lascia l’uomo nel caos o nel caso, ma gli dice da dove viene e dove va
 Fa intendere la vita stessa come vocazione perché la creazione in Cristo è già una creazione
in grazia).
Detto questo è utile vedere adesso le difficoltà della storia ad armonizzare il rapporto tra
predestinazione e libertà. Esse possono essere riassunte nelle seguenti posizioni:
 Antropomorfismi e negazioni della volontà salvifica universale, intendere cioè Dio a livello
troppo umano, che entra in concorrenza con la mia libertà e giungendo talvolta ad una
negazione della volontà salvifica negli uomini che non accettano.
 Agostino sottolineando la assoluta necessità della grazia ha assunto una posizione
estremista, perché opponendosi a Pelagio dice che la volontà salvifica è nel primato a Dio
ma Dio salva solo gli eletti, cioè quelli che vuole salvare.
 Doppia predestinazione (Gallia IX secolo).
 Calvino
 La De auxiliis provò a conciliare predestinazione e libertà umana, ma non vi riuscì.
 Barth riconduce la predestinazione in un’ottica di Dio che ama e salva.
Detto ciò quindi nel mettere insieme predestinazione e libertà si deve tenere conto di:
 Rischio di fraintendimento antropomorfico del rapporto tra primato di Dio e libertà
dell’uomo
 Conciliare prescienza e predestinazione
 La predestinazione ha carattere ecclesiale e non individualistico.
 Non può che essere annuncio di un Vangelo sul Dio salvatore.
Alla luce di tutto questo si può dire quindi che la predestinazione in Cristo è come la “offerta di un
senso” dato per ogni esistenza umana, offerta le cui caratteristiche sono:
 Nella misura dell’eccedenza, perché va al di là di ogni piano umano
 Indica una direzionalità nella storia : lettura delle vicende umane, sintesi alla fine di ogni
tempo.( Paolo: ricapitolazione di tutte le cose in Cristo).
 Un senso pregiudiziale, perché indipendente da tutto ciò che sembra negarlo, è dato una
volta per sempre, posto prima e indipendentemente da ogni nostra accettazione. C’è perché
Dio ha voluto così nella sua immensa bontà.
 Ha come significato il volto di Cristo che è il criterio di giudizio di ogni proposta umana.
È in quest’ottica che si può vede la nostra libertà in dialogo con Dio. Paradigmatica a tal proposito è
la dinamica di Gn 3 dalla quale si possono evincere molte cose sulla libertà umana:
 Anche noi oggi possiamo avere paura di affidarci a Dio.
 Ci sono ambiguità dei vari modi di intenderla
 Evitare la concorrenza con la predestinazione.
 Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi (Gal5,1), liberati dalla falsa libertà del peccato,
per seguire il bene.
 Cristo è il modello della libertà liberata e questa non entra in concorrenza con Dio.
La lieta novella che viene dalla dottrina della predestinazione è quindi che: l’uomo è stato cercato e
trovato da Dio  ha ricevuto lo Spirito Santo  gli ha dato un orizzonte soprannaturale in cui si
dipana la nostra vicenda storica.
NODO II – L’uomo è “immagine di Dio”. La dottrina biblica della creazione fonda uno sguardo
particolare sul mondo che circonda l’uomo e motiva la dignità personale dell’uomo con un
rapporto particolare con Cristo, che il NT spiega come conformazione con la vera immagine di Dio
che è Cristo stesso. L’uomo è quindi un essere personale, unico e irripetibile, libero, unitario nella
distinzione di anima e corpo, in rapporto con gli altri uomini e con il mondo.
Dall’osservazione del mondo nel quale vive l’uomo:
 Emergono le domande: Chi ci ha fatto? L’uomo è origine a sé stesso?
 Si nota la non autosufficienza dell’uomo confermata dalle le scienze che mostrano come
l’uomo non sia causa di sé stesso, tanto che è frutto di una evoluzione.
Vediamo un modo cristiano di affrontate organicamente questi temi.
1. L’uomo sperimenta una condizione di dipendenza perché ha sempre bisogno di qualcosa o di
qualcuno ed in particolare le dipendenze fondamentali sono:
 Cosmica : inseriti in un cosmo e dipendenti da esso.
 Sessuale : deriviamo da un uomo e una donna con una dualità sessuale.
 Sociale : nessun uomo è un’isola e dal genere umano dipende.
Queste dipendenze non necessariamente postulano una dipendenza prima, noi a differenza degli
animali infatti possiamo rifiutarne alcune. Esse mostrano più che altro una dipendenza fondante
e fondamentale: dipendiamo da Dio per il nostro stesso essere. Se questo vale per il cristiano
non può non essere considerato da altre antropologie, anche perché postula una gerarchia in
tutte le dipendenze che noi sperimentiamo. La teologia indica la dipendenza prima come
creazione “ dal nulla”, “ creatio ex nihilo”, a dire l’eccedenza e la singolarità dell’atto creatore
di Dio, tanto che per J. Arnauld dire che Dio crea a partire dal nulla, dice lo specifico
dell’attività di Dio, attività che non ha alcuna analogia con l’attività umana (ebraico Barà).
2. Dire che il cosmo è creato da Dio, permette al cristiano di dire che il mondo è:
 buono e creato in Cristo (Col. 1,16);
 un dono affidato alla custodia responsabile dell’uomo;
 destinato alla gloria futura (Rom 8);
 differente dall’uomo ontologicamente (relazione unica con Dio);
 motivo di lode e conoscenza del Creatore (Rom 1).
2.1. Il rapporto fede/scienza sulle origini dell’universo e della vita è però tutt’altro che pacifico
perché da un lato c’è il pensiero moderno che rischia di fissarsi nell’evoluzionismo e
dall’altro spesso i cristiani spesso di fermarsi ad un uso del senso letterale dell’esegesi
rischiando si scadere nel creazionismo. È più che mai necessario quindi:
 Un riconoscimento dei diversi piani epistemologici: la fede affronta i “perché”, la
scienza i “come”.
Salvaguardare nel rapporto tra scienza e teologia sia la differenza metafisica tra Dio e
l’universo che il carattere unico dell’uomo.
2.2. Il problema ecologico. Come affrontarlo in teologia? Nella visione cristiana all’uomo spetta
il compito del dominio sul creato e ciò gli è costato non poche critiche di antropomonismo.
Da qui la necessità di un’ecologia cristiana che, fatta salva GS 36, significa:
- Centralità dell’uomo nel creato che è l’unica creatura voluta direttamente da Dio a sua
immagine e somiglianza.
- Lo stile di questa centralità è però lo stesso del Dio di cui è immagine, l’uomo deve
essere Signore come lo è Dio, perciò custode responsabile che risponde a Dio.
3. L’uomo è creato ad immagine e somiglianza di Dio, quindi la sua posizione nel cosmo è
singolare, ma cosa significa ciò?
3.1. Cosa vuol dire innanzitutto “a immagine e somiglianza di Dio”?
- Nell’AT compare poche volte:
o Gn 1,26 è il testo base dove si vede che l’effetto dell’opera creatrice è diverso e
l’immagine e somiglianza con Dio contiene un concetto di relazione personale con
Dio, relazione da cui deriva il compito del dominio.
o Gn 5 dove è curioso notare come se Dio crea l’uomo e Adamo genera Set, se l’uomo
è ad immagine e somiglianza di Dio anche Set è a immagine e somiglianza di
Adamo, perciò distinzione e somiglianza tra l’operare di Dio e dell’uomo.
o Gn 9,6 mostra come la creazione ad immagine di Dio implica un fatto morale perché
fonda la dignità dell’uomo.
o Sap 2,23ss mostra come la somiglianza a Dio implichi l’immortalità dell’uomo.
o Sir 17,3ss riprende il tema del dominio.
- Nel NT la tematica della somiglianza è riletta in senso cristologico perché Gesù è il
vero uomo. Così:
o 2 Cor 4,4 in cui si nota che Cristo non è “a immagine”, ma è “l’immagine” di Dio.
o Col 1,15 da cui si evince che l’umanità è chiamata a conformarsi alla vera immagine
di Dio, al vero uomo, che è Cristo.
o Rm 8,29 ci dice poi che siamo chiamati ad avere la stessa forma del Figlio
o 1 Cor 15,49 dice che il cristiano è chiamato a vivere tra due immagini, quella
dell’uomo di terra (Adamo) e quella dell’uomo celeste (Cristo).
o 2 Cor 3,18 ribadisce questo concetto dinamico, dicendo però che veniamo
trasformati nell’immagine di Cristo di gloria in gloria (idem più o meno Col 3,10)
- Ma come avviene questa rilettura cristologica nel NT? Dove viene fondata?
o 1 Cor 15,45-49 vede in Gesù il culmine della creazione;
o 1 Cor 8,6; Eb 1,1-3; Gv 1,3-10; Col 1,15-20 mettono invece in risalto la funzione
mediatrice di Cristo che porta a parlare di Nuova Creazione in Cristo.
3.2. Qual è il significato dell’immagine e somiglianza di Dio, tipica dell’uomo? Che l’uomo è
un essere personale libero, unico e irripetibile e in ciò l’antropologia cristiana mostra il suo
carattere veramente profetico, anche perché è questa “immagine di Dio” fonda:
- La dignità di tutto l’uomo (cioè in ogni sua stagione) e di tutti gli uomini, perché è
questa la vera democraticità ed uguaglianza di tutti gli uomini che il cristiano sa di
poter affermare. E proprio questa dignità oggi rischia di essere messa in discussione
perché l’uomo non è solo materiale biologico, è proprio la particolare relazione con
Dio a fondarne la dignità unica, relazione nella quale egli si trova immerso e alla quale
deve solo rispondere.
- L’essere persona dell’uomo, perché essendo ogni uomo singolarmente amato da Dio, è
questo rapporto speciale che rende l’uomo una persona, un individuo in relazione, è
infatti grazie ad esso che l’uomo scopre che non è solo qualcosa, ma qualcuno. Certo
l’essere persona dell’uomo è anche una missione che egli ha.

Poste queste due che sono le implicazioni principali dell’essere ad immagine di Dio esse
possono essere ulteriormente specificate dicendo che essa fonda l’uomo come:
- Persona in comunione: unità di corpo e anima; unità di uomo e donna; unità degli
uomini; inserimento nella Chiesa, comunità delle persone che vivono animate dal
Padre, dal Figlio e dallo Spirito Santo.
- Amministratore della creazione visibile anche per quanto riguarda l’integrità biologica
dei vari esseri umani ed esseri creati1.
In sintesi, anche parlando di creazione diciamo un costitutivo riferimento a Cristo che è la chiave, il
fine ed il centro della storia umana e nel quale l’uomo trova rispecchiata la propria identità ed il
rapporto più autentico con tutto. A partire da Lui il pensiero umano si è aperto a riconoscere la
centralità dell’uomo in tutto il creato perché noi essendo immagine dell’immagine che è Cristo
siamo inalienabili.
NODO III – L’uomo sperimenta la presenza del male. È diviso in se stesso (cf GS 13), ha
cercato fin dall’inizio della storia di realizzarsi al di fuori e contro Dio; schiavo del peccato, ha
bisogno della redenzione portata da Cristo, che gli permette di vivere secondo un’ottica pasquale
la presenza misteriosa del male e del maligno. Momento particolare dell’incontro dell’uomo con il
male è il dogma del peccato originale, da vedere nelle sue tracce bibliche (cf Gn 3; Rm 5,12-19),
nel suo sviluppo storico (cf soprattutto Agostino e Trento) e negli attuali tentativi di riformulazione.
Nel tentativo di costruire un discorso ben articolato su questo tema si deve tenere ben fermo che il
male nel disegno iniziale non era previsto, che non è frutto della creazione di Dio. Detto ciò …
1. Il male come problema, come ciò che non ci dovrebbe essere, ma c’è. Per Leibniz esistono tre
tipi di male: metafisico (cioè l’esperienza del limite da parte dell’uomo), fisico (la mancanza di
una qualità che per natura gli sarebbe dovuta es. ciechi, sordi ecc.) e etico-morale (abuso della
libertà). Il cristiano deve cercare di dare una risposta a tutti e tre, ma quali sono i modi non
cristiani di rispondere?
- Antropologico, tipico della mentalità moderna che vede il male come errore di
funzionamento (cf Marx, Freud ecc.).
- Dualista, per cui il male è inviato da un principio semi-divino che porta a vedere il mondo
come campo di battaglia di due potenze, ma in questo caso vuol dire che non è vero che
tutto ciò che c’è di creato è buono!
- Monista, per cui tutto deriva da un unico principio, Dio.
2. Vediamo come invece va articolato un tentativo di risposta cristiana:
2.1. In partenza c’è uno stato originale, lo stato protologico dell’uomo creato in Cristo, stato che
è un progetto, una possibilità di vita che il peccato frustrò. In questo stato si sperimentava la
grazia della comunione con Dio a cui ogni uomo è chiamato, grazia che dopo il peccato è
ancora più sperimentabile come dono grazie a Gesù. In quello stato protologico l’uomo era
dotato dei cosiddetti doni “preternaturali” e cioè l’immortalità e l’integrità (cioè l’assenza
di concupiscienza). La risposta cristiana non può che partire da questo piano protologico,
nel quale il male non esiste.
2.2. Storicamente però questo stato è andato perduto: come rispondere quindi al mistero del
male tenendo conto che neanche Gesù ha dato una risposta chiara? Posto che Dio è buono e
che il male non arriva da Lui, bisogna distinguere tra: finitudine della creazione (“male
privative dictum”) e male morale (“privatio boni”2). Questi due mali vanno affrontati in
modi diversi ed entrambe anelano alla redenzione, ma se del primo la teologia si deve
preoccupare più o meno, sul secondo ha da dire qualcosa.
2.3. Il maligno, il diavolo concorre a spiegare il mistero del male, ma si deve ricordare che:
Vedasi a tal proposito il documento della commissione teologica internazionale del 2004 “Comunione e servizio:
persona umana creata ad immagine di Dio”
2
Il male visto come privazione del bene mette bene in luce come l’unica realtà che esiste perché voluta è il bene e
quando la libertà umana compie il male non lo crea, semplicemente non sceglie il bene.
1
La benedizione di Dio accompagna sempre l’uomo (CCC 309)
Parlando di diavolo e diavoli non si parla di dei o di anti-dei, ma di creature spirituali
che come tali sono creature finite.
- Ora nella vita l’uomo sperimenta un’influenza “cattiva”, l’esistenza di potenze cattive
come la disperazione, le follie, l’odio ecc. che tentano ed opprimono il singolo, mentre
nella comunione dei santi, si sperimenta la positività del vivere.
- Gv 8,44 attribuisce tutto ciò al fatto che gli uomini seguono colui che è omicida fin dal
principio e che non ha perseverato nella verità.
- Sul tema poi se ‘sto maligno sia persona o no … non si può dire che i diavoli sono
persone nel senso positivo – etimologico perché sono coloro che dividono, ma possono
essere dette persone nel senso che la loro attività è sperimentabile esistenzialmente.
- Cristo ha riportato comunque una salvezza definitiva ed escatologica sul diavolo anche
se resta un mistero perché lo lasci ancora agire!
2.4. Cristo è dunque il vincitore del male e ciò si vede:
- Nella prassi del suo ministero volto a curare i mali dell’umanità.
- Nel suo essere un esempio di libertà finalizzata al bene.
- Nel mistero pasquale che è risposta eccedente al male.
- Nella nuova solidarietà in Cristo che è una grazia sovrabbondante più forte di ogni
legame con il male.
3. Il dogma del peccato originale. Come trattare questo punto che si inserisce nell’esperienza del
male che l’uomo fa? Esso va a toccare la condizione storica dell’uomo, non però quella
protologica: il piano di Dio non è mai cambiato, è cambiata solo la condizione storica dell’uomo
che fa sperimentare Cristo come Redentore.
3.1. Le difficoltà di comprensione vertono sul fatto di trovarsi in stato di peccato senza colpa e
di capire come questo peccato che ci si trova addosso influisca sulla persona. Tentativi di
risposta erronei sono quelli:
- dualista-manicheo che vede la fonte del peccato nel corpo
- origenista, che confonde peccato personale e originale
- pelagiano, per cui non esiste semplicemente il p.o.
- luterano, che vede l’uomo totalmente corrotto
- moderno, che tende a naturalizzare il p.o. in una concezione evolutiva del mondo nella
quale sbagliare è normale e necessario per accedere ad uno stadio superiore
3.2. La risposta cattolica è nella “solidarietà con Adamo”, le cui caratteristiche sono:
- È posteriore alla solidarietà di tutti gli uomini in Cristo, perché Dio ha un unico piano
e l’Adamo peccatore è posteriore al dato protologico.
- Più che di solidarietà (termine positivo) sarebbe meglio parlare di complicità.
- È comunque perdente rispetto alla solidarietà dell’uomo con Cristo.
- Ha una valenza distruttiva per l’uomo
- Non implica una partecipazione all’atto personale di Adamo
- C’è comunque con Adamo una solidarietà oggettiva nell’identica natura umana che si
sperimenta in un modo che si potrebbe definire come “precedenza pre-opzionale del
male” che segna storicamente la realtà in cui nasciamo (analogia con l’inquinamento)
- Significa volontà di autosalvezza, espressa dalle parole del serpente «voi diventerete
come Dio» (Gn 3,5), che io ratifico con le mie scelte
- Non vuol dire che esiste un’economia di peccato parallela all’economia di salvezza, la
grazia resta sempre l’elemento primario
- L’esclusione della tesi luterana del “De Servo Arbitrio”
- Il p.o. non è un peccato “compiuto”, ma “incompiuto” che si compie negli atti concreti
Si tenga sempre poi distinto il p.o. originante da quello originato.
Testi sintetici: CCC 404-405; G. Colombo su Teologia 15 (1990/3) 275.
3.3. Morte e poligenismo: loro rapporto con il p.o.
-
NODO IV – L’uomo è “in Cristo”. La Rivelazione presenta il dono della grazia/giustificazione,
che la Tradizione ha espresso con sottolineature diverse (cf ottica occidentale e orientale, crisi
pelagiana, Lutero e Trento). In virtù di questo dono l’uomo non è solo liberato dal peccato, ma
rinnovato interiormente; può così vivere da figlio nel Figlio, portando frutti con la fede, la
speranza e la carità. A tutti gli uomini mediante lo Spirito Santo è concessa «la possibilità di venire
a contatto, nel modo che Dio conosce, col mistero pasquale» (GS 22).
Un possibile schema per sviluppare la dottrina sulla grazia è il seguente:
1. La salvezza tra antropologia e teologia. In Cristo è offerta all’uomo una possibilità di
pienezza, di salvezza che inizia già nell’oggi, ma che si realizzerà alla fine dei tempi. Ma
quale è la base antropologica del discorso sulla grazia, della giustificazione in Cristo?
 Se pensiamo alla salvezza è perché ci sentiamo bisognosi di essa
 C’è in noi il desiderio di piena realizzazione del nostro essere e di avere di più
 Questa agognata realizzazione implica se non altro il superamento degli aspetti
negativi della vita
 La salvezza desiderata non sempre ha precise connotazioni
Se la Chiesa per prima riconosce questi aneliti, critica i riduzionismi e fa una proposta:
○ L’eccedenza di Cristo, perché Lui oltre a riempire il cuore degli uomini supera tutte
le aspettative umane di salvezza!
○ Cristo è il di più della salvezza cristiana, perciò se la salvezza ha una base
antropologica, non si riduce alle sole aspettative umane ed ha un contenuto
teologico-cristologico. Come dice bene il Ladaria: «C’è in Cristo un di più, una
novità radicale alla quale dobbiamo convertirci»
2. Dando uno sguardo al cammino della storia diamo solo le coordinate di fondo
 Ci sono due ottiche (entrambe con pregi e difetti): quella occidentale (salvezza) e
quella orientale (divinizzazione). Il difetto di quella occidentale è il rischio dello
amartiocentrismo che porta a non tenere conto delle positività.
 È più volte emersa la contrapposizione tra primato di Dio e cooperazione dell’uomo
 Se ne può discutere nei più svariati modi che spesso sono connessi a sistemi
filosofici. Tra di essi i più famosi sono quello: esperienziale (Agostino), ontologico
(Scolastica) e personalistico (contemporaneo).
3. Ma come parlare oggi della grazia creata, dell’uomo nella grazia di Cristo? Diversi modi:
 Filiazione divina, altro modo per trattare il tema della santificazione. Ricca perché:
o non fa perdere la dimensione trinitaria della giustificazione: Cristo ci dona lo
Spirito che ci permette di entrare in dialogo con il Padre;
o si mantiene fermo il legame con Cristo e la vita “perfetta” è semplicemente vita
di comunione con Lui;
o Gal 4,4-7 e Rm 8,14-17.
 Giustificazione, cioè l’opera cristocentrica e gratuita che Dio Padre ha messo in atto
per salvare l’uomo peccatore. Suoi punti di forza:
○ pone al centro della vita e del pensiero dell’uomo, l’azione di Dio;
○ è Dio che mette ordine nella vita umana, l’uomo non ce la fa da solo;
○ l’opera di Dio non esclude la cooperazione dell’uomo, ma la richiede (Trento)
 La vita in Cristo. L’uomo che si lascia raggiungere dalla filiazione divina e che viene
giustificato, infatti vive una vita diversa, una nuova creazione che è puro dono e che
non è estrinseca, ma trasformazione profonda, perché ci fa diventare uomini
“pneumatici”, “spirituali” anche se sempre tendenti alla gloria. Questa nuova vita si
può esprimere anche con i concetti di: divinizzazione; grazia creata; grazie attuali;
merito (cioè crescita nella vita di grazia); vita di fede, speranza e gratuità.
L’importante è declinare tutto secondo l’universale della grazia che è: per tutti, perché la
volontà salvifica di Dio è universale; coniugata alla mediazione ecclesiale; concessa a tutti
gli uomini i quali possono parteciparvi per vie conosciute solo a Dio (GS 22)
NODO V – L’uomo è chiamato alla gloria. Cristo è «l’Alfa e l’Omega, il primo e l’ultimo, il
principio e la fine» (Ap 22,13), è l’ «ultimo Adamo» (1 Cor 15,45): proprio per questo illumina il
mistero della morte e apre l’orizzonte della risurrezione. La speranza del cristiano non rifugge il
presente, ma lo legge alla luce del compimento ultimo della parusia (senza ignorare le tensioni tra
escatologia finale ed escatologia intermedia; cf GS 39). Il credente in Cristo è consapevole della
possibilità di esiti diversi per ogni uomo.
Riprendendo Rm 8,9-30 che parla della chiamata finale dell’uomo che è quella di essere nella gloria
in Cristo qui arriviamo alla vetta della visione antropologica sull’uomo: l’uomo è destinato a stare
con qualcuno, a stare con Cristo. Vediamo una proposta per una buona escatologia.
1. Il desidero di compimento dell’uomo tocca due ambiti:
a. La speranza umana. La dinamica della speranza è un valido aggancio, tanto più che
essa è un tema interdisciplinare. Qualsiasi antropologia deve tener conto di una
speranza professata e del rischio del nulla, del fallimento.
b. La questione del futuro, dei sogni. Lo scorrere degli anni non sempre si identifica
con gli anni più belli e quindi quale futuro? Quale futuro per la società (cf crisi di
natalità)? Quale futuro per me in questa società?
2. Escatologia cristocentrica. Se questa è la base umana da cui partire, il centro dell’escatologia
è Cristo, perché è Lui il nostro futuro: l’escatologia non è un safari fotografico di ciò che ci
sarà dopo la morte, ma Cristo come centro di tutto il creato. Ciò ha come conseguenze:
 Significanza universale di Cristo, perché è Lui l’adempimento del disegno di Dio
sull’uomo e sul cosmo.
 L’escatologia è meditazione su Cristo come elemento ultimo e definitivo (1 Cor
15,45-48; Rm 8,17-25; Fil 3,20-21) e il cammino storico degli uomini è una
chiamata a vivere questa gloria.
 Cristo è il riassunto delle “cose” ultime, non è solo l’escaton e l’escata, ma è
l’escatos, è il centro dell’escatologia cristiana, è l’escatologia cristiana!
 Noi non aspettiamo qualcosa, ma qualcuno: Cristo.
Quindi provando a proporre una escatologia cristocentrica:
 Gesù è evento escatologico e proprio per questo è il centro dell’escatologia tanto che
von Balthasaar ha detto: «Dio è: in quanto raggiunto il cielo, in quanto perduto
l’inferno, in quanto esaminatore il giudizio, in quanto purificatore il purgatorio … ed
è tutto nel modo in cui Egli si è rivolto al mondo, cioè nel suo Figlio Gesù Cristo che
è la possibilità di rivelazione di Dio e quindi la sintesi delle cose»
 C’è una sola escatologia, quella di salvezza, perché Dio non manda i buoni in
paradiso e i cattivi all’inferno, Dio vuole la salvezza di tutti! L’escatologia riguarda
la realizzazione del Regno e la dannazione è solo una possibilità che Dio lascia
all’uomo: ecco perché l’escatologia non è un’escatologia dell’aldilà!
 Di Cristo l’escatologia valuta il momento della sua venuta nella gloria, momento che
è l’oggetto della speranza cristiana. A proposito di questa venuta:
 Non è il ritorno di un assente, ma la piena manifestazione di un presente!
 La piena manifestazione del suo dominio sul mondo e in noi non va quindi
vista come una novità in assoluto, ma come uno sviluppo di ciò che c’è ora.
 Sarà un momento di dimensione ecclesiale perché solo quando ci saremo tutti
sarà la Gerusalemme celeste.
3. L’uomo chiamato alla vita eterna. A questo punto ha senso vedere i “classici”
dell’escatologia, i novissimi, che gettano una nuova luce sulle paure dell’uomo:
a. La morte. Vista come un nemico vinto dalla resurrezione di Cristo, di fronte ad essa
il cristiano ha una sua risposta: fine di un pellegrinaggio, conseguenza del p.o. ecc. in
ogni caso, vista l’unicità e l’universalità della morte, rifiuta la reincarnazione.
b. Il giudizio. Esso sarà un incontro con Cristo che sarà vissuto come momento di
verità dell’uomo: il momento della parusia è quindi un elemento di discriminazione.
Cristo apparirà infatti come il giudice, il senso del mondo, manifestandosi come sua
salvezza anche se non buonista, ma di giudizio, di discriminazione tra bene e male. Il
giudizio in questo senso va quindi visto più come autogiudizio, perché si manifesterà
cosa io sono stato, la mia opzione di fondo. No quindi ad apocatastasi, perché il
giudizio non è finto, altrimenti la libertà dell’uomo non avrebbe consistenza.
La risurrezione, che è il frutto del “quoad nos”, per quanto riguarda noi, della
manifestazione di Cristo è spiegata bene in 1 Cor 15 ed è risurrezione del corpo. Questa
risurrezione può portare però ad esiti diversi:
c. Purgatorio. Esito temporaneo, è incontro con il Dio che purifica l’uomo per
completarne l’adesione a Cristo (CCC 1030). Nel parlare del purgatorio sapere che:
 La sua esistenza deriva dalla prassi di pregare per i defunti
 Le sue radici bibliche sono quasi assenti
 Si deve tenere conto degli aspetti ecumenici
 Il magistero in materia è sempre stato molto prudente
 Si deve tenere conto dell’ottica personalista
d. L’inferno. La sua esistenza afferma la reale libertà dell’uomo e quindi la reale
possibilità della chiusura a Cristo: si può sperare che sia “vuoto”. Nel parlarne:
 Esso è descrivibile solo in termini negativi: non compimento della vita, non
comunione con Dio e le creature, situazione eterna di non amore.
 La sua esistenza è affermazione della reale libertà dell’uomo.
 Non è conseguenza di una predestinazione al male, ma di una retribuzione
secondo giustizia, perché rispetta la nostra scelta di opporsi a lui.
e. Il paradiso è quindi la vita per sempre in Cristo che è il compimento di tutta la
antropologia e che consiste nel vedere Dio faccia a faccia. È quindi la massima
pienezza della vita che è nella comunione dei santi, perché ci parteciperanno tutti gli
uomini e sarà la completa trasformazione del mondo che manifesterà come Cristo è
l’uomo perfetto. (cf Tertulliano nella “Adversus Praxean” XII 3-4).