Antropologia Teologica Prof. Alberto Piola Introduzione Il tema sintetico è rintracciabile in GS 22 che vede in Cristo l’uomo nuovo, l’uomo perfetto, il “nuovo Adamo”: « In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo. Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro (Rm5,14) e cioè di Cristo Signore». L’antropologia quindi è un guardare a Cristo e a cosa ha fatto per l’uomo: - rivelare «il mistero del Padre e del suo amore» - svelare «pienamente l’uomo a se stesso» e manifestargli «la sua altissima vocazione» - restituire «ai figli di Adamo la somiglianza con Dio, resa deforme già subito agli inizi a causa del peccato» - innalzare «anche in noi» la natura umana, che in lui «è stata assunta, senza per questo venire annientata», «a una dignità sublime». La questione antropologica va così al nocciolo del messaggio cristiano che parla di Dio e dell’uomo ed oggi più che mai centrale ed importante tanto che papa Benedetto XVI ha recentemente ricordato come «in Cristo abbiamo il più grande sì di Dio all’uomo» (cf 2 Cor 1,20). EPISTEMOLOGIA ANTROPOLOGICA L’uomo oggetto e soggetto di indagine È l’uomo il centro di tutti i trattati che vengono affrontati in antropologia teologica e quindi essa deve ricordarsi sempre che: Affrontando l’uomo parliamo di noi stessi. Essa deve fare i conti con le domande dell’uomo di sempre: Perché esisto? Da dove vengo? Dove vado? Perché il male? Ogni suo trattato ha senso come risposta a queste domande. Il clima culturale post-moderno richiede uno sguardo di sintesi e quindi, in questo contesto, all’antropologia cristiana è chiesto di dare un’offerta di senso mediante un’indagine propria, non descrittiva, ma oblativa di senso. Proprio del cristiano che riflette sull’uomo è quindi l’essere indagatore e indagato, che porta un’offerta di senso. Sguardi comuni e diversi Il metodo che essa deve perseguire è quello di avere una proposta da mettere in dialogo, perciò: o Deve ricordarsi di avere molto in comune con le altre prospettive, perché non sa tutto e siccome vede l’uomo in più contesti, in ognuno di essi deve sentire cosa dicono le altre scienze, deve mettersi in dialogo con esse, rispettandone l’autonomia. Illuminante a tal proposito GS 36 che dice: «è dalla stessa loro condizione di creature che le cose tutte ricevono la loro propria consistenza, verità, bontà, le loro leggi proprie e il loro ordine; e tutto ciò l'uomo è tenuto a rispettare, riconoscendo le esigenze di metodo proprie di ogni singola scienza o tecnica» e ridendosi al caso Galilei e simili dice che: «A questo proposito ci sia concesso di deplorare certi atteggiamenti mentali, che talvolta non sono mancati nemmeno tra i cristiani, derivati dal non avere sufficientemente percepito la legittima autonomia della scienza, suscitando contese e controversie, essi trascinarono molti spiriti fino al punto da ritenere che scienza e fede si oppongano tra loro». Certo però che: «Se invece con l'espressione “autonomia delle realtà temporali” si intende dire che le cose create non dipendono da Dio e che l'uomo può adoperarle senza riferirle al Creatore, allora a nessuno che creda in Dio sfugge quanto false siano tali opinioni». o Deve ricordarsi che ha da offrire uno sguardo diverso, un’eccedenza fondata sulla fede derivata dall’ascolto del Vangelo, dalla trasmissione della Rivelazione. Le caratteristiche fondamentali di questa eccedenza sono: Vedendo Dio come partner dell’uomo evita riduzionismi “orizzontali” e “verticali”. Tratta problemi raramente affrontati da altri: male e peccato, creazione, grazia, destinazione alla vita eterna. Il suo punto di partenza è teologico, è l’uomo aperto a Dio e per questo è bene partire trattando il tema della predestinazione della grazia per far così incontrare l’uomo che siamo oggi, con la testimonianza della fede a partire dalle Scritture. La fede procede perciò sull’uomo in modo deduttivo, a partire dalle Scritture, per poi incontrarsi con la cultura e dialogare con essa e ciò permette di aprire varie piste di interdisciplinarietà sia ad extra che ad intra della teologia. Offrire un messaggio di salvezza è il contenuto Illuminante a tal proposito è il proemio di GS: « Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla Vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore. La loro comunità, infatti, è composta di uomini i quali, riuniti insieme nel Cristo, sono guidati dallo Spirito Santo nel loro pellegrinaggio verso il regno del Padre, ed hanno ricevuto un messaggio di salvezza da proporre a tutti. Perciò la comunità dei cristiani si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia.» È proprio questo messaggio che dà l’eccedenza dell’antropologia teologica ed i cinque nodi che essa tratta sono il messaggio di salvezza alle domande di fondo dell’uomo: Da dove vengo? Dove vado? Perché esisto? Chi mi salva? Come faccio ad essere liberato? Questo messaggio indica perciò che la salvezza è eteronoma, indipendente da ogni nostro merito, dice cioè la nostra incompletezza, perché Dio in Cristo ci dà il nostro compimento, reso attuale dallo Spirito Santo, di ogni nostra domanda più profonda. C’è quindi un Vangelo per tutti gli uomini e per tutto l’uomo, che non ignorando il limite, il peccato e il fallimento sa dare una buona novella, una risposta fondata su Cristo, uomo perfetto. Anche qui illuminante a questo punto è GS 10: «In verità gli squilibri di cui soffre il mondo contemporaneo si collegano con quel più profondo squilibrio che è radicato nel cuore dell'uomo. È proprio all'interno dell'uomo che molti elementi si combattono a vicenda. Da una parte infatti, come creatura, esperimenta in mille modi i suoi limiti; d'altra parte sente di essere senza confini nelle sue aspirazioni e chiamato ad una vita superiore. Sollecitato da molte attrattive, è costretto sempre a sceglierne qualcuna e a rinunziare alle altre. Inoltre, debole e peccatore, non di rado fa quello che non vorrebbe e non fa quello che vorrebbe …» Si parte quindi prendendo atto della problematicità e complessità dell’uomo. «… Per cui soffre in se stesso una divisione, dalla quale provengono anche tante e così gravi discordie nella società. Molti, è vero, la cui vita è impregnata di materialismo pratico, sono lungi dall'avere una chiara percezione di questo dramma; oppure, oppressi dalla miseria, non hanno modo di rifletterci. Altri, in gran numero, credono di trovare la loro tranquillità nelle diverse spiegazioni del mondo che sono loro proposte. Alcuni poi dai soli sforzi umani attendono una vera e piena liberazione dell'umanità, e sono persuasi che il futuro regno dell'uomo sulla terra appagherà tutti i desideri del suo cuore. Né manca chi, disperando di dare uno scopo alla vita, loda l'audacia di quanti, stimando l'esistenza umana vuota in se stessa di significato, si sforzano di darne una spiegazione completa mediante la loro sola ispirazione. Con tutto ciò, di fronte all'evoluzione attuale del mondo, diventano sempre più numerosi quelli che si pongono o sentono con nuova acutezza gli interrogativi più fondamentali: cos'è l'uomo? Qual è il significato del dolore, del male, della morte, che continuano a sussistere malgrado ogni progresso? Cosa valgono quelle conquiste pagate a così caro prezzo? Che apporta l'uomo alla società, e cosa può attendersi da essa? Cosa ci sarà dopo questa vita? …» La Chiesa si pone in dialogo con le grandi questioni della vita. Poste queste basi ecco quindi che arriva la risposta: «… Ecco: la Chiesa crede che Cristo, per tutti morto e risorto, dà sempre all'uomo, mediante il suo Spirito, luce e forza per rispondere alla sua altissima vocazione; né è dato in terra un altro Nome agli uomini, mediante il quale possono essere salvati …» La risposta è cioè innanzitutto Cristo. Ma non finisce qui, perché: «… Essa crede anche di trovare nel suo Signore e Maestro la chiave, il centro e il fine di tutta la storia umana. Inoltre la Chiesa afferma che al di là di tutto ciò che muta stanno realtà immutabili; esse trovano il loro ultimo fondamento in Cristo, che è sempre lo stesso: ieri, oggi e nei secoli. Così nella luce di Cristo, immagine del Dio invisibile, primogenito di tutte le creature il Concilio intende rivolgersi a tutti per illustrare il mistero dell'uomo e per cooperare nella ricerca di una soluzione ai principali problemi del nostro tempo …» Tutto ciò che la Chiesa quindi insegna sull’uomo viene, è centrato e fondato su Cristo. Compito dell’antropologia è quindi quello di tradurre il Vangelo per gli uomini, per offrire loro il messaggio di Salvezza che è Cristo e che Lui ha portato. Proposta metodologica Guardiamo alla scelta metodologica di GS, i passi che essa compie per costruire un’antropologia teologica centrata su Cristo e che indica in Lui l’uomo: Subito dopo il proemio ecco che, abbastanza inaspettatamente, si mette al centro della attenzione l’uomo, la concreta situazione dell’uomo contemporaneo indicando solo alla fine (n°10), come Cristo sia la risposta, applicando così il metodo di ascolto-eccedenza. La prima parte, intitolata “la Chiesa e la vocazione dell’uomo” è così divisa: o Il capitolo I intitolato “La dignità della persona umana”, dice che questa è dovuta al fatto che è creata ad immagine di Dio e che è dotata oltre che del corpo anche dell’anima, della coscienza morale e della libertà, e proprio per questo è superiore al resto del creato e neanche la morte le pone fine, grazie a Cristo! o Il capitolo II intitolato “La comunità degli uomini” parla di come Cristo ha rivelato la fraternità degli uomini e su questa base va letta la socialità degli uomini. o Il capitolo III intitolato “L’attività umana nell’universo” dice come ogni attività umana debba tendere a Cristo e non serve più quindi parlare di due piani, del naturale e del soprannaturale. o Il capitolo IV intitolato “La Missione della Chiesa nel Mondo Contemporaneo” dice che questa è presentare Cristo all’uomo, alla comunità e ad ogni attività, cosicché: «Chiunque segue Cristo, l'uomo perfetto, diventa anch'egli più uomo» (41). Solo così essa: «cammina insieme con l'umanità tutta e sperimenta assieme al mondo la medesima sorte terrena; essa è come il fermento e quasi l'anima della società umana, destinata a rinnovarsi in Cristo e a trasformarsi in famiglia di Dio». Questa è la proposta della Chiesa al mondo e mirabile è la conclusione: «La Chiesa, nel dare aiuto al mondo come nel ricevere molto da esso, ha di mira un solo fine: che venga il regno di Dio e si realizzi la salvezza dell'intera umanità. Tutto ciò che di bene il popolo di Dio può offrire all'umana famiglia, nel tempo del suo pellegrinaggio terreno, scaturisce dal fatto che la Chiesa è «l'universale sacramento della salvezza» che svela e insieme realizza il mistero dell'amore di Dio verso l'uomo. Infatti il Verbo di Dio, per mezzo del quale tutto è stato creato, si è fatto egli stesso carne, per operare, lui, l'uomo perfetto, la salvezza di tutti e la ricapitolazione universale. Il Signore è il fine della storia umana, « il punto focale dei desideri della storia e della civiltà », il centro del genere umano, la gioia d'ogni cuore, la pienezza delle loro aspirazioni. Egli è colui che il Padre ha risuscitato da morte, ha esaltato e collocato alla sua destra, costituendolo giudice dei vivi e dei morti. Vivificati e radunati nel suo Spirito, come pellegrini andiamo incontro alla finale perfezione della storia umana, che corrisponde in pieno al disegno del suo amore: « Ricapitolare tutte le cose in Cristo, quelle del cielo come quelle della terra » (Ef 1,10). Dice il Signore stesso: « Ecco, io vengo presto, e porto con me il premio, per retribuire ciascuno secondo le opere sue. Io sono l'alfa e l'omega, il primo e l'ultimo, il principio e il fine» (Ap 22,12-13)» (45). Molto importante come principio architettonico è il n°22 perché pone il fondamento cristologico di tutta l’antropologia. Così: o «In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo. Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro (Rm5,14) e cioè di Cristo Signore. Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l'uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione. Nessuna meraviglia, quindi, che tutte le verità su esposte in lui trovino la loro sorgente e tocchino il loro vertice.» L’uomo va cioè letto alla luce del secondo Adamo, Cristo, e non del primo. Partenza cristologica o E bisogna guardare a Lui perché: «Egli è « l'immagine dell'invisibile Iddio » (Col1,15) è l'uomo perfetto che ha restituito ai figli di Adamo la somiglianza con Dio, resa deforme già subito agli inizi a causa del peccato. Poiché in lui la natura umana è stata assunta, senza per questo venire annientata per ciò stesso essa è stata anche in noi innalzata a una dignità sublime. Con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d'uomo, ha pensato con intelligenza d'uomo, ha agito con volontà d'uomo ha amato con cuore d'uomo. Nascendo da Maria vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché il peccato. Agnello innocente, col suo sangue sparso liberamente ci ha meritato la vita; in lui Dio ci ha riconciliati con se stesso e tra noi e ci ha strappati dalla schiavitù del diavolo e del peccato; così che ognuno di noi può dire con l'Apostolo: il Figlio di Dio « mi ha amato e ha sacrificato se stesso per me» (Gal2,20). Soffrendo per noi non ci ha dato semplicemente l'esempio perché seguiamo le sue orme ma ci ha anche aperta la strada: se la seguiamo, la vita e la morte vengono santificate e acquistano nuovo significato.» Si noti il latino che dice “homo perfectus” e non “perfectus homo” cioè perfettamente uomo, che significherebbe un ribadire semplicemente Calcedonia, mentre qui si dice che Lui è l’uomo perfettamente compiuto e realizzato e immagine di Dio e proprio per questo è Salvatore Parte soteriologica o «Il cristiano poi, reso conforme all'immagine del Figlio che è il primogenito tra molti fratelli riceve «le primizie dello Spirito» (Rm8,23) per cui diventa capace di adempiere la legge nuova dell'amore. In virtù di questo Spirito, che è il «pegno della eredità» (Ef1,14), tutto l'uomo viene interiormente rinnovato, nell'attesa della « redenzione del corpo » (Rm8,23): « Se in voi dimora lo Spirito di colui che risuscitò Gesù da morte, egli che ha risuscitato Gesù Cristo da morte darà vita anche ai vostri corpi mortali, mediante il suo Spirito che abita in voi» (Rm8,11). Il cristiano certamente è assillato dalla necessità e dal dovere di combattere contro il male attraverso molte tribolazioni, e di subire la morte; ma, associato al mistero pasquale, diventando conforme al Cristo nella morte, così anche andrà incontro alla risurrezione fortificato dalla speranza.» Parte ecclesiologica o Ma il messaggio di salvezza che portano i cristiani non è per pochi eletti, perché: «Ciò vale non solamente per i cristiani, ma anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia. Cristo, infatti, è morto per tutti e la vocazione ultima dell'uomo è effettivamente una sola, quella divina; perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire associati, nel modo che Dio conosce, al mistero pasquale». Parte universalistica o «Tale e così grande è il mistero dell'uomo, questo mistero che la Rivelazione cristiana fa brillare agli occhi dei credenti. Per Cristo e in Cristo riceve luce quell'enigma del dolore e della morte, che al di fuori del suo Vangelo ci opprime. Con la sua morte egli ha distrutto la morte, con la sua risurrezione ci ha fatto dono della vita, perché anche noi, diventando figli col Figlio, possiamo pregare esclamando nello Spirito: Abba, Padre!». La filiazione divina è quindi paradigmatica per l’antropologia e l’uomo nel suo essere nella storia va visto come incamminato verso Cristo, verso l’unica salvezza: la vita divina. NODO I – L’uomo chiamato alla salvezza (cf 1 Tm 2,3-6; Rm 8,28-30). La dottrina della predestinazione, letta nell’insieme del suo sviluppo teologico nella Tradizione, annuncia la volontà di Dio di fare alleanza con il suo popolo e con ogni persona umana; tale alleanza si esplicita nel disegno di ricapitolare tutto in Cristo (cf Ef 1,10) e dona all’uomo un orizzonte soprannaturale, che si realizza nel dialogo tra grazia e libertà. La dottrina della predestinazione in teologia biblica è detta della elezione. Trattando il tema è bene guardare subito il rapporto tra disegno di Dio e libertà umana. Innanzitutto cosa si intende per predestinazione in Cristo? Per il Colombo essa dice l’intenzione originaria di Dio di comunicarsi ad extra , dando origine alla realtà creata, che risulta determinata in fondamento in Cristo. L’eccedenza dell’umano è la conformità all’uomo di Gesù Cristo, intesa come partecipazione alla sua condizione propria ed esclusiva di Figlio del Padre. Vediamo ora cosa il messaggio biblico dice sulla predestinazione. San Paolo (Rm8,28-30) presenta il seguente Disegno di Dio (protesis): - Ci sono alcuni che Dio ha preconosciuto, a cui Dio ha dato in anticipo un orizzonte: la stessa forma dell’immagine del Figlio Suo, di Colui che è il primogenito (prototipo) tra molti fratelli. Questi li ha convocati, giustificati, chiamati alla(doxa), ovvero alla gloria nel Cristo. - Questo disegno di Dio si ritrova nella storia della salvezza. Soprattutto il Deuteronomio presenta la storia di Israele come storia dell’elezione del popolo. - Questa chiamata (Kaleo), dura tutta la storia della salvezza fino al centro che è Cristo, il perno di tutto il disegno di salvezza (Ef 1,3 -14). - Questa predestinazione di Dio ha un’unica direzionalità (1Tim. 2,3-6): che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità. Ma cosa dice la dottrina della predestinazione cosa dice a livello biblico all’uomo? Dà un’origine e un traguardo Non lascia l’uomo nel caos o nel caso, ma gli dice da dove viene e dove va Fa intendere la vita stessa come vocazione perché la creazione in Cristo è già una creazione in grazia). Detto questo è utile vedere adesso le difficoltà della storia ad armonizzare il rapporto tra predestinazione e libertà. Esse possono essere riassunte nelle seguenti posizioni: Antropomorfismi e negazioni della volontà salvifica universale, intendere cioè Dio a livello troppo umano, che entra in concorrenza con la mia libertà e giungendo talvolta ad una negazione della volontà salvifica negli uomini che non accettano. Agostino sottolineando la assoluta necessità della grazia ha assunto una posizione estremista, perché opponendosi a Pelagio dice che la volontà salvifica è nel primato a Dio ma Dio salva solo gli eletti, cioè quelli che vuole salvare. Doppia predestinazione (Gallia IX secolo). Calvino La De auxiliis provò a conciliare predestinazione e libertà umana, ma non vi riuscì. Barth riconduce la predestinazione in un’ottica di Dio che ama e salva. Detto ciò quindi nel mettere insieme predestinazione e libertà si deve tenere conto di: Rischio di fraintendimento antropomorfico del rapporto tra primato di Dio e libertà dell’uomo Conciliare prescienza e predestinazione La predestinazione ha carattere ecclesiale e non individualistico. Non può che essere annuncio di un Vangelo sul Dio salvatore. Alla luce di tutto questo si può dire quindi che la predestinazione in Cristo è come la “offerta di un senso” dato per ogni esistenza umana, offerta le cui caratteristiche sono: Nella misura dell’eccedenza, perché va al di là di ogni piano umano Indica una direzionalità nella storia : lettura delle vicende umane, sintesi alla fine di ogni tempo.( Paolo: ricapitolazione di tutte le cose in Cristo). Un senso pregiudiziale, perché indipendente da tutto ciò che sembra negarlo, è dato una volta per sempre, posto prima e indipendentemente da ogni nostra accettazione. C’è perché Dio ha voluto così nella sua immensa bontà. Ha come significato il volto di Cristo che è il criterio di giudizio di ogni proposta umana. È in quest’ottica che si può vede la nostra libertà in dialogo con Dio. Paradigmatica a tal proposito è la dinamica di Gn 3 dalla quale si possono evincere molte cose sulla libertà umana: Anche noi oggi possiamo avere paura di affidarci a Dio. Ci sono ambiguità dei vari modi di intenderla Evitare la concorrenza con la predestinazione. Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi (Gal5,1), liberati dalla falsa libertà del peccato, per seguire il bene. Cristo è il modello della libertà liberata e questa non entra in concorrenza con Dio. La lieta novella che viene dalla dottrina della predestinazione è quindi che: l’uomo è stato cercato e trovato da Dio ha ricevuto lo Spirito Santo gli ha dato un orizzonte soprannaturale in cui si dipana la nostra vicenda storica. NODO II – L’uomo è “immagine di Dio”. La dottrina biblica della creazione fonda uno sguardo particolare sul mondo che circonda l’uomo e motiva la dignità personale dell’uomo con un rapporto particolare con Cristo, che il NT spiega come conformazione con la vera immagine di Dio che è Cristo stesso. L’uomo è quindi un essere personale, unico e irripetibile, libero, unitario nella distinzione di anima e corpo, in rapporto con gli altri uomini e con il mondo. Dall’osservazione del mondo nel quale vive l’uomo: Emergono le domande: Chi ci ha fatto? L’uomo è origine a sé stesso? Si nota la non autosufficienza dell’uomo confermata dalle le scienze che mostrano come l’uomo non sia causa di sé stesso, tanto che è frutto di una evoluzione. Vediamo un modo cristiano di affrontate organicamente questi temi. 1. L’uomo sperimenta una condizione di dipendenza perché ha sempre bisogno di qualcosa o di qualcuno ed in particolare le dipendenze fondamentali sono: Cosmica : inseriti in un cosmo e dipendenti da esso. Sessuale : deriviamo da un uomo e una donna con una dualità sessuale. Sociale : nessun uomo è un’isola e dal genere umano dipende. Queste dipendenze non necessariamente postulano una dipendenza prima, noi a differenza degli animali infatti possiamo rifiutarne alcune. Esse mostrano più che altro una dipendenza fondante e fondamentale: dipendiamo da Dio per il nostro stesso essere. Se questo vale per il cristiano non può non essere considerato da altre antropologie, anche perché postula una gerarchia in tutte le dipendenze che noi sperimentiamo. La teologia indica la dipendenza prima come creazione “ dal nulla”, “ creatio ex nihilo”, a dire l’eccedenza e la singolarità dell’atto creatore di Dio, tanto che per J. Arnauld dire che Dio crea a partire dal nulla, dice lo specifico dell’attività di Dio, attività che non ha alcuna analogia con l’attività umana (ebraico Barà). 2. Dire che il cosmo è creato da Dio, permette al cristiano di dire che il mondo è: buono e creato in Cristo (Col. 1,16); un dono affidato alla custodia responsabile dell’uomo; destinato alla gloria futura (Rom 8); differente dall’uomo ontologicamente (relazione unica con Dio); motivo di lode e conoscenza del Creatore (Rom 1). 2.1. Il rapporto fede/scienza sulle origini dell’universo e della vita è però tutt’altro che pacifico perché da un lato c’è il pensiero moderno che rischia di fissarsi nell’evoluzionismo e dall’altro spesso i cristiani spesso di fermarsi ad un uso del senso letterale dell’esegesi rischiando si scadere nel creazionismo. È più che mai necessario quindi: Un riconoscimento dei diversi piani epistemologici: la fede affronta i “perché”, la scienza i “come”. Salvaguardare nel rapporto tra scienza e teologia sia la differenza metafisica tra Dio e l’universo che il carattere unico dell’uomo. 2.2. Il problema ecologico. Come affrontarlo in teologia? Nella visione cristiana all’uomo spetta il compito del dominio sul creato e ciò gli è costato non poche critiche di antropomonismo. Da qui la necessità di un’ecologia cristiana che, fatta salva GS 36, significa: - Centralità dell’uomo nel creato che è l’unica creatura voluta direttamente da Dio a sua immagine e somiglianza. - Lo stile di questa centralità è però lo stesso del Dio di cui è immagine, l’uomo deve essere Signore come lo è Dio, perciò custode responsabile che risponde a Dio. 3. L’uomo è creato ad immagine e somiglianza di Dio, quindi la sua posizione nel cosmo è singolare, ma cosa significa ciò? 3.1. Cosa vuol dire innanzitutto “a immagine e somiglianza di Dio”? - Nell’AT compare poche volte: o Gn 1,26 è il testo base dove si vede che l’effetto dell’opera creatrice è diverso e l’immagine e somiglianza con Dio contiene un concetto di relazione personale con Dio, relazione da cui deriva il compito del dominio. o Gn 5 dove è curioso notare come se Dio crea l’uomo e Adamo genera Set, se l’uomo è ad immagine e somiglianza di Dio anche Set è a immagine e somiglianza di Adamo, perciò distinzione e somiglianza tra l’operare di Dio e dell’uomo. o Gn 9,6 mostra come la creazione ad immagine di Dio implica un fatto morale perché fonda la dignità dell’uomo. o Sap 2,23ss mostra come la somiglianza a Dio implichi l’immortalità dell’uomo. o Sir 17,3ss riprende il tema del dominio. - Nel NT la tematica della somiglianza è riletta in senso cristologico perché Gesù è il vero uomo. Così: o 2 Cor 4,4 in cui si nota che Cristo non è “a immagine”, ma è “l’immagine” di Dio. o Col 1,15 da cui si evince che l’umanità è chiamata a conformarsi alla vera immagine di Dio, al vero uomo, che è Cristo. o Rm 8,29 ci dice poi che siamo chiamati ad avere la stessa forma del Figlio o 1 Cor 15,49 dice che il cristiano è chiamato a vivere tra due immagini, quella dell’uomo di terra (Adamo) e quella dell’uomo celeste (Cristo). o 2 Cor 3,18 ribadisce questo concetto dinamico, dicendo però che veniamo trasformati nell’immagine di Cristo di gloria in gloria (idem più o meno Col 3,10) - Ma come avviene questa rilettura cristologica nel NT? Dove viene fondata? o 1 Cor 15,45-49 vede in Gesù il culmine della creazione; o 1 Cor 8,6; Eb 1,1-3; Gv 1,3-10; Col 1,15-20 mettono invece in risalto la funzione mediatrice di Cristo che porta a parlare di Nuova Creazione in Cristo. 3.2. Qual è il significato dell’immagine e somiglianza di Dio, tipica dell’uomo? Che l’uomo è un essere personale libero, unico e irripetibile e in ciò l’antropologia cristiana mostra il suo carattere veramente profetico, anche perché è questa “immagine di Dio” fonda: - La dignità di tutto l’uomo (cioè in ogni sua stagione) e di tutti gli uomini, perché è questa la vera democraticità ed uguaglianza di tutti gli uomini che il cristiano sa di poter affermare. E proprio questa dignità oggi rischia di essere messa in discussione perché l’uomo non è solo materiale biologico, è proprio la particolare relazione con Dio a fondarne la dignità unica, relazione nella quale egli si trova immerso e alla quale deve solo rispondere. - L’essere persona dell’uomo, perché essendo ogni uomo singolarmente amato da Dio, è questo rapporto speciale che rende l’uomo una persona, un individuo in relazione, è infatti grazie ad esso che l’uomo scopre che non è solo qualcosa, ma qualcuno. Certo l’essere persona dell’uomo è anche una missione che egli ha. Poste queste due che sono le implicazioni principali dell’essere ad immagine di Dio esse possono essere ulteriormente specificate dicendo che essa fonda l’uomo come: - Persona in comunione: unità di corpo e anima; unità di uomo e donna; unità degli uomini; inserimento nella Chiesa, comunità delle persone che vivono animate dal Padre, dal Figlio e dallo Spirito Santo. - Amministratore della creazione visibile anche per quanto riguarda l’integrità biologica dei vari esseri umani ed esseri creati1. In sintesi, anche parlando di creazione diciamo un costitutivo riferimento a Cristo che è la chiave, il fine ed il centro della storia umana e nel quale l’uomo trova rispecchiata la propria identità ed il rapporto più autentico con tutto. A partire da Lui il pensiero umano si è aperto a riconoscere la centralità dell’uomo in tutto il creato perché noi essendo immagine dell’immagine che è Cristo siamo inalienabili. NODO III – L’uomo sperimenta la presenza del male. È diviso in se stesso (cf GS 13), ha cercato fin dall’inizio della storia di realizzarsi al di fuori e contro Dio; schiavo del peccato, ha bisogno della redenzione portata da Cristo, che gli permette di vivere secondo un’ottica pasquale la presenza misteriosa del male e del maligno. Momento particolare dell’incontro dell’uomo con il male è il dogma del peccato originale, da vedere nelle sue tracce bibliche (cf Gn 3; Rm 5,12-19), nel suo sviluppo storico (cf soprattutto Agostino e Trento) e negli attuali tentativi di riformulazione. Nel tentativo di costruire un discorso ben articolato su questo tema si deve tenere ben fermo che il male nel disegno iniziale non era previsto, che non è frutto della creazione di Dio. Detto ciò … 1. Il male come problema, come ciò che non ci dovrebbe essere, ma c’è. Per Leibniz esistono tre tipi di male: metafisico (cioè l’esperienza del limite da parte dell’uomo), fisico (la mancanza di una qualità che per natura gli sarebbe dovuta es. ciechi, sordi ecc.) e etico-morale (abuso della libertà). Il cristiano deve cercare di dare una risposta a tutti e tre, ma quali sono i modi non cristiani di rispondere? - Antropologico, tipico della mentalità moderna che vede il male come errore di funzionamento (cf Marx, Freud ecc.). - Dualista, per cui il male è inviato da un principio semi-divino che porta a vedere il mondo come campo di battaglia di due potenze, ma in questo caso vuol dire che non è vero che tutto ciò che c’è di creato è buono! - Monista, per cui tutto deriva da un unico principio, Dio. 2. Vediamo come invece va articolato un tentativo di risposta cristiana: 2.1. In partenza c’è uno stato originale, lo stato protologico dell’uomo creato in Cristo, stato che è un progetto, una possibilità di vita che il peccato frustrò. In questo stato si sperimentava la grazia della comunione con Dio a cui ogni uomo è chiamato, grazia che dopo il peccato è ancora più sperimentabile come dono grazie a Gesù. In quello stato protologico l’uomo era dotato dei cosiddetti doni “preternaturali” e cioè l’immortalità e l’integrità (cioè l’assenza di concupiscienza). La risposta cristiana non può che partire da questo piano protologico, nel quale il male non esiste. 2.2. Storicamente però questo stato è andato perduto: come rispondere quindi al mistero del male tenendo conto che neanche Gesù ha dato una risposta chiara? Posto che Dio è buono e che il male non arriva da Lui, bisogna distinguere tra: finitudine della creazione (“male privative dictum”) e male morale (“privatio boni”2). Questi due mali vanno affrontati in modi diversi ed entrambe anelano alla redenzione, ma se del primo la teologia si deve preoccupare più o meno, sul secondo ha da dire qualcosa. 2.3. Il maligno, il diavolo concorre a spiegare il mistero del male, ma si deve ricordare che: Vedasi a tal proposito il documento della commissione teologica internazionale del 2004 “Comunione e servizio: persona umana creata ad immagine di Dio” 2 Il male visto come privazione del bene mette bene in luce come l’unica realtà che esiste perché voluta è il bene e quando la libertà umana compie il male non lo crea, semplicemente non sceglie il bene. 1 La benedizione di Dio accompagna sempre l’uomo (CCC 309) Parlando di diavolo e diavoli non si parla di dei o di anti-dei, ma di creature spirituali che come tali sono creature finite. - Ora nella vita l’uomo sperimenta un’influenza “cattiva”, l’esistenza di potenze cattive come la disperazione, le follie, l’odio ecc. che tentano ed opprimono il singolo, mentre nella comunione dei santi, si sperimenta la positività del vivere. - Gv 8,44 attribuisce tutto ciò al fatto che gli uomini seguono colui che è omicida fin dal principio e che non ha perseverato nella verità. - Sul tema poi se ‘sto maligno sia persona o no … non si può dire che i diavoli sono persone nel senso positivo – etimologico perché sono coloro che dividono, ma possono essere dette persone nel senso che la loro attività è sperimentabile esistenzialmente. - Cristo ha riportato comunque una salvezza definitiva ed escatologica sul diavolo anche se resta un mistero perché lo lasci ancora agire! 2.4. Cristo è dunque il vincitore del male e ciò si vede: - Nella prassi del suo ministero volto a curare i mali dell’umanità. - Nel suo essere un esempio di libertà finalizzata al bene. - Nel mistero pasquale che è risposta eccedente al male. - Nella nuova solidarietà in Cristo che è una grazia sovrabbondante più forte di ogni legame con il male. 3. Il dogma del peccato originale. Come trattare questo punto che si inserisce nell’esperienza del male che l’uomo fa? Esso va a toccare la condizione storica dell’uomo, non però quella protologica: il piano di Dio non è mai cambiato, è cambiata solo la condizione storica dell’uomo che fa sperimentare Cristo come Redentore. 3.1. Le difficoltà di comprensione vertono sul fatto di trovarsi in stato di peccato senza colpa e di capire come questo peccato che ci si trova addosso influisca sulla persona. Tentativi di risposta erronei sono quelli: - dualista-manicheo che vede la fonte del peccato nel corpo - origenista, che confonde peccato personale e originale - pelagiano, per cui non esiste semplicemente il p.o. - luterano, che vede l’uomo totalmente corrotto - moderno, che tende a naturalizzare il p.o. in una concezione evolutiva del mondo nella quale sbagliare è normale e necessario per accedere ad uno stadio superiore 3.2. La risposta cattolica è nella “solidarietà con Adamo”, le cui caratteristiche sono: - È posteriore alla solidarietà di tutti gli uomini in Cristo, perché Dio ha un unico piano e l’Adamo peccatore è posteriore al dato protologico. - Più che di solidarietà (termine positivo) sarebbe meglio parlare di complicità. - È comunque perdente rispetto alla solidarietà dell’uomo con Cristo. - Ha una valenza distruttiva per l’uomo - Non implica una partecipazione all’atto personale di Adamo - C’è comunque con Adamo una solidarietà oggettiva nell’identica natura umana che si sperimenta in un modo che si potrebbe definire come “precedenza pre-opzionale del male” che segna storicamente la realtà in cui nasciamo (analogia con l’inquinamento) - Significa volontà di autosalvezza, espressa dalle parole del serpente «voi diventerete come Dio» (Gn 3,5), che io ratifico con le mie scelte - Non vuol dire che esiste un’economia di peccato parallela all’economia di salvezza, la grazia resta sempre l’elemento primario - L’esclusione della tesi luterana del “De Servo Arbitrio” - Il p.o. non è un peccato “compiuto”, ma “incompiuto” che si compie negli atti concreti Si tenga sempre poi distinto il p.o. originante da quello originato. Testi sintetici: CCC 404-405; G. Colombo su Teologia 15 (1990/3) 275. 3.3. Morte e poligenismo: loro rapporto con il p.o. - NODO IV – L’uomo è “in Cristo”. La Rivelazione presenta il dono della grazia/giustificazione, che la Tradizione ha espresso con sottolineature diverse (cf ottica occidentale e orientale, crisi pelagiana, Lutero e Trento). In virtù di questo dono l’uomo non è solo liberato dal peccato, ma rinnovato interiormente; può così vivere da figlio nel Figlio, portando frutti con la fede, la speranza e la carità. A tutti gli uomini mediante lo Spirito Santo è concessa «la possibilità di venire a contatto, nel modo che Dio conosce, col mistero pasquale» (GS 22). Un possibile schema per sviluppare la dottrina sulla grazia è il seguente: 1. La salvezza tra antropologia e teologia. In Cristo è offerta all’uomo una possibilità di pienezza, di salvezza che inizia già nell’oggi, ma che si realizzerà alla fine dei tempi. Ma quale è la base antropologica del discorso sulla grazia, della giustificazione in Cristo? Se pensiamo alla salvezza è perché ci sentiamo bisognosi di essa C’è in noi il desiderio di piena realizzazione del nostro essere e di avere di più Questa agognata realizzazione implica se non altro il superamento degli aspetti negativi della vita La salvezza desiderata non sempre ha precise connotazioni Se la Chiesa per prima riconosce questi aneliti, critica i riduzionismi e fa una proposta: ○ L’eccedenza di Cristo, perché Lui oltre a riempire il cuore degli uomini supera tutte le aspettative umane di salvezza! ○ Cristo è il di più della salvezza cristiana, perciò se la salvezza ha una base antropologica, non si riduce alle sole aspettative umane ed ha un contenuto teologico-cristologico. Come dice bene il Ladaria: «C’è in Cristo un di più, una novità radicale alla quale dobbiamo convertirci» 2. Dando uno sguardo al cammino della storia diamo solo le coordinate di fondo Ci sono due ottiche (entrambe con pregi e difetti): quella occidentale (salvezza) e quella orientale (divinizzazione). Il difetto di quella occidentale è il rischio dello amartiocentrismo che porta a non tenere conto delle positività. È più volte emersa la contrapposizione tra primato di Dio e cooperazione dell’uomo Se ne può discutere nei più svariati modi che spesso sono connessi a sistemi filosofici. Tra di essi i più famosi sono quello: esperienziale (Agostino), ontologico (Scolastica) e personalistico (contemporaneo). 3. Ma come parlare oggi della grazia creata, dell’uomo nella grazia di Cristo? Diversi modi: Filiazione divina, altro modo per trattare il tema della santificazione. Ricca perché: o non fa perdere la dimensione trinitaria della giustificazione: Cristo ci dona lo Spirito che ci permette di entrare in dialogo con il Padre; o si mantiene fermo il legame con Cristo e la vita “perfetta” è semplicemente vita di comunione con Lui; o Gal 4,4-7 e Rm 8,14-17. Giustificazione, cioè l’opera cristocentrica e gratuita che Dio Padre ha messo in atto per salvare l’uomo peccatore. Suoi punti di forza: ○ pone al centro della vita e del pensiero dell’uomo, l’azione di Dio; ○ è Dio che mette ordine nella vita umana, l’uomo non ce la fa da solo; ○ l’opera di Dio non esclude la cooperazione dell’uomo, ma la richiede (Trento) La vita in Cristo. L’uomo che si lascia raggiungere dalla filiazione divina e che viene giustificato, infatti vive una vita diversa, una nuova creazione che è puro dono e che non è estrinseca, ma trasformazione profonda, perché ci fa diventare uomini “pneumatici”, “spirituali” anche se sempre tendenti alla gloria. Questa nuova vita si può esprimere anche con i concetti di: divinizzazione; grazia creata; grazie attuali; merito (cioè crescita nella vita di grazia); vita di fede, speranza e gratuità. L’importante è declinare tutto secondo l’universale della grazia che è: per tutti, perché la volontà salvifica di Dio è universale; coniugata alla mediazione ecclesiale; concessa a tutti gli uomini i quali possono parteciparvi per vie conosciute solo a Dio (GS 22) NODO V – L’uomo è chiamato alla gloria. Cristo è «l’Alfa e l’Omega, il primo e l’ultimo, il principio e la fine» (Ap 22,13), è l’ «ultimo Adamo» (1 Cor 15,45): proprio per questo illumina il mistero della morte e apre l’orizzonte della risurrezione. La speranza del cristiano non rifugge il presente, ma lo legge alla luce del compimento ultimo della parusia (senza ignorare le tensioni tra escatologia finale ed escatologia intermedia; cf GS 39). Il credente in Cristo è consapevole della possibilità di esiti diversi per ogni uomo. Riprendendo Rm 8,9-30 che parla della chiamata finale dell’uomo che è quella di essere nella gloria in Cristo qui arriviamo alla vetta della visione antropologica sull’uomo: l’uomo è destinato a stare con qualcuno, a stare con Cristo. Vediamo una proposta per una buona escatologia. 1. Il desidero di compimento dell’uomo tocca due ambiti: a. La speranza umana. La dinamica della speranza è un valido aggancio, tanto più che essa è un tema interdisciplinare. Qualsiasi antropologia deve tener conto di una speranza professata e del rischio del nulla, del fallimento. b. La questione del futuro, dei sogni. Lo scorrere degli anni non sempre si identifica con gli anni più belli e quindi quale futuro? Quale futuro per la società (cf crisi di natalità)? Quale futuro per me in questa società? 2. Escatologia cristocentrica. Se questa è la base umana da cui partire, il centro dell’escatologia è Cristo, perché è Lui il nostro futuro: l’escatologia non è un safari fotografico di ciò che ci sarà dopo la morte, ma Cristo come centro di tutto il creato. Ciò ha come conseguenze: Significanza universale di Cristo, perché è Lui l’adempimento del disegno di Dio sull’uomo e sul cosmo. L’escatologia è meditazione su Cristo come elemento ultimo e definitivo (1 Cor 15,45-48; Rm 8,17-25; Fil 3,20-21) e il cammino storico degli uomini è una chiamata a vivere questa gloria. Cristo è il riassunto delle “cose” ultime, non è solo l’escaton e l’escata, ma è l’escatos, è il centro dell’escatologia cristiana, è l’escatologia cristiana! Noi non aspettiamo qualcosa, ma qualcuno: Cristo. Quindi provando a proporre una escatologia cristocentrica: Gesù è evento escatologico e proprio per questo è il centro dell’escatologia tanto che von Balthasaar ha detto: «Dio è: in quanto raggiunto il cielo, in quanto perduto l’inferno, in quanto esaminatore il giudizio, in quanto purificatore il purgatorio … ed è tutto nel modo in cui Egli si è rivolto al mondo, cioè nel suo Figlio Gesù Cristo che è la possibilità di rivelazione di Dio e quindi la sintesi delle cose» C’è una sola escatologia, quella di salvezza, perché Dio non manda i buoni in paradiso e i cattivi all’inferno, Dio vuole la salvezza di tutti! L’escatologia riguarda la realizzazione del Regno e la dannazione è solo una possibilità che Dio lascia all’uomo: ecco perché l’escatologia non è un’escatologia dell’aldilà! Di Cristo l’escatologia valuta il momento della sua venuta nella gloria, momento che è l’oggetto della speranza cristiana. A proposito di questa venuta: Non è il ritorno di un assente, ma la piena manifestazione di un presente! La piena manifestazione del suo dominio sul mondo e in noi non va quindi vista come una novità in assoluto, ma come uno sviluppo di ciò che c’è ora. Sarà un momento di dimensione ecclesiale perché solo quando ci saremo tutti sarà la Gerusalemme celeste. 3. L’uomo chiamato alla vita eterna. A questo punto ha senso vedere i “classici” dell’escatologia, i novissimi, che gettano una nuova luce sulle paure dell’uomo: a. La morte. Vista come un nemico vinto dalla resurrezione di Cristo, di fronte ad essa il cristiano ha una sua risposta: fine di un pellegrinaggio, conseguenza del p.o. ecc. in ogni caso, vista l’unicità e l’universalità della morte, rifiuta la reincarnazione. b. Il giudizio. Esso sarà un incontro con Cristo che sarà vissuto come momento di verità dell’uomo: il momento della parusia è quindi un elemento di discriminazione. Cristo apparirà infatti come il giudice, il senso del mondo, manifestandosi come sua salvezza anche se non buonista, ma di giudizio, di discriminazione tra bene e male. Il giudizio in questo senso va quindi visto più come autogiudizio, perché si manifesterà cosa io sono stato, la mia opzione di fondo. No quindi ad apocatastasi, perché il giudizio non è finto, altrimenti la libertà dell’uomo non avrebbe consistenza. La risurrezione, che è il frutto del “quoad nos”, per quanto riguarda noi, della manifestazione di Cristo è spiegata bene in 1 Cor 15 ed è risurrezione del corpo. Questa risurrezione può portare però ad esiti diversi: c. Purgatorio. Esito temporaneo, è incontro con il Dio che purifica l’uomo per completarne l’adesione a Cristo (CCC 1030). Nel parlare del purgatorio sapere che: La sua esistenza deriva dalla prassi di pregare per i defunti Le sue radici bibliche sono quasi assenti Si deve tenere conto degli aspetti ecumenici Il magistero in materia è sempre stato molto prudente Si deve tenere conto dell’ottica personalista d. L’inferno. La sua esistenza afferma la reale libertà dell’uomo e quindi la reale possibilità della chiusura a Cristo: si può sperare che sia “vuoto”. Nel parlarne: Esso è descrivibile solo in termini negativi: non compimento della vita, non comunione con Dio e le creature, situazione eterna di non amore. La sua esistenza è affermazione della reale libertà dell’uomo. Non è conseguenza di una predestinazione al male, ma di una retribuzione secondo giustizia, perché rispetta la nostra scelta di opporsi a lui. e. Il paradiso è quindi la vita per sempre in Cristo che è il compimento di tutta la antropologia e che consiste nel vedere Dio faccia a faccia. È quindi la massima pienezza della vita che è nella comunione dei santi, perché ci parteciperanno tutti gli uomini e sarà la completa trasformazione del mondo che manifesterà come Cristo è l’uomo perfetto. (cf Tertulliano nella “Adversus Praxean” XII 3-4).