Omelia nella Messa del Giovedì Santo in Coena Domini

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Omelia nella Messa del Giovedì Santo in Coena Domini
Lodi, Cattedrale, 13 aprile 2006
La celebrazione eucaristica di questa sera, nella sua austera solennità, costituisce, per così dire, il
prologo di un’unica celebrazione – il mistero pasquale – che si articola in tre distinti momenti su tre
giorni solari, da venerdì a domenica, secondo la tradizione ebraica.
Al centro di questa Messa vespertina abbiamo la duplice traditio (consegna) di Gesù: l’Eucaristia e
il comandamento dell’amore.
Anzitutto la consegna dell’Eucaristia. Di essa parla esplicitamente la seconda lettura tratta dalla
lettera di san Paolo ai Corinti. In questo testo l’Eucaristia è presentata dall’apostolo come il convito
offerto da Cristo nella notte del tradimento: “il Signore Gesù nella notte in cui veniva tradito, prese
del pane…lo spezzò e disse: questo è il mio corpo che è per voi…Prese anche il calice, dicendo:
questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue…”. Gesù sta andando incontro alla sua pasqua –
la consegna di sé al Padre nella morte in croce – e, con sovrana libertà, decide di anticipare questo
evento nel gesto rituale del pane spezzato e del vino versato. In questo modo egli si inserisce,
portandolo a compimento, in un altro rito, la cena pasquale ebraica, di cui parla il testo dell’Esodo
ascoltato come prima lettura. In quella cena gli ebrei, adempiendo ad un comando di Dio,
anticiparono profeticamente la loro pasqua, ossia la loro liberazione dalla schiavitù dell’Egitto.
Gesù istituendo l’Eucaristia presenta se stesso come il vero Agnello pasquale, che sostituisce
l’agnello “senza difetto, maschio, nato nell’anno” sacrificato dagli ebrei nella cena pasquale.
Gesù vuole che questo gesto del pane spezzato e del vino versato diventi un memoriale perenne, e
per questo comanda ai Dodici: “Fate questo in memoria di me”. Egli consegna alla Chiesa il
sacramento del suo sacrificio pasquale: fino al suo ritorno, per tutto il tempo in cui i cristiani vivono
nel mondo è nella celebrazione di quel gesto del loro Maestro e Signore che essi saranno plasmati
come discepoli, parteciperanno alla vita stessa di Cristo, conosceranno che Lui, il Signore, è con
loro fino alla fine della storia. Dicendo “Fate questo in memoria di me” Gesù ha la coscienza che
mediante il Rito dell’eucaristia gli uomini di ogni tempo e di ogni luogo potranno partecipare alla
sua Pasqua. E giustamente la Chiesa fonda su questo comando di Gesù la tradizione del precetto
della Messa Domenicale.
Se questa è l’Eucaristia – memoriale del sacrificio pasquale di Cristo – noi possiamo facilmente
renderci conto perché la Chiesa da sempre ha visto in essa “la fonte e il culmine di tutta la vita
cristiana” (LG 11), e “la fonte e il culmine di tutta l’evangelizzazione” (PO 5). Nell’Eucaristia è
realmente presente Cristo che dona se stesso per la nostra salvezza, per cui non è possibile pensare
la vita cristiana, la vita della Chiesa a prescindere dall’Eucaristia. Ce lo ha ricordato l’amato papa
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Giovanni Paolo II nella sua ultima Lettera enciclica “Ecclesia de Eucharistia”. Scriveva Giovanni
Paolo II: “Dal mistero pasquale nasce la Chiesa. Proprio per questo l’Eucaristia, che del mistero
pasquale è il sacramento per eccellenza, si pone al centro della vita della Chiesa” (n. 3). E ancora:
“L’Eucaristia, presenza salvifica di Gesù nella comunità dei fedeli e suo nutrimento spirituale, è
quanto di più prezioso la Chiesa possa avere nel suo cammino nella storia” (n. 9).
In particolare, non è possibile per i vescovi e per i sacerdoti pensare il proprio ministero senza un
riferimento essenziale e costitutivo all’Eucaristia. Giustamente la tradizione liturgica ha legato,
nella Messa in Coena Domini, la memoria dell’istituzione dell’Eucaristia a quella del sacerdozio
ministeriale: il sacerdozio ministeriale scaturisce dall’Eucaristia ed è finalizzato anzitutto a
perpetuare il memoriale eucaristico. Scriveva a questo proposito Giovanni Paolo II nella Lettera ai
sacerdoti per il Giovedì santo del 2004: “Noi siamo nati dall’Eucaristia. Quanto noi affermiamo
della Chiesa intera, che cioè vive dell’Eucaristia, possiamo ben dirlo del sacerdozio ministeriale:
esso trae la sua origine, vive, opera e porta frutto dall’Eucaristia”.
Cari fratelli e sorelle, cari confratelli nel sacerdozio ministeriale, l’Eucaristia è un dono che ci
supera infinitamente, di fronte al quale rimaniamo attoniti e sbalorditi: essa è davvero il Mistero
della fede, così come proclama il sacerdote dopo la consacrazione. Ma proprio per la sua grandezza
dobbiamo sempre vigilare su come ognuno di noi si accosta ad essa. In particolare vorrei richiamare
questa sera l’impegno di tutti a non banalizzare mai la celebrazione e la partecipazione
all’Eucaristia. Ci sono tanti modi che possono condurci a questo: disertando la Messa domenicale o
festiva, celebrandola sciattamente, vivendola solo come un generico incontro di fraternità,
dimenticando il suo carattere sacro. A noi preti, in particolare, ricordo ciò che ha scritto Giovanni
Paolo II nell’Enciclica Ecclesia de Eucharistia: “il prete che celebra fedelmente la Messa secondo
le norme liturgiche e la comunità che a queste si conforma, dimostrano il loro amore silenzioso ma
eloquente alla Chiesa” (n.52). Aggiungiamo: senza dimenticare l’invito a vivere e a proporre
momenti adeguati di adorazione e di visita eucaristica.
In questa liturgia del giovedì santo, come dicevo, facciamo memoria di una seconda consegna da
parte di Gesù: il comandamento dell’amore. La Chiesa, significativamente, nella Messa in Coena
Domini, oltre a ricordare e vivere il gesto di Gesù dello spezzare il pane, vive e ripete anche un altro
suo gesto, quello della lavanda dei piedi. Esso è narrato nella pagina di vangelo che abbiamo
proclamato. Anche l’evangelista Giovanni ricorda “l’ultima cena di Gesù con i suoi”, ma anziché
narrare il segno del pane e del vino, egli narra il segno della lavanda dei piedi. In questo modo egli
ha voluto intenzionalmente evidenziare che la celebrazione eucaristica non può essere un rito
disgiunto da una prassi coerente di agape, di amore e servizio ai fratelli, perchè proprio questo è il
suo significato: dare la vita per i fratelli. Gesù ha istituito il rito eucaristico come segno del suo
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amore di dedizione totale ai fratelli; chi celebra questo rito non può non vivere il servizio fraterno, il
dono della vita per l’altro, l’amore fino all’estremo. Potremmo dire che l’intenzione di san Giovanni
è che il sacramento dell’altare sia vissuto sempre come sacramento del fratello, sull’esempio del
buon samaritano della parabola di Luca. Le parole di Gesù che chiudono il brano evangelico:
“Come ho fatto io, fate anche voi” possono essere considerate in parallelo all’altro comando di
Gesù: “Fate questo in memoria di me”. Consegna del comandamento dell’amore fraterno e
consegna dell’Eucaristia sono in realtà un’unica consegna.
Fratelli e sorelle, la celebrazione eucaristica con il pane spezzato e il vino offerto e il servizio
concreto ai fratelli si richiamano reciprocamente come due facce della partecipazione al mistero
pasquale di Cristo. Per questo esse costituiscono lo statuto su cui deve fondarsi una comunità
cristiana: una non può stare senza l’altro e viceversa. Lo ha ricordato a tutti i cristiani papa
Benedetto XVI nella sua prima enciclica. Egli scrive: “L’unione con Cristo -nell’Eucaristia- è allo
stesso tempo unione con tutti gli altri ai quali Egli si dona. Io non posso avere Cristo solo per me;
posso appartenergli soltanto in unione con tutti quelli che sono diventati o diventeranno suoi. La
comunione mi tira fuori di me stesso, verso di lui, e così anche verso l’unità con tutti i
cristiani.....Amore per Dio e amore per il prossimo sono veramente uniti....” (n. 14).
Prima di concludere vorrei rivolgermi a voi ragazzi, in particolare ragazzi dell’iniziazione cristiana
e dell’Agesci che vivranno tra poco il gesto della Lavanda dei piedi. Ricordatevi che questo gesto è
un gesto carico di significato: è un atto d’amore che vi invita ad essere attenti agli altri, ad amare gli
altri, a partire dai vostri famigliari, fino ad arrivare ai vostri compagni a scuola, all’oratorio e nel
tempo libero. A voi, e a tutti gli adulti presenti dico: questa sera impariamo a volerci bene, ad essere
premurosi nei confronti degli altri, generosi, cordiali: è questo il frutto autentico della nostra
partecipazione all’Eucaristia.
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