TRACCIA
Tizio nel giugno del 2000 vendeva a Caio un appartamento di cospicuo valore sito
all’interno del condominio Beta, omettendo all’acquirente che l’appartamento in
questione necessitava di diversi, sia pur modesti, lavori di ristrutturazione,
soprattutto in relazione ad un muro dell’appartamento per il quale 5 anni addietro il
condominio confinante aveva proposto azione di danno temuto ottenendo, altresì, la
condanna del condominio Beta, ad eseguire i lavori di messa in sicurezza.
Caio, nel marzo 2007 scopre tale evenienza e, rivoltosi al suo legale di fiducia gli
espone la questione nei termini di cui sopra, chiedendogli un parere in ordine alla
possibilità di proporre ancora azione di annullamento del contratto di acquisto
dell’appartamento per dolo del venditore. Caio, infatti, afferma che se Tizio non gli
avesse taciuto le circostanze di cui sopra di certo non avrebbe acquistato
l’appartamento.
Il candidato, assunte le vesti del legale di Caio premessi brevi cenni sul dolo
contrattuale quale vizio del consenso, rediga motivato parere in ordine alla
proponibilità di un’ eventuale azione di annullamento.
GIURISPRUDENZA

Cassazione civile , sez. II, 20 aprile 2006 , n. 9253: Il dolo omissivo, pur
potendo viziare la volontà, è causa di annullamento, ai sensi dell'art. 1439 c.c.,
solo quando l'inerzia della parte si inserisca in un complesso comportamento,
adeguatamente preordinato, con malizia o astuzia, a realizzare l'inganno
perseguito, determinando l'errore del deceptus. Pertanto, il semplice silenzio,
anche in ordine a situazioni di interesse della controparte, e la reticenza, non
immutando la rappresentazione della realtà, ma limitandosi a non contrastare la
percezione della realtà alla quale sia pervenuto l'altro contraente, non
costituiscono di per sé causa invalidante del contratto. (Nella specie è stato
escluso che potesse integrare il dolo omissivo in ordine alle effettive condizioni
dell'immobile compravenduto la circostanza che l'alienante avesse taciuto
all'acquirente la pendenza, al riguardo, di un'azione di danno temuto proposta
da terzi).
SVOLGIMENTO
Le cause di annullabilità del contratto, al contrario di quelle di nullità, sono tipizzate
dal legislatore. E’ preclusa , infatti, la possibilità di ricorrere, al fine di individuare
altre ipotesi di annullabilità, all’estensione analogica. Legittima è, tuttavia,
l’interpretazione estensiva. Sono causa di annullabilità l’incapacità di agire ed i vizi
del consenso.
Questi ultimi ricevono una puntuale disciplina dagli artt.1427 ss.c.c.. L’art.1427
c.c., in particolare, dispone che “il contraente il cui consenso fu dato per errore,
estorto con violenza o carpito con dolo, può chiedere l’annullamento del contratto
secondo le disposizioni seguenti”.
L’errore, in particolare, costituisce una falsa conoscenza della realtà. Generalmente,
si è soliti distinguerlo in errore vizio (o errore motivo) ed in errore ostativo. Nel
primo caso, l’errore incide sul processo di formazione della volontà negoziale perché
induce un soggetto a stipulare un contratto sulla base di una volontà alterata e,
quindi, difforme da quella ipotetica. (ad. es. l’acquisto di un oggetto di bronzo nella
convinzione che sia d’oro). Nel secondo caso, l’errore incide sulla esternazione della
volontà negoziale perché induce una persona, che ne era stata incaricata, a
dichiarare e/o a trasmettere una dichiarazione in maniera inesatta.
Con riferimento al profilo oggettivo, inoltre, l’errore può essere “di fatto” quando
cade su aspetti materiali (circostanze di fatto, elementi del contratto, circostanze
esterne al contratto), oppure “di diritto” quando cade sull’esistenza,
sull’interpretazione e sull’applicazione di una norma giuridica.
Come visto, quindi, il legislatore tutela il contraente in errore. Chiaramente, a
maggior ragione, tutela anche quello che versi in errore a causa della condotta
posta in essere dall’altro contraente e/o da un terzo. Per la verità, tale fattispecie
suscita un giudizio di riprovevolezza tale da indurre il legislatore a predisporre una
tutela ancora più incisiva e dettagliata.
In particolare, il dolo, in base al disposto di cui all’art. 1439 c.c., può consistere in
comportamenti (quali artifici, raggiri e menzogne) posti in essere da un parte
(deceptor) ed idonei a trarre in inganno l’altra parte (deceptus) inducendola a
stipulare un contratto che, altrimenti, non avrebbe stipulato (c.d. dolo vizio o
causam dans). Il dolo causam dans, al pari dell’errore, è causa di annullamento del
contratto soltanto nel caso in cui la falsa rappresentazione della realtà da esso
generata sia stata essenziale ai fini della conclusione dell’atto. Il dolo incidente, che
abbia inciso cioè non sull’an ma sul contenuto lascia salvo il contratto spianando la
strada, come si vedrà alla fine del paragrafo, alla sola tutela risarcitoria. La
caratteristica principale della fattispecie in esame è costituita dall’utilizzo di
strumenti idonei ad indurre in errore un contraente.
Con riferimento alla fattispecie commissiva, il dolo può dirsi integrato con il raggiro.
Per raggiro, si intende un qualsiasi comportamento positivo finalizzato a costituire
una falsa ed alterata rappresentazione della realtà tale da incidere sui meccanismi
di formazione della volontà del contraente. E’ necessario, inoltre, che il mezzo
fraudolento sia idoneo a trarre in inganno il deceptus, cioè , che la conclusione del
contratto sia imputabile, con efficacia causale, al raggiro posto in essere dal
deceptor. Tale nesso di causalità deve intendersi in senso oggettivo e, pertanto,
non rileva, in proposito, lo stato psicologico del deceptor (cioè le finalità da questi
perseguite e l’eventuale parziale realizzazione del suo disegno fraudolento) e
l’eventuale mancanza del danno. Il raggiro, inoltre, deve essere tale da indurre un
uomo di media avvedutezza a stipulare un contratto.
In dottrina e giurisprudenza si è posta la questione se i "raggiri " di cui all' art. 1439
e 1440 c.c. possano consistere anche nell' omissione di informazioni. In realtà,
però, dal punto di vista casistico i più recenti interventi concernono la
configurabilità o meno del dolo omissivo determinante.
Alcuni Autori, muovendo dall' assunto che nel nostro ordinamento non vige alcun
obbligo generale di informazione precontrattuale circoscrivono ai soli casi previsti
dalla legge (si pensi all' art. 1892 c.c. in materia assicurativa) la rilevanza del
silenzio (o reticenza) quale causa di annullamento del contratto.
La giurisprudenza ha, invece, nel corso degli anni sviluppato conclusioni più
articolate, assestandosi lungo una linea interpretativa tendente ad ammettere la
figura del dolo omissivo, in presenza di determinati presupposti.
Secondo un orientamento ormai consolidato, il silenzio e la reticenza (quale omessa
rivelazione alla controparte di circostanze utili per valutare la convenienza dell'
affare) non presentano di per sé alcuna attitudine ingannatoria, giacchè essi si
limitano a non contrastare la percezione della realtà, alla quale sia pervenuto il
contraente.
Per assurgere a causa di annullamento del contratto l' inerzia deve, dunque,
inserirsi in un complesso comportamento del deceptor, adeguatamente preordinato,
con malizia od astuzia a trarre in inganno l' altro contraente (deceptus). In altri
termini, è necessario che il silenzio, congiuntamente al contegno generale del
deceptor, induca l' altro contraente in errore, alterando la sua rappresentazione
della realtà.
Tali considerazioni sono state, di recente, ribadite dalla Suprema Corte con la
pronuncia n. 9253/2006.
Trasliamo le coordinate ermeneutiche tracciate dalla giurisprudenza di legittimità
alla fattispecie attenzionata.
In particolare Tizio, acquirente di un immobile ad uso abitativo lamentava di non
essere stato, al momento della stipula del contratto di compravendita dell’immobile,
previamente informato del fatto che alcuni anni prima il condominio confinante
aveva proposto una denuncia di danno temuto, nonché che l’appartamento in
questione necessitasse di diversi, sia pur modesti, lavori di ristrutturazione.
Orbene, facendo applicazione delle conclusioni illustrate della giurisprudenza
prevalente, è da escludersi che l’omessa informazione delle notizie inerenti l’azione
di danno temuto e della necessità di “modesti” lavori di ristrutturazione sia capace
di determinare un’alterazione della rappresentazione della realtà, ovverossia un
errore rilevante sul bene acquistato. Senza contare che Caio, tenendo un’ordinaria
diligenza, avrebbe comunque potuto avere contezza della precedente azione
giudiziale.
Ciononostante, ove Caio, dovesse riuscire a dare prova della capacità dell’omessa
informazione a generare in lui una falsa conoscenza della realtà del bene
acquistato, non sorgono dubbi, sotto il piano della prescrizione, per la piena
legittimazione a promuovere un’azione di annullamento del contratto. A norma
dell’art.1442 c.c., infatti, l'azione di annullamento si prescrive in cinque anni che
però, in caso di dolo, decorrono dalla data in cui il deceptus ha avuto coscienza che
il proprio consenso sia stato carpito attraverso un’attività fraudolenta.
Poiché la scoperta di tale evenienza è intervenuta nel marzo del 2007, deve
riconoscersi come tempestiva l’eventuale azione promossa da Caio per porre nel
nulla la pattuizione contrattuale di vendita dell’appartamento.
Da ultimo, occorre segnalare un recente dictum della Cassazione (Cass., 19
settembre 2006 n. 20260) in cui è stato riaffermato un altro principio consolidato,
in virtù del quale il contraente, il cui consenso risulti viziato da dolo, può richiedere
giudizialmente il risarcimento del danno conseguente all'illecito della controparte
lesivo della libertà negoziale, a prescindere dalla contemporanea proposizione della
domanda di annullamento del contratto ai sensi del citato art. 1439 c.c..
Azione di annullamento e risarcimento del danno sono, infatti, strumenti di tutela
del tutto autonomi: da una lato, l' annullamento, di per sé, dà luogo solo alla
ripetizione di quanto eventualmente versato in sede di esecuzione del contratto,
dall' altro, la domanda risarcitoria può essere formulata anche senza proporre
l'annullamento. Posto che, in tali fattispecie, la condotta illecita che viene in rilievo
è anteriore e prodromica all' incontro dei consensi, è evidente che la responsabilità
del deceptor può essere fatta valere a titolo precontrattuale, ex art. 1337 c.c..
(di Danilo Dimatteo)
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