Invalida la conciliazione con raggiro Renzo La Costa L’atto transattivo sottoscritto in sede di conciliazione tra lavoratore e datore di lavoro non libera quest’ultimo dal dover tenere una condotta datoriale coerente con le ragioni poste a fondamento del licenziamento: è idonea quindi la condotta contraria del datore di lavoro ad integrare un dolo omissivo in danno del proprio dipendente, così da comportare l'annullamento del verbale di conciliazione sottoscritto. E’ questo il principio che può trarsi dalla sentenza della corte di Cassazione nr. 8260/2017. Il fatto La Corte d'appello aveva rigettato il reclamo proposto da un lavoratore avverso la sentenza di primo grado, che ne aveva respinto le domande di accertamento dell'annullabilità del verbale di conciliazione sottoscritto in sede sindacale per vizio del consenso derivante da dolo della datrice o comunque da errore e di conseguente annullamento o dichiarazione di inefficacia del licenziamento intimatogli. A motivo della decisione, la Corte territoriale non aveva riscontrato – come invece richiesto dal lavoratore - la sussistenza di raggiri da parte della società datrice nell'indurre il lavoratore alla firma del suindicato verbale di formalizzazione di accettazione del licenziamento suddetto, in esito all'accordo sindacale, nell'ambito della procedura di mobilità aperta per un'eccedenza di posizioni lavorative, tra cui la propria, sull'assunto dell'inesistenza, solo poi scoperta, della soppressione della propria posizione lavorativa. Era emerso infatti che la società datrice aveva successivamente alla conciliazione assunto altro lavoratore a copertura della medesima posizione lavorativa. Ciò stante, il lavoratore insisteva con ricorso per Cassazione. La decisione La suprema Corte , ribaltando l’esito dei primi due gradi di giudizio, ha ritenuto fondato il ricorso in riferimento alla denuncia di dolo, quale errore di diritto conseguente all'omessa valutazione dalla Corte territoriale dell'idoneità della condotta della società datrice (che nel documento allegato alla lettera di apertura della procedura di mobilità, aveva a suo tempo espressamente incluso la posizione del lavoratore tra quelle eccedentarie, salva poco tempo dopo l'assunzione di altro lavoratore per la medesima posizione) a trarre in inganno il lavoratore . La corte d’appello non ha infatti considerato come anche una condotta di silenzio malizioso sia idonea ad integrare raggiro. Infatti, un tale silenzio, serbato su circostanze rilevanti ai fini della valutazione delle reciproche prestazioni da parte di colui che abbia il dovere di farle conoscere, costituisce, per l'ordinamento penale, elemento del raggiro, idoneo ad influire sulla volontà negoziale del soggetto passivo. Non diversamente, nel contratto di lavoro, il silenzio serbato da una delle parti in ordine a situazioni di interesse della controparte e la reticenza, qualora l'inerzia della parte si inserisca in un complesso comportamento adeguatamente preordinato, con malizia o astuzia, a realizzare l'inganno perseguito, determinando l'errore del soggetto passivo del raggiro ovvero della vittima, integrano gli estremi del dolo omissivo rilevante ai sensi dell'art. 1439 c.c. . Occorre poi tenere presente in linea generale come, in tema di dolo quale causa di annullamento del contratto, nelle ipotesi di dolo tanto commissivo quanto omissivo *, gli artifici o i raggiri, così come la reticenza o il silenzio, debbano essere valutati in relazione alle particolari circostanze di fatto e alle qualità e condizioni soggettive dell'altra parte, onde stabilirne l'idoneità a sorprendere una persona di normale diligenza. Per le suesposte ragioni il ricorso del lavoratore è stato accolto. *Il dolo consiste in artifizi, raggiri, frodi, usati per trarre in inganno una persona e spingerla a compiere un negozio giuridico con lo scopo di trarne un indebito vantaggio per sé o per altri. Il dolo che consiste nell'uso di raggiri, artifici e menzogne prende il nome di dolo commissivo. Esso rende annullabile il negozio giuridico. Il dolo che consiste nella reticenza è detto dolo omissivo. Secondo alcuni autori il dolo omissivo assume rilievo solamente nei contratti nei quali, a carico della parte, è posto uno specifico onere di informazione. Esempio: l'art.1892 del Codice civile, in tema di contratti di assicurazione, prevede che "le dichiarazioni inesatte e le reticenze del contraente, relative a circostanze tali che l'assicuratore non avrebbe dato il suo consenso o non lo avrebbe dato alle medesime condizioni se avesse conosciuto il vero stato delle cose, sono causa di annullamento del contratto quando il contraente ha agito con dolo o con colpa grave". Il caso sopra rappresentato, è di particolare rilevanza in quanto dalle regole generali e del resto risalenti in tema di dolo o raggiro (che spesso trovano anche rilevo penale nella giurisprudenza corrente) scaturisce un nuovo principio in base al quale nei licenziamenti operati in particolar modo per motivi economici, il datore di lavoro è tenuto ad osservare un comportamento coerente con l ’ azione espulsiva, sì da mantenere immune da annullabilità l’azione stessa. A latere della materia del lavoro, solo per il contratto di assicurazione c’è, al riguardo, una norma espressa (art. 1892 c.c.): la semplice reticenza dell ’ assicurato è causa di annullamento del contratto (è il caso di chi stipula un’assicurazione sulla vita tacendo all’ assicuratore di essere affetto da una grave malattia, e pur non facendo nulla per occultarla). In materia commerciale Il cd.dolo del venditore è regolato dall'art. 1439 c.c., secondo cui, il dolo è causa di annullamento del contratto quando i raggiri usati da uno dei contraenti sono stati tali che, senza di essi, l'altra parte non avrebbe contrattato. Secondo l'interpretazione costante della giurisprudenza di legittimità il dolo può manifestarsi sia in forma di "dolo commissivo", quando la controparte viene ingannata con notizie false, parole o fatti; sia in forma di "dolo omissivo" laddove si nascondano alla conoscenza dell'interlocutore fatti o circostanze decisive con il silenzio o la reticenza Per ogni altro contratto si deve tener conto di un generale principio: quello secondo il quale le parti, nello svolgimento delle trattative, debbono comportarsi secondo buona fede (art. 1337 c.c.); e ciò comporta un reciproco dovere di informazione sulle circostanze che ciascuna parte può ritenere determinante del consenso dell’altra. Il dolo vizio della volontà omissivo dovrà considerarsi causa di annullamento del contratto ogni qualvolta, date le circostanze, si deve ritenere che il contraente avesse l’obbligo di informare l’altra parte. Dalle annotazioni suddette, può quindi evincersi il seguente principio qualificatorio: Il dolo (cd. determinante) consiste in una condotta maliziosa posta in essere, idonea ad ingannare la controparte, ingenerando nel deceptus (vittima) una rappresentazione alterata della realtà, provocando nel suo meccanismo volitivo un errore e inducendolo a concludere un contratto che altrimenti non avrebbe mai stipulato. Il dolo è quindi qualsiasi forma di raggiro che altera la volontà contrattuale della vittima, e configura causa di annullabilità del contratto quando è determinante del consenso, cioè quando il raggiro induce il soggetto a stipulare un contratto che altrimenti non avrebbe stipulato.