GIUBILEO: CRISTO È LA PORTA
Sanzeno 13.12.2015
+ Luigi Bressan
Il vocabolo “porta” ha vari significati, in quanto si
riferisce a quella umile delle case, che non avevano le
strutture fortificate dei nostri edifici; ma vi erano anche
le porte dei templi e dei palazzi reali e le porte solenni e
complesse delle città. Una porta per sua natura è
destinata a permettere di entrare e di uscire in modo
regolare dalle abitazioni, proteggere l’intimità della
famiglia, difendere le proprietà… ma spesso è anche la
carta d’identità di una casa, la soglia che propone uno
stile di accoglienza e di ingresso.
1. Porta per entrare
In questo tratto del Vangelo (Gv 10,1-9) Gesù si
presenta come il pastore che introduce le pecore
nell’ovile, al sicuro, dove troveranno cibo per alimentarsi,
sicurezza per tranquillizzarsi e riposare, acqua per avere
nuova vitalità. Nei loro contatti in uno spazio ristretto le
pecore consolidano i legami che un gregge ha, conformi
alla natura propria. Noi scorgiamo qui la figura di Cristo
che ci chiama a entrare nella comunità che egli stesso ha
voluto e costituito: non un semplice raggruppamento di
persone, ma una fraternità che è tessuto reale di
rapporti di santità ricevuta, di condivisione di grazie e di
carismi, di fatiche e di impegno, guardando a quel
Pastore che si è fatto modello del gregge stesso.
Ringraziamo papa Francesco per l’opportunità che ci
offre e propone di essere veramente Chiesa di Dio.
Infatti, Gesù non soltanto è pastore che ci conduce ad
essere famiglia sua, ma anche la porta stessa - o con
un’altra possibile traduzione del termine greco, il cardine
della porta - che fa sì che ogni nostra aspirazione possa
trovare compimento.
2. Guardare a Cristo che ci accoglie
È Lui l’unico Salvatore e la porta materiale delle
chiese è ornata per esprimere fede in lui che ci riunisce
ed accoglie. Entrare in tale clima di famiglia fa bene a
tutti, soprattutto quando questo focolare è alimentato
dal fuoco dello Spirito Santo. Un anno giubilare è un
invito ad unirci alla comunione dei santi, portandovi le
nostre povertà, le esigenze di amore che abbiamo, il
desiderio di pace per un mondo lacerato, la disponibilità
alla conversione, sapendo guardare al volto di colui che
ci rivela la misericordia del Padre. Nessuno mai oserebbe
entrare in una casa senza rivolgere un saluto alla persona
che ci riceva. Non si può essere ospiti senza stabilire una
relazione con chi ci ha aperto la propria residenza, né
considerarci come il centro di ogni attenzione, quando
invece siamo con altri e soprattutto c’è Lui, il Signore in
mezzo a noi e ci apre la porta verso il Paradiso. L’Anno
della misericordia ci incoraggia a ringraziarlo, perché ci
ha resi figli dell’unico Padre e a vedere le necessità dei
fratelli e delle sorelle, riconoscere la bontà di chi ci offre
un tetto e il calore domestico, Dobbiamo saperci
spogliare del nostro individualismo e di ogni forma di
narcisismo autoreferenziale, apprezzare il bene che sta
attorno a noi, gareggiare nello stimarci a vicenda, come
esortava san Paolo.
3. Abbiamo bisogno di riformarci
Anche in casa, cioè nelle nostre comunità,
abbiamo da migliorare e ognuno/ognuna è chiamato a
fare la sua parte, che non può essere semplicemente un
ripetere quanto si è fatto finora, ma deve essere migliore,
poiché siamo chiamati a diventare santi come è perfetto
il Padre dei cieli. Entrando in una chiesa contempliamo il
mistero di comunione di Dio con l’uomo e la comunione
fraterna che Egli fonda e che ci purifica dal peccato.
Ciascuno ha il compito di collaborare al bene altrui e i tre
missionari, Sisinio, Martiro e Alessandro, giunti dalla
Cappadocia, lo sentivano con forza, come nota san Vigilio:
pastori che non abbandonarono mai il gregge, ma
preferirono la morte al tradimento della propria
missione. Avevano anche costruito un edificio sacro per il
bene della comunità e un altro il vescovo Vigilio volle
erigere sul luogo del loro martirio. Entrando in questa
chiesa siamo commossi per la bontà del Signore,
testimoniata anche dall’eroismo dei martiri anauniesi.
4. Porta per uscire verso la missione
Tuttavia, gran parte del testo evangelico è rivolta
piuttosto all’uscire, al fatto che il pastore attraverso la
porta conduce le pecore al pascolo esterno. Contemplare
la porta che si lascia è rivolgersi a Cristo e ispirarsi a Lui
per il compito che ci attende nella giornata, così come
uno prima di lasciare casa osserva la porta anche per non
dimenticare che là dovrà ritornare.
Gesù dice che il pastore chiama le sue pecore
ciascuna con il suo nome, e questo dimostra quanto le
ami; poi le conduce fuori. A ognuno di noi infatti ha
detto: “Come il Padre ha mandato me, così anch’io invio
voi nel mondo, perché andiate e portiate frutto”. Non
usciamo senza un missione, quasi tanto per prendere un
po’ d’aria; la vita ha uno scopo e il soggiorno nel recinto
dell’esperienza mistica ha una finalità esterna.
Certamente, aggiunge Gesù, si deve conoscere la
sua voce, cioè la sua parola. L’Anno Giubilare sarà un
successo non se compiremo alcune buone azioni, ma se
ci convertiremo alla chiamata di Dio, che ci domanda di
impostare la nostra vita, come è la sua, al servizio. Non è
il tempo per soffermarsi su questo all’inizio delle
celebrazioni del Giubileo, ma è doveroso ricordarlo,
perché soltanto così realizzeremo le finalità: essere
stupiti per la misericordia di Dio verso di noi,
contemplando sempre più il Volto di Cristo, e quindi
imitandone l’impostazione fondamentale di vita quale
egli espresse con questo parole: “Il Figlio dell’uomo non
è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua
vita in redenzione di molti… Vi ho dato l’esempio perché
facciate così anche voi”.
È Lui il criterio sul quale giudicare se la vita è un
successo o meno. L’Apocalisse che abbiamo ascoltato
(Ap 3,20-22) ci dice quanto egli desideri renderci felici.
Non forza la porta come il ladro, non entra di soppiatto o
dalla finestra o scavalcando il muro. Non impone ma
propone; per questo bussa umilmente per farci del bene.
Se gli apriamo, allora sarà lieto di stare con noi per
renderci partecipi della sua vittoria sulla stessa morte.
Non nega la fatica di percorrere i pascoli della vita, ma
per trionfare poi nella gloria. Il pellegrinaggio infatti ha
un termine, quello del Paradiso, con i santi martiri, con
Maria SS.ma, con il Cristo splendente. E’ il cammino
spirituale che ci è proposto e che il pellegrinaggio
giubilare terreno intende esprimere e rafforzare.
APRITE LE PORTE A CRISTO
Basilica di Sanzeno, 13 dic. 2015
+ Luigi Bressan
1. Conversione interiore
“Che cosa dobbiamo fare” chiedeva la gente a
Giovanni Battista (cfr Lc 3,10-14). E’ una domanda che
interessa tutti gli uomini e noi battezzati in primo luogo.
Nel Vangelo vediamo, infatti, che vi sono le folle di ebrei,
diremmo normali cittadini; ma anche pubblicani,
persone che si situavano tra l’impiego ufficiale di
funzionario pubblico e collaborazionisti interessati con i
colonizzatori romani; vi erano poi soldati. Tre categorie
di persone che rappresentano tutta l’umanità…. Ora noi
contadini o sacerdoti, laureati o studenti, ragazzi o
anziani, donne, madri, giovani chiediamo “Che cosa
dobbiamo fare?” per realizzare la nostra esistenza o più
direttamente per attuare questo Anno della misericordia.
Papa Francesco, profeta del Signore per il nostro
tempo, ci ha dato varie indicazioni. Ne farei eco restando
sulla scia del Vangelo di oggi. Giovanni Battista, infatti,
invita gli uditori anzitutto ad entrare in se stessi ed
esaminarsi e poi correggere o migliorare la propria
condotta. Non possiamo lasciarci trascinare dalla
corrente del pensiero comune o del “così fan tutti”,
quasi ciò ci giustificasse di fronte a Dio e alle nostre
responsabilità.
Il Vangelo ci esorta anzitutto dunque a prendere
tempo per riflettere, per entrare in noi, per confrontarci
con la parola di Dio. Se si afferma che la Chiesa ha
sempre bisogno di riforma, questo concerne anzitutto
noi che siamo questa Chiesa. Prendiamo in mano il
Vangelo anche nelle nostre case, rileggiamo il
Catechismo, proponiamolo ai figli già in casa, ritorniamo
alla preghiera in famiglia.
2. Stile di vita altruistico
Inoltre san Giovanni Battista invitava la gente a
sapersi guardare attorno. Abbiamo i nostri problemi, ma
non dimentichiamo che vi sono fratelli e sorelle on
disagio psichico, con povertà e talvolta miseria - magari
nascosta - stranieri e rifugiati senza una relazione di
cordialità, persone sole, disoccupati che si interrogano
preoccupati sul loro futuro, persone che non conoscono
Cristo e il suo amore. Ognuno è chiamato ad aprire gli
occhi sulle necessità altrui, ci dice Cristo. “Che cosa
dobbiamo fare?”. Nessuno è tanto povero che non possa
dare un po’ di tempo e di attenzione agli altri… e forse
anche di più, fino al dono sommo che è Cristo Signore.
Di fronte a varie problematiche potremo fare ben
poco da soli, ma associandoci riusciremo a rispondere a
molte istanze. L’istituzione di volontariato va appoggiata,
ed anzitutto quella della Caritas, non per delegare, ma
per intessere un tessuto di solidarietà efficace e
partecipativa. “Che cosa dobbiamo fare?” La domanda
ritorna, e il Papa ci ricorda che non possiamo mai
starcene tranquilli, come se avessimo ormai fatto tutto.
San Giovanni Battista fa menzione anche della
sobrietà. Oggi invece, soprattutto in questo periodo
natalizio, vediamo tante spese inutili e quanto si spreca
per vestiti, scarpe, ferie costose, abbellimenti fasulli, in
cibi sofisticati… quando si potrebbe essere felici con
molto meno e più economico, non per porre da parte un
capitale maggiore, ma per aiutare altri. Dobbiamo
saperci accontentare di quanto abbiamo e abituare
anche i figli alla solidarietà altruistica e ad avere un limite
nel possedere.
San Giovanni ci richiama inoltre alla necessità di
essere onesti negli affari. In un clima di diffusa
corruzione è facile scindere la coscienza del bene dagli
interessi economici, cercando soltanto di non essere
condannati dalla legge umana. Il Precursore ammonisce
poi a non profittare della propria posizione di prestigio
per sfruttare altri, magari con lavoro sottopagato.
3. Aprire le porte a Cristo
Nel Vangelo (Lc 3, 10-14)infine, il Battista ci
domanda di guardare a Cristo, colui che veramente sa
aprire il cuore alla grande dignità umana. Sentiamo qui la
possente voce del papa san Giovanni Paolo II: “Non
abbiate paura: aprite le porte a Cristo! spalancate le
porte a Cristo!”. Egli che è la Via, la Verità e la Vita
riempirà la nostra esistenza di luce e di forza. Apriamo la
porta a Cristo che viene nella sua parola, nei sacramenti
e nella liturgia, nei poveri.
Il profeta Sofonia che abbiamo ascoltato (Sof 3,1417) ci esorta non scoraggiarci, a non abbassare le braccia
di fronte alle difficoltà di oggi, a non temere. Dio vuole la
gioia per noi.
In questo ci aiutino i santi Martiri Sisinio, Martiro
ed Alessandro. Uno studioso riassumee la loro condotta
con queste parole: “La missione anauniense si sostanzia
di liturgia della preghiera, di catechesi biblica e di azione
caritativa, a cui era previa la testimonianza di castità e
pratica ascetica” (Pizzolato, pag. 69).