Giovanni Jervis: A cosa serve la psicoanalisi?

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...non tutte le persone che
soffrono di disagi hanno per ciò
bisogno di psicoterapia, e che non
tutte le persone che fanno
Il Grillo
psicoterapie fanno trattamenti di
(31/1/2000)
tipo psicoanalitico, perché le
psicoterapie sono tante.
Giovanni Jervis
L’individuo cade spesso nell’errore
A cosa serve di pensare che la soluzione delle
proprie sofferenze provenga
la
esclusivamente dall’esterno. Più
psicoanalisi? verosimilmente la soluzione delle
sofferenze è il frutto di una
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cooperazione fra un’istanza
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esterna, rappresentata dal
terapeuta, e quello che il soggetto
- paziente riesce a mobilitare
dentro di sé...
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Il dualismo tra trasgressione e conformismo (1 , 2)
Nevrosi e società (1 , 2)
L'ansia (1 , 2)
L'insufficienza dell'autoanalisi
Il significato del transfert
La questione economica
A cosa serve la psicoanalisi? (1 , 2)
Siti Internet sul tema
31 gennaio 2000
Puntata realizzata con gli studenti del Liceo Classico
"Seneca" di Roma del 31 gennaio 2000
GIOVANNI JERVIS: Mi chiamo Giovanni Jervis. Sono
medico psichiatra e insegno Psicologia dinamica
all’Università di Roma "La Sapienza". La "psicologia
dinamica" é la disciplina che rappresenta il pensiero
psicoanalitico e le idee della psicoanalisi come oggi sono
insegnate. La psicoanalisi fu fondata alla fine del secolo
scorso da Sigmund Freud, che ne diede una definizione nel
1922, e ha rappresentato, attraverso questo secolo, una
scuola di pensiero nell’ambito più generale della psicologia
e del trattamento dei disturbi psichici. Ha rappresentato
soprattutto un orientamento, un insieme di idee, che
hanno enormemente influenzato la cultura del nostro
secolo. Con la psicoanalisi il confine tra normalità e
devianza in campo psichico si é venuto a sfumare.
Osserviamo questo primo contributo filmato, che aprirà il
dibattito.
Non si capirebbe il significato della
psicoanalisi, se non si comprendesse che essa
nasce agli inizi del secolo insieme a una nuova
patologia, la nevrosi. Non che la nevrosi non
esistesse prima della psicoanalisi. La
psicoanalisi però l’ha riconosciuta. Un vasto
complesso di comportamenti, che prima
venivano catalogati all'interno delle più diverse
categorie, vengono ricondotti dalla psicoanalisi
a precise patologie. Il padre della psicoanalisi,
Sigmund Freud, ritiene che la vita normale é in
realtà intessuta di piccole e grandi nevrosi, di
dipendenze psicologiche, di traumi, di paure.
Gli stessi sogni, secondo Freud, sono
formazioni simboliche, che nascono da paure
prevestite e desideri riposti e inconfessabili.
L’interpretazione dei sogni diventa con la
psicoanalisi una chiave per penetrare
nell'inconscio. L’idea di Freud é che in ogni
individuo si trovino chiuse, nel profondo del
serbatoio dell’inconscio, pulsioni,
particolarmente di tipo sessuale, inaccettabili
dalla società e dall’individuo stesso. Proprio
perché inconfessabili le pulsioni parlano,
travestendosi nei simboli. La repressione delle
pulsioni é un’origine delle nevrosi. Prendere
coscienza dei traumi inconsci, che spesso si
sono originati nell’infanzia, è, secondo la
psicoanalisi, la chiave della guarigione. Al suo
sorgere la psicoanalisi suscitò scandalo, perché
non si accettava l'immagine dell'uomo che ne
derivava. Troppe erano le implicazioni,
religiose e morali. Ma ancora oggi ci si può
chiedere se siamo pronti allo studio neutrale e
disincantato di noi stessi. Non bisogna
dimenticare che la psicoanalisi voleva essere
una terapia medica. Ciò che la psicoanalisi
definisce patologia non potrebbe però essere
un aspetto della natura umana? È curabile
l’anima, il male di vivere? È corretta la
riduzione della vita quotidiana del male di
vivere a patologia?
STUDENTESSA: Secondo il filmato le nevrosi fanno
parte dell’umanità. Ma allora perché vanno curate?
Da cosa si riconosce una nevrosi che necessita di
cure psicoanalitiche da una che rientra nella piena
normalità?
JERVIS: Nel linguaggio moderno si parla meno di nevrosi,
e maggiormente di disturbi ansiosi. Un ansioso merita di
essere curato allorché l’ansia incida in modo significativo
sulla possibilità di condurre una vita normale. Vita normale
significa studiare, lavorare, voler bene alle persone,
esplorare, e via di questo passo. La psicoanalisi ha
introdotto l’idea che il confine fra normalità e anormalità
psichica, ossia fra "male di vivere" e "sofferenza mentale",
è labile e, in qualche misura, "convenzionale". Le cure
delle nevrosi sono numerose. Una di esse é la psicoterapia
o orientamento
psicoanalitico.
STUDENTESSA:
Noi, a questo
proposito,
abbiamo portato
un puzzle. Il
puzzle è qui
utilizzato nel
senso
metaforico di
una
composizione
dei pezzi per
una visione
unica.
clicca sull'immagine per vederne la
Componendolo,
versione originale
si forma un
quadro di Peter Bruegel il Vecchio, La lotta tra
Carnevale e Quaresima. Noi abbiamo pensato a
questo "contrasto" come al dualismo umano che si
dibatte fra trasgressione e conformismo. Si può
affermare che ognuno di noi potenzialmente
potrebbe diventare un essere patologico?
JERVIS: L’uomo possiede una disposizione al patologico in
egual misura. È difficile fissare una separazione fra
normalità e follia, o fra normalità e sofferenza psichica. Il
quadro di Bruegel é interessante perché si riferisce a una
tematica storica curiosa: in determinate occasioni
calendariali si dava spazio alla trasgressione e, in qualche
misura, alla follia. Il Carnevale nasce così. Il Carnevale
rappresenta un rovesciamento di valori e potestà, per cui il
folle acquista poteri, il povero diventa ricco, il pezzente
diventa re. È un periodo in cui solitamente è permessa la
manifestazione dell’interdetto, dell’irrazionale, del folle,
dell’improvvisazione più strana. Ciò sta semplicemente a
indicare che ogni popolo abbisogna di spazi per fare vivere
gli aspetti irrazionali dell’uomo.
STUDENTESSA: Perché l’uomo ha bisogno di un
carnevale, di questa ricerca, di un gioco delle parti
in cui ognuno é qualcun altro?
JERVIS: Soccorrono in proposito le intuizioni di Sigmund
Freud. Molte delle sue intuizioni sono a carattere
psicosociale. Le scoperte più valide di Freud non
riguardano tanto la scienza in senso proprio, quanto una
serie di ipotesi sul rapporto tra l'individuo e la società.
Freud sostiene che lo sviluppo della società, in particolare
della società civile, evoluta, industriale moderna, impone
ai singoli individui il sacrificio della propria spontaneità. Ciò
significa che l’uomo è costretto ad autodisciplinarsi.
L’applicazione dell’analisi a campi extra-analitici porta a
considerare la struttura dell'organizzazione sociale sempre
più ferrea, sempre più basata sull’orologio, sulla
precisazione, sul dovere e sulla responsabilità, imponendo
agli istinti del singolo un sacrificio, che si traduce in una
tendenza alla nevrosi. Si produce in questo modo, secondo
Freud, un eccesso di repressione. È questa un’operazione
conscia che, secondo Freud, bisogna mantenere nei limiti
di una certa disciplina. Ogni individuo ha bisogno di
reprimersi. Tanto più si reprime ed é disciplinato, quanto
più deve trovare dei momenti di rilassamento. Questi
momenti sono, più o meno, ritualizzati. A fronte di questo
"disagio della civiltà", afferma Freud nello scritto che porta
lo stesso titolo, bisogna potere opporre il "trionfo della
propria esistenza".
STUDENTESSA: L’interpretazione in chiave
psicoanalitica dei simboli può, e in che modo, essere
riportata in campi come l’arte e la religione?
JERVIS: Sigmund Freud sosteneva che l’interpretazione
dei simboli poteva essere valida anche per quanto
riguardava il simbolismo religioso. Oggi si é più cauti al
riguardo. Il simbolismo onirico nella psicoanalisi di Freud,
tutto vertente sui contenuti sessuali e sull’inconscio, è
oggetto di una più prudente considerazione. Lo stesso
simbolo, ricorrente nell’inconscio del sognatore, può
rappresentare cose molto diverse. Attualmente quel che
resta del pensiero psicoanalitico, in parte superato in
quanto storico, si applica prevalentemente a
problematiche individuali, nel rapporto col paziente.
STUDENTESSA: Se Freud ritiene che tutti gli uomini
sono dei nevrotici, come può poi concepire una
terapia psicoanalitica, se il conforto che la
psicoanalisi può dare consiste unicamente nella
presa di coscienza da parte del paziente della sua
conformità alla società in quanto nevrotico?
JERVIS: Inizialmente Freud e i suoi allievi concepivano il
trattamento psicoanalitico come una cura impartita da una
persona sana a una persona malata. Successivamente ci si
é resi conto che l’incontro psicoanalitico, come qualsiasi
incontro psicoterapico, o cosiddetto "di aiuto", era un
incontro fra due persone, ciascuna portatrice di problemi.
Il vantaggio di un colloquio d’aiuto, come di qualsivoglia
colloquio psicoterapico, poggia sul mantenimento della
diversità dei ruoli: il ruolo di chi è disposto a porgere aiuto
e a non parlare dei propri problemi, e il ruolo di chi chiede
aiuto. Conta la diversità dei ruoli, non la situazione
problematica di cui l’uno e l’altro si fanno portatori.
Situazione che, a ben vedere, potrebbe risultare analoga.
STUDENTE: Lo spazio della soggettività è ricco di
emozioni, ricordi, fantasie, sogni. Ma l’ansioso, che è
un soggetto evidentemente esasperato, ha la
possibilità di entrare nel suo intimo e di conoscere
sé stesso rispetto alle persone cosiddette normali?
JERVIS: Occorre riportarsi alla iconografia psicoanalitica, a
questo interrogarsi che è anche
interrogare l’altro e un farsi
interrogare. Noterete la Sfinge,
figura mostruosa con il volto di
donna e il corpo del leone che,
secondo la mitologia, poneva
enigmi ai passanti. Solo Edipo
seppe rispondere. Qui però
noterete, dall’atteggiamento di
Edipo, che sia quasi lui stesso a
chiedere qualcosa alla Sfinge.
Esiste pertanto un dialogo perenne. Il pensiero freudiano
chiarisce al riguardo che i contenuti dell’inconscio possono
riaffiorare sul piano della coscienza e del comportamento
solo a prezzo di un compromesso con i processi difensivi
che ne alterano la natura originaria. I limiti dell’individuo
spesso non sono del tutto correggibili, seppure attraverso
mezzi che possono comprendere o non comprendere la
psicoanalisi. In questo senso potremmo concludere che
l’ansia é un ostacolo alla conoscenza di noi stessi, e che, al
contempo, se noi impariamo a conoscere noi stessi,
riusciamo a essere un po’ meno ansiosi.
STUDENTE: Rimane da considerare sempre una
predisposizione dell’individuo, ossia la voglia di
entrare nel proprio stato d’animo...
JERVIS: L’ansia non rappresenta di per sé un fenomeno
patologico, é uno stato di attivazione dell’organismo e
della mente di fronte a una possibilità di emergenza.
L’attivazione dell’ansia, o angoscia, può essere
paralizzante, ma anche uno stimolo alla conoscenza di sé
stesso da parte dell’adulto. I mezzi per imparare a essere
"bene ansiosi" possono consistere tanto in processi di
accertamento quanto in processi di accettazione della
propria personalità. Esistono altresì individui che tendono
a creare difese dall’ansia di tipo patologico. Per esempio,
tendono a recitare. L’individuo recita la parte in cui si
sente più sicuro. Zelig, il film di Woody Allen, è anzitutto
un finto documentario che ricostruisce la biografia di un
immaginario individuo il quale, per correggere la propria
ansia interiore, si trova a impersonificare delle identità
fittizie.
STUDENTESSA: Nel film di Woody Allen da Lei citato
è visibile come Leonard Zelig, il protagonista del
film, cerchi disperatamente di assomigliare ad altri
personaggi. L’impersonificazione di un’identità
fittizia non potrebbe comportare la perdita della
propria e privilegiare l’identità collettiva?
JERVIS: Indubbiamente. Zelig rappresenta un caso limite,
un caso patologico. È patologico nella misura in cui
l’individuo tenta di trovare delle forme di comportamento
e di pensiero altre, che rimedino al proprio disagio
interiore. In realtà si tratta di forme di comportamento e
di pensiero che lo allontanano dalla collettività e lo fanno
stare peggio. Ogni individuo sceglie, nel corso della
propria vita e a partire dall’infanzia, dei modelli più o
meno compromissori, in primo luogo quello genitoriale. La
ricerca di una somiglianza a identità altre tende a
riassorbirsi nel corso degli anni, soprattutto dopo i 20, nel
senso che ogni individuo realizza un proprio modo di
essere, senza la necessità di un ricorso ai modelli. Questo
è il caso ordinario.
STUDENTE: L’autoanalisi può aiutare a capirsi
oppure svia l’individuo, dando così origine a dei
complessi maggiori?
JERVIS: Occorre distinguere i casi di affezione da disagi di
tipo esistenziale e da problematiche di vita, da quelli di
affezione a veri e propri disturbi psichici. Quando i disagi
sono di tipo esistenziale, senza essere veri disturbi
psichici, oppure quando questi disturbi non sono gravi, si
consiglia il ricorso a psicoterapie di derivazione
psicoanalitica. La psicoanalisi è anzitutto un fenomeno
storico. La relazione psicologica di aiuto, cioè il rapporto
psicoterapico, o anche psicoanalitico in molti casi, fornisce
un aiuto esclusivamente in quanto si pone in essere una
relazione tra un individuo, in possesso di determinate
proprie competenze, e un individuo che chiede una
coadiuvazione. Aiutarsi da soli é una contraddizione in
termini. Vorrei far notare che la qualifica di "psicoanalista"
non costituisce un titolo. Psicoanalista indica
semplicemente la persona qualificata per praticare la
psicoanalisi facente capo alla teoria generale elaborata da
Sigmund Freud. È sufficiente, e necessario al contempo,
che chi porga aiuto abbia compiuto determinati studi e
acquisito un determinato tipo di competenza.
STUDENTE: Quindi, secondo Lei, l’autoanalisi può
servire solo in casi di psicopatologie del quotidiano.
JERVIS: L’autoanalisi serve in generale a ben poco. Il
confronto con l’altro è utile proprio nella misura in cui
l’altro non dà ragione, ma considera i problemi in modo
diverso da come li considera colui che ne è affetto. Di qui
si spiegano i limiti dell’autoanalisi.
STUDENTESSA: È noto che, affinché una terapia vada
a buon fine, è necessario che tra psicoanalista e
paziente si instauri il fenomeno del transfert, o
traslazione nella sua accezione più generale.
L’atteggiamento emotivo del paziente nei confronti
del suo psicoanalista non potrebbe creare nel primo
un ulteriore problema?
JERVIS: Direi che, senza dubbio, questo rappresenta un
problema a cui oggi si è molto sensibili. Il rapporto di
dipendenza non è esclusivo della situazione analitica. La
caratteristica del transfert, ovvero di questo
atteggiamento di ammirazione idealizzante nei confronti
del terapeuta, è presente in moltissime situazioni
interpersonali. Noi tendiamo ad averlo, per esempio, nei
riguardi del medico o verso chi assume un ruolo
genitoriale. Il bisogno di ricorrere all’altro si avverte anche
nel vasto ambito degli interventi cosiddetti "eretici". Mi
riferisco ai cartomanti, a coloro che leggono i segni
zodiacali, ai maghi, ai guaritori di ogni sorta. Nei riguardi
dei guaritori si crea un forte transfert, una forte attesa,
una forte idealizzazione del potere carismatico. Se il
trattamento è troppo prolungato, l’idealizzazione nei
confronti del terapeuta, presente nell’atteggiamento
emotivo del paziente, può diventare dipendenza. Questo è
uno dei motivi per cui attualmente si preferisce evitare
trattamenti così prolungati o troppo frequenti. È preferibile
ricorrere a trattamenti più distanziati - una o, massimo,
due sedute la settimana - e in particolare è necessario
aiutare il paziente tanto a non sviluppare una dipendenza
troppo accentuata quanto poi a liberarsene.
STUDENTESSA: È possibile che a uno stesso disturbo
nevrotico si diano diverse interpretazioni, secondo
le differenti terapie psicoanalitiche?
JERVIS: Certamente. La stessa interpretazione dei sogni è
stata oggetto di analisi di tipo diverso, sia da parte di
Freud, che da parte di Carl Gustav Jung, suo
contemporaneo e fondatore della "psicologia del profondo"
in relazione al simbolismo onirico. Premesso che tutte le
interpretazioni sono valide, può accadere che nessuna di
esse si avvicini realmente a quello che il sognatore sente
dentro di sé, nel profondo del suo inconscio. Si è già visto
che oggi gli studiosi e i clinici più seri preferiscono non
dare interpretazioni, né diagnosi, di pazienti che non
conoscono. Per dare un’interpretazione corretta del sogno
di un individuo, occorre conoscerlo a fondo e avere un’idea
di quello che si muove dentro il suo animo.
STUDENTESSA: Alla fine del Suo libro Prime lezioni
di psicologia, Lei ha scritto che "ogni società tanto
più è ricca quanto più si fa portatrice della diversità
dei propri figli". Io però ritengo che le diversità
siano fatte di tante piccole cose positive, e anche di
tante piccole cose negative. È lecito porre l’accento
sulle diversità negative, che Lei dice non esistere?
JERVIS: In Prime lezioni di psicologia io mi riferivo
essenzialmente alle differenze di personalità. Nella società
in cui viviamo si avverte una forte pressione al
conformismo. Non é detto che il conformismo sia sempre
un bene, perché una società é composta di individui
differenti, che si fanno portatori di istanze, ognuna delle
quali particolare e degna del massimo rispetto. Io vi
comprendo le diversità normali, quelle cioè che
contribuiscono al vantaggio della società nel suo insieme.
Più ci sono individui diversi, più le diversità possono
esprimersi, e più il gruppo ci guadagna. Il discorso può
riguardare persino individui con tendenze antisociali. La
loro utilità sta nel fatto che mettono sotto gli occhi di tutti
gli esempi in negativo, ovvero ciò che non si deve fare. Un
numero ridotto di individui con tendenze antisociali
costituisce in realtà una visibilità del confine tra lecito e
illecito.
STUDENTESSA: Abbiamo accennato al "fattore
economico" della psicoanalisi. Lei ritiene necessario
un sacrificio economico da parte del paziente per
una buona riuscita del trattamento?
JERVIS: L’orientamento che prevale negli ultimi tempi
vuole la copertura economica non a carico del solo
paziente. Si ritiene altresì utile, nel settore della
psicoanalisi, come in quelli più generali dell’assistenza
sociale e dell’assistenza medica, chiedere all’assistito una
sua partecipazione attiva, un suo sforzo, in modo da
evitare una sua passivizzazione di fronte all’assistente.
Voglio dire che la partecipazione attiva favorisce una
motivazione in positivo ed evita la passivizzazione,
atteggiamento di chi attende che altri provvedano al suo
posto, pertanto negativo. Se noi vogliamo stare meglio
rispetto ai disagi che incontriamo nella vita di tutti i giorni,
o anche rispetto ai nostri disagi psichici, dobbiamo
comprendere che il guaritore principale siamo noi stessi. Al
paziente viene chiesto non di aspettarsi che altri risolvano
tutti i suoi problemi, con il rischio che ciò si tradurrebbe in
una sua infantilizzazione, quanto di porsi il più possibile in
modo adulto.
STUDENTESSA: Se un individuo ricorre all’analisi è
per "curarsi", perché avverte un disagio, o perché
soffre. Perché dunque deve pagare?
JERVIS: Vorrei precisare che non tutte le persone che
soffrono di disagi hanno per ciò bisogno di psicoterapia, e
che non tutte le persone che fanno psicoterapie fanno
trattamenti di tipo psicoanalitico, perché le psicoterapie
sono tante. L’individuo cade spesso nell’errore di pensare
che la soluzione delle proprie sofferenze provenga
esclusivamente dall’esterno. Più verosimilmente la
soluzione delle sofferenze è il frutto di una cooperazione
fra un’istanza esterna, rappresentata dal terapeuta, e
quello che il soggetto - paziente riesce a mobilitare dentro
di sé.
STUDENTESSA: Può il paziente rendersi conto da
solo del progresso nell’analisi a cui si è sottoposto?
JERVIS: Credo che chiunque dovrebbe verificare la resa su
sé stesso di determinate sedute o di un determinato tipo
di intervento. È importante che il rapporto terapeutico
avvenga sulla base di una motivazione, ossia di una spinta
interna. Vorrei sottolineare, con molta preoccupazione,
che lo stesso vale per uscire dal vincolo della droga o
dell’alcoolismo. Occorre sempre una motivazione e una
partecipazione del soggetto alla propria guarigione.
STUDENTE: Molti si sono opposti alla psicoanalisi
avvalendosi di argomentazioni tanto valide quanto
quelle freudiane. Quando è che la psicoanalisi
raggiunge il suo fine? La pratica psicoanalitica é
come quella che si legge nei libri e nei trattati? Se sì,
perché finora é stata per una determinata classe
sociale e non per tutta quanta la gente?
JERVIS: La fortuna dell’orientamento psicoanalitico è
dovuta alla benefica influenza della teoria generale di
Sigmund Freud sulla psichiatria, sulla psicologia,
sull’educazione, sulla sessuologia. L’effetto prodotto dalla
psicoanalisi si è rivelato di ordine culturale, prima ancora
che scientifico. Attualmente non si pratica quasi più il
trattamento psicoanalitico in senso stretto, di scuola
freudiana. Si è visto che si ottengono risultati altrettanto
soddisfacenti - purché in presenza di una competenza
accertata - attraverso trattamenti psicoterapici, non
psicoanalitici o soltanto indirettamente influenzati dalla
psicoanalisi. Le psicoterapie possono essere utili alla
risoluzione di problemi esistenziali e per numerose forme
di nevrosi. Ma la loro utilità nell’insieme non è affatto
risolutiva. Oggi si praticano più spesso trattamenti
psicoterapici assieme a trattamenti psicofarmacologici.
Resta il fatto che da molti disturbi si guarisce altrettanto
bene senza cure. Il beneficio che si trae dal trattamento
psicoanalitico è quello che concerne la conoscenza di sé e
la maturazione di alcuni aspetti della personalità. È
perlomeno dubbio che i trattamenti psicoanalitici possano
offrire risolutivi vantaggi dal punto di vista
sintomatologico.
STUDENTESSA: Lei ha portato come oggetto il lettino
della psicoanalisi. Come può un lettino essere un
mezzo di approccio tra il paziente e l’analista? In
altre parole, come può un lettino costituire la
condizione fisica di rilassamento e di totale
apertura?
JERVIS: Attualmente é più spesso in uso la poltrona in
vece del lettino. Il lettino nasce dall’esigenza del paziente
di essere posto in una situazione di penombra, di stare in
una stanza silenziosa, così che parli per conto proprio,
senza sentirsi guardato. Gli agi e i disagi collegati alla
struttura sono ovviamente relativi. Dipendono da paziente
a paziente. Il lettino è più riposante per lo psicoanalista,
perché questi non viene visto dal paziente e non deve
sopportare il suo sguardo continuo, di dipendenza o di
difesa. Pertanto il lettino è stato concepito per meglio
soddisfare a un tempo le esigenze del paziente e del suo
analista.
STUDENTESSA: La scelta di portare un lettino da
analista non Le sembra di maniera, dato che
l’immaginario collettivo associa all’idea di
psicoanalisi proprio questo oggetto?
JERVIS: Lei ha perfettamente ragione. La presenza della
psicoanalisi nella cultura del Novecento ha suscitato
nell’immaginario collettivo l’idea dello stereotipo,
dell’immagine, del mito. Freud, come Albert Einstein,
appartiene alle mitologie dei grandi uomini. La psicoanalisi
è potuta diventare, per una folta schiera di non specialisti,
l’unico insieme conosciuto di teorie psicologiche. La
psicoanalisi in realtà è una delle discipline delle scienze
psicologiche. In quest’ambito, la psicoanalisi risulta oggi
invecchiata, iscrivendosi come un mito e come una
fantasia nella stessa cultura che l’ha fatta propria e ha
fatto propri gli stereotipi della psicoanalisi. Di valido, della
psicoanalisi, resta il modo di interrogarsi sulla coscienza di
noi stessi, sul possesso di noi stessi. La psicoanalisi è una
filosofia scettica. Per molti la psicoanalisi ha rappresentato
un insieme di risposte. Sappiamo che questo non è
sempre vero. La psicoanalisi è piuttosto una delle
discipline che più hanno contribuito all’emergere di nuovi
interrogativi.
STUDENTESSA: Leonard Zelig, il protagonista del
film di Woody Allen, dapprincipio si trasforma
spontaneamente, senza premeditazione, e, in
seguito alle cure, riesce ad acquistare una maggiore
stabilità. Ci siamo resi conto che questa stabilità era
relativa, in quanto, quando Zelig perde il favore del
pubblico ritornando alla stessa situazione in cui si
trovava all’inizio, ricomincia a trasformarsi, anche
se questo può rappresentare la sua salvezza. In
quale misura la psicoanalisi può contribuire a un
cambiamento reale?
JERVIS: Zelig rappresenta, in maniera iperbolica e
artistica, la nota tematica del "falso se", quella dell’"Io non
sono me stesso, ma sono come tu mi vuoi". È la tematica
della compiacenza. D’altra parte il messaggio che la
psicoanalisi validamente trasmette è quello di essere come
noi stessi vogliamo essere, secondo le nostre inclinazioni,
non come gli altri ci chiedono di essere. La psicoanalisi, nel
momento in cui trasmette un messaggio di conoscenza di
noi stessi, trasmette anche un messaggio di realizzazione
di noi stessi. Ciò significa il contenimento o la limitazione
degli aspetti di noi stessi che non possiamo sviluppare,
oppure di quelli che hanno caratteristiche meno accettabili
da un punto di vista sociale. La psicoanalisi aiuta il
paziente a sviluppare le proprie caratteristiche acché
riesca a interagire con gli altri e a sopravvivere nel modo
migliore possibile. La psicoanalisi non comporta
assolutamente un mutamento della personalità. Comporta
semmai un grado di maturazione della stessa e un certo
grado di realizzazione di sé.
STUDENTESSA: Ho trovato un sito Internet della
Politica Italiana, che ricorda i vent’anni
dall’approvazione della Legge 180, la "Legge
Basaglia". Quella legge aboliva i manicomi intesi
come luoghi di segregazione dei malati di mente. Lei
non pensa che, invece di fare del bene a questi
individui, spesso si tenda a lasciarli a loro stessi
oppure in custodia ai familiari?
JERVIS: Possiamo percepire, anche nei Momenti di
Riforma Psichiatrica, un’influenza indiretta della
psicoanalisi. Il pensiero psicoanalitico ha portato a
ripensare al rapporto fra normalità e follia. Quanto ai
movimenti occorsi in Italia durante gli anni Sessanta e
Settanta, sembrava che tutta la Riforma Psichiatrica
consistesse nel chiudere i manicomi. Non era così. Questa
era una semplificazione indebita. Significava invece creare
delle strutture di assistenza che fossero più adeguate.
Successivamente si è verificata una carenza di assistenza
tale che i pazienti, dimessi dagli ospedali psichiatrici, non
erano curati come previsto. Tuttora i problemi non sono
risolti, ma nell’insieme si è registrato un progresso dal
punto di vista medico - scientifico.
Puntata registrata il 14 dicembre 1999
Siti Internet sul tema
Carl Gustav Jung Home Page
http://www.usd.edu/~tgannon/jung.html
Sigmund Freud and the Freud Archives
http://plaza.interport.net/nypsan/freudarc.html
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