le nuove frontiere ecumeniche

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SEMINARIO SUL PENTECOSTALISMO IN BRASILE
São Paulo, 20-22 settembre 2005
LE NUOVE FRONTIERE ECUMENICHE
Cardinale Walter Kasper
INTRODUZIONE
Nel corso dell’ultima Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio per la promozione
dell’unità dei cristiani, nel novembre 2003, emerse chiaramente e si prese atto che la
situazione ecumenica è molto diversa nelle varie parti del mondo. La riflessione fu rivolta
soprattutto verso l’Africa, l’Asia e l’America Latina, dove si costata una vasta emergenza di
chiese pentecostali, di chiese cosiddette indipendenti e di sètte. In questi paesi sta emergendo
una nuova situazione, nella quale il dialogo con i nostri partner tradizionali, le chiese orientali
e le chiese storiche della Riforma, continua, ma nello stesso tempo ci troviamo di fronte a
nuove comunità in rapida crescita. Comunità con le quali, nella maggioranza dei casi, nessun
dialogo esiste ovvero tale dialogo è molto difficile se non impossibile. Per questa ragione fu
deciso che, in collaborazione con le rispettive conferenze episcopali ed esperti delle rispettive
zone, si organizzassero seminari per vescovi ed esperti sulle nuove sfide pastorali e per cercare
orientamenti pastorali.
Dopo i due seminari tenuti nel luglio scorso a Nairobi per l’Africa anglofona e a Dakar
per l’Africa francofona abbiamo organizzato questo seminario per il Brasile, che conta anche
sulla partecipazione di alcuni rappresentanti di altri paesi dell’America Latina. In questa
occasione vorremmo concentrarci innanzitutto sul fenomeno del pentecostalismo.
Questo progetto corrisponde alle informazioni che riceviamo negli ultimi anni, e in
modo particolare durante l’incontro che abbiamo avuto con i diversi gruppi di vescovi
brasiliani in visita ad limina, un argomento centrale delle nostre conversazioni era stato la
crescita esponenziale dei gruppi pentecostali e la necessità di una riflessione seria riguardo a
questa nuova situazione. Una riflessione che potesse dare alcune piste di lavoro. È per questo
che il Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, insieme alla CNBB, e
contando anche sul sostegno economico della Fondazione Götz, ha intrapreso quest’iniziativa,
convinti dell’importanza di una approfondita riflessione locale.
I nostri obiettivi sono quattro:
1. Approfondire la conoscenza del movimento pentecostale in Brasile;
2. Analizzare i diversi scenari religiosi all’interno della Chiesa cattolica e le sue possibilità
di evangelizzazione;
3. Identificare proposte pastorali concrete e quindi dare un seguito alle nostre riflessioni;
4. Promuovere il dialogo tra cattolici e pentecostali a livello locale.
1
In questa conferenza introduttiva vorrei dare soltanto alcuni spunti per aprire la nostra
riflessione e la nostra discussione. Le risposte finali dovremo trovarle insieme.
I.
PRINCIPI CATTOLICI DELL’ECUMENISMO
Prima di entrare nella discussione sulla situazione vorrei ricordare i principi cattolici
fondamentali dell’ecumenismo. Sebbene la situazione attuale sia diversa nei diversi parti della
Chiesa e qui in Brasile anche più o meno nuova, i principi ecumenici rimangono gli stessi ed
hanno un valore universale e permanente. Perché l’ecumenismo non è una cosa di moda, ma è
fondato sul mandato di nostro Signore, che alla vigilia della sua morte ha pregato “affinché
tutti siano una sola cosa” (Gv 17,21). Questa preghiera di Gesù è il suo testamento per noi e il
fondamento del movimento ecumenico.
Il Concilio Vaticano II nel Decreto sull’ecumenismo “Unitatis redintegratio” ha dato
ascolto al mandato contenuto in questa preghiera del Signore e ha dichiarato che il
ristabilimento dell’unità della Chiesa è uno dei suoi principali intenti (UR 1). Papa Giovanni
Paolo II nell’enciclica “Ut unum sint” (1995) ha ripetuto questa intenzione e ha scritto che
l’ecumenismo non è una cosa marginale ed accidentale, esso non è una qualche appendice ma
si fonda nel disegno che Dio ha per la Chiesa. L’ecumenismo quindi è una parte integrante
della vita organica della Chiesa e della sua attività pastorale (UUS 20). Credere in Cristo – ha
scritto – significa volere l’unità della Chiesa (UUS 9). Cristo ha voluto una sola Chiesa; perciò
le divisioni fra i cristiani sono peccato e scandalo davanti il mondo.
Con la sua scelta ecumenica il Concilio non ha abbandonato la dottrina tradizionale
della Chiesa e non ha fondato una qualsiasi nuova chiesa, anzi, il Concilio ha rinnovato ed
approfondito l’autocoscienza della Chiesa. Così ha insegnato che la Chiesa di Cristo sussiste
nella Chiesa cattolica, cioè nella Chiesa in comunione con l’episcopato e il Papa (LG 8) La
Chiesa cattolica si comprende come la vera Chiesa di Cristo. Ma la formula “sussiste”
(subsistit in) sostituisce è (est), termine che veniva usato precedentemente. Con questo
cambiamento il Concilio non afferma una identificazione totale della Chiesa di Cristo con la
Chiesa cattolica, ma vuol dire soltanto che la Chiesa di Cristo si trova concretamente,
visibilmente e permanentemente nella Chiesa cattolica. Lascia tuttavia spazio per elementi
ecclesiali fuori della compagine visibile della Chiesa cattolica, soprattutto la parola di Dio, il
battesimo, la grazia, la fede, la speranza e la carità, fino al martirio. Così Gesù Cristo tramite
lo Spirito Santo è efficacemente presente anche in queste comunità, e al di là dei limiti visibili
della Chiesa cattolica non c’è un vuoto ecclesiale (UUS 13). Mentre le comunità della Riforma
non sono chiese nel senso proprio, le comunità orientali, che hanno la vera eucaristia, sono
vere chiese particolari, perché dove c’è l’eucaristia lì è la chiesa.
Il Concilio ha approfondito questa concezione con l’uso del concetto di comunione,
concetto chiave del Concilio. Difatti, il Sinodo straordinario dei vescovi del 1985 ha ribadito
che l’ecclesiologia di comunione è l’idea centrale e fondamentale di tutti i documenti
conciliari. Su questa base il Concilio ha distinto tra comunione piena, che esiste nella Chiesa
cattolica e comunione incompleta, che esiste con le altre chiese e comunità ecclesiali.
2
Lo scopo dell’ecumenismo è di pervenire dalla comunione incompleta alla comunione
completa. Questo vuol dire, che non cominciamo da zero, ma da comunità che hanno già le
loro ricchezze spirituali, i loro carismi e che talvolta hanno sviluppato alcuni aspetti meglio
della Chiesa cattolica. Perciò Papa Giovanni Paolo II ha descritto il dialogo ecumenico non
soltanto come uno scambio di idee ma come uno scambio di doni. Possiamo imparare gli uni
dagli altri. Per esempio sin dal Concilio Vaticano II noi cattolici abbiamo imparato dai
protestanti l’importanza della parola di Dio e la sua proclamazione, mentre loro imparano
adesso spesso da noi il significato dei segni sacramentali.
L’ecumenismo compreso come tale scambio non è un cammino all’indietro, ma un
cammino in avanti. Ecumenismo non vuol dire abbandonare o perdere qualcosa, ma un
processo di arricchimento, così cresciamo tutti nella pienezza di Gesù Cristo, uniti pienamente
con lui saremo anche uniti gli uni con gli altri. Tale unità, secondo la nostra concezione
cattolica, consiste nell’unità nella fede, nella partecipazione agli stessi sacramenti e nell’unità
nello stesso ministero apostolico cioè l episcopato nella successione apostolica. Ma tale unita
non sarà una uniformità ma un’unità nella diversità e una diversità nell’unità.
Il Concilio ha potuto assumere questo concetto dinamico del movimento ecumenico
poiché esso ha inteso la stessa Chiesa come un movimento, cioè come il popolo di Dio in
cammino (LG 2 fine; 8; 9; 48-51; UR 2 fine; e.a.). In altre parole, il Concilio ha dato nuovo
valore alla dimensione escatologica della Chiesa, mostrando che quest’ultima non è una realtà
statica, ma dinamica, è il popolo di Dio in pellegrinaggio tra il "già" e il "non ancora". Il
Concilio ha integrato il movimento ecumenico in questa dinamica escatologica. Così
compreso, l’ecumenismo è la via della Chiesa (UUS 7).
Le due forme del cammino escatologico e della dinamica escatologica della Chiesa
sono missione ed ecumenismo. Difatti, la missione è un fenomeno escatologico grazie al quale
la Chiesa assume il patrimonio culturale dei popoli, lo purifica e lo arricchisce, arricchendo
così anche se stessa e raggiungendo la pienezza della sua cattolicità (AG 1 s; 9 e.a.). Allo
stesso modo, nel movimento ecumenico, la Chiesa partecipa ad uno scambio di doni con le
Chiese separate (UUS 28; 57), le arricchisce e al tempo stesso fa propri i loro doni, le porta
alla pienezza della loro cattolicità e, così facendo, realizza pienamente la propria cattolicità
(UR 4). Le due forme del cammino escatologico sono intimamente legate, perché solo la
Chiesa una, che parla con una sola voce, può essere pienamente convincente.
In ultima analisi il cammino ecumenico può essere solo un camino spirituale. Solo lo
Spirito santo, che ha dato l impulso per il movimento ecumenico può condurlo al suo
compimento. Noi non possiamo fare o organizzare l’unita, essa sarà un dono dello Spirito. Il
cuore dell’ecumenismo e dunque l ecumenismo spirituale, cioè la preghiera affinché tutti siano
una sola cosa, la conversione del cuore e la santificazione della vita. Vivere il vangelo e vivere
secondo le beatitudini del Sermone della montagna e il migliore ecumenismo Il centro
dell’impegno ecumenico durante l’anno ecclesiastico e quindi la Settimana della preghiera per
l’unita dei cristiani.
Chiediamoci dunque: Dove siamo adesso? Quale è lo stato attuale della situazione
ecumenica?
3
II.
UNO SGUARDO ALLA SITAZIONE ECUMENICA
Nel mese di novembre 2004, in occasione del XL del Decreto Unitatis redintegratio, si
è tenuto un Convegno internazionale nei pressi di Roma. In preparazione di tale importante
incontro, il Pontificio Consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani aveva inviato un
questionario alle Conferenze Episcopali e ai Sinodi delle Chiese orientali cattoliche allo scopo
di elaborare un rapporto sulla situazione attuale dell'ecumenismo all'interno della Chiesa
cattolica e a livello locale.
L'inchiesta1 ha mostrato con evidenza che, in ogni parte del mondo, Unitatis
redintegratio ha introdotto un radicale miglioramento degli atteggiamenti cattolici nei
confronti degli altri cristiani: l'approccio polemico del passato non è più dominante. La grande
maggioranza delle risposte evidenziano che i cattolici hanno un atteggiamento positivo nei
confronti del compito ecumenico. Prova di questa apertura è il desiderio di conoscere di più le
altre Chiese e comunità cristiane e la volontà di prendere parte ad eventi ecumenici ed
incontri, specialmente per quanto riguarda la preghiera per l'unità.
Allo stesso tempo, l’inchiesta individuava resistenze e reticenze da parte di cattolici a
vari livelli. Difatti, qualche risposta ha evidenziato l'assenza di motivazione e di entusiasmo
derivante, in alcuni casi, dal sospetto che l'ecumenismo indebolisca la missione
evangelizzatrice della Chiesa. Alcuni cattolici ritengono che l'ecumenismo comprometta la
loro fede ed equivalga ad ammettere una inadeguatezza della Chiesa cattolica, che essi non
sono pronti ad accettare. In alcune regioni in cui la Chiesa cattolica è ampiamente
maggioritaria, l'esiguo numero di cristiani appartenenti alle altre Chiese è addotto come una
giustificazione per la mancanza di iniziative ecumeniche.
Altrove, le più recenti Comunità evangeliche e pentecostali spesso non sono
considerate dai cattolici come genuinamente ecclesiali, e l'uso indiscriminato del termine
"sètta" continua a provocare problemi in ogni continente. Alcune Comunità ecclesiali
(soprattutto Battisti, Evangelicali, Pentecostali) con le quali la Chiesa cattolica intrattiene un
dialogo teologico e relazioni internazionali, che in alcuni casi continuano da decenni, sono
incluse nella lista delle sètte. D'altra parte, e specialmente in America Latina, le risposte al
questionario hanno frequentemente indicato un non riconoscimento del carattere cristiano dei
cattolici da parte di alcuni gruppi evangelicali e pentecostali.
Per quanto riguarda il livello dottrinale con le chiese orientali è stata confermata ed
approfondita la nostra eredità comune. Con le chiese orientali ortodosse (copti, siri, etiopici,
armeni ecc.) è stato possibile superare le antiche differenze cristologiche sul dogma di
Calcedonia; più recentemente, in una seconda fase, siamo entrati in un dialogo sul significato
di comunione ecclesiale, che porterà soprattutto alla questione del primato del vescovo di
Roma. Con gli ortodossi, dopo una ricca fase di studio sull’eucaristia, i sacramenti,
l’ordinazione sacerdotale e il ruolo dei vescovi, abbiamo avuto un periodo di crisi dopo i
1
PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA PROMOZIONE DELL’UNITÀ DEI CRISTIANI, L’ecumenismo oggi: la situazione nella Chiesa
cattolica, Rocca di Papa, novembre 2004.
4
cambiamenti politici degli anni 1989/90 in Europa orientale. Vecchi problemi e anche
polemiche sul proselitismo e l’uniatismo sono ritornati, soprattutto con la chiesa ortodossa
russa, mentre con i patriarcati di Costantinopoli, d Alessandria e d’Antiochia le relazioni sono
rimaste amichevoli. Pazienti dialoghi informali hanno contribuito a migliorare la situazione
anche con il Patriarcato di Mosca , e nel prossimo autunno o inverno potremo rilanciare il
dialogo internazionale con tutte le chiese ortodosse nel loro insieme Il tema centrale sarà la
comunione ed il ministero Petrino. Ho l’impressione che adesso siamo su una buona strada.
Riguardo al dialogo con le comunità ecclesiali nate dalla Riforma, la situazione è ben
diversa, perché loro hanno una diversa autocomprensione d essere chiesa. Nondimeno
intratteniamo dialoghi a livello mondiale con quasi tutte queste comunità ecclesiali e anche
con le chiese libere e parte dei pentecostali. Tramite questi dialoghi abbiamo superato molti
malintesi e trovato molte convergenze (o addirittura consensi) riguardo al mutuo
riconoscimento del Battesimo, ciò indica che ci diamo il nome d’onore cristiani. Il passo più
importane abbiamo fatto con i luterani con la Dichiarazione congiunta sulla giustificazione,
punto di differenza più significativo nel secolo sedicesimo. Altre polemiche, per esempio la
messa come idolatria e il Papa come anticristo, fanno oggi parte del passato. Rimangono
aperte le questioni sulla Chiesa e il ministero nella Chiesa e il rapporto fra Parola di Dio e la
Chiesa, cioè il problema del magistero.
I funerali di Papa Giovanni Paolo II sono stati una dimostrazione evidente del
progresso ecumenico raggiunto. In quella circostanza quasi tutte le chiese e comunità
ecclesiali hanno partecipato e espresso la loro alta stima per questo pontefice. Durante il suo
lungo pontificato Roma è divenuta un punto di riferimento per tutti, anche se evidentemente
non accettano i dogmi del Concilio Vaticano I. Su questa base possiamo adesso riassumere e
parlare su retrospettive e prospettiva dell’ecumenismo.
III. RETROSPETTIVE E PROSPETTIVA DEL CAMMINO ECUMENICO
Dopo aver sentito il parere dei partecipanti al nostro incontro di novembre dell’anno
scorso, e riassumendo in sintesi, possiamo affermare che:
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Abbiamo raggiunto una situazione intermedia, in cui la ricezione e la consapevolezza
ecumenica nella Chiesa è cresciuta; sono cresciute anche le attese e talvolta l'impazienza.
Soprattutto Papa Giovanni Paolo II, dal primo giorno del suo lungo pontificato, ha fatto
suo l'impegno ecumenico e lo ha promosso con parole incoraggianti ed atti convincenti.
Tramite i dialoghi, sia a livello internazionale, che a livello regionale e locale, abbiamo
eliminato molti malintesi e pregiudizi, abbiamo superato differenze del passato,
approfondito ed arricchito la comunanza nella fede, e abbiamo stretto molte amicizie.
Nella maggior parte delle situazioni nella Chiesa, la convivenza e la collaborazione
ecumenica appartengono alla vita ecclesiale quotidiana delle parrocchie e delle diocesi;
l'ecumenismo fa integralmente e normalmente parte della vita della Chiesa.
L’ecumenismo spirituale cresce costantemente e permette che il popolo di Dio partecipi
attivamente alla vocazione ecumenica.
Pero dobbiamo anche riconoscere che:
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IV.
Talvolta persistono antichi pregiudizi; spesso la memoria del passato pesa sul presente ed
impedisce un futuro comune. Si devono anche indicare pigrizia e ristrettezza, ed un
ripiegamento delle Chiese e Comunità ecclesiali su se stesse. Inversamente, l'ecumenismo
diventa a volte preda di un attivismo superficiale o una questione di rapporti puramente
formali di cortesia, di diplomazia ovvero di burocrazia.
L immagine dell'ecumenismo, così come esso è compreso dalla Chiesa, è talvolta distorto
da malintesi ed abusi, che non soltanto non aiutano, ma provocano reazioni contrarie e
sono controproducenti. Soltanto un ecumenismo basato sulla dottrina e sulla disciplina
della Chiesa avrà un futuro.
Oggi siamo confrontati da nuove sfide: da una parte il relativismo e pluralismo qualitativo
postmoderno, che non pone più la questione della verità, e dall'altra, un fondamentalismo
aggressivo esercitato da gruppi antichi e nuovi, con i quali ancora non riusciamo ad
stabilire relazioni di rispetto reciproco e di dialogo.
In alcune Comunità ecclesiali si constata una sorta di liberalismo dottrinale e soprattutto
etico, che crea nuovi dissensi sia all'interno di queste Comunità, che tra di esse e la Chiesa
cattolica. Tali sviluppi cosiddetti progressisti minano di fatto la basi fin ora comune fra le
chiese e le comunità ecclesiali.
LA NUOVA SITUAZIONE RELIGIOSA E LA RICERCA DELL’UNITÀ
Durante i nostri incontri, alcuni vescovi, riferendosi alla situazione religiosa brasiliana
mi dicevano “siamo in una situazione di crisi”. Se ammettiamo questa realtà, penso che anche
dovremmo assumere il fatto che una situazione di crisi è una situazione nella quale con
l’esaurirsi di antiche strade si crea lo spazio a nuove possibilità. È quindi una sfida e un tempo
per prendere delle decisioni. Voglio pensare che il termine crisi stia ad indicare una situazione
in bilico, sul filo del rasoio; una situazione che può evolvere positivamente o negativamente.
Entrambe le svolte sono possibili, e ciò sicuramente dipende anche del nostro atteggiamento.
A livello mondiale possiamo dire che la situazione religiosa è mutata. Tra i segni
evidenti di questi mutamenti si annovera: la distanza temporale che ci separa del Concilio
Vaticano II e dalla decisione della Chiesa cattolica di entrare nel Movimento Ecumenico.
Difatti, ai nostri giorni, per molti, l’ecumenismo è diventato una cosa ovvia. Esso ha un lato
positivo nell’apertura dei cattolici verso gli altri cristiani, ma possiamo individuare un lato
scuro giacché le nuove generazioni non comprendono veramente come sono cambiate le cose
e perché sono cambiate; non comprendono i problemi teologici che, di conseguenza, non
rappresentano un problema. Per di più la scarsa conoscenza della dottrina cattolica e delle
dottrine delle altre chiese impediscono che possano anche capire le loro differenze. Inoltre, la
vicinanza tra i cristiani e i forti legami di fratellanza sono anch’essi fonte di insoddisfazione di
fronte all’impossibilità di radunarci attorno alla Tavola del Signore, un’insoddisfazione che
sgorga in frustrazione ecumenica e persino in opposizione.
Un secondo elemento nella nostra situazione è costituito dal nuovo accento posto
sull'identità. Il nuovo interrogativo è: chi siamo? Chi sono io? Come possiamo, come posso
evitare di essere assorbito da un insieme senza volto, più grande di noi, più grande di me.
Questo vale anche per le chiese e comunità ecclesiali. Nelle sue estreme conseguenze, esso
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prospera nei movimenti fondamentalisti che sono, in una qualche misura, una reazione al
pluralismo postmoderno.
In questi ultimi casi la questione dell'identità diventa una forma di autoaffermazione e
spesso un’espressione del timore di perdere se stessi. Di conseguenza, l'ecumenismo è spesso
accusato - o meglio, è frainteso - come un qualcosa che abolisce l’identità confessionale e
conduce ad un pluralismo arbitrario, all'indifferenza, al relativismo e al sincretismo.
L'ecumenismo è diventato spesso un termine con accezione negativa.
Certamente, la questione dell'identità in quanto tale è una questione legittima, anzi
essenziale. Infatti, un dialogo genuino è possibile soltanto tra persone che possiedono una
identità propria. Essa tuttavia può costituire un ostacolo ed una limitazione. Il compito sarà di
pervenire ad una identità matura e aperta poiché l'identità è una realtà relazionale: possiedo la
mia identità soltanto in relazione agli altri e soltanto nel condividere con gli altri. In questo
senso, il concetto di ecumenismo deve essere chiarito. Dobbiamo far risaltare chiaramente che
un serio ecumenismo è cosa del tutto diversa dall'indifferenza confessionale e dal relativismo
che tende ad incontrarsi attorno ad un minimo comune denominatore. L'ecumenismo deve
essere compreso come l'identità cattolica aperta e condivisa, come un’espressione genuina, ma
anche come l'aspetto della cattolicità nel senso più profondo del termine.
Un terzo elemento è la differenziazione e talvolta la cresciuta tensione all'interno delle
grandi famiglie confessionali, tensioni relative a questioni istituzionali e problematiche etiche
quali l'aborto, l'omosessualità, la bioetica, la morale politica, solo per citarne alcune.
Conseguentemente ci si domanda se e come sia possibile continuare il dialogo soltanto tramite
le Federazioni o Alleanze mondiali nel caso dei protestanti. D altera parte incontriamo dentro
queste famiglie confessionali gruppi che sono contrari a tali tendenze liberali, si sentono più
vicini alla Chiesa cattolica e guardano a noi o persino bussano alle nostre porte.
Quindi vorrei formulare la domanda che formulai ai membri della Plenaria del PCPUC:
quale sarà la velocità dell'ecumenismo nel futuro? Sarà un ecumenismo a due velocità, o anche
a più velocità? Probabilmente sì, tuttavia non senza pericoli e non senza dover affrontare
nuovi problemi. Dobbiamo evitare di dare l'impressione di un «divide et impera». Faremmo un
cattivo ecumenismo se creassimo nuove divisioni nelle altre Chiese o famiglie confessionali, o
se tendessimo ad una nuova forma di uniatismo. Pertanto un ecumenismo a due velocità è cosa
assai delicata che va trattata con la più grande discrezione. Ma nella situazione attuale non
esiste un’alternativa realistica. L'attuazione di questo concetto richiede una responsabilità
ecumenica che trovi un equilibrio tra la Chiesa universale e le Chiese locali. Le Chiese locali
debbono assumersi le loro responsabilità per i gruppi menzionati.
Un quarto ed ultimo punto è che abbiamo un approccio più realistico sulla questione
dell’unità dei cristiani2. L'epoca dell'entusiasmo ecumenico, caratteristico del periodo
immediatamente successivo al Concilio, è ormai conclusa. Questo approccio realistico credo
2
Nella sua Lettera Apostolica Tertio millennio adveniente (1994), Papa Giovanni Paolo II aveva espresso la speranza che con
l'anno giubilare avremmo raggiunto la piena comunione con le Chiese ortodosse, o che almeno saremmo stati più vicini a
questo traguardo (n. 34). Dopo il Giubileo, il Papa è stato molto più cauto nella sua Lettera Apostolica Novo millennio ineunte.
Egli ha parlato della lunga strada ancora da percorrere (nn. 12, 48).
7
sia un ecumenismo più compiuto ed adulto, che ha superato l'entusiasmo della giovinezza, ma
anche la rozzezza comportamentale dell'adolescenza, ed è diventato maturo e realistico.
In poche parole, probabilmente dobbiamo prevedere un lungo periodo durante il quale
continueremo a vivere nella situazione presente caratterizzata da una comunione che già esiste
ed è profonda, ma che non è ancora una comunione piena. Vale a dire una situazione nella
quale abbiamo lasciato alle spalle le antiche ostilità e l'indifferenza, e nella quale abbiamo
riscoperto la fratellanza di tutti i cristiani. Ritengo che si tratti del più importante risultato
degli ultimi decenni di ecumenismo. Ma dobbiamo rimanere realisti e non tracciare modelli
astratti di unità che, prima o poi, porterebbero soltanto a nuove delusioni. Il problema sta
dunque nel dare vita e struttura alla nostra situazione che durerà probabilmente molto più a
lungo di quanto avremmo immaginato.
Nondimeno non possiamo e non vogliamo regredire, ritornare al punto in cui non
esisteva questa ricca eredità ecumenica. Non c e alternativa al camino ecumenico della Chiesa.
V.
PENTECOSTALISMO, NUOVA FRONTIERA DELL’ECUMENISMO
Dal Concilio Vaticano II e dalla promulgazione del Decreto sull’Ecumenismo
quarant’anni or sono, la situazione ecumenica è cambiata non solo in America Latina ma più o
meno dappertutto. Il cambiamento più importante e la sfida più urgente e l emergenza di nuovi
movimenti religiosi (NMR). Essi sono una delle più serie sfide pastorali soprattutto in
America latina. Solo tre anni fa era stato pubblicato un best-seller di Philip Jenkins dal titolo:
The Next Christendom. The Coming of Global Christianity3 [La cristianità del futuro. L’arrivo
della cristianità globale]. L’autore descrive la rapida e vasta emergenza di movimenti
evangelici e carismatici in tutto il mondo, ma particolarmente nell’emisfero meridionale,
mentre le chiese protestanti storiche [mainline Churches] diminuiscono. Jenkins scrive:
“Attualmente stiamo attraversando uno dei momenti trasformanti nella storia della religione
nel mondo”(p. 1). Questa situazione sta causando un cambiamento straordinario nel paesaggio
ecumenico, portando con sé un’enorme sfida pastorale e ecumenica per la Chiesa.
Tutte le Conferenze Episcopali hanno espresso una grande preoccupazione su questo
fenomeno durante le loro visite ad limina a Roma negli ultimi vent’anni. Il Santo Padre,
Giovanni Paolo II, ha rivolto un’attenzione particolare a questa questione nei suoi discorsi
lungo il corso degli anni. Nell’Enciclica “Redemptoris Missio” (1990) il Papa parla di una
cultura secolarizzata e della ricerca dello spirituale come una delle cause delle sette e dei nuovi
movimenti religisosi (NMR) (cf. RM 38). Rivolgendosi ai Vescovi del Messico il 12 maggio
1990, il Santo Padre pose il problema in un contesto più ampio: «La presenza delle cosiddette
‘sètte’ è una ragione più che sufficiente per fare un profondo esame della vita pastorale della
Chiesa locale. Dinanzi a questa sfida voi avete opportunamente stabilito alcune Opzioni
Pastorali (cfr. La Iglesia ante los nuevos grupos religiosos, 16-IV-1988, III). Queste Opzioni
vanno al di là di una semplice risposta alla sfida presente e vogliono essere anche vie per la
3
Oxford-New York 2002.
8
nuova evangelizzazione, tanto più urgenti in quanto sono cammini concreti per approfondire la
fede e la vita cristiana delle vostre comunità». 4
Il Concistoro straordinario dei Cardinali che ebbe luogo in Vaticano nell’aprile 1991
diede particolare attenzione a questo fenomeno. Il comunicato finale del Concistoro descrisse
la sfida delle sètte come «un fenomeno mutevole di proporzioni preoccupanti». Era presente
quasi ovunque «anche se con tendenze e manifestazioni diverse. In Africa domina il
moltiplicarsi di “chiese autonome” di tipo sincretista. In America Latina sono comunità di
natura evangelica, fondamentalista e spontaneista, che si discostano dalla tradizione unitaria
cattolica, rompendo lo stesso tessuto sociale. In Occidente sono soprattutto gruppi di
ispirazione gnostica. Anche in Asia gli ambienti cattolici popolari di alcuni paesi sono
sottomessi a una propaganda settaria intensa di tipo cristiano indipendente».5
Quando descriviamo questa situazione dovremmo essere attenti all’uso della parola
sètta. In genere la parola “sètta” ha una connotazione negativa e denigratoria. È quindi
necessario usare questa parola in modo responsabile. Sarebbe utile conoscere chiaramente la
differenza tra “comunità ecclesiali” e “sètte”. Il termine “sètta” non è facilmente definibile e
non c’è consenso tra gli esperti sulla definizione. In ogni caso il termine sètta non può essere
definito solo in modo quantitativo e applicato a tutti i piccoli gruppi; sètta ha un significato
qualitativo e di norma implica un comprensione di sé esclusiva, connessa ad un
comportamento fanatico, fondamentalista e aggressivo che rende il dialogo impossibile. Il
proselitismo e i metodi legati ad esso sono parte delle principali caratteristiche delle sètte.
Sono stati fatti diversi studi sulla questione, ma ne menziono solo due: il documento
studio del Gruppo Misto di Lavoro tra la Chiesa cattolica e il Consigli ecumenico mondiale
intitolato The Challenge of Proselytism and the Calling to Common Witness6 [La sfida del
proselitismo e la chiamata ad una testimonianza comune]; e lo studio congiunto del Dialogo
internazionale tra Cattolici e Pentecostali intitolato Evangelization, Proselytism and Common
Witness [Evangelizzazione, proselitismo e testimonianza comune] (1998).
Il Direttorio sull’ecumenismo (1993) fa una chiara distinzione tra ecumenismo e sfida
delle sètte. Si riferisce ad un rapporto provvisorio di uno studio interdicasteriale del 1986 «che
richiama l’attenzione sulla fondamentale distinzione da farsi tra le sètte e I nuovi movimenti
religiosi da una parte e le Chiese e Comunità ecclesiali dall’altra» (n. 35).
Parlando della diversità delle sètte, il Direttorio afferma che: “la situazione è assai complessa e
si presenta in modo differente secondo il contesto culturale. In alcuni paesi le sètte si
sviluppano in un ambiente culturale fondamentalmente religioso. In altri luoghi si diffondono
in società sempre più secolarizzate, ma che, al tempo stesso, conservano credenze e
superstizioni. Certe sètte sono e si dicono di origine non-cristiana; altre sono eclettiche; altri
4
5
6
Giovanni Paolo II, Incontro con i Membri della Conferenza Episcopale Messicana, Città del Messico 12
maggio 1990 in L’Attività della Santa Sede, 1990, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, p.370.
Dichiarazione del Concistoro straordinario, 7 aprile 1991 in L’Attività della Santa Sede, 1990, Libreria
Editrice Vaticana, Città del Vaticano, p.281.
PCPUC, Information Service, N. 91, 1996/I-II, 77-83.
9
ancora si dichiarano cristiane, ma possono sia aver rotto con comunità cristiane, sia conservare
ancora legami con il cristianesimo» (n. 36).
In questo nostro contesto non parliamo dei nuovi movimenti religiosi in genere ma
limitiamoci al fenomeno pentecostale. Preferisco chiamare i pentecostali né col nome di sètta,
né col nome di chiesa o comunità ecclesiale. È sufficiente chiamarli semplicemente
Pentecostali e di conseguenza parlare di comunità pentecostali. Si tratta di una realtà molto
complessa e ancora in rapido sviluppo.
Già dall’ottocento si conosce all’interno della Riforma di movimenti “revival
[promotori di un risveglio religioso]” e “pietisti” e delle free churches [chiese libere] con un
accento sulla “libertà dello spirito” e , in parte come una reazione alle chiese protestanti, che
divennero velocemente istituzionalizzata e costituita. I pentecostali carismatici stanno in
questa tradizione. Loro vanno caratterizzati da un forte individualismo e soggettivismo, il
neopentecostalismo anche da un eclettismo e pluralismo, che corrisponde in qualche modo al
pluralismo moderno e postmoderno.
Oggi troviamo movimenti pentecostali in Africa, in America Latina ed in Asia, che si
diffondono rapidamente. Il crescente pluralismo religioso brasiliano è “un fenomeno di
frammentazione e di proliferazione di espressioni religiose popolari di dissidenza dal
cristianesimo tradizionale, specialmente pentecostali, che si situano nelle periferie delle grandi
città, ma anche nel ambito rurale”.7
È a tutti nota la crescita esponenziale dei gruppi pentecostali. Una crescita a scapito
delle altre Chiese e Comunità ecclesiali. Secondo i dati che sicuramente avremo modo di
rivedere, negli ultimi trent’anni i cattolici brasiliani sono passati dal 91,8% nel 1970 al 73,9 %
nell’anno 2000; mentre i pentecostali che nel 1980 erano il 3,2% della popolazione, si sono
triplicati8. E ovvio che questa situazione comporta una enorme sfida pastorale
I Pentecostali non sono sempre molto aperti al dialogo. Molti di loro sono molto
aggressivi e attivamente impegnati nel proselitismo. Con loro il dialogo, che presuppone il
rispetto reciproco, è difficile e a volte anche impossibile. Ma anche se un dialogo nel senso
proprio non e possibile rimane spesso la possibilità del dialogo della vita in molte circostanze
quotidiane.
Il PCPUC è riuscito a coinvolgere alcuni dei Pentecostali classici in un dialogo
positivo sulla base della fiducia reciproca. Spesso sono cristiani integerrimi, che prendono
seriamente il messaggio biblico, la divinità di Cristo e i comandamenti di Dio. Essi sono
saldamente ancorati nella loro fede trinitaria e cristologica e condividono delle convinzioni
etiche. Con alcune di queste Comunità abbiamo buoni dialoghi, relazioni di amicizia, o
almeno buoni contatti che lasciano sperare per il futuro. Il dialogo con queste comunità pone
degli interrogativi soprattutto riguardo la pneumatologia, in particolare la relazione tra la
7
8
A Igreja catolica diante do pluralismo religioso no brasil (II), Sugestões pastorais, Estudos da CNBB 69, p. 127
Cf. Atlas da Filiação religiosa e indicadores sociais no Brasil, C. Romero Jacob ed altri, Sao Paulo 2003.
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dimensione carismatica, sacramentale e istituzionale della Chiesa. Per quanto riguarda i
problemi ecclesiologici, esse sono molto distanti da noi.
I dialoghi con questi gruppi sono importanti per il futuro del dialogo ecumenico. I
dialoghi possono avere una funzione maieutica, e aiutare queste comunità ad interrogarsi e a
chiarire la loro propria identità; a sollevare questioni che fino ad ora non si erano poste. Per
ora, il loro scopo non è l'unità della Chiesa, ma l'azione tesa a superare i malintesi, a creare
una migliore conoscenza reciproca, amicizia e collaborazione ove essa sia possibile9.
Il nostro compito durante questi giorni, quindi, ha questa doppia valenza: missionaria
ed ecumenica. Missionaria poiché la nostra riflessione dovrebbe identificare proposte pastorali
concrete mirate alla comunità cattolica. Ecumenica poiché vogliamo esplorare un modus
procedendi da mettere in atto per iniziare un processo di riavvicinamento tra cattolici e
pentecostali che possa superare le difficoltà che permangono. Ogni paese ha una sua peculiare
situazione che informa e trasforma l’ecumenismo, e le caratteristiche degli interlocutori
possono avere effetti positivi o negativi. Importante innanzitutto la disponibilità dei Vescovi
come i primi responsabili della promozione dell’unità.
VI.
ALLA RICERCA DI UNA RISPOSTA PASTORALE
Anche se il dialogo con i Pentecostali è difficile in tanti casi e a volte anche
impossibile, rimane tuttavia una sfida pastorale. Quando non possiamo chieder loro delle
domande, essi le fanno a noi, domande che riguardano l’esame della nostra coscienza
pastorale. Condannare le attività proselitistiche di questi gruppi o riferirsi ad esse come sètte
può essere controproducente. Quindi la risposta pastorale al problema non può essere soltanto
lo strumento del dialogo, che è possibile e fortemente appoggiato dal Concilio con le chiese
tradizionali storiche né solo un approccio critico e polemico con i gruppi pentecostali
La nostra prima reazione deve essere un esame critico della coscienza pastorale.
Dovremmo domandarci con senso critico: Perché alcuni cattolici lasciano la nostra chiesa e
diventano vittime di questi gruppi? Non dovremmo solo chiedere: Cos’è che non va coni
pentecostali, ma anche cos’è che non va con noi, cosa manca nelle nostre parrocchie? Cos’è
che le persone sentono che manca nella nostra chiesa e che cosa si aspettano di trovare in
questi gruppi? Perché questi cattolici cambiano la loro affiliazione religiosa? Possiamo
imparare qualcosa dalle loro metodologie, per esempio l’attenzione al senso di comunità e le
necessità basilari delle persone nelle aree rurale e povere? Cosa dobbiamo evitare? Queste
sono domande importanti che possono condurre alla riflessione sul tipo di risposta che è
richiesta ai problemi che la Chiesa affronta in America Latina.
Vorrei limitarmi a quattro domande pastorali. Primo. Spesso la ragione per lasciare la
Chiesa cattolica è materialista, è una promessa di aiuto materiale così che le persone sono
comprate e acquisite e dopo un po’ di tempo si sentono tradite e deluse. Spesso, infatti, questi
9
Il Dialogo internazionale cattolico pentecostale si è inaugurato nel 1972. Finora ha pubblicato quattro Relazioni finali tra cui
Prospettive sulla koinonia (1990) ed il testo Evangelizzazione, proselitismo e testimonianza comune (1998). Attualmente
preparano un testo circa il tema Diventare cristiano: prospettive bibliche e patristiche circa l’iniziazione cristiana ed il
battesimo nello Spirito.
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gruppi hanno a disposizione denaro che proviene dall’estero che noi non possediamo,
lasciando da parte il fatto che noi non vogliamo comprare dei fedeli. Ma a volte ci può anche
essere una mancanza di attenzione sociale e caritatevole da parte nostra.
Non è prima di tutto una questione di soldi, ma di attenzione e sensibilità. Spesso i
pentecostale e altri gruppi riescono ad infiltrarsi quando c’è una situazione di dolore, un
incidente, un caso di necessità straordinaria e così via. Allora la questione è: Perché loro si
accorgono della situazione e sono presenti e noi no? Parlando ai Vescovi del Ghana durante la
loro visita ad limina nel 1993, Papa Giovanni Paolo II ha spiegato che «a volte l’attrattiva per
questi movimenti poggia sul loro successo apparente ne rispondere ai bisogni spirituali delle
persone – la fame dei loro cuori per qualcosa di più profondo, per la guarigione, per la
consolazione e la vicinanza con il trascendente».20
In questo contesto troviamo una seconda ragione pere lasciare la Chiesa. Le nostre
parrocchie sono spesso così grandi che i nostri fedeli non si sentono a casa, ma si sentono
abbandonati e trascurati, mentre si sentono a casa, accettati, stimati e benvenuti nelle piccole
comunità dei gruppi pentecostali. La risposta può quindi essere quella di costruire un clima di
famiglia nelle nostre parrocchie attraverso delle piccole comunità, gruppi di preghiera, gruppi
per giovani ecc. e di formare persone laiche a guidare questi gruppi. Queste affermazioni
pongono la questione delle nostre strutture pastorali. È vero, c’è una carenza di sacerdoti e non
possiamo costituire delle parrocchie piccole, ma forse possiamo suddividere le nostre vaste
strutture e formare laici che siano desiderosi e capaci di condurre piccoli gruppi in servizi di
preghiera, lettura della Bibbia, aiuto per i bisogni sociali.
Una terza altra ragione può essere solo l’ignoranza riguardo alla fede cattolica e
l’ingenuità riguardo alla propaganda di altri gruppi. Molte delle persone che sono influenzate
tendono a provenire dalle aree rurali, sono cattolici ingenui o persone povere della città, che
non hanno una grande profondità nella loro fede. Quindi deve esserci una risposta nuova e
degli sforzi catechistici maggiori così che le persone sappiano e osino rispondere a questa
propaganda e alle accuse contro la Chiesa. È necessaria una migliore formazione religiosa dei
fedeli, in particolare di quelli meno educati e di quelle che provengono dalle campagne. Ciò
implica la preparazione di catechisti ben formati che possono educare altri nella formazione
della fede.
Il Direttorio sull’ecumenismo sottolinea l’importanza di questa formazione.21 Il
Direttorio traccia i mezzi di formazione, gli ambiti più adatti alla formazione (la parrocchia, la
scuola, i gruppi, le associazioni e i movimenti ecclesiali, etc.). Inoltre, il Direttorio sottolinea
l’importanza della formazione dottrinale per coloro che si dedicano al ministero pastorale,
ponendo l’attenzione anche sulla formazione in istituzioni di studi superiori.22
20
Papa Giovanni Paolo II ai Vescovi del Ghana in occasione della visita ad limina del 23 febbraio 1993 in
Cf. Direttorio per l’applicazione dei principi e delle norme sull’ecumenismo, Città del Vaticano, 1993. Il III
capitolo offer una varietà di aspetti circa la formazione ecumenica.
22
Cf. La dimensione ecumenica nella formazione di chi si dedica al minitero pastorale, Città del Vaticano, 1998.
21
12
Infine un’ultima ragione. I Pentecostali cercano un’esperienza spirituale; voglio
sperimentare lo Spirito Santo e la potenza di Dio subito, qui ed ora. Qui c’è una componente
emotiva molto forte. Per questo motivo fanno riferimento a molti passi della Bibbia,
specialmente quando vengono nominati i carismi nel Nuovo Testamento. I nostri servizi
liturgici e la nostra dottrina sembrano troppo asciutti, troppo astratti, troppo intellettuali,
troppo remoti dalla esperienza umana. È vero che molte di queste cosiddette esperienze dello
Spirito Santo sono ambigue e necessitano il discernimento degli spiriti. Ma nel Concilio
Vaticano II la Chiesa ha anche riscoperto la preoccupazione legittima, ciò significa l’aspetto
pneumatologico e carismatico della Chiesa e ha introdotto un rinnovamento della dimensione
carismatica della Chiesa (cf. LG 4; 7; 21; 49f).
Una conseguenza pratica di questa riscoperta è stato il movimento carismatico
attraverso il quale il movimento pentecostale ha aperto un varco dentro la Chiesa cattolica. In
un certo senso, si potrebbe parlare di una qualsiasi “pentecostalizzazione” della Chiesa
cattolica. Ma al contrario del movimento pentecostale fuori del cattolicesimo, il movimento
carismatico cattolico rimane all’interno delle strutture sacramentali e istituzionali della Chiesa;
ha quindi la possibilità di infondere un effetto stimolante nella Chiesa stessa.
L’approccio pneumatologico ha dato vita ad una ecclesiologia rinnovata ed è diventato
il termine chiave nella maggior parte dei documenti del dialogo ecumenico nell’ultimo
decennio. L’idea centrale e fondamentale è la partecipazione di tutti i credenti nella vita del
Dio uno e trino attraverso lo Spirito Santo (1 Gv 1,3). Lo Spirito Santo offre i suoi doni in una
grande diversità (1 Cor 12,4-11). Ciò pone numerose conseguenze ecclesiologiche, che
includono il rapporto tra il sacerdozio universale di tutti i battezzati e il sacerdote gerarchico,
tra il primato e le strutture sinodali e conciliari della Chiesa, i rapporti tra i vescovi, i sacerdoti
e i diaconi, tra i pastori e il popolo di Dio. L’approccio pneumatologico aiuta a risolvere questi
problemi in un modo più dinamico e meno statico. In altre parole: Ci sono modi prendere in
considerazione alcune intenzioni legittime del pentecostalismo nella Chiesa e quindi il dialogo
come scambio di doni è possibile e anche utile per il futuro della Chiesa.
Con quest’ultimo aspetto ritorniamo a ciò che abbiamo detto dell’ecumenismo
spirituale inteso come cuore dell’ecumenismo (UR 8). Abbiamo detto, che noi non possiamo
“fare” o organizzare l’unità; l’unità non sarà il risultato di una decisione di un qualsiasi gruppo
di dialogo ecumenico, anche se altamente qualificato. L’unità è un dono dello Spirito Santo.
Solo Lui può toccare i nostri cuori e riconciliarli. Lo Spirito di Dio è sempre pieno di sorprese.
È Lui che ha iniziato il processo ecumenico, che ha già portato molti frutti. Possiamo aver
fiducia in Lui; porterà ad un buon fine ciò che ha iniziato. Quando, come e dove, noi non lo
sappiamo. Ma possiamo pregare: “Veni Sancte Spiritus”, “Vieni Santo Spirito” Senza la
spiritualità tutte le nostre attività diventano una macchina senz’anima. Questo assume
importanza anche in questo contesto, perché il confronto con i Pentecostali è in ultima analisi
un problema spirituale e un impegno spirituale di discernimento degli spiriti.
CONCLUSIONE: NUOVA EVANGELIZZAZIONE E DIALOGO ECUMENICO
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E’ quindi chiaro: La risposta alla sfida del pentecostalismo è ciò che Papa Giovanni
Paolo II ha chiamato la nuova evangelizzazione. Oltre al impegno pastorale ordinario e
permanente, mai interrotto e di non interrompere mai, ci vuole la nuova evangelizzazione, un
nuovo slancio missionario capace di farsi sentire da quel mondo che sta cambiando tanto
rapidamente e dove molti non trovano accesso all’evangelizzazione “classica” nelle nostre
parrocchie. Tutti hanno bisogno del Vangelo; il Vangelo è destinato a tutti e non solo a una
cerchia determinata e perciò siamo obbligati a cercare nuove vie per portare il Vangelo a tutti.
La Chiesa e missionaria della sua natura.
Visto in questa prospettiva l’esplosione pentecostale in Brasile non è solamente in
problema numerico e quantitativo. Essa implica cambiamenti religiosi e istituzionali di cui
dobbiamo tenere conto per i nostri programmi pastorali. La “sfida pentecostale” di per sé è una
sfida ecumenica e missionaria, e le due sono, in ultima analisi, una sfida spirituale e di
rinnovamento spirituale. Soltanto tramite un risveglio spirituale e una rinnovata Pentecoste
saremo capaci di rispondere a questa sfida. Il mio desiderio è che questo seminario sia un
modesto ed umile contributo per un tale slancio che coinvolge tutta la Chiesa cattolica e
particolarmente quella brasiliana e che possa essere utile per trovare i modi adatti per cambiare
lo stato attuale delle relazioni tra cattolici e pentecostali e donare un futuro per la Chiesa in
America latina.
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