LA CHIESA CATTOLICA E IL MOVIMENTO ECUMENICO
L’adesione della Chiesa cattolica al movimento ecumenico costituisce una vera e propria
rivoluzione copernicana. Cambia radicalmente l’atteggiamento mantenuto per tutta la prima
metà del XX secolo nei confronti degli altri cristiani, ai quali si proponeva esclusivamente di
ritornare all’unica vera Chiesa di Cristo da cui erano separati. Così Pio XI: “Vi è un solo modo nel
quale l’unità dei cristiani può essere fomentata ed è quello di incoraggiare il ritorno all’unica vera
Chiesa di Cristo di coloro che sono da essa separati; da questa unica vera Chiesa infatti essi si
sono in passato disgraziatamente allontanati” (Lettera enciclica Mortalium animos). Il can. 1325
§3 CIC-17 proibiva di partecipare a dispute o incontri, specialmente pubblici, con i non cattolici,
senza l’autorizzazione della Sede Apostolica o, in casi urgenti, dell’Ordinario del luogo.
Nonostante ciò, proprio all’inizio del XX secolo, la Chiesa cattolica si era trovata suo
malgrado di fronte alle prime iniziative, sorte in ambito evangelico, del nascente movimento
ecumenico. Essa dovette interrogarsi sulle eventuali possibilità di incontro e di dialogo.
L’inizio del moderno movimento ecumenico viene fatto risalire alla Conferenza missionaria
mondiale che si svolse ad Edimburgo nel 1910. Essa segnava il culmine di una serie d’incontri
(New York 1854, Liverpool 1860, Londra 1878 e 1888, New York 1900) che avevano aggregato i
protestanti maggiormente preoccupati di annunciare al mondo il Vangelo. L’ottava commissione
aveva pertanto come specifico tema di discussione proprio la cooperazione e la promozione
dell’unità. La conferenza di Edimburgo ebbe tuttavia un carattere preminentemente angloamericano. Non erano presenti esponenti della Chiesa cattolica e delle Chiese ortodosse, che
d’altra parte non vi erano stati invitati.
Lo spirito ecumenico aveva cominciato a farsi sentire in alcuni ambienti contemplativi e
teologici cattolici, prima ancora che venisse recepito a livello ufficiale. Nel trentennio che
precedette il Concilio operarono figure profetiche che seppero creare le basi di quanto il Concilio
avrebbe poi teorizzato e annunciato a tutti gli uomini. Basti ricordare l’Abbé Paul Couturier,
ideatore della “Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani” ed iniziatore del gruppo ecumenico
che si riunirà prima in Svizzera dal 1936, poi alternativamente a Taizé e nella Trappa di Dombes,
oggi famoso per i suoi lavori incentrati sui punti ancora controversi tra cattolici e protestanti; il
benedettino Lambert Beauduin che fondò nel 1925 ad Amay-sur-Meuse il monastero
“dell’Unione”, che nel 1929 si trasferì a Chevetogne; il domenicano Yves Congar, membro della
Conferenza cattolica per le questioni ecumeniche insieme al card. Willebrands e della
commissione teologica preparatoria del Concilio Vaticano II.
Il vero e proprio mutamento della Chiesa cattolica di fronte al cammino ecumenico inizierà
però solo negli anni cinquanta. Qualche spiraglio di apertura lo si trova già nel 1949 nella
istruzione Ecclesia Catholica del Sant’Uffizio che giudicava positivamente il movimento
ecumenico, presentandolo come frutto dell’ispirazione dello Spirito Santo (Istruzione Ecclesia
Catholica, de motione oecumenica, 20 dicembre 1949).
Nel 1952 ebbe luogo il primo incontro annuale della “Conferenza cattolica per le questioni
ecumeniche”, il cui segretario, Johannes Willebrands, diventerà, dal 1960, segretario, e dal 1969,
presidente del neo costituito “Segretariato per l’unione dei cristiani”. La Conferenza rimase in
vita fino al 1969. Precedenti e contemporanee ad essa, altre significative esperienze del periodo
furono quelle del “Monastero dell’Unione” in Belgio, del movimento “Una Sancta” in Germania,
dell’”Istituto per l’ecumenismo” di Paderbon, del centro “Istina” a Parigi, del “Centro Pro Unione”
a Roma. Ma colui che suggellò la vera svolta della Chiesa cattolica fu Papa Giovanni XXIII che
sostenne la necessità di mettere in evidenza anzitutto ciò che ci accomuna, prima di notare ciò
che ci divide, in una visione misericordiosa, ben lontana però dal rifugiarsi in falsi irenismi,
sincretismi o compromessi nella fede.
Giovanni XXIII già nella sua prima enciclica Ad Petri cathedram, del 29 giugno 1959, non
fece appello in favore di un ricongiungimento unidirezionale con la sede di Roma, ma puntò
subito al rinnovamento della Chiesa cattolica come esempio di verità, unità e amore.
Nel dicembre 1960 ricevette l’arcivescovo Goffrey Fisher di Canterbury. L’anno seguente inviò
suoi delegati a Istanbul per salutare il patriarca ecumenico Atenagora ed ebbe corrispondenza
epistolare col patriarca Alessio di Mosca. Nel 1961 inviò osservatori ufficiali all’assemblea del
Consiglio Ecumenico delle Chiese a Nuova Delhi e nel 1963 all’Assemblea generale della
Federazione Luterana Mondiale ad Helsinki. Infine, decise di invitare osservatori di altre Chiese e
organizzazioni ecumeniche a partecipare al Concilio Vaticano II. Egli nel 1960 aveva costituito il
“Segretariato per l’unione dei cristiani” che ebbe come suo primo presidente il card. Agostino
Bea: ciò significava assumere l’ecumenismo come una priorità per il cammino futuro della Chiesa
cattolica e non considerarlo soltanto un settore da prendere in considerazione in circostanze
determinate.