Maria SS. Madre di Dio  Anno C
MARIA SS. MADRE DI DIO
LECTIO - ANNO C
Prima lettura: Numeri 6,22-27
Il Signore parlò a Mosè e disse: «Parla ad Aronne e ai suoi figli dicendo: “Così benedirete
gli Israeliti: direte loro: Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te
il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace”. Così
porranno il mio nome sugli Israeliti e io li benedirò».
 La pericope, che ha una chiara intonazione liturgica, conclude le prescrizioni sul
nazireato, ma è facilmente estrapolabile dal suo ambito proprio e adattabile ad ogni
contesto di preghiera. Si tratta infatti di una benedizione che veniva usata al termine delle
liturgie o dei sacrifici e si impartiva ogni giorno dopo il sacrificio della sera. Parola chiave
della pericope il verbo benedire.
La radice ebraica brk è alla base di una importante famiglia di parole che esprimono la
felicità dell'uomo e il dono divino che ne è la sorgente. Il verbo usato nella forma attiva, e
in modo particolare nel contesto liturgico e celebrativo, esprime la comunicazione dei beni
divini attraverso un mediatore.
Normalmente benedire è ufficio del sacerdote, ma anche il padre o il re (2Sm 6,18)
benedicono. In questo testo, risalta molto chiaramente che Dio è l'origine fontale della
benedizione: il verbo «benedire» e la forma deprecativa esplicitano bene l'iniziativa e
l'opera del Signore.
L'uomo, al contrario, non è fonte di benedizione in se stesso, ma è mezzo di benedizione
in virtù di un dono ricevuto dall'alto. La benedizione di Dio, inoltre, si distingue da quella
umana per la sua efficacia: la parola di Dio è sempre evento di salvezza, non ritorna
indietro senza aver dato i suoi frutti (cf. Is 55,10-11).
Segni della benedizione di Dio sono: il volto del benedetto che riflette la luce di colui
che benedice; la grazia, la gioia e la pace. Il possesso di questi doni, sempre attesi, ma mai
pienamente avuti, da parte dell'uomo o del popolo, porterà i profeti ad invocarli come
doni messianici. Il messia sarà chiamato il benedetto per eccellenza; fonte di benedizione
per tutti gli uomini; sorgente di gioia, di grazia, di salvezza e di pace.
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Seconda lettura: Galati 4,4-7
Fratelli, quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato
sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a
figli. E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo
Figlio, il quale grida: Abbà! Padre! Quindi non sei più schiavo, ma figlio e, se figlio, sei anche
erede per grazia di Dio.
 Il brano inizia con un'espressione tipicamente paolina («pienezza del tempo») che fa
cogliere tutta la straordinarietà del momento di cui l'Apostolo sta parlando. Con questa
espressione, Paolo non indica il sopraggiungere di un tempo prefissato, ma la maturazione
progressiva e graduale della storia di salvezza. Una storia che, giunta oramai al suo pieno
compimento, fa scaturire il dono di salvezza per eccellenza: Gesù, Figlio di Dio.
Il Figlio di Dio è un figlio, nato da donna, cioè veramente uomo. Il Figlio che si è
spogliato delle prerogative divine e che si è sottoposto ai limiti dello spazio e del tempo,
alla legge degli uomini in vista del riscatto di tutta l'umanità. Una umanità che potrà
essere salvata proprio poiché resa figlia nel Figlio fatto uomo.
Il termine giuridico usato da Paolo («adozione a figli»), sottolinea maggiormente la
gratuità dell'amore di Dio Padre, che ha tanto amato gli uomini da renderli suoi figli
donando l'unico Figlio. Essere figli significa possedere intimamente lo stesso Spirito che
anima e vivifica la vita dell'Unigenito e crea in lui quel rapporto intimo e particolare con il
Padre.
Anche noi, resi figli, partecipiamo della stessa figliolanza divina e possiamo gridare con
Cristo abbà: una parola che è l'espressione di questa nuova intimità di rapporto col Padre.
Come figli legittimi, partecipiamo, inoltre, già della stessa eredità dell'unico figlio,
garantita dalla caparra dello Spirito, che si realizzerà pienamente nel futuro escatologico.
Le prerogative divine, a cui il Dio fatto uomo ha rinunciato per condurre l'umanità alla
salvezza, saranno restituite a lui nella risurrezione. Attraverso di lui e dopo di lui, saranno
date a tutti i risorti nella parusia.
La benedizione di Dio promessa ad Abramo, e a tutti i suoi figli, si realizza pienamente
con l'incarnazione del Verbo, il Benedetto per eccellenza: da lui scaturisce ogni
benedizione per noi e in lui si compiono tutte le promesse di Dio Padre, per l'umanità
intera.
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Vangelo: Luca 2,16-21
In
quel tempo, [i pastori] andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il
bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato
detto loro. Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte
sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. I pastori se ne tornarono,
glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.
Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù,
come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo.
Esegesi
Luca ama sottolineare l'aspetto universale e missionario del vangelo e illustra la nascita
del Figlio di Dio circondando il racconto in una cornice di gioia e di lode. I pastori,
ricevuto l'annunzio dell'angelo (Lc 2,10-12), si fanno messaggeri del lieto evento, di ciò che
hanno visto e di quanto hanno udito. La fretta, con la quale si muovono, è espressione del
loro
stato d'animo, che rivela la volontà di agire e di rispondere immediatamente al «segno»
che è stato loro mostrato. Essi non ragionano come i dotti e i sapienti, per questo si
muovono senza indugio per vedere la realizzazione della parola di Dio, che si è compiuta.
Il termine usato da Luca, rema, per descrivere «ciò che del bambino era stato detto loro» fa
pensare sia all'annuncio della parola sia alla sua realizzazione: Gesù Cristo, Parola di Dio
incarnata nella storia dell'uomo, risposta vivente alla domanda di salvezza dell'umanità.
L'ambiente semplice e povero, ritratto da Luca, nulla toglie all'atmosfera gioiosa, anzi ne
sottolinea l'autenticità.
La gioia dei pastori nasce, non dalla contemplazione di manifestazioni esterne e
straordinarie (astri nel cielo, doni preziosi e profumati...), ma dall'incontro con il Salvatore,
Cristo Signore. Nell'umile grotta di Betlemme giace l'amore, risuona la lode, regna la pace
messianica. Raccolti attorno al bambino, contemplano il Messia, assaporano la gioia del
compimento delle promesse e subito partecipano agli altri la loro traboccante esultanza: gli
ultimi della scala sociale possono avere qualcosa da dire a tanti che sono più in alto di
loro. È la logica di Dio che rivoluziona le rigide logiche umane.
Alla gioia entusiasta dei pastori Luca contrappone la gioia raccolta di Maria «Maria, da
parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. I pastori se ne tornarono,
glorificando e lodando Dio» (Lc 2,19). L'annuncio dell'angelo, avvolto dal mistero, a cui ella
aveva aderito senza remore, si chiarificava lentamente, alla luce dell'evento della nascita
del Figlio di Dio. I due verbi custodiva e meditava fanno comprendere molto bene il
dramma interiore di Maria che assiste silenziosa e partecipe alla realizzazione del progetto
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di Dio. Nulla è chiaro in ciò che sta accadendo. Tuttavia Maria non chiede: accoglie. Maria
non indaga: accetta. Maria non esita: ama il dono prezioso di Dio e si prepara a offrirlo al
mondo.
La piena luce in lei giungerà alla fine della sua esistenza, ma nel frattempo si cala
profondamente nel suo ruolo di madre del Dio fatto uomo. Impara a stare accanto al Figlio
partecipando e accompagnando senza clamori le sue gioie e i suoi successi, le sue ansie e le
sue sofferenze, riflettendo la luce di salvezza che da lui scaturisce. Non assume, né
pretende di avere un ruolo da protagonista. Una scelta, questa, che la contraddistinguerà
in tutti i momenti della sua vita di Madre accanto al Figlio. Accetterà di essere messa da
parte dinanzi alla priorità della missione che il Padre ha affidato al Figlio (Lc 2,49: «non
sapevate che devo occuparmi delle cose del padre mio?»). Timidamente esorterà l'inizio del
ministero (Gv 2,3: «non hanno più vino»). Sempre gli sarà accanto soprattutto nelle ore più
tristi, quando tutti lo abbandoneranno e il mistero di salvezza sembrerà infittirsi (Gv 19,25:
«stavano presso la croce Maria la madre sua...»). Parteciperà gioiosa dei frutti della
resurrezione attendendo il dono dello Spirito (At 1,14: «...assidui e concordi nella preghiera,
insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù...») irradiando la luce di salvezza del
Figlio sarà fedele figlia e madre nella sua Chiesa.
I pastori destinatari e portatori dell'annuncio della nascita del Figlio di Dio tornano ai
loro greggi, alle loro occupazioni, alle loro case, lasciandosi dietro un'atmosfera gioiosa
ricca di lode e di esultanza. Da Dio hanno ricevuto il dono di vivere questo evento di
salvezza, a lui rivolgono ora la gloria. Glorificano Dio, origine e sorgente di ogni gloria, e
rendono a lui la gioia che da Lui hanno ricevuto. Una gloria che esalta, celebra, riconosce i
segni meravigliosi dell'intervento di Dio nella storia dell'uomo. Una gloria che manifesta
la realizzazione dei tempi messianici, inaugurati dalla nascita del Figlio di Dio.
Luca chiude questo quadro gioioso con l'annotazione, di carattere storico, del
compimento delle prescrizioni della legge mosaica. L'incarnazione, l'evento gioioso di
salvezza di cui i pastori sono ora testimoni e che Maria conserva e custodisce nel suo
cuore, comporta anche la sottomissione del Figlio di Dio alla legge umana. Tuttavia
l'ultima parola spetta nuovamente a Dio che, nel nome del Figlio di Maria, rivela ancora
una volta la sua volontà salvifica universale: il Figlio è Gesù, che significa JHWH salva.
Meditazione
Più motivi di celebrazione confluiscono nella solennità odierna. La liturgia concentra lo
sguardo, a otto giorni dalla natività di Gesù, sul mistero di Maria, Madre di Dio. La madre
non è separabile dal figlio e riceve da lui la sua luce e la sua dignità. La liturgia non
dimentica tuttavia che siamo all'inizio di un nuovo anno, e che per volontà di Paolo VI in
questo giorno si celebra la Giornata mondiale per la pace. Infine, nel versetto conclusivo
del vangelo di Luca che oggi viene proclamato, ascoltiamo l'eco della festa celebrata prima
della riforma liturgica: l'imposizione del nome «Gesù» e la circoncisione del figlio della
Vergine.
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La prima lettura tratta dal libro dei Numeri riporta la benedizione sacerdotale di
Aronne. All'inizio di un nuovo anno siamo indotti a riflettere sul senso del tempo, sul suo
inarrestabile trascorrere e sul desiderio umano di dominarlo o di prevederlo, senza
riuscirvi. Ciò che Dio affida ad Aronne e ai suoi figli di fare ricorda che il tempo è sotto la
sua benedizione. È luogo in cui Dio ci viene incontro, dicendo e operando il nostro bene,
proteggendoci, mostrandoci il suo volto, donandoci la pace e un nome nuovo, che è il suo
stesso Nome imposto sulla nostra vita, come sua benedizione e sua salvezza. Il tempo è
sempre grembo fecondo di una novità, non perché a un anno che finisce ne subentri un
altro, ma perché nel tempo ci si rivela quel Dio che fa nuove tutte le cose. Soprattutto ci
rinnova mediante il dono del suo stesso Nome. Dio è davvero il Dio di Abramo, di Isacco,
di Giacobbe, il Dio di Gesù Cristo, il Dio di ciascuno di noi, che lega indissolubilmente il
suo Nome al nostro, ed è in questa alleanza fedele e feconda che troviamo novità, vita,
pace.
Il tempo è ricolmo di questa presenza di Dio. Tale è la pienezza del tempo di cui parla
Paolo nella seconda lettura, tratta dalla lettera ai Galati. Il tempo giunge alla sua pienezza
quando il Figlio di Dio vi entra e lo riempie di sé, condividendo in tutto la condizione
umana. Nasce sotto la Legge, in solidarietà profonda con il suo popolo, come «uno del suo
popolo», che secondo la Torà deve essere circonciso all'ottavo giorno. La circoncisione è
segno dell'alleanza. Circoncidendo il membro sessuale maschile, attraverso cui avviene la
generazione di una vita nuova, l'israelita afferma che ogni suo figlio nasce nell'alleanza e
in una relazione singolare con Dio. Paolo aggiunge però «nato da donna», come ogni altro
uomo. Gesù si fa solidale non solo con i figli dell'alleanza, ma con ogni figlio di donna,
senza esclusione alcuna. Tutti gli uomini, di ogni razza, cultura, religione, sono «figli di
donna», e Gesù entra in comunione con ciascuno di loro. In questo modo, in lui e
attraverso di lui, la benedizione che Aronne impartiva sugli Israeliti viene estesa a tutti, su
tutti Dio fa brillare il suo volto e dona la sua pace. Il tempo giunge a pienezza perché si
compie la promessa fatta ad Abramo: «In te si diranno benedette tutte le famiglie della
terra» (Gen 12,3).
Dio pone il suo nome su di noi - afferma il libro dei Numeri - e questo nome ora
possiamo invocarlo, ci ricorda Paolo, nello Spirito del suo Figlio che grida «Abbà! Padre!»
(cfr. Gal 4,6). Dio ci dona il suo nome e ci dona anche la possibilità di invocarlo in modo
nuovo, come figli che possono rimanere in una vera relazione filiale con lui.
L'evangelo di Luca, infine, ci rivela che questo nome che Dio ci dona è il nome che viene
imposto sul figlio di Maria, «Gesù», che significa «Dio salva»: In questo figlio della
circoncisione e figlio di una donna, Dio per sempre, senza pentimenti, rivolge a noi il suo
volto fino ad assumere un volto umano, e ci dona un nome, anzi il solo nome in cui
possiamo trovare salvezza. «Non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel
quale è stabilito che noi siamo salvati», come testimonia Pietro davanti al Sinedrio (At
4,12).
L'atteggiamento autentico con cui contemplare questo indicibile mistero di salvezza è
quello di Maria, descrittoci da Luca nell'evangelo. In lei c'è il silenzio di un ascolto
profondo, che accoglie e custodisce. Come ha ascoltato la parola di Gabriele, ora ascolta la
parola dei pastori, i quali riferiscono «ciò che del bambino era stato detto loro» (v. 17).
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Ascolta e obbedisce anche alla parola delle Scritture, facendo circoncidere il figlio
all'ottavo giorno, come prescritto nella Torà di Mosè. Chi sa ascoltare e custodire nel
silenzio del cuore e nella ricchezza della fede giunge a discernere la parola di Dio nel suo
manifestarsi in modi molteplici: nell'angelo, nei pastori, nelle Scritture. Non basta tuttavia
l'ascolto; Maria sa anche meditare nel cuore, andando oltre il semplice stupore degli altri.
Occorre sapersi stupire davanti all'agire di Dio, ma poi lo stupore deve farsi domanda,
ricerca, riflessione. Il verbo greco usato dall'evangelista significa più propriamente
«mettere insieme, confrontare». L'ascolto della Parola richiede questo discernimento che sa
mettere insieme e nel giusto rapporto aspetti che altrimenti potrebbero sembrare
contraddittori: la parola di Gabriele che annuncia la grandezza e la santità di colui che sarà
chiamato Figlio dell'Altissimo, la parola dei pastori, poveri e marginali, che riconoscono il
segno in un bambino deposto in una mangiatoia. Solo chi come Maria custodisce un cuore
unificato dal silenzio, dall'ascolto, dalla meditazione, riconosce il modo paradossale di
manifestarsi di Dio, mai ovvio e sempre sorprendente rispetto alle nostre attese e alle
nostre logiche.
Questo ascolto della parola consente a Maria di accogliere e generare nella carne il
Verbo di Dio. È la Madre di Dio, che diviene anche Madre dei credenti, perché assumendo
il suo atteggiamento può maturare anche in noi la vera fede.
Preghiere e racconti
Dall’indifferenza alla misericordia: la conversione del cuore
«Quando, un anno fa, nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace “Non più
schiavi, ma fratelli”, evocavo la prima icona biblica della fraternità umana, quella di Caino
e Abele (cfr Gen 4,1-16), era per attirare l’attenzione su come è stata tradita questa prima
fraternità. Caino e Abele sono fratelli. Provengono entrambi dallo stesso grembo, sono
uguali in dignità e creati ad immagine e somiglianza di Dio; ma la loro fraternità
creaturale si rompe. «Non soltanto Caino non sopporta suo fratello Abele, ma lo uccide
per invidia» (Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2015, 2). Il fratricidio allora
diventa la forma del tradimento, e il rifiuto da parte di Caino della fraternità di Abele è la
prima rottura nelle relazioni familiari di fraternità, solidarietà e rispetto reciproco.
Dio interviene, allora, per chiamare l’uomo alla responsabilità nei confronti del suo
simile, proprio come fece quando Adamo ed Eva, i primi genitori, ruppero la comunione
con il Creatore. «Allora il Signore disse a Caino: “Dov’è Abele, tuo fratello?”. Egli rispose:
“Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?”. Riprese: “Che hai fatto? La voce del
sangue di tuo fratello grida a me dal suolo!”» (Gen 4,9-10).
Caino dice di non sapere che cosa sia accaduto a suo fratello, dice di non essere il suo
guardiano. Non si sente responsabile della sua vita, della sua sorte. Non si sente coinvolto.
È indifferente verso suo fratello, nonostante essi siano legati dall’origine comune. Che
tristezza! Che dramma fraterno, familiare, umano! Questa è la prima manifestazione
dell’indifferenza tra fratelli. Dio, invece, non è indifferente: il sangue di Abele ha grande
valore ai suoi occhi e chiede a Caino di renderne conto. Dio, dunque, si rivela, fin dagli
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Maria SS. Madre di Dio  Anno C
inizi dell’umanità come Colui che si interessa alla sorte dell’uomo. Quando più tardi i figli
di Israele si trovano nella schiavitù in Egitto, Dio interviene nuovamente. Dice a Mosè:
«Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi
sorveglianti; conosco, infatti, le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dalla mano
dell’Egitto e per farlo uscire da questo paese verso un paese bello e spazioso, verso un
paese dove scorre latte e miele» (Es 3,7-8). È importante notare i verbi che descrivono
l’intervento di Dio: Egli osserva, ode, conosce, scende, libera. Dio non è indifferente. È
attento e opera.
Allo stesso modo, nel suo Figlio Gesù, Dio è sceso fra gli uomini, si è incarnato e si è
mostrato solidale con l’umanità, in ogni cosa, eccetto il peccato. Gesù si identificava con
l’umanità: «il primogenito tra molti fratelli» (Rm8,29). Egli non si accontentava di
insegnare alle folle, ma si preoccupava di loro, specialmente quando le vedeva affamate
(cfr Mc 6,34-44) o disoccupate (cfr Mt 20,3). Il suo sguardo non era rivolto soltanto agli
uomini, ma anche ai pesci del mare, agli uccelli del cielo, alle piante e agli alberi, piccoli e
grandi; abbracciava l’intero creato. Egli vede, certamente, ma non si limita a questo, perché
tocca le persone, parla con loro, agisce in loro favore e fa del bene a chi è nel bisogno. Non
solo, ma si lascia commuovere e piange (cfr Gv 11,33-44). E agisce per porre fine alla
sofferenza, alla tristezza, alla miseria e alla morte.
Gesù ci insegna ad essere misericordiosi come il Padre (cfr Lc 6,36). Nella parabola del
buon samaritano (cfr Lc 10,29-37) denuncia l’omissione di aiuto dinanzi all’urgente
necessità dei propri simili: «lo vide e passò oltre» (cfr Lc10,31.32). Nello stesso tempo,
mediante questo esempio, Egli invita i suoi uditori, e in particolare i suoi discepoli, ad
imparare a fermarsi davanti alle sofferenze di questo mondo per alleviarle, alle ferite degli
altri per curarle, con i mezzi di cui si dispone, a partire dal proprio tempo, malgrado le
tante occupazioni. L’indifferenza, infatti, cerca spesso pretesti: nell’osservanza dei precetti
rituali, nella quantità di cose che bisogna fare, negli antagonismi che ci tengono lontani gli
uni dagli altri, nei pregiudizi di ogni genere che ci impediscono di farci prossimo.
La misericordia è il cuore di Dio. Perciò dev’essere anche il cuore di tutti coloro che si
riconoscono membri dell’unica grande famiglia dei suoi figli; un cuore che batte forte
dovunque la dignità umana – riflesso del volto di Dio nelle sue creature – sia in gioco.
Gesù ci avverte: l’amore per gli altri – gli stranieri, i malati, i prigionieri, i senza fissa
dimora, perfino i nemici – è l’unità di misura di Dio per giudicare le nostre azioni. Da ciò
dipende il nostro destino eterno. Non c’è da stupirsi che l’apostolo Paolo inviti i cristiani
di Roma a gioire con coloro che gioiscono e a piangere con coloro che piangono
(cfr Rm 12,15), o che raccomandi a quelli di Corinto di organizzare collette in segno di
solidarietà con i membri sofferenti della Chiesa (cfr 1 Cor 16,2-3). E san Giovanni scrive:
«Se qualcuno possiede dei beni di questo mondo e vede suo fratello nel bisogno e non ha
pietà di lui, come potrebbe l’amore di Dio essere in lui?» (1 Gv3,17; cfr Gc 2,15-16).
Ecco perché «è determinante per la Chiesa e per la credibilità del suo annuncio che essa
viva e testimoni in prima persona la misericordia. Il suo linguaggio e i suoi gesti devono
trasmettere misericordia per penetrare nel cuore delle persone e provocarle a ritrovare la
strada per ritornare al Padre. La prima verità della Chiesa è l’amore di Cristo. Di questo
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amore, che giunge fino al perdono e al dono di sé, la Chiesa si fa serva e mediatrice presso
gli uomini. Pertanto, dove la Chiesa è presente, là deve essere evidente la misericordia del
Padre. Nelle nostre parrocchie, nelle comunità, nelle associazioni e nei movimenti,
insomma, dovunque vi sono dei cristiani, chiunque deve poter trovare un’oasi di
misericordia» (Misericordiae Vultus, 12.).
Così, anche noi siamo chiamati a fare dell’amore, della compassione, della misericordia
e della solidarietà un vero programma di vita, uno stile di comportamento nelle nostre
relazioni gli uni con gli altri (Misericordiae Vultus, 13). Ciò richiede la conversione del
cuore: che cioè la grazia di Dio trasformi il nostro cuore di pietra in un cuore di carne
(cfr Ez 36,26), capace di aprirsi agli altri con autentica solidarietà. Questa, infatti, è molto
più che un «sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di
tante persone, vicine o lontane» (Sollecitudo rei socialis, 38). La solidarietà «è la
determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene
di tutti e di ciascuno perché tutti siamo veramente responsabili di tutti» (Sollecitudo rei
socialis, 38), perché la compassione scaturisce dalla fraternità.
Così compresa, la solidarietà costituisce l’atteggiamento morale e sociale che meglio
risponde alla presa di coscienza delle piaghe del nostro tempo e dell’innegabile interdipendenza che sempre più esiste, specialmente in un mondo globalizzato, tra la vita del
singolo e della sua comunità in un determinato luogo e quella di altri uomini e donne nel
resto del mondo (Sollecitudo rei socialis, 38).
La pace per tutti nasce dalla giustizia di ciascuno e nessuno può eludere questo
impegno essenziale di promuovere la giustizia, secondo le proprie competenze e
responsabilità. Invito in particolare i giovani, che hanno sempre viva la tensione verso gli
ideali, ad avere la pazienza e la tenacia di ricercare la giustizia e la pace, di coltivare il
gusto per ciò che è giusto e vero, anche quando ciò può comportare sacrificio e andare
controcorrente».
(Messaggio del Santo Padre Francesco per la celebrazione della XLIX GIORNATA
MONDIALE DELLA PACE, 1° GENNAIO 2016: «Vinci l’indifferenza e conquista la pace»).
Maria, Madre della pace
Maria
ci
appare
dalle
profondità
dell’infinito in una mandorla stellata,
circondata da quattro angeli che la onorano
gioiosi. Lei è là, nella gloria del cielo: ci aspetta
a braccia aperte e intercede per noi presso Dio.
Contempliamo Maria
aprendo a Lei il cuore.
Contempliamo Maria
nella sua bellezza.
Contempliamo Maria ascoltandola
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e imparando da Lei.
Contempliamo Maria
esprimendo a Lei
i nostri bisogni immensi.
Contempliamo la Donna,
la Vergine,
colei che non teme di perdere e di perdersi.
Contempliamo la Madre
genitrice del Verbo,
lasciando che generi in noi
il Cristo vivente.
Contempliamo Maria orante
e intercediamo
per il mondo intero.
Contempliamo Maria
mettendoci nelle sue mani
con la nostra piccolezza.
Contempliamo Maria per se stessa,
trascorrendo del tempo con Lei
in silenzio gioioso
in stupore estasiato,
cullati dal suo amore di madre
infinita tenerezza per ogni creatura.
Maria!
Desiderata pace
sconfinato bene...
IL GREMBO DELLA MADRE
«Il Signore faccia brillare il suo volto su di te
e ti sia propizio. Il Signore rivolga su di te
il suo volto e ti conceda pace». (Nm 6,25-26)
«Tutti quelli che udirono, si stupirono delle cose che i pastori dicevano. Maria, da parte
sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore». (Lc 2, 18-19).
L’anno nuovo ha fatto irruzione nella nostra vita.
L'augurio
«Buon anno!» diciamo a tutti e stringiamo mille mani per esprimere ai nostri compagni
di viaggio, imbarcati con noi sulla nave della vita, l'auspicio di tanta felicità.
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Non c'è nulla di più bello e di più sacro di questo intreccio di mani, fatto a Capodanno:
dovrebbe essere il simbolo di una volontà di amore, di apertura, di dialogo, di impegno a
costruire un fitto reticolato di solidarietà tra tutti gli uomini, nella giustizia e nella
fratellanza.
Se davvero ognuno di noi, per rendere il mondo più umano, mettesse nel corso di tutto
l'anno lo stesso puntiglio con cui in queste ore dona e riceve gli auguri, la causa della pace
nel mondo sarebbe già mezzo risolta. Purtroppo, però, in questo scambio di felicitazioni
prevale più lo scongiuro che il senso della speranza cristiana. Sembra quasi che si voglia
esorcizzare l'avvenire con formule scaramantiche, gravide di paure più che di promesse.
Diciamo «auguri», ma ci trema la voce. Stringiamo la mano, ma il braccio è malfermo. È
che siamo sopraffatti dallo scoraggiamento, rassegnati di fronte agli insuccessi, appesantiti
dalla barbarie presente nel mondo. Nonostante tutto, però, di fronte a un anno che nasce, a
noi credenti è severamente proibito essere pessimisti.
Qualche anno fa era in cartellone, presso i maggiori teatri d'Italia, uno spettacolo dal
titolo «Chi vuol esser lieto sia, di doman c'è gran paura». È un'espressione che non
possiamo assolutamente condividere, perché se c'è qualcosa che il domani contiene, questa
ha un nome: la speranza di oggi. Non lasciamoci, perciò, sopraffare dalla ineluttabilità del
male. Poniamo gesti significativi di riconciliazione. Svegliamo l'aurora. Proclamiamo
sempre più con le opere e sempre meno con le chiacchiere che Gesù Cristo è vivo e
cammina con noi.
La speranza
Nostra speranza è, oggi, la pace. Da quando Paolo VI l'ha scelto per la celebrazione
della Giornata mondiale della pace, l'augurio di riconciliazione e di solidarietà scavalca la
sfera dei rapporti strettamente personali e raggiunge gli estremi confini della terra.
È molto significativo che l'anno nuovo cominci proprio con questo impegno,
sottolineato ogni volta da un particolare tema di riflessione proposto dal Papa. Sembra
quasi che si voglia mettere sotto un unico grande manifesto programmatico le opere e i
giorni di questo nuovo arco di storia. Per noi credenti, comunque, la giornata della pace
non può essere un rito celebrativo. Se non ci scomoda, se non ci fa stare sulle spine, se non
ci induce a salire sulle barricate, se non ci sollecita a scelte che costano, se non ci procura il
sorriso o il fastidio di qualche benpensante, sarà solo l'occasione per una risciacquata di
buone emozioni.
Gravi situazioni di non pace sono presenti nel mondo. Le logiche di guerra
imperversano ancora, anche se dai campi di battaglia hanno traslocato sui tavoli di
un'economia che penalizza i poveri. La corsa alle armi, nonostante i segnali positivi
lanciati da tanta gente di buona volontà, non accenna a fermarsi. La militarizzazione del
territorio è ancora costume consolidato. La connessione tra malavita internazionale,
commercio di armi e commercio di droga si fa sempre più oscena. La violazione dei
diritti umani, espressa a volte su popoli interi, continua a turbarci. Il degrado ambientale,
oltre a preoccupare per il futuro gravido di incubi, ci fa cogliere in positivo i nodi che
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legano pace, giustizia e salvaguardia del creato. Così ogni operazione di guerra e ogni
violazione della giustizia si tramutano in allucinanti serbatoi di paure cosmiche.
Di fronte a questo quadro, il lamento deve prevalere sulla danza? No, nel modo più
assoluto. Bisogna però prendere posizione. La giornata della pace deve provocare
all'esodo, alla vera transumanza (trans humus = passaggio da una terra all'altra), richiesta
alla nostra coscienza cristiana. Perciò lo studio sui temi della nonviolenza attiva e
l'assunzione della difesa popolare nonviolenta come modulo che assicura la convivenza
pacifica tra i popoli, devono diventare proposito concreto da esprimere tutto l'anno.
La benedizione
Due segni fanno prevalere la speranza sulla tristezza dei presagi.
II primo è il volto del Padre. Il Signore ci aiuterà. Imploriamolo con la preghiera. Se egli
farà «brillare il suo volto su di noi» (Nm 6, 25), non avremo bisogno di scomodare gli
oroscopi per pronosticare un futuro gonfio di promesse. Tutto questo significa che
dobbiamo camminare alla luce del suo volto e, riscoperta la tenerezza della sua paternità,
impegnarci una buona volta nell'osservanza della sua legge. E il secondo è il grembo della
Madre. Tutti i nostri buoni propositi prenderanno carne e sangue se saranno gestiti nel
grembo di Maria. È il luogo teologico fondamentale, dove i grandi progetti di salvezza si
fanno evento.
II figlio della pace ha trovato dimora in quel grembo duemila anni fa. Oggi è solo in
quel grembo che avrà concepimento e gestazione la pace dei figli. Per cui la festa di Maria
madre di Dio, mentre ricorda le altezze di gloria a cui la creatura umana è stata chiamata,
ci esorta anche a sentirci così teneramente figli di lei, da riscoprire in quell'unico grembo le
ragioni ultime del nostro impegno di fratellanza e di pace.
(Don Tonino Bello, Avvento. Natale. Oltre il futuro, Padova, Messaggero, 2007, 85-90).
* Per l’elaborazione della «lectio» di questa domenica, oltre al nostro materiale di archivio, ci siamo serviti di:
o serviti di:
- Temi di predicazione, Napoli, Editrice Domenicana Italiana, 2002-2003; 2005-2006.
- G. TURANI, Avvento e natale 2011. Sarà chiamato Dio con noi. Sussidio liturgico-pastorale, San Paolo, 2011.
- Messalino festivo dell’Assemblea, Bologna, EDB, 2007.
- Eucaristia e Parola. Testi per le celebrazioni eucaristiche di Avvento e Natale, a cura di Enzo Bianchi et al., Milano,
Vita e Pensiero, 2005.
- La Bibbia per la famiglia, a cura di G. Ravasi, Milano, San Paolo, 1998.
- J.B. METZ, Avvento-Natale, Brescia, Queriniana, 1974.
- E. BIANCHI, Le parole della spiritualità. Per un lessico della vita interiore, Milano, Rizzoli, 21999.
- T. BELLO, Avvento. Natale. Oltre il futuro, Padova, Messaggero, 2007.
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