Carissimo Giacomo, - Diocesi di Brescia

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Te Deum, 2006
Siamo giunti questa sera al termine di un altro anno e ogni fine richiama
sfumature di malinconia. Il tempo che passa ci è soprattutto indicato da questa data
convenzionale che sembra concludere un ciclo per aprirne un altro che è, come
sempre il futuro, colmo di un insondabile mistero.
La nota di tristezza che ci viene da questa data è per tante ragioni naturale.
Infatti il rapporto dell’uomo col tempo, nella lunga storia del pensiero occidentale,
non è mai stato facile.
La considerazione che i mesi e le stagioni dell’anno corrono veloci e che,
nonostante i propositi e i progetti umani, tanti errori e tante sofferenze si ripetono,
può indurre molti ad una forma di pessimismo che considera inutile l’impegno
perché, come già si trova scritto nella Bibbia, “tutto è vanità”, quello che è accaduto
accadrà, ancora e niente è nuovo sotto il sole.
Ma molti potrebbero cadere in una opposta, ma sempre errata, concezione del
tempo, oggi così facilmente alimentata dal consumismo imperante: assicurarsi il
godimento dell’attimo che ci fugge di mano: “ mangiamo e beviamo perché domani
morremo”.
Posizione propagandata da alcuni filosofi e poeti pagani, ma accolta anche dal
popolo d’Israele, in particolare dagli abitanti di Gerusalemme rimproverati, per
questo, dal profeta Isaia (22, 13).
Entrambe queste visioni portano a fuggire in modi diversi dal tempo, rifiutando
la fatica dell’impegno, della responsabilità, della dedizione al bene comune.
La parola di Dio risuonata questa sera nella festività della Madre di Dio che
caratterizza il Capodanno liturgico della Chiesa, ci invita a collocarci nel tempo in
modo ben diverso. Infatti la prima lettura parla della benedizione di Dio all’umanità.
E benedizione, nell’accezione biblica, significa protezione, grazia e pace che da Dio
si riversano nella storia dell’uomo, singoli e popoli.
Ma ancora i brani ascoltati ci dicono che questa benedizione di Dio
sull’umanità ha trovato compimento in Gesù. Quel Gesù, “nato da donna, nato sotto
la legge”, come è stato proclamato nella seconda lettura, quindi pienamente entrato
nel tempo, assumendo tutte le caratteristiche di un periodo storico con la sua cultura.
Il Vangelo ci ha ricordato che oggi è la festa della Maternità di Maria, così appare
infatti agli occhi dei pastori, e che il Dio fatto carne è stato circonciso l’ottavo giorno
ed è stato chiamato col nome di Gesù. È un nome che indica la volontà di salvezza di
Dio. Gesù significa “il Signore Salva” ed è lui la benedizione di Dio fatta persona.
L’espressione “far brillare il proprio volto”, usata dal libro dei Numeri e riferita
a Dio in relazione al suo popolo, significa lo sciogliersi dei lineamenti del volto nel
sorriso, pieno di benevolenza. Nel volto di Cristo su cui rifulge la gloria di Dio,
l’umanità si sente benvoluta da Dio. Si potrebbe dire che Gesù è il sorriso di Dio
all’umanità.
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Ed è una umanità che ha tanto bisogno, oggi, di sentirsi chiamata alla salvezza,
perché delusa dalle tante salvezze umane che si sono rivelate ingannevoli, come ha
ricordato Benedetto XVI nel giorno di Natale. Il cristiano, quindi, guarda alla storia
segnata dall’inesorabile scorrere del tempo con la certezza che i costruttori della casa
non si affaticano invano e i custodi della città non vegliano inutilmente perché con
loro opera la grazia di Dio.
Questo sguardo positivo, costruttivo e fiducioso deve essere quello che ci
anima stasera mentre tentiamo di fare bilanci del passato e formuliamo auguri per il
futuro.
A livello internazionale e nazionale non mancano profonde tensioni dovute non
solo a forme di ingiustizie sociali, guerre e contrapposizioni politiche, ma anche a
contrapposizioni culturali, ideologiche e religiose.
Tuttavia, come ha dimostrato anche il recente viaggio del Santo Padre in
Turchia a proposito del non facile confronto con l’Islam, il dialogo, la pazienza e la
conoscenza reciproca possono fare breccia e preparare un futuro che non ha più
bisogno di ricorrere alla violenza e alla distruzione.
Inoltre è diventata “globale” anche una radicale contraddizione: una scienza e
una tecnica che fanno di tutto per alleviare le sofferenze dell’uomo e il rischio di
annullare l’uomo stesso, considerandolo cosa e non persona.
Già nel 1917 il poeta e saggista francese Paul Valèry, durante la tragedia della
prima guerra mondiale, denunciava la scienza come disonorata dalla ferocia delle sue
applicazioni. Oggi il disonore non riguarda solo l’applicazione bellica, ma la stessa
struttura dell’uomo dal concepimento alla morte.
L’uomo non è alienato dalla fede, dalla religione o dal cristianesimo ma
piuttosto da uno sviluppo scientifico e tecnico affrancati da ogni principio morale e
etico.
Il pensiero, poi, corre alla nostra cara Brescia che lascia alle spalle un anno
certamente carico di aspetti positivi ma anche difficile per le non poche
contraddizioni emerse che hanno avuto nell’estate scorsa, il loro picco in una serie di
efferati delitti che hanno portato la città alla ribalta della cronaca nazionale per più
settimane.
Mentre rinnovo vicinanza e condivisione di sentimenti nei confronti di chi ha
sofferto e soffre, sento il dovere di ribadire che quanto accaduto è frutto del
complesso momento che il nostro Paese sta attraversando, segnato
contemporaneamente da facile benessere e da nuove povertà, da antiche tradizioni e
nuove culture che avanzano, da valori tradizionali ben radicati e da nuove scale di
valori, tutti da verificare, imposti dalla modernità.
Sono certo che Brescia, nella sua gente ammirevole per solidarietà a umanità,
nei suoi amministratori che hanno una forte tradizione di buon governo, nelle forze
dell’ordine sempre lodevoli per il loro servizio, saprà rispondere positivamente alle
nuove sfide che si impongono.
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La Chiesa bresciana non mancherà di collaborare per la sua parte perché il
futuro tenga sempre puntata la barra dalla parte della salvezza integrale dell’uomo e
mai della sua perdizione.
E l’ultimo pensiero va proprio alla nostra diocesi che pure ha tante ragioni per
lodare il Signore.
Il 2006 è stato segnato dalla conclusione della Visita pastorale che mi ha
condotto, nell’arco di cinque anni, in tutte le Zone e parrocchie. Inoltre sono partite le
Settimane sinodali per i sacerdoti: settimane di condivisione fraterna, dove la vita e la
fede, illuminate dalla Parola e dalla preghiera, possono generare speranza. Sono state
inaugurate nuove strutture quali il Centro diocesano per le comunicazioni sociali e il
rinnovato Consultorio familiare diocesano. Sono iniziati i lavori per ristrutturare un
ambiente più adeguato per l’Archivio storico diocesano. Inoltre è stato costituito
l’Ente Cattedrale la cui attività prende inizio con il nuovo anno 2007.
Sono solo alcuni cenni in positivo. Ma pure la diocesi domanda di essere
sostenuta con la preghiera e l’azione per rispondere alle sfide dell’ora presente:
preoccupa il calo di vocazioni, la difficoltà di tanti coniugi a formare una famiglia
veramente cristiana, la fatica degli educatori adulti di fronte ai giovani e agli
adolescenti spesso impermeabili a tanti richiami, l’insignificanza con cui si guarda a
pur apprezzabili iniziative tese alla formazione cristiana e cultura cattolica.
Attendendo il 2007 rinnovo il mio invito a percorrere con entusiasmo e gioia le
vie della nuova evangelizzazione a partire dalla iniziazione cristiana dei fanciulli e
dei ragazzi..
Non posso, soprattutto, dimenticare la beatificazione del sacerdote bresciano
Mosè Tovini, avvenuta in Cattedrale il 17 settembre.
Alla sua intercessione questa sera vorrei in modo particolare affidare la diocesi
e la società bresciana.
Lui che è diventato modello di santità per aver vissuto bene ogni giorno il suo
dovere, fedele alla volontà di Dio e alla dedizione ai fratelli, ci aiuti a ritenere bene
speso pure il tempo ordinario, le giornate grigie e faticose, le azioni umili e nascoste.
Anche in questo modo i giorni del calendario divengono benedizione e tempo di
salvezza.
Il beato Mosè Tovini, tanto devoto di questo Santuario, ci aiuti a vedere in
Maria un modello e un aiuto prezioso per la vita cristiana nella quotidianità.
Con la fede di questo nostro concittadino beato e di tutti i nostri santi bresciani
vogliamo anche noi dire “Te Deum laudamus…”, “noi ti lodiamo, Dio”. Ma anche “
Te, Dominum, confitemur”, “Ti proclamiamo, il Signore”.
Sì, per l’anno trascorso siamo grati a Dio che ci ha condotto a questo termine.
Per l’anno che verrà lo preghiamo perché non ci sentiamo mai abbandonati da Lui.
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