SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE I CIVILE Sentenza 14 dicembre 2006, n. 26835 (Presidente M. G. Luccioli, Relatore Felicetti) SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1. L. C. C., con ricorso al Tribunale di Roma, chiedeva che fosse pronunciata la sua separazione personale dalla moglie G. F.. Instaurato il contraddittorio, il Tribunale, con sentenza depositata il 7 novembre 1998, pronunciava la separazione, rigettando la domanda di addebito proposta dalla G. nei confronti del marito, nonché quella di un assegno di mantenimento a suo carico, mentre assegnava alla G. la casa coniugale. La G. proponeva appello contro tale sentenza, insistendo sia nella domanda di addebito sia in quella di attribuzione di un assegno di mantenimento. La Corte d'Appello di Roma, con sentenza depositata il 27 dicembre 2002, in parziale riforma della sentenza di primo grado, attribuiva alla G. un assegno di mantenimento di euro 258,22 mensili. L. C. ha proposto, avverso tale sentenza, ricorso per cassazione, con atto notificato alla G. in data 3 novembre 2003, formulando un unico motivo. La G. resiste con controricorso notificato in data 10 dicembre 2003. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Con il ricorso si denunciano vizi motivazionali deducendosi che, a norma dell’articolo 156 cod.civ., l’assegno di separazione spetta solo ove il coniuge richiedente non sia, con i suoi mezzi, in grado di mantenere il tenore di vita goduto durante la convivenza matrimoniale e sussista fra i coniugi una disparità economica che giustifichi la liquidazione dell’assegno. mentre la Corte di Appello avrebbe omesso ogni valutazione in ordine al tenore di vita dei coniugi durante la convivenza matrimoniale e avrebbe attribuito alla moglie l’assegno di mantenimento sulla base di un’astratta e non provata disparità dei redditi fra i coniugi. In proposito si lamenta, in particolare, che il tenore di vita preso in esame dalla Ca non sia stato quello del momento di cessazione, nel 1992, della convivenza matrimoniale, ma quello successivamente possibile a seguito della progressione di carriera del marito, divenuto questore nel 1996. Si deduce in proposito che ciò emerge dalla documentazione fiscale in atti, dalla quale emerge pure che, tenuto conto che il marito pagava interamente il mutuo sulla casa in comproprietà e provvedeva in massima parte al mantenimento del figlio, fra i coniugi in effetti non vi era alcuna disparità reddituale. Si sottolinea che l’evoluzione reddituale del marito era avvenuta successivamente alla cessazione della convivenza, per meriti personali, e non costituiva uno sviluppo di carriera per anzianità di servizio. La Corte di Appello, inoltre, non avrebbe valutato adeguatamente la situazione patrimoniale e reddituale della moglie, comproprietaria di vari immobili, avendo omesso di considerare 91 immobili ad essa pervenuti da eredità materna, paterna e di un zio, come da documentazione prodotta relativa a beni provenienti dall’eredità di G. Gioacchino, in località Bagheria, ad un appartamento, proveniente dall’eredità materna, in Bagheria, via Massimo d’Azeglio 29, a due terreni nella stessa località, nonché ad un libretto di lire 50.000.000 e ad azioni di società. La Corte, ancora, avrebbe errato nell’attribuire in proprietà al marito un uliveto in Torricella Sabina, in effetti in comproprietà fra i coniugi, di piccola estensione ed incolto. 2. Il ricorso è infondato. In tema di separazione personale fra i coniugi l’articolo 156 cod.civ. attribuisce, al coniuge al quale non sia addebitabile la separazione, il diritto di ricevere dall’altro coniuge un assegno di mantenimento, qualora non abbia redditi propri adeguati a consentirgli di mantenere un tenore di vita tendenzialmente analogo a quello che le potenzialità economiche complessive dei coniugi erano idonee a garantirgli prima della separazione. Tale diritto, in relazione alla sua funzione solidaristica e riequilibratrice dei rapporti economici fra i coniugi separati, secondo la consolidata interpretazione giurisprudenziale, presuppone che fra di essi vi sia una disparità economica (da ultimo Cassazione, 18547/06; 14840/06). L’attribuzione dell’assegno richiede innanzitutto di accertare, sulla base delle prove offerte, il tenore di vita del quale i coniugi erano in grado di godere durante il matrimonio in base al reddito complessivo; quindi di accertare se, con i propri mezzi, il coniuge richiedente sia in grado di conservare un tenore di vita tendenzialmente analogo; in caso negativo di valutare comparativamente la posizione economica al momento della pronuncia della separazione e, ove la situazione del coniugo richiedente sia deteriore rispetto a quella dell’altro, di quantificare l’assegno in funzione tendenzialmente restitutoria, in suo favore, del tenore di vita suddetto. I relativi apprezzamenti vanno compiuti prendendo in considerazione non solo i redditi in senso stretto, ma le complessive situazioni patrimoniali dei coniugi (Cassazione, 19291/05), tenendo conto delle sopravvenienze reddituali e patrimoniali intervenute nelle more del giudizio di separazione, in quanto durante la separazione non viene meno il rapporto coniugale, con la conseguente condivisione dei benefici economici sopravvenuti (Cassazione, 2626/06; 18327/02). In relazione a tali principi, la valutazione della situazione economica dei coniugi non richiede la determinazione del preciso importo dei redditi di ciascuno, ma un’attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali di ognuno (Cassazione, 13592/06; 3974/02). Nel caso di specie la Corte d'Appello, nel liquidare, con sentenza emanata nel 2002, un modesto assegno in favore della moglie di lire 500.000, pari ad euro 258,22 con decorrenza dal novembre 1998, ha esattamente dedotto in via presuntiva il tenore di vita dei coniugi dai redditi rispettivi per l’anno 2000 (122.000.000 lordi per il marito e 44.000.000 lordi per la moglie), non rilevando, secondo i principi sopra esposti, a tal fine il reddito goduto al momento della cessazione della convivenza, ma quello maturatosi nel corno della separazione, ancorché in seguito a sopravvenuti miglioramenti di qualunque genere. La Corte di Appello ha parimenti valutato comparativamente anche la situazione patrimoniale dei coniugi, prendendola in considerazione complessivamente, senza che su tale valutazione, ai fini del modesto assegno liquidato, possano ritenersi influenti i rilievi prospettati nel ricorso. Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato, con la condanna del ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano come in dispositivo. P.Q.M. La Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla spese del giudizio di cassazione, che liquida nella misura di euro duemilacento, di cui euro cento per spese vive. Così deciso in Roma il 21 novembre 2006. DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 14 DICEMBRE 2006.