osservazioni alle controdeduzioni d33 GR AG - CTVA

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OSSERVAZIONI ALLE CONTRODEDUZIONI PRESENTATE DA ENI il 13 NOVEMBRE 2013.
PROCEDURA DI VIA RELATIVA ALL’ISTANZA DEL PERMESSO DI RICERCA IDROCARBURI LIQUIDI E
GASSOSI DENOMINATO “d33 G.R–.AG”
CTVA -2013 – 0004092 del 18/11/2013.
Preso atto delle Controdeduzioni presentate dalla Società ENI , in merito alle Osservazioni presentate dagli
Enti e dai Portatori di Interesse ,relativamente all’istanza di permesso di ricerca idrocarburi denominato “d33
G.R-.AG” si espone quanto segue.
Disposizioni in materia di redazione e firma di elaborati tecnici
Alcuni portatori di interesse hanno contestato alla Società ENI che lo studio SIA,relativo all’istanza
del permesso in oggetto, non era firmato anche da un geologo per i temi di carattere geologico e
da un biologo per i relativi temi attinenti.
Sembrerebbe logico (oltre che di buonsenso) che qualsiasi elaborato tecnico, che tratti argomenti
di carattere geologico e geologico–tecnico, debba essere redatto e debitamente timbrato e
firmato da un professionista geologo che abbia superato l’esame di stato e sia iscritto all’albo
professionale, considerato che la geologia risulta essere prodromica a qualsiasi intervento
progettuale. Stessa cosa dicansi per i temi di carattere biologico.
In riferimento all’obbligatorietà o meno che uno studio di impatto ambientale debba essere
redatto, firmato e timbrato da un geologo e da un biologo marino per i temi attinenti, la società
ENI, dopo un’attenta disamina della normativa in materia, a pag 9 di 129 arriva a tale conclusione:
“…Quindi, l’iscrizione all’albo dei geologi e/o dei biologi marini prevede che queste figure possano
redigere studi di impatto ambientale, ma non, al contrario che gli studi di impatto ambientale
debbano essere redatti obbligatoriamente da queste figure iscritte ai relativi albi professionali”.
Considerato che l’area dove dovranno essere effettuate le prospezioni geofisiche, (prodromiche a
qualsiasi fase di perforazione) riguarda una zona interessata da problematiche di natura
sismogenetica e da una presenza anche stanziale di varie specie di mammiferi marini, si prende
atto che la società ENI ritiene che non sia necessario che tale studio di Impatto ambientale debba
anche essere redatto e firmato da geologi e biologi marini.
Per la società ENI, di fatto, estremizzando tali conclusioni, è come se le delicate problematiche
geologiche e biologiche, nell’ambito di una redazione di un SIA, possano essere elaborate da
qualsiasi persona dotata di un “buon spirito creativo”.
Francamente, dalla più grande SOCIETA’ ITALIANA in campo petrolifero, tra le più grandi al
mondo e fondata da ENRICO MATTEI, ci saremmo aspettati ben altre considerazioni.
Sconfinamento aree di istanza del Permesso di ricerca
I Portatori di interesse, nelle loro Osservazioni, hanno fatto notare che sia la quarta area (area
operativa) che la terza area (Single Fold) ,estese ripettivamente 1025 e 645 km2, sconfinano al di
fuori del perimetro delle due aree per cui è stata fatta istanza di permesso di ricerca che è di
610,4 km2 (somma delle due istanze di permesso d28 e d33) e a cui la società farà riferimento
per pagare i relativi canoni allo Stato. Le aree suddette sconfinano in parte nel limite delle dodici
miglia a protezione della costa (Decreto Prestigiacomo e successivi).
La Società fa notare che l’istanza di permesso di ricerca, essendo del giugno 2009, rientra
all’interno di quei provvedimenti concessori richiamati dal Decreto Legge 83/2012 per cui il
Decreto Prestigacomo non risulterebbe applicabile. Inoltre, richiamando il comma 1 dell’Art. 15
(Obblighi del Permissionario) del Decreto Direttoriale 22 marzo 2011, ritiene che questo
sconfinamento sia possibile.
Il sopra citato comma cita testualmente: “Al fine di ottenere la copertura sismica relativa alla
superficie del permesso di ricerca, possono essere autorizzate operazioni relative a rilievi geofisici
anche in aree ad esso adiacenti, fatto salvo il disposto di cui all’articolo 4 del decreto legislativo 23
maggio 2000, n. 164.”.
Si ricorda che tale comma prevede che possono (e non debbono) essere autorizzati rilievi geofisici
anche in aree adiacenti. In virtù del principio di precauzione è considerato che l’area risulta essere
molto sensibile sotto il profilo ambientale come anche rimarcato dalle numerose Osservazioni
prodotte; forse sarebbe opportuno, soprattutto nelle aree vicino alla costa, derogare da questo
articolo.
Inoltre, l’articolo 15 (Obblighi del permissionario) del Decreto Direttoriale 22 marzo 2011 fa
riferimento al permissionario. Lo stesso Decreto Direttoriale all’art. 2 Definizioni, stabilisce cosa
intende per “permissionario”:
“permissionario”: titolare del permesso di prospezione o del permesso di ricerca
Si fa notare che la Società non è titolare dei Permessi di ricerca “d 28 G.R – .AG” e “d 33 G.R –
.AG” ma ne ha semplicemente fatto istanza nel giugno 2009. Di conseguenza, forse sarebbe
opportuno da parte della Società richiamare questo comma quando la stessa sarà effettivamente
titolare di tali permessi e non prima.
Attività di perforazione
Considerato che questo tema non è oggetto di VIA, lo si accenna solamente.
Relativamente alle eventuali attività di perforazione e di coltivazione, è vero quanto sostenuto
dalla Società ENI, cioè, che secondo la Normativa Italiana le attività di ispezione sismica e la
realizzazione del pozzo esplorativo sono fasi completamente separate sotto il profilo
procedimentale e tecnico, tant’è che la stessa normativa prevede, per la sola fase di indagine
sismica, il permesso di prospezione. Al fine di “accorciare i tempi”, quasi tutte le società petrolifere
saltano questo passaggio, di conseguenza le istanze che vengono presentate sono istanze relative
ai permessi di ricerca che prevedono sia l’attività di prospezione che la fase di perforazione con
conseguente risparmio di tempo e denaro da parte delle Società.
Queste due distinte fasi (indagine sismica e perforazione) sono soggette a due distinte valutazioni
di inpatto ambientale. Gli Autori delle Osservazioni hanno ben presente e ben compreso che
queste fasi sotto il profilo procedimentale e tecnico sono ben distinte, pur tuttavia, come
giustamente affermato dal Biologo Dott. Davide Campo:
“Anche alla luce di quanto contenuto nella documentazione presentata dall’azienda è ovvio che tali
rischi diventano ben più consistenti se si considera l’intero “ciclo di vita” dell’attività di estrazione
che, dal punto di vista dell’ENI, è la ovvia conseguenza della ricerca e della trivellazione esplorativa.
D’altra parte, che senso ha autorizzare l’esplorazione e poi evitare la coltivazione? Che senso ha
correre comunque un rischio (alto o basso che sia) se poi l’attività commerciale non è ammissibile ?
E’ dunque da contestare con forza una procedura che spezzetta valutazioni e analisi dei rischi. Si
rileva tra l’altro che al fine di garantire quelli che da copiosa giurisprudenza sono stati definiti gli
“effetti utili” della Direttiva 85/337/CEE (come modificato), è inibito sia ai Proponenti che
all’Autorità competente provvedere al frazionamento artificioso delle opere e/o dei progetti
sottoposti a valutazione, proprio perché una operazione di questo tipo impedisce la considerazione
dell’impatto complessivo.”
Risulta ovvio che queste considerazioni non si rivolgono solo all’ENI, ma sono considerazioni
critiche che riguardano tutte le richieste di autorizzazione di questo tipo. In definitiva, sono delle
Osservazioni in cui si fa presente la preoccupazione dei soggetti portatori di interesse verso anche
un’eventuale fase di perforazione.
L’ENI dal canto suo accenna, anche se in modo non approfondito, alle attività di ricerca che
intende svolgere. Per quanto riguarda il gas, tale ricerca si rivolge a sedimenti più recenti
(avanfossa plio-pleistocenica) e stratigraficamente meno profondi rispetto alle normali attività di
coltivazione finora effettuate, come si evince dalle figure 4-26 e 4-27 del SIA (cap 4 - pag. 32 e 33
di 87).
A tal proposito, si rammenta che come più volte dichiarato dall’ENI (pag 38/129) delle
Controdeduzioni presentate), il principale tema esplorativo è la ricerca di “gas biogenico” nei livelli
porosi delle alternanze torbiditiche della serie di avanfosaa Plio-Pleistocene. Si fa presente che,
secondo L. Tognini, la maggior parte del gas naturale fino ad ora prodotto è gas termogenico,
associato a giacimenti petroliferi ed è chiamato gas convenzionale. Il “gas naturale non
convenzionale” è invece quello non termogenico, formatosi in condizioni diverse:
gas biogenico naturale (gas di palude, non pertinente alla ric. in oggetto);
gas di discarica e biogas (non pertinente alla ric. in oggetto)
gas nat. ass..to a giacimenti di carbone (coal gas, non pertinente alla ric. in oggetto);
gas naturale formatosi in depositi argillosi (shale gas);
idrati di metano (clatrati: in alcuni casi forse responsabili di frane sottomarine, es. frana di
Storegga).
Escludendo le prime tre origini, sarebbe quanto meno opportuno che la Società spiegasse meglio
quale sia il tipo obiettivo minerario che intende ricercare e soprattutto quale tipo di metodo “non
convenzionale” intende adottare per estrarlo e se lo stesso sia in linea col documento SEN.
Si fa presente che il Documento SEN (Strategia Energetica Nazionale) è un documento con il quale
lo Stato Italiano individua le direttive da intraprendere per i prossimi decenni a livello energetico.
Questo documento è stato approvato con Decreto Interministeriale dell’08 marzo 2013. In tale
documento risulta citata più volte la seguente frase:
“il Governo non intende perseguire lo sviluppo di progetti in aree sensibili in mare o in terraferma,
ed in particolare quelli di shale gas”.
Sara pur vero, come dichiarato a pag 39/129 delle Controdeduzioni, che le moderne tecnologie
petrolifere hanno degli standard di sicurezza elevatissimi; pur tuttavia, in tema di sicurezza dei
lavoratori, la normativa italiana, specifica per il settore petrolifero, è la Legge n° 624 del 1996, mai
modificata in alcun articolo; essendo passati circa venti anni, tale legge non includeva certamente
le “moderne tecnologie petrolifere”.
Movimenti franosi sottomarini
Considerato che questo tema non è oggetto di VIA, lo si accenna solamente.
A pag 30/87 cap 4 Quadro di Riferimento ambientale presentato dalla Società, la stessa dichiara
che:
“La falda di Gela è ricoperta, nell’area di studio, da oltre 200 metri di successioni sedimentarie pliopleistoceniche relativamente indisturbate.”
Come indicato nelle Controdeduzioni presentate, la presenza di frane sottomarine post
oloceniche il cui meccanismo di innesco sarebbe di natura sismica non depone di certo a favore di
successioni sedimentarie plio-pleistoceniche “relativamente indisturbate”.
Nelle Controdeduzioni presentate il relatore dichiara che : “….la concentrazione di terremoti
segnalati proprio in corrispondenza della medesima area, suggerisce un probabile innesco di un
sisma ad elevata magnitudo e tempi di ritorno molto lunghi.”
Si fa notare che, prima dell’avvento delle registrazioni strumentali, la conoscenza della sismicità
storica di un’area, a maggior ragione se marina, non poteva dare precise indicazioni sulla massima
magnitudo raggiunta ed era influenzata dalla localizzazione e presenza degli insediamenti abitativi.
Si ricorda che il meccanismo di innesco sismico di una frana sottomarina non deve prevedere per
forza un terremoto di elevata magnitudo. Terremoti a magnitudo minori, attraverso sollecitazioni
orizzontali e verticali, possono determinare: 1) carico ciclico sui sedimenti in pendenza fino alla
progressiva degradazione della rigidezza del sedimento; 2) aumentare la pressione dei pori nel
sedimento riducendone la loro forza di taglio.
Si ricorda che la zona è stata ed è interessata da frane e da depositi di trasporto di massa di età
olocenica in alcuni casi molto recente.
A tal proposito si riporta un estratto di "Morphologic variability of exposed mass-transport
deposits on the eastern slope of Gela Basin - Istituto Scienze del Mare ISMER – CNR” di D. Minisini
riguardante il bacino di Gela:
“C. Triggers: the relevance of seismicity on the instability of submarine slopes has been widely recognized (e.g., Prior
& Coleman, 1984; Edwards et al., 1993; Keefer, 1994; Hasiotis et al., 2002; Imbo et al., 2003). Earthquakes have two
main effects on slope sediments: 1) they generate horizontal and vertical acceleration stresses, producing cyclic
loading on the deposits and leading to the degradation of the sediment stiffness; 2) they increase the pore pressure in
the sediment reducing its shear strength (Hampton et al., 1978; Duperret et al., 1995; Sultan et al.,
2004).
The continental margin of Gela Basin is in a seismically active region seaward of Gela nappe, a compressive element of
the Maghrebian fold-and-thrust belt (Argnani, 1990), and north of the Sicily Channel rift zone (Finetti, 1984; Catalano
et al., 1993; Max et al., 1993). In Gela Basin, the contemporaneous Twin Slides and the evidence of multiple sets of
mass-transport deposits at several stratigraphic levels (Fig. 8B and 10C) require a recurrent trigger. In this case,
seismicity is the most plausible trigger mechanism (e.g., Syvitski & Schafer, 1996; Schnellmann et al., 2002). It is
conceivable that the multiple phases of failure reflect repeated seismic shocks affecting the upper slope and outer shelf
in Gela Basin. Instrumental and historical series indicate a reduced seismicity of the area compared to other
Mediterranean areas (Fig. 1, http://neic.usgs.gov/neis/epic/epic.html). However, knowledge of the historical seismicity
may not take full account of the maximum possible earthquake magnitude and spatial distribution of the epicenters for
a variety of reasons: 1) past epicenters located at sea are exceedingly difficult to infer; 2) the distribution of historical
earthquake onland is biased by the location of ancient settlements; 3) the interval for which observational data are
available may not include the extreme events for any given seismogenetic feature. Indeed, the epicenters registered in
the area in the last few decades (i.e., 2 shocks up to 4.2M, since 1970) would represent a significant frequency of
seismic shocks if extrapolated to longer intervals. If the entire post-LGM interval is considered, 60 shocks in 1000 years
would lead to some 2000 shocks during the postglacial interval.
A. CONCLUSIONS
Based on the seafloor morphology, seismic stratigraphy and core data available in Gela Basin, the following points are
key:
1) The margin of Gela Basin underwent repeated and widespread failures during the last glacial-interglacial cycle as
suggested by several stacked mass-transport deposits and numerous paleoscars of variable size. The largest basinwide failure affected the margin during the last-glacial low stand (Father Slide); coeval failures affected the slope
during the Holocene (Twin Slides).
2) Both Twin Slides occurred at least in two successive failure stages clearly affecting the late-Pleistocene and Holocene
depositional units: the first mobilized the recentlydeposited drape of the post-glacial depositional sequence and
occurred close to the break in the formation of Sapropel S1, 8,5 Cal. ky BP; the second stage involved older (last glacial)
more lithified materials and resulted in the formation of frontal thrusts (Northern Twin Slide) and slide blocks
(Southern Twin Slide) which underwent limited run-out compared to the previous event. The evidence of clearly marked
scars and the lack of detectable drapes on extensive proximal portions of the associated mass-transport deposits
suggest that the Twin Slides are very recent.
3) Even if Twin Slides occurred very close to each other, with similar runout and fall height, they appear rather
dissimilar in geomorphology and architecture of the resulting mass-transport deposits. This marked differentiation
reflects the distinct stratigraphic units affected by failure: Northern Slide emanated from younger and
less consolidated progradational units while Southern Slide involved older deposits, possibly more consolidated, from
progradational units deposited during the last two glacial cycles. Therefore, the margin architecture is important not
only in defining the location of potential weak layers but also in dictating which units can be mobilised.
4) Seismicity is the most plausible trigger for failures considering the multiple sets of coeval mass-transport deposits in
the area and instrumental series of earthquakes registered just in the area of Twin Slides.”
Vulcani di fango
Considerato che questo tema non è oggetto di VIA, lo si accenna solamente.
Secondo le osservazioni della Provincia Regionale di Ragusa i dintorni dell’area dove dovranno
essere effettuati i rilievi sismici risulterebbero interessati da MV (mud volcanoes) e quindi a
conseguente geo-hazard.
A pag 73 di 129 l’estensore delle Controdeduzioni dichiara (il sottolineato è presente nel testo
originale):
“Da ricerche effettuate in letteratura non sono state trovate evidenze circa strutture riconducibili a
vulcani di fango (mud volcanos) sui fondali del canale di Sicilia.”
I vulcani di fango (mud volcanoes) sono strutture molto comuni nei fondali oceanici e
costituiscono degli indicatori riguardo la possibile presenza di idrati di metano (clatrati) o
comunque idrocarburi (da C. Giavarini – La Termotecnica settembre 2002).
La scoperta di vulcani di fango nello stretto di Sicilia nella zona a nod ovest del Plateau Maltese
viene citata da A. Micallef, C. Berndt e G. Debono, i quali richiamano gli studi di Holland (2003) e
Savini (2009):
Tali strutture vengono richiamate anche nella relazione tecnica del campo Vega (presentata anche
al Ministero in occasione del “Progetto di Sviluppo Studio di Impatto Campo Vega B”) a pag 41 di
110 a conferma della sismogeneticità dell’area:
“Una delle più importanti strutture dell'area iblea è la Linea di Scicli, che rappresenta una faglia
trascorrente destra orientata NNE-SSW ed è considerata attiva anche per la presenza di vulcani di
fango sul fondale marino (Holland et al. 2003) proprio nell'area del campo di Vega.”
La presenza di vulcani di fango viene citata anche nel SIA Quadro di Riferimento Ambientale del
Campo Vega B a pag. 75 par. 6.2.2.3 (anche questo elaborato presentato al Ministero):
“6.2.2.3 Mud Volcanoes
Recenti studi condotti nei pressi dell’area in esame (parla dell’area del campo Vega – ndr), a circa 5
km in direzione Ovest rispetto al sito di prevista realizzazione della piattaforma Vega B, hanno
evidenziato la presenza di vulcani di fango (“Mud Volcanoes”) a profondità comprese tra 70 m e
170 m (Holland et al., 2003).”
ed a pag. 81 par. 6.2.2.4.3 dello stesso studio in cui vengono citati gli studi di Villa:
“6.2.2.4.3 Mud Volcanoes
Nell’ambito del Progetto di Ricerca di Rilevante Interesse Nazionale (P.R.I.N.) denominato
“Ecosistemi associati a vulcani di fango nel Canale di Sicilia” (Villa, 2007) coordinato dall’Università
degli Studi di Milano-Bicocca in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano, Ancona e
Palermo, sono stati studiati, tramite l'utilizzo di tecnologie avanzate, gli ecosistemi e la
geomorfologia associata ai vulcani di fango. Nell’ambito di tale progetto P.R.I.N. sono state
condotte campagne oceanografiche a carattere bioecologico e geogeomorfologico (MESC/07)
(Villa, 2007). Nella precedente figure 5.h è schematizzata l’area di indagine MESC/07 rispetto
all’estensione, indicativa, del giacimento Vega e delle aree in cui si prevedono verranno effettuati
gli interventi di sviluppo del Campo Vega B.”
(da pag. 47 dell’elaborato) Figura 5.h: Aree di Indagini MESC/07 e Aree di Intervento Vega B
Infine, a pag. 93 dello stesso elaborato viene inoltre indicata la distanza minima dei vulcani di
fango (mud Volcanoes) dal campo Vega:
Si fa notare che il campo Vega opera all’interno della Concessione C.C6.EO di cui è titolare la
EDISON al 60 %. Si ricorda che anche la ENI ne è concessionaria per il restante 40 %.
L’estensore delle Controdeduzioni parla dell’esistenza di pockmarck. Secondo Hovland e Judd,
1988 e Hovland e Svensesen, 2006 richiamati dallo studio SIA del progetto Vega Quadro di
Riferimento Ambientale a pag 77 par 6.2.2.3 Mud volcanoes, i pockmarck sono delle particolari
“depressioni formate per fuoriuscite violente di gas talvolta intrappolati da croste carbonatiche”.
Air gun e misure di mitigazione
Secondo i Portatori di interesse gli impatti derivanti dall’utilizzo di tale metodologia sono
estremamente elevati anche in considerazione della notevole presenza di cetacei tra cui:
tursiope, stenella, capodoglio, balenottera comune e delfino comune. In particolare, per la
balenottera comune è stato descritto un sito di frequentazione stagionale nello stretto di Sicilia
(Canese et Al. 2006) ed è presente una comunità stanziale di delfino comune (dati centro
Regionale Recupero fauna selvatica e tartarughe marine di Comiso). Quest’ultimo (delfino
comune), malgrado il nome è una specie abbastanza rara nel Mediterraneo.
Secondo l’ENI gli impatti derivanti da tale metodologia sono ascrivibili ad un livello medio-basso.
Considerato che queste Osservazioni hanno il principale obiettivo di essere costruttive, non si
entra nel merito di un’inutile discussione che inevitabilmente sorge quando si hanno esperienze e
soprattutto sensibilità diverse. Si ritiene opportuno fare comunque alcune precisazioni.
Da l rapporto tecnico ISPRA 2012 pag 13 (Rapporto tecnico Valutazione e mitigazione dell’impatto
acustico dovuto alle prospezioni geofisiche nei mari italiani) :
“Esistono due tipologie di rilevamento sismico: quella a due dimensioni (2D), in cui l’elaborazione
dei dati rilevati fornisce come risultato un profilo geologico, e quella tridimensionale (3D), in cui
l’elaborazione dei dati rilevati fornisce un’immagine tridimensionale.
La complessità dell’immagine varia in funzione della quantità di dati disponibili, che a sua volta
dipende dal numero di misurazioni effettuate; nel caso della sismica 2D, è utilizzata una batteria di
air-gun e gli streamer (che contengono gli idrofoni) sono distanti tra loro un chilometro o più;
diversamente, nel caso della sismica 3D, sono utilizzate 2 batterie di array e gli streamer sono
distanti tra loro da 25 a 100 m.
Il 3D (quello che intende utilizzare la Società-ndr) è un metodo più complesso, che comporta
maggiori investimenti, un maggiore impatto sull’ambiente dovuto a una maggiore immissione di
suoni, nonché apparecchiature di rilevamento più sofisticate. Nel campo delle prospezioni sono
spesso impiegati rilievi 2D su vasta area, per poi concentrare i rilievi 3D su un'area più ristretta
reputata di maggiore interesse”.
Inoltre, sempre dal Rapporto Tecnico ISPRA 2012 pag 11:
“ Gli airgun e l'esplorazione geosismica sono considerati la dinamite del nuovo millennio. Ogni 9-12
secondi un’esplosione è trasmessa in mare, ininterrottamente, per intervalli di tempo anche
piuttosto lunghi (mesi). I livelli di immissione sonora superano 260 dB re 1 μPa @ 1 m 1e sono di
solito a frequenze basse e bassissime”.
Secondo la Società ENI (pag 117/129) delle Controdeduzioni) :
“… l’air gun produce un impulso di energia acustica che, nominalmente è di circa 250 db (valore
massimo teorico); in realtà tale valore fra i 200 e i 230 db ad un metro, a causa dei fenomeni di
interferenza generati dai diversi airguns (Clay e Medwin 1977 da Anne Hassel et. Al 2004, J
Caldwell & W. Dragoset, 2000).”
Val la pena di dire che l’ISPRA e l’ENI, in questo caso, sentono tali “rumori” in modo diverso.
Per quanto riguarda i fenomeni di interferenza, la pressione acustica che fuoriesce da un array di
air-gun è direttamente proporzionale alla pressione operativa, direttamente proporzionale al
numero di air-gun (ammesso che siano tutti uguali), e proporzionale alla radice cubica del volume
d’acqua compresso. Ricordiamo che secondo la trattazione di Fourier, due onde sinusoidali
semplici possono combinarsi tra loro generando un’onda la cui forma dipende esclusivamente
dalle relazioni tra le ampiezze e le fasi delle onde componenti. La combinazione, o
sovrapposizione, delle onde origina il fenomeno dell’interferenza. Nel caso di due onde
l’interferenza può essere costruttiva se la loro sovrapposizione produce una perturbazione
maggiore di quella prodotta da ognuna di esse separatamente, distruttiva se la perturbazione
risultante è minore (da G. Larosa – “Determinazione del rumore acustico sottomarino e stima della
presenza di cetacei”).
Si riporta una tabella (tab 7 peraltro già riportata nelle Osservazioni della Provincia di Ragusa)
riguardante la distanze stimate in termini di RL di come viene dissipata la pressione sonora per
diverse intensità, profondità e per n° 1 e 3 air-gun. Si fa notare che anche in presenza di soli tre airgun tali distanze aumentano (da “Valutazione di impatto ambientale delle prospezioni geosismiche
sottomarine – Parte II: stima dedegli impatti ed effetti sugli organismi” – C. Lanfredi, A. Azzellino,
R. Vismara – Ingegneria Ambientale maggio 2009) .
Un suono ad esempio di 210 dB alla sorgente rimane a 210 dB a 1 metro, si attenua per
propagazione sferica a 190 dB a 10 metri, 170 dB a 100 metri fino a 150 dB a 1000 metri e così via
(da “Valutazione di impatto ambientale delle prospezioni geosismiche sottomarine – Parte II: stima
dedegli impatti ed effetti sugli organismi” – C. Lanfredi, A. Azzellino, R. Vismara – Ingegneria
Ambientale maggio 2009).
A titolo di esempio si riporta una tabella (tab 5) elaborata da C. Lanfredi riguardo la distanze
stimate in termini di RL di come sia diversa la percezione in funzione della categoria di mammiferi.
La stima dei rischi di una indagine geosismica condotta in ambiente marino necessita di una
metodologia che consenta di implementare le conoscenze sulla biologia delle specie sensibili, loro
distribuzione ed uso dell’habitat, all’interno di modelli di propagazione acustica delle sorgenti di
rumore utilizzate per l’indagine stessa che consentano di definire al meglio dei criteri per la
definizione dei livelli di esposizione al rumore accettabili per le specie sensibili. Il punto modale di
ogni eventuale strategia di mitigazione risiede infatti nelle capacità di modellazione del campo
acustico emesso nell’area di interessata dall’indagine geosismica che, confrontato con i livelli di
rumore ritenuti pericolosi per le specie sensibili, consenta di delineare delle zone critiche di
“esclusione” all’interno dellle quali le specie sensibili potrebbero essere sottoposte a livelli di
suono per loro dannosi. Tali valori di soglia, come raccomandato dal Rapporto Tecnico Ispra,
dovrebbero considerare un valore di soglia del rumore inferiore per evitare non solo danni
fisiologici, ma anche disturbi comportamentali alla fauna acquatica. Tali valori dovrebbero essere
verificati da un biologo marino, attraverso dei dati acquisiti sul campo, al fine di determinare
quelle zone di esclusione quali ad esempio le “aree di alimentazione”.
Vengono riportati i valori soglia per i diversi tipi di rumore capaci di provocare le prime risposte
significative di tipo comportamentale come indicato nel Rapporto Tecnico Ispra 2012 (tab 6,
peraltro già riportata nelle Osservazioni della Provincia di Ragusa). Volendo definire dei valori di
soglia specifici, si dovrebbe fare riferimento ai valori definiti per rumori ad impulsi multipli. In tale
tabella si nota che i cetacei sensibili ai rumori di media frequenza quali il capodoglio, potrebbero
accusare disturbi comportamentali dovuti all’attività sismica già per livelli di rumore ricevuto pari a
90 dB re: 1 μPa.
Per quanto concerne le misure di mitigazione, nello SIA cap. 3 pag 20 di 36, la Società ENI dichiara:
“…..le misure di mitigazione che eni s.p.a. divisione e&p intende adottare sono quelle definite nello
standard eni “Environmental Requirements in Geophysical Operations” (gennaio 2010),…”.
Nelle Controdeduzioni presentate nel novembre 2013, a pag 127 di 129, la Società precisa che le
misure di mitigazione previste da ENI sono in linea con gli standard nazionali ed internazionali ed
in particolare sono state adottate sulla base:
-
standard eni “Environmental Requirements in Geophysical Operations” (gennaio 2010) che
considera le misure definite dalle linee guida sviluppate del Joint Nature Conservation
Committee (JNCC);
-
del Rapporto Tecnico ISPRA (2012) “Valutazione e mitigazione dell’impatto acustico dovuto
a prospezioni geofisiche nei mari italiani”.
Di seguito, nelle Controdeduzioni, L’ENI specifica quali siano queste misure (in buona parte già
riportate nello studio SIA (cap 3.5 misure di prevenzione ambientale):
Da pag 127 di 129 delle Controdeduzioni
Fase di pianificazione
-
“programmazione delle attività di prospezione in periodi meno sensibili per i pesci, le
tartarughe e i mammiferi (autunno/inverno);
-
esecuzione delle attività di prospezione sismica al di fuori delle zone di alimentazione;
-
coinvolgimento da parte di eni di imbarcazioni locali per supportare le attività di
prospezione sismica in mare…..”
Per quanto riguarda questa fase, sarebbe alquanto opportuno che l’ENI, attraverso dettagliata
cartografia, specificasse meglio quali siano le “aree di alimentazione” che intende escludere. Aree
di esclusione che devono derivare da dati ottenuti sul campo e non presunti sulla base di dati di
letteratura.
Fase di attività
-
a bordo della nave sismica e della nave di supporto che seguirà le attività (in coda agli
steameer) sarà garantita la presenza di osservatori di mammiferi marini (MMO) esperti,
qualificati ed addestrati secondo standard internazionali, scelti da Eni e presentati al
MATTM;
-
istituzione di una zona di sicurezza di oltre 1.000 m tramite il monitoraggio visivo di
mammiferi marini. In particolare, gli osservatori MMO almeno 30 minuti prima di attivare
le sorgenti sismiche (o 60 minuti prima in caso di profondità d’acqua > 200 m)
verificheranno la presenza di mammiferi marini nelle aree di progetto;
-
adozione della procedura di “soft start” per “avvertire” la fauna marina eventualmente
presente nelle zone di sicurezza e per permetterne l’allontanamente. La durata della
procedura sarà compresa tra i 20 e i 40 minuti;
-
la procedura “soft start” sarà ripetuta ogni volta che le sorgenti sonore non saranno attive
per 20 minuti o tempi più lunghi;
-
non saranno eseguite energizzazioni ad eccezione di quelle necessarie per le normali
operazioni di acquisizione sismica o per la procedura “soft start”;
-
utilizzo del sistema PAM (monitoraggio acustico passivo) a bordo della nave sismica. Tale
sistema opererà 24h/24h e sarà impiegato in affiancamento al monitoraggio visivo MMO;
-
adozione di appositi sistemi per evitare l’intrappolamento accidentale di tartarughe marine
nelle apparecchiature utilizzate nel rilievo sismico;
-
sospensione immediata delle attività di acquisizione sismica nel caso in cui il sistema PAM,
gli osservatori MMO o gli altri strumenti di bordo evidenzino la presenza di mammiferi
marini o di altre imbarcazioni nell’area del rilievo.
Per quanto riguarda gli osservatori di mammiferi marini (MMO), la Società ENI specifica che
dovranno essere opportunamente addestrati e competenti ma non ne specifica il numero.
Si sottolinea l’importanza del ruolo e dell’esperienza degli osservatori a bordo nave. In particolare,
si richiede il massimo sforzo di avvistamento cetacei nei 30 minuti precedenti l’inizio dell’attività
con il soft start (da allegato IV Rapporto Tecnico ISPRA).
Tuttavia, questa misura di
mitigazione(soft start), nonostante sia una tecnica largamente utilizzata, molte volte è risultata
inadeguata,in quanto esiste l’evidenza che alcune specie non si allontanano (da Rapporto Tecnico
Ispra). Si evidenzia che l’eventuale allontanamento da un habitat critico potrebbe causare gravi
problemi di alimentazione della specie allontanata.
Secondo le linee guida “Guidelines to address the issue of the impact of anthropogenic noise on
marine mammals in the ACCOBAMS area. Document prepared by Gianni Pavan for the ACCOBAMS
Secretariat, SC4/2006”, per tutte le operazioni di indagine sismica, il numero minimo di MMO
non deve essere inferiore a 5. Si ricorda che tali linee guida vengono richiamate anche dal
Rapporto Tecnico ISPRA all’allegato III - Linee guida per la gestione dell’impatto di rumore
antropogenico sui Cetacei nell’area ACCOBAMS (si veda pag 2 di 5 dell’allegato).
Si prende atto che la Società ha intenzione di ampliare la “zona di sicurezza” da un raggio di
almeno 500 metri (pag 24 di 39 cap. 3 del SIA) ad un raggio di oltre 1000 metri come risulta a pag
127 di 129 delle Controdeduzioni presentate (si da per scontato che per distanza si intenda un
raggio). Tuttavia, la predisposizione di una zona di sicurezza dovrebbe essere calcolata tenendo
conto di un valore di soglia del rumore atto ad evitare non solo danni fisiologici ma anche disturbi
comportamentali alla fauna acquatica,come evidenziato nelle misure di mitigazione del Rapporto
Tecnico Ispra 2012 e come riportato nelle presenti Osservazioni. In tal caso, la zona di sicurezza
sarebbe senz’altro più ampia.
Inoltre, considerato l’ovvia difficoltà degli osservatori MMO di rilevare la presenza di mammiferi
marini per un raggio superiore ai 500 metri (a maggiore ragione se il raggio risulta essere di oltre
1000 metri), sarebbe quanto meno opportuno che la società si dotasse di più imbarcazioni di
appoggio (anche piccole) con presenza di MMO a bordo e opportunamente distanziate dalla nave
di acquisizione sismica, al fine di poter presidiare effettivamente tale area. Ciò potrebbe quanto
meno contribuire a mitigare l’impatto di tali operazioni.
Si prende atto dalla lettura delle Controdeduzioni presentate che la società ha intenzione di
utilizzare, in affiancamento al monitoraggio visivo MMO, il monitoraggio acustico passivo (PAM)
con operatività 24h/24h e non solo nelle condizioni di scarsa illuminazione o nel periodo
notturno come dichiarato a pag 24/39 cap. 3 del SIA.
A tal proposito, in virtù delle naturali limitazioni dell’occhio umano in condizioni di ridotta o nulla
visibilità, il rapporto Tecnico ISPRA richiama le misure di mitigazione suggerite da Jasny et Al che
prevede delle restrizioni temporali e conseguente interruzione dell’attività a causa di cattive
condizioni meteo, oscurità ecc., tali da non permettere un efficiente monitoraggio visivo (tab 9 –
pag 26 del Rapporto Tecnico).
Nell’eventualità che la Società volesse comunque effettuare delle attività in condizioni di scarsa
visibilità e nelle ore notturne (scelta a parere dello scrivente totalmente sconsigliata), sarebbe
opportuno che la stessa specificasse quanto meno quali dotazioni dovrebbero avere gli operatori
MMO in tali situazioni (es: visori termici o visori notturni ad intensificazione di luce quali ad es.
quelli di seconda generazione plus).
Tali misure di mitigazione (aumento della zona di sicurezza, presenza di osservatori MMO a bordo,
etc.) servono solamente a tentare di diminuire in parte l’impatto degli air-gun, sicuramente a non
eliminarlo come ben evidenziato dal Rapporto Tecnico ISPRA a pag 28:
“Recenti studi su capodogli esposti al rumore prodotto dagli airgun (Madsen et al., 2006; DeRuiter
et al., 2006) hanno inoltre dimostrato come la propagazione sonora sia molto più complicata di
quella generalmente rappresentata nei modelli. L’impatto acustico potrebbe verificarsi a distanze
maggiori di quelle previste e ben oltre l’area di mare che gli osservatori a bordo nave possono
efficacemente monitorare. Gli stessi studi hanno anche evidenziato un’esposizione inaspettata
degli animali alle alte frequenze. Nonostante gli airgun producano principalmente suoni di
frequenza inferiore a 250 Hz, è stato dimostrato come gli stessi siano capaci di produrre anche
frequenze superiori a 500 Hz che viaggiano preferenzialmente negli strati superficiali della colonna
d’acqua, mettendo così a rischio anche specie di odontoceti (cetacei a media o alta frequenza) che,
per le loro caratteristiche acustiche, si ritenevano poco sensibili al rumore prodotto dalle
prospezioni geofisiche.
Alla luce di quanto sopra, stanno emergendo negli ultimi anni approcci sempre più cautelativi per il
monitoraggio e la mitigazione che si ritiene necessario adottare anche nei mari italiani, soprattutto
in considerazione della consistente varietà di specie di mammiferi marini che popolano i nostri
mari.”
Impatto air gun
A pag 93/129 l’estensore delle Controdeduzioni, “dopo un’attenta disamina” del Rapporto
Tecnico Ispra relativo agli impatti generati dagli air gun, dichiara (il sottolineato è presente nel
testo):
“Pertanto, leggendo gli esiti del Rapporto Ispra si capisce bene che i risultati dei diversi studi
appaiono controversi”.
A tal proposito, si ritiene opportuno riportare per intero i capitoli 3 e 4 del Rapporto Tecnico Ispra
relativo agli effetti che le prospezioni sismiche generano sui mammiferi marini e sugli altri
organismi viventi.
3. Effetti sui mammiferi marini
Le prospezioni geofisiche sono incluse fra le attività antropiche a potenziale rischio acustico in quanto responsabili
dell’introduzione di rumore in ambiente marino. Il concetto di inquinamento acustico, infatti, che fino a pochi anni fa
era riservato esclusivamente all’ambiente subaereo, è stato esteso all’ambiente acquatico quando si è giunti alla
certezza che alcuni suoni antropogenici hanno effetti negativi su diversi phyla di organismi, in particolare sui cetacei.
Questi ultimi infatti comunicano, navigano, si orientano e individuano le prede grazie al suono. Le diverse specie di
cetacei emettono suoni in specifici range di frequenza utilizzando dei veri e propri canali comunicativi in cui viaggiano
le informazioni.
L’esposizione al rumore di origine antropica può produrre un’ampia gamma di effetti sugli organismi acquatici (vedi
Tab.3), in particolare sui mammiferi marini. Un suono di basso livello può essere udibile ma non produrre alcun effetto
visibile, viceversa può causare il mascheramento dei segnali acustici e indurre l’allontanamento degli animali dall’area
esposta al rumore. Aumentando il livello del suono, gli animali possono essere soggetti a condizioni acustiche capaci di
produrre disagio o stress fino ad arrivare al danno acustico vero e proprio con perdita di sensibilità uditiva,
temporanea o permanente. L’esposizione a rumori molto forti, come le esplosioni a breve distanza, può addirittura
produrre danni fisici permanenti ad altri organi oltre a quelli uditivi e può in alcuni casi portare al decesso del soggetto
colpito.
L'effetto fondamentale di un trauma acustico consiste nella diminuzione della capacità uditiva che si manifesta come
innalzamento della soglia di sensibilità (innalzamento temporaneo (TTS) o permanente (PTS) del livello di soglia) che
corrisponde ad una perdita di sensibilità uditiva. Tuttavia, l’esposizione al rumore può esercitare un effetto negativo sui
cetacei anche se al di sotto dei livelli che provocano perdita di sensibilità uditiva. La continua esposizione a rumori di
basso livello può avere ripercussioni sul comportamento e sul benessere psicofisico dei mammiferi marini provocando
un impatto a lungo termine sulle popolazioni.
Diversi studi hanno messo in evidenza l’impatto comportamentale e fisiologico che l’airgun può esercitare sui
mammiferi marini.
Lo studio di Goold (1996), volto a monitorare un gruppo di delfini comuni (Delphinus delphis) prima, durante e dopo le
prospezioni sismiche nel mare d’Irlanda, ha rilevato un evidente allontanamento della specie oggetto dello studio
dall’area monitorata. Allo stesso modo, una ricerca simile, effettuata sui piccoli cetacei nel mare d’Irlanda (Evans et al.,
1996), ha registrato un significativo calo nel numero di tursiopi (Tursiops truncatus), suggerendo l’abbandono dell’area
soggetta ad attività sismiche da parte di un cospicuo numero di individui.
Gli spiaggiamenti di Zifidi in California e di megattere lungo la costa brasiliana nel 2002 (Engel et al., 2004), registrati
poco dopo l’esecuzione di indagini geofisiche, così come l’allontanamento delle balene grigie dal loro habitat al largo
delle coste russe nel 2001, hanno sicuramente contribuito ad innalzare il livello di allarme nei confronti di tali
esplorazioni.
Uno studio di Parente et al. (2007) ha rilevato l’esistenza di una possibile relazione tra la diversità di specie di cetacei
presenti in una determinata area e le attività sismiche che insistono sulla stessa. Lo studio, nel corso del quale gli autori
hanno rilevato una significativa diminuzione nella diversità di specie concomitante all’aumento del numero delle
prospezioni geofisiche, suggerendo la diversità di specie come indicatore a lungo termine dell’impatto di attività
sismiche sui cetacei, ha riguardato le acque brasiliane per il periodo 1999 – 2004.
Mann et al. (2010) riportano tra i fattori principali che contribuiscono alla perdita di udito nel tursiope, essenziale per
la sopravvivenza della specie, il rumore cronico sottomarino (quello generato dal traffico marittimo) e i disturbi
transitori intensi (quali ad esempio le esplosioni e il rumore generato dagli airgun).
In particolare, si ritiene che i cetacei che fanno uso di suoni a bassa frequenza per le loro comunicazioni siano la
categoria più esposta a rischi in quanto capaci di percepire maggiormente i suoni prodotti dagli airgun. I capodogli
sono ritenuti specialisti delle basse frequenze con la migliore sensibilità dell’udito al di sotto di 3 kHz (Ketten, 2000), a
differenza dei piccoli Odontoceti che prediligono le frequenze 30 kHz-120 kHz e risultano piuttosto insensibili ai suoni a
bassa frequenza.
Sebbene alcuni studi in letteratura riportino come i capodogli riescano a rilevare gli impulsi sismici con livelli ricevuti tra
136-146 dB re 1μPa (Madsen et al. 2002), altri sembrano evidenziare una maggiore sensibilità di questi animali. In uno
studio di Mate et al. (1994), effettuato nel Golfo del Messico, i capodogli hanno esibito una avoidance reaction agli
impulsi sismici allontanandosi di oltre 50 km dalla zona esposta al rumore, a dimostrazione di un’insofferenza a livelli
di rumore ben inferiori a quelli sopra citati. Bowles et al. (1994) hanno invece dimostrato la tendenza dei capodogli a
cessare i loro click (sistemi di segnali sonori per l’ecolocalizzazione e la socializzazione), interrompendo l’attività di
feeding (alimentazione) in risposta agli impulsi sismici emessi da una nave a più di 300 km di distanza con livelli ricevuti
di 115dB re 1μPa.
Uno studio effettuato nel 2008 nel Golfo del Messico ha rilevato come l’attività di feeding nei capodogli subisca una
diminuzione del 20% in presenza di airgun attivi (Jochens et al. 2008). Altri esperimenti, condotti nella medesima area,
hanno registrato l’esposizione acustica e il comportamento di otto capodogli prima durante e dopo l’esposizione al
rumore generato da una serie di airgun posizionati a distanze note dai cetacei. Inaspettatamente, tali esperimenti non
hanno evidenziato reazioni di allontanamento dal rumore, ma hanno indicato piuttosto una spiccata sensibilità del
capodoglio a livelli di rumore anche molto bassi a causa degli effetti sub letali che si verificano a livello dell’attività di
ricerca del cibo (foraging), notevolmente ritardata in presenza di airgun attivi (Miller et al., 2009). E’ da rilevare che
impatti su attività fondamentali per i mammiferi marini, quali socializing (socializzazione), resting (riposo),
accoppiamento, feeding e nursing (cure parentali), possono generare effetti negativi anche gravi con ripercussioni a
lungo termine a livello di popolazioni.
Diversi autori hanno sottolineato come attività cruciali per la specie che gli animali svolgono nel momento in cui sono
esposti al rumore e che non possono essere trasferite altrove, quali il feeding in zone di alimentazione chiave, possano
ritardare la reazione al disturbo (allontanamento) provocato dalla sorgente sismica attiva, spiegando così la presenza
di cetacei in alcune zone oggetto di prospezioni geofisiche. Quanto sopra andrebbe attentamente valutato nel
considerare le misure di mitigazione da mettere in atto a tutela delle specie minacciate.
Allo stesso modo andrebbero valutati gli eventuali impatti cumulativi che possono verificarsi a seguito di indagini
sismiche contemporanee in aree limitrofe. Uno studio di Gordon et al. (1998) evidenzia come survey multipli
sarebbero in grado di interrompere rotte migratorie e disturbare zone di alimentazione chiave. Richardson et al.
(1995) riportano come effetto a breve termine l’allontanamento dall’area ed evidenziano come un’esposizione
prolungata possa portare nel lungo termine all’assuefazione al rumore generato dagli airgun.
L’impatto cumulativo che potrebbe verificarsi in aree dove insistono diverse attività antropiche che generano rumore
(piattaforme petrolifere di estrazione, traffico navale, pesca, ricerca scientifica) rimane, invece, di difficile valutazione
in quanto ancora poco compreso. Tuttavia, si ritiene che il limite spaziale e temporale delle suddette attività sia tale da
rendere trascurabile la comparsa di eventuali effetti cumulativi (Irish Dept. Of Communication, Energy and Natural
Resources, 2007).
Non va infine trascurato il sinergismo del rumore subacqueo con altri fattori che possono influenzare negativamente i
mammiferi marini. Nella relazione del Dott. Mazzariol (Dipartimento di Sanità Pubblica, Patologia Comparata e Igiene
Veterinaria dell’Università di Padova), inerente allo spiaggiamento di sette esemplari di capodoglio sul litorale pugliese
tra il 10 e il 15 dicembre 2009, si evidenzia come il fenomeno possa attribuirsi ad una condizione multifattoriale, come
spesso viene suggerito nei lavori scientifici che riportano eventi simili. La complicità di fattori ecologici (profondità),
biologici (inesperienza del gruppo), sociali (aggregazione), patologici e tossicologici (alterazione del sensorio e
immunocompromissione di origine chimica), uniti a fattori antropici, come il rumore generato dagli airgun nel corso di
attività sismiche, può aver determinato nei capodogli l’impossibilità ad orientarsi, il conseguente digiuno ed il loro
successivo spiaggiamento.
4. Effetti su altri organismi marini
Le frequenze emesse dall’airgun (20-150 Hz) rientrano nel range uditivo dei pesci (50-3000 Hz) e sono, dunque, da
ritenersi potenzialmente responsabili di disturbi comportamentali e fisiologici anche a livello della fauna ittica.
Uno studio di McCauley et al. (2003) riporta danni all’orecchio interno di alcune specie di pesci (Pagrus auratus) esposti
al rumore degli airgun, tali da comprometterne l’apparato acustico. Spesso queste lesioni sono in parte recuperabili
(nel caso in studio le funzionalità venivano parzialmente recuperate dopo 58 giorni), ma logicamente provocano nei
pesci una diminuzione della fitness con conseguente vulnerabilità ai predatori nonché una diminuzione delle capacità
di procacciarsi il cibo e di comunicazione con altri individui.
Pearson et al. (1992) hanno studiato gli effetti del rumore prodotto dagli airgun sul comportamento di alcuni scorfani
(Sebastes sp.), rilevando negli animali delle reazioni di allarme (cambiamenti di direzione e di velocità del nuoto) che
tendevano a permanere per circa 60 minuti dopo lo spegnimento della sorgente.
Sembra, inoltre, che vi siano effetti anche sulle attività di pesca (diminuzione del pescato), ma i risultati sono
controversi. Alcuni studi hanno dimostrato una diminuzione nella cattura di pesci, anche dopo giorni dal termine delle
operazioni, oltre che una diminuita disponibilità di uova, probabilmente causata dalla prolungata esposizione di specie
ittiche a suoni a bassa frequenza (Engas et al. 1996; Hirst et al., 2000; Wardle et al., 2001). Pickett et al. (1994) non
hanno, invece, evidenziato differenze significative nelle catture durante le prospezioni sismiche.
Survey acustici condotti simultaneamente a prospezioni geofisiche, seppur non rilevando effetti a breve termine ulla
distribuzione orizzontale degli organismi (Slotte et al., 2004; La Bella et al., 1996), hanno indicato cambiamenti ella
distribuzione verticale di varie specie di pesci (tendenza a rimanere a profondità maggiori) e una diminuzione nella
densità di aggregazione all’interno dell’area soggetta a prospezione. Tuttavia, lo studio di La Bella et al. condotto in
Adriatico non ha rilevato differenze significative nel numero di catture prima e dopo il survey sismico.
Per quanto concerne gli effetti delle prospezioni geofisiche su uova e larve di pesci, Payne et. al. (2009) hanno riportato
l’esito di un esperimento volto a monitorare eventuali effetti a breve termine dell’airgun su uova fecondate e larve di
alcune specie, sottolineando l’assenza di differenze significative in termini di mortalità negli organismi esposti rispetto
ai controlli durante i primi 4 giorni di esposizione. I dati disponibili in letteratura sembrano indicare che la mortalità di
uova e larve di pesci si verifichi solo quando queste ultime si trovano a brevi distanze dalla sorgente sismica
(Kostyuchenko, 1973).
Pochissimi sono i dati disponibili circa gli eventuali effetti che possono riscontrarsi a livello delle tartarughe marine.
Diversi studi hanno evidenziato atteggiamenti di allarme o di fuga come reazione immediata agli impulsi sonori emessi
dagli airgun (McCauley at al., 2000; Lenhardt, 2002; Moein et al., 1994), mentre i risultati di monitoraggi effettuati
durante survey sismici hanno evidenziato risultati controversi. Ciononostante, diversi autori riportano un numero
maggiore di avvistamenti di tartarughe nei periodi di non attività (Weir, 2007; Hauser et al., 2008; Holst and Smultea
2008).
Per quanto concerne gli invertebrati marini, gli studi a oggi disponibili rimangono piuttosto scarsi. Tuttavia, alcune
ricerche condotte in Canada (Christian et al., 2003; DFO, 2004) hanno evidenziato come l’esposizione ad airgun possa
provocare danni anche nei granchi della specie Chionoecetes opili. Sebbene non si fosse osservato un aumento della
mortalità degli organismi e/o delle larve nel breve termine, sono stati osservati danni ai tessuti e agli organi
riproduttivi che hanno portato a una diminuzione del successo riproduttivo e della produzione di uova nel lungo
termine.
È stata verificata inoltre la correlazione tra la produzione di suoni di elevata potenza generati durante indagini
geofisiche condotte nel 2001 e nel 2003 e lo spiaggiamento di calamari giganti sulle coste spagnole nei quali sono stati
osservati danni ad organi interni (MacKenzie, 2004).
Dichiarare che i risultati degli studi citati nel Rapporto Tecnico ISPRA siano “controversi” e
richiamare dal Rapporto Tecnico Ispra solo uno studio condotto nel mare Adriatico nel 1996
(“unica voce fuori dal coro”) è un’espressione che francamente si commenta da sola.
Aree di pesca, aree di alimentazione e marinerie interessate
Riguardo l’utilizzo di questa tecnica di prospezione che la società intende adottare, sembra,
inoltre, che vi siano effetti anche sulle attività di pesca (diminuzione del pescato) . Studi di Engas et
al., 1996; Hirst et al., 2000; Wardle et al., 2001 hanno dimostrato una diminuzione nella cattura di
pesci, anche dopo giorni dal termine delle operazioni, oltre che una diminuita disponibilità di uova,
probabilmente causata dalla prolungata esposizione di specie ittiche a suoni a bassa frequenza. Il
Norvegian Institute of Marine Research ha dimostrato una diminuizione di catture del 50 %
intorno ad una sorgente sonora che utilizzava air gun.
La Regione Sicilia nel “Rapporto annuale sulla pesca e sull’acquacoltura in Sicilia – anno 2011”
evidenzia che:
“L’attività di prospezione con l’utilizzazione del sistema Air Gun ha un impatto ambientale
accertato con ripercussioni sull’attività di pesca,…”
Come ricordato nelle Controdeduzioni, l’importanza della pesca nella Regione Sicilia viene messa
ben in evidenza anche nello studio di impatto ambientale presentato dalla Società;ciò è stato
riconosciuto anche dalla Provincia Regionale di Ragusa.
Pur tuttavia, lo stesso Ente fa notare che la Società ENI non ha esaminato le zone di pesca sia
costiera che alturiera presenti in zona e peraltro individuate nella pubblicazione “Lo stato della
pesca e dell’acquacoltura nei mari italiani” edito dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e
Forestali anno 2011. Ciò è stato anche ammesso dalla stessa Società ENI nelle Controdeduzioni
presentate a pag 101 di 129; ma di fatto nelle stesse Controdeduzioni presentate non ha
apportato alcun elemento ulteriore di studio.
La figura sottostante indica le principali aree di pesca sia costiera che d’altura individuati in detta
pubblicazione. Le aree colorate sono i fondi da pesca alturieri distinti in Ponente (rosso), Kelibia
(blu) e sud di Lampedusa (verde) e che sono prevalentemente se non esclusivamente frequentate
dalle grosse imbarcazioni della Marineria di Mazara del Vallo.
Le aree in nero rappresentano invece le aree di pesca costiera che sono prevalentemente
frequentate anche da imbarcazioni più piccole provenienti dai porti più prossimi (relativamente
all’area centrale in nero: Gela, Licata, Scoglitti, Marina di Ragusa e Pozzallo). In particolare, l’area
centrale in nero è localizzata in una posizione che include completamente l’area del permesso
di ricerca “d 33 G.R-AG” (153,9 km2) ed anche tutta l’area (1025 km2) dove dovranno essere
effettuate le ricerche e che sarà interdetta a tali attività.
Aree di istanza dei permessi di ricerca “d 28 G.R-AG” e “d 33 G.R-AG” interessate dalle prospezioni geofisiche
Si fa notare che questa area è facilmente raggiungibile anche da imbarcazioni non dotate di
particolari motorizzazioni che, sebbene abbiano una minore produttività e redditività, rivestono
una notevole rilevanza dal punto di vista occupazionale e sociale, per il numero di occupati dediti
a tale tipo di pesca.
A parere dello scrivente, considerato che, come detto , l’area in cui dovranno essere effettuate le
indagini rientra completamente all’interno di un’area di pesca costiera , si ritiene che la Società
anche nelle Controdeduzioni presentate continua a non valutare in modo esaustivo gli impatti
sull’attività di pesca. Non fornendo alcuna cifra in termini economici, non ha neanche quantificato
la perdita economica per l’attività di pesca a seguito di tali attività di prospezione.
Infine, a meno che non si voglia arrivare alle paradossali conclusioni che per i pesci le aree di pesca
rappresentino una sorta di “aree di villeggiatura”, le aree di pesca non sono altro che aree di
alimentazione dove vi sono le condizioni di cibo sufficienti affinchè gli organismi marini possano
nutrirsi. Aree di alimentazione che la stessa Società ritiene di dover escludere dall’indagine
sismica (pag 127 di 129 delle Controdeduzioni).
**********
Sulla base delle criticità suddette, si esprime ulteriormente parere negativo all’intervento di che
trattasi.
Li_________
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