Scheda elaborata a scopi didattici per una trattazione della filosofia

Scheda elaborata a scopi didattici per una trattazione della filosofia hegeliana. Tratta da
Weischedel, La filosofia dalla scala di servizio (ed. R. Cortina), con ulteriori integrazioni e
paragrafazioni a cura di Antonio Lionello.
Biografia "Hegel, un ciarlatano insulso, privo di spirito, schifoso, ripugnante e ignorante, che
scribacchiava con incomparabile insolenza, demenza e insensatezza cose che erano strombazzate come
immortale saggezza dai suoi venali adepti e venivano prese sul serio dagli idioti, [...] ha provocato
l'avvelenamento intellettuale di un'intera generazione di dotti". Questa frase, che non manca certo di
chiarezza, non l'ha pronunciata un signore qualunque in un momento di ebbrezza; è stata pensata a lungo
prima di venir data alle stampe e l'autore è niente di meno che Arthur Schopenhauer. Questi non si è affatto
accontentato di attacchi sporadici; i suoi scritti sono pieni di aggressioni verbali contro Hegel. Egli lo
chiama "misero patrono", "calibano dello spirito", "corruttore delle menti"; la sua filosofia sarebbe "vuoto
ciarpame di parole", "insensata chiacchiera", "buffonata filosofica": un "mettere insieme un intreccio di
parole così insensato e forsennato, che fino a ora si era sentito soltanto nei manicomi". E quest'uomo "che
ha scribacchiato stupidaggini come nessun altro prima di lui", questo "maestro d'assurdità", con la sua
"fisionomia da birraio", è "riuscito per trent'anni a essere considerato il maggior filosofo tedesco". Ma il
futuro, così profetizza Schopenhauer, porterà alla luce la verità su Hegel che già da ora avanza "a grandi
passi incontro al disprezzo", destinato come è a "consegnare ai posteri l'inesauribile tema dello scherno oltre
il proprio tempo".
Ma qual è il giudizio dei posteri su Hegel? Bisogna ammettere che per un periodo viene quasi dimenticato.
Ma in seguito il suo pensiero, a dispetto di tutte le profezie di Schopenhauer, acquista un significato che ha
come termine di paragone solo quello attribuito a Kant. Il numero di scritti su Hegel è sterminato, in tutto
il mondo si tengono convegni in suo onore, esistono hegeliani di tutte le sfumature. Perfino chi lo detesta
non può evitare di confrontarsi con Hegel, se vuole praticare seriamente la filosofia. Tramite il suo allievo
Marx, l'ombra di Hegel si proietta sugli eventi storici che hanno contrassegnato il nostro secolo; il suo
pensiero ha concorso a mutare forma al pianeta. Semmai sono le tirate polemiche di Schopenhauer a esser
cadute nell'oblio. La carica di rabbia presente nelle sue affermazioni origina probabilmente da un
risentimento personale: voleva infatti competere con Hegel come professore universitario, ma andò incontro
a un miserevole fallimento. Persuaso dell'incomparabile valore del suo pensiero, Schopenhauer, pur
essendo da poco diventato libero docente di filosofia, pose le sue lezioni alla stessa ora in cui le teneva il
celeberrimo Hegel. Non c'è da stupirsi che gli studenti corressero tutti all'aula di quest'ultimo e si tenessero
lontani da Schopenhauer, il quale già dopo un semestre era costretto a interrompere le lezioni, tenute a un
uditorio fatto solo di banchi vuoti.
Che le lezioni di Hegel fossero così frequentate è a dir poco sorprendente; infatti, egli non era né facile da
capire, né dotato di un'eloquenza trascinante. Eppure, le sue lezioni avevano qualcosa di affascinante,
forse per la sua capacità di entrare nelle cose e per il fervore da cui si faceva prendere all'atto di pensarle.
Ne abbiamo un'amena descrizione dalla penna di uno dei suoi uditori più devoti: "con aria tra lo spossato e
il burbero, Hegel sedeva raccolto in sé con la testa ricurva e parlava nel mentre sfogliava lunghi fogli di
quaderno, rigirandoli avanti e indietro, sopra e sotto. Un continuo rischiararsi la gola e tossire disturbavano
il flusso del discorso, ogni frase se ne stava isolata e usciva a fatica, frammentata e scombussolata; ogni
parola, ogni sillaba, si liberava solo con riluttanza per poi ricevere da una voce metallica con un forte
dialetto svevo uno strano accento profondo, quasi ognuna di esse fosse la più importante. Tutto questo
comportamento, tuttavia, incuteva un rispetto così profondo, suscitava una tale sensazione di autorevolezza
e conquistava attraverso una spontaneità che celava una sconvolgente serietà, tanto che io mi sentii
inseparabilmente incatenato, nonostante i numerosi disagi [...]. Quello spirito violento scavava e tesseva
nelle profondità di ciò che apparentemente è indecifrabile, in modo sereno e autocosciente, sentendosi in
ciò perfettamente a suo agio. Solo allora la voce si levava, l'occhio lampeggiava severo sugli astanti e brillava
nel fuoco quietamente divampante di una luce profonda e persuasiva, mentre egli toccava con parole giuste
tutte le tonalità più alte e più basse dell'anima".
Questo esser preso dalla cosa distingue Hegel già negli anni della sua giovinezza. Da studente nel
ginnasio di Stoccarda tiene un diario, in cui annota, in parte in tedesco, in parte in latino, osservazioni
saccenti circa Dio e il mondo, la fortuna, la superstizione, la matematica e le scienze naturali, nonché
pensieri concernenti il corso della storia mondiale e persine il "carattere del sesso femminile". Il giovane
Hegel non tiene in gran conto una frequentazione più ravvicinata con le donne. Si indigna per i suoi
compagni di studi: "Gli uomini allora portano a passeggio le signorine e guastano se stessi sperperando il
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tempo in modo disperato". Qualche tempo dopo, in occasione di una visita a un concerto, si legge sul suo
diario: "II guardare belle ragazze facilitava non poco la nostra conversazione".
Nonostante queste piccole sortite il tratto fondamentale del carattere di Hegel è quello di una
complessiva serietà. Esso non muta nemmeno quando frequenta l'università e viene accolto nel seminario
protestante di Tubinga, la prestigiosa scuola sveva di teologia. Qui si lega in amicizia con il suo coetaneo
Hòlderlin e con Schelling, di cinque anni più giovane, precoce ragazzo prodigio. Insieme si entusiasmano
per Kant e la Rivoluzione francese, e Hegel rimarrà fedele per tutta la vita a queste sue passioni giovanili: al
filosofo Kant, diventando lui stesso filosofo, e alla Rivoluzione francese, scolandosi ogni anno nel giorno
dell'anniversario della presa della Bastiglia una bottiglia di vino rosso. Lo studente Hegel, fra i tre amici, è
però sicuramente quello che con maggior cura nasconde il proprio entusiasmo; in ogni caso gli altri lo
soprannominano "il vecchio".
Compiuti gli studi Hegel lavora come precettore ottenendo il posto grazie alla mediazione di Holderlin.
Ma poi viene chiamato da Schelling, il quale, nel frattempo, è diventato professore a soli 23 anni, per
esercitare la libera docenza a Jena, la città che allora era il sobborgo dei filosofi. Egli vi tiene le sue lezioni,
anche se spesso si sente frainteso e in preda alla malinconia. La retribuzione è modesta, tanto che egli si reca
regolarmente da Goethe, il ministro competente a Weimar, per ottenere sussidi.
A Jena assiste all'ingresso dei francesi; quando Napoleone visita la città, Hegel scrive di aver veduto
passare a cavallo lo spirito del mondo". Lo spirito del mondo non è comunque troppo benevolo verso di
lui; la sua casa viene saccheggiata e, a causa dei disordini provocati dalla guerra, viene sospeso il
pagamento del suo stipendio; gli tocca così cercarsi un altro lavoro. In un primo tempo si impiega come
redattore a Bamberg, ma ben presto si stanca della "galera del giornale", e diventa direttore del ginnasio di
Norimberga. Possediamo una simpatica testimonianza di come Hegel, il filosofo difficile, eserciti e tolleri il
lavoro di insegnante, in una lettera del poeta Clemens von Brentano: "a Norimberga incontrai il rigido Hegel
nella sua veste di rettore del ginnasio; egli leggeva // libro degli eroi e i Nibelunghi e, durante la lettura, se li
traduceva in greco, per poterli godere meglio".
Infine, a 46 anni, diviene professore prima a Heidelberg poi a Berlino. Qui impiega però un po' di
tempo prima di ambientarsi. Gli danno fastidio le grandi distanze. Inoltre, non apprezza i "negozi di
liquori maledettamente numerosi" e si preoccupa dei prezzi elevati degli alimenti e degli affitti. Ben presto,
però, si ambienta a Berlino, e lo si nota particolarmente in occasione di un suo viaggio a Bonn, città che non
gli piace affatto. In una lettera alla moglie, infatti, scrive: "Bonn è gibbosa, con le strade strette, ma i
dintorni, il panorama, il giardino botanico... tutto bello, molto bello; però io preferisco stare a Berlino".
Lo si può comprendere, se si legge ciò che il primo biografo di Hegel scrive riguardo alla sua tendenza alla
socievolezza: "Hegel provava uno straordinario piacere nel frequentare i salotti delle signore berlinesi, ed
esse, a loro volta, proteggevano e curavano l'amabile e spiritoso professore mostrando una sorta di
predilezione nei suoi confronti".
Ma Hegel non era sempre così amabile. Il biografo continua: "manifestava l'ira e la collera con grande
forza, e laddove riteneva di dover odiare lo faceva fino in fondo. Anche nei suoi rimproveri era terribile.
Quando attaccava qualcuno, alla vittima tremavano subito le gambe". Non c'è quindi da meravigliarsi che
giunga a veri e propri scontri con i colleghi. Ecco il riottoso Schopenhauer. Ecco, soprattutto,
Schleiermacher, con cui Hegel scambia sì, reciprocamente, indirizzi di negozi di vino, anche se, per il resto,
le cose non volgono al meglio. Si racconta persino che a corte i due, in occasione di una discussione circa
una dissertazione, si siano gettati l'uno contro l'altro con il coltello, e che non rimase loro altra soluzione
per smentire pubblicamente l'episodio che calarsi insieme sorridenti giù dallo scivolo del Tivoli.
Più rilevante però è il fatto che Hegel sviluppi ora all'università una grande influenza che, in breve
tempo, lo farà diventare il filosofo della Germania. Le sue lezioni straripano non soltanto di studenti, ma
anche di "maggiori, ufficiali e consiglieri di stato". Sempre più la sua filosofia, come quella del suo
predecessore Fichte, diventa decisiva per la formazione spirituale delle élite dello stato prussiano.
Ma ciò non dura a lungo. A soli 61 anni, nel 1831, Hegel muore di colera, che allora infuriava a
Berlino, strappato a una vita che si volgeva sempre più allo studio della filosofia. Le ultime parole da lui
scritte riguardano 1"'impassibile quiete propria soltanto della conoscenza e del pensiero". Tutta la vita di
Hegel è a questo consacrata.
Genesi della dialettica hegeliana. Egli intende sondare qual sia la verità di tutte quelle realtà che
ci circondano, e come ciò si accordi con l'uomo che col pensiero e con l'azione si trovi inserito in tali
realtà. Questo è il compito che si pone ogni grande filosofia - e noi lo dobbiamo tener presente in modo
particolare se vogliamo capire Hegel. Così facendo si eviterà di ridurre, come si fa di solito, il senso del
pensiero di Hegel al solo movimento dialettico, all'incalzante ritmo di tesi, antitesi e sintesi. Allora il suo
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pensiero sarà inteso come una filosofia vivente che origina dalle concrete domande dell'esistenza e che,
sviluppatasi in sistema a partire da tali domande, è l'ultima grande metafisica dello spirito occidentale.
Hegel si imbatte ben presto nella concretezza della domanda, quando fa i conti con la filosofia di Kant.
Questi, nel grandioso progetto della sua etica, aveva contrapposto nel modo più rigido possibile dovere e
inclinazione, dividendo l'uomo in due: l'"io autentico", che è consapevole della legge morale, e "l'io
empirico" con i suoi riprovevoli bisogni e desideri. Al contrario per Hegel occorre riguadagnare "l'unità
dell'intero uomo". Egli la trova nell'amore, che può essere espressione dell'essenza morale dell'uomo e che,
tuttavia, corrisponde alle sue inclinazioni naturali. Così, la domanda sull'essenza dell'amore costituisce il
punto di partenza del pensiero di Hegel; muovendo da questa domanda, egli compie le sue prime decisive
scoperte destinate a formare il nucleo di tutta la sua successiva filosofia. È nell'amore, infatti, che Hegel fa
esperienza per la prima volta di un momento che ritroverà poi in tutta la realtà: la dialettica. Le radici di
questa non vanno dunque ricercate nel pensiero astratto; la sua scoperta deriva piuttosto dall'osservazione
di un fenomeno concreto. Di qui Hegel giunge a comprendere come la dialettica in origine non sia
prerogativa della filosofia, ma costituisca il momento essenziale della struttura della realtà.
Tesi, antitesi e sintesi. Che cosa appartiene all'amore inteso quale processo vitale tra gli amanti?
Innanzitutto, deve esistere colui che ama, il quale deve, in un certo qual modo, dire a se stesso: io sono;
deve affermarsi, porre se stesso. Nel movimento dialettico questo costituisce il momento della tesi, in
relazione alla struttura complessiva dell'accadere dell'amore. Ma all'amore appartiene anche l'uscir da sé da
parte di colui che ama, il concedersi all'amata, dimenticandosi in essa e con ciò estraniandosi a se stesso. Nel
rinunciare a sé, egli nega l'iniziale posizione di se stesso, ponendosi di fronte l'altro. Alla struttura formale
dell'amore appartiene perciò non soltanto la tesi, bensì anche l'antitesi. Rimane tuttavia ancora incompleta
la comprensione del fenomeno. È decisivo che colui che ama, mentre dimentica se stesso in chi egli ama,
abbia la possibilità di ritrovarsi; nella donazione a chi ama, diviene consapevole di se stesso in modo più
profondo. Infatti, "la vera essenza dell'amore consiste nel rinunciare alla consapevolezza di sé, nel
dimenticarsi in un altro sé, e tuttavia nel giungere a ritrovarsi e possedersi soltanto internamente a questa
rinuncia e a questa dimenticanza". Anche la negazione contenuta nell'antitesi viene a sua volta negata.
L'alienazione viene superata, e proprio attraverso ciò si realizza una vera sintesi tra chi ama e chi è amato.
Contraddizione e conciliazione Il processo dell'amore mostra quindi le strutture di un processo
dialettico, più propriamente inteso come processo vitale. "L'amato non è contrapposto a noi, è tutt'uno con
il nostro essere; noi ci vediamo soltanto in lui - e con ciò nuovamente lui stesso non è noi - un miracolo che
noi non riusciamo a comprendere"!. Se però l'amore è un evento nella realtà, ciò significa che nella realtà si
trova la dialettica, si trovano contraddizione e conciliazione.
Non appena osserva l'amore con maggior cura, Hegel scopre che non è un evento isolato nella totalità
della realtà, perché la realtà è governata dall'amore in più forme; l'amore è un evento fondamentale del reale.
Ogni vita si svolge in relazioni amorose e si mantiene soltanto grazie a esse. Ne viene che ciò che giunge a
manifestarsi nell'amore è la vita stessa. Questo è ben noto agli stessi amanti: nel momento in cui sono vinti
dall'amore, presagiscono che la vita domina invisibilmente in loro; nell'amore "si trova la vita stessa". Così,
dietro l'evidenza dell'amore si apre per Hegel "un infinito universo della vita": quel fondamento da cui
deriva ogni vivente. Solo con queste considerazioni il pensiero di Hegel diventa propriamente filosofico; ora
egli non guarda più a ciò che sta davanti agli occhi, bensì si interroga sul fondamento ontologico del
visibile. Giunge così a comprendere che nell'amore si manifesta la vita tutta, il fondamento della realtà tout
court; in tutto ciò che è fluisce l'unica grande vita, tanto che Hegel designa il reale in ogni reale, ossia il
fondamento dell'essere, anche come "la vita assoluta" o, semplicemente, come "l'assoluto".
La filosofia come scienza assoluta L'intento della filosofia di Hegel consiste nel considerare ogni
realtà fondata nell'assoluto, nel mostrare tutto come manifestazione dell’unico assoluto. Questo dà al suo
pensiero un carattere metafisico. Hegel considera ora la realtà sotto l'aspetto di questo vero reale, l'assoluto;
la filosofia diventa "scienza assoluta". Che la filosofia pervenga all'assoluto, sembra a Hegel particolarmente
urgente nell'epoca in cui vive, perché questa è caratterizzata da "un assoluto evaso dall'apparenza della
vita", e "dal sentimento: Dio stesso è morto". Perciò risulta decisivo, in particolare in quel tempo, far sì che
l'assoluto riottenga i propri diritti. La vita assoluta mostra, come Hegel argomenta ulteriormente, la stessa
struttura dialettica della sua manifestazione privilegiata, l'amore. Anch'essa si fa visibile negli amanti non
appena si consideri il loro amore come espressione della vita che regna in loro. Essi sentono che è una e la
stessa vita quella che li attraversa; esiste dunque in origine un'unitarietà della vita. Al contempo, però, gli
amanti si conoscono come essenze separate ed esperiscono il dolore della separazione. Quella vita unitaria
si rivela dispersa in una molteplicità di esseri viventi. Con ciò, la scissione penetra nella vita che
originariamente era unita con se stessa: "lo sdoppiamento necessario è un fattore della vita, la quale si
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forma opponendosi eternamente a sé". In ogni separazione, tuttavia, gli amanti sentono l'impulso alla
riunificazione; la vita che agisce in loro spinge dalla divisione all'unità; nell'amore "si trova la vita stessa
come duplicazione di se stessi e come unificazione". La vita che domina la realtà fin dal fondamento è essa
stessa un processo dialettico, un continuo accadere di separazione e connessione, di autoalienazione e
conciliazione. In questo suo interno ritmo, la vita crea continuamente nuove figure, rivelando così la sua
essenza creatrice.
La concezione hegeliana di Dio. Per questo Hegel può designare la totalità della vita come divinità:
"tutto" vive nella divinità", Dio è "la vita infinita". Con ciò il pensiero di Hegel si trasforma in teologia
filosofica. Oggetto della filosofia non è "nient'altro se non Dio e la sua esplicazione"; il compito più alto è
quindi quello di porre "Dio assolutamente al culmine della filosofia". Il divino che vive in tutto e in cui
tutto vive non è però il Dio creatore, personale e trascendente del cristianesimo, bensì il "Dio del
mondo". Eppure, Hegel si approssima molto al Dio cristiano, richiamandosi esplicitamente alla tradizione.
Egli interpreta la divinità come spirito. Questa interpretazione pare fondata dal momento che per Hegel lo
spirito umano è certamente la rappresentazione per eccellenza di Dio nel mondo. Però, se il divino si
manifesta in sommo grado nello spirito dell'uomo, ne deriva che ha una natura spirituale. "L'assoluto è lo
spirito; questa è la suprema definizione dell'assoluto". Hegel perviene così al concetto chiave della sua
filosofia, al pensiero dello spirito assoluto: "Dio è lo spirito assoluto".
Tuttavia, se Dio è spirito il mondo è il modo attraverso cui Dio si rappresenta, ne viene
necessariamente che anche il mondo è da ultimo di natura spirituale. Hegel trae appunto questa
scandalosa conseguenza. Tutto ciò che vediamo davanti a noi, non soltanto l'uomo e le creazioni del suo
spirito, ma anche le cose, le montagne, gli animali e le piante, in breve l'intera natura, sono spirito. Soltanto
il nostro punto di vista limitato e finito può indurci a ritenere che le cose siano di natura materiale. Chi
comprende correttamente il mondo, chi lo spiega filosoficamente - e ciò significa per Hegel: chi lo osserva
nella sua verità - deve riconoscerlo come spirito incarnato, visibile. Perché "solo lo spirituale è reale".
L’Idea in sé, l’Idea fuori di sé e l’Idea in sé e per sé. Giungiamo ora alla vera difficoltà del
compito filosofico: quella di mostrare come Dio si rappresenti come natura e come spirito umano; anzi, al
problema se si dia un'interiore necessità per cui Dio diventi mondo. Hegel vuole risolvere questo compito
mostrando come la dialettica entri ancora una volta in scena nel suo sommo grado, in Dio. Se, infatti, Dio
non è nient'altro che la totalità della vita, allora anch'egli deve avere la stessa intima struttura di quella.
Perciò, il "concetto fondamentale dello spirito assoluto è la conciliazione e il ritorno dal suo altro a se
stesso"; "Dio è questo: differenziarsi da se stesso, divenire oggetto di sé, eppure, in questa differenza per
eccellenza, essere identico a se stesso - lo spirito". Proprio questo intimo movimento dialettico, presente
nella divinità, è il modo in cui essa si rappresenta come mondo.
Per chiarire ciò, Hegel muove dallo spirito umano, e considerarlo come immagine dello spirito divino
dal momento che è la più importante manifestazione di Dio. Qual è dunque la caratteristica dello spirito
umano? Hegel risponde: il fatto che è cosciente di sé. Lo spirito è per essenza autocoscienza. Ma
l'autocoscienza non si compie una volta per tutte, piuttosto esistono gradi progressivi di autocoscienza. Ciò
si mostra immediatamente nel modo in cui il bambino è cosciente di sé rispetto all'uomo adulto. A questo
proposito Hegel intende mostrare che il cammino del divenire dell'autocoscienza è dialettico, che esso si
compie in quei tre stadi, che già abbiamo visto in opera nei fenomeni dell'amore e della vita: "lo sviluppo
dello spirito è l'uscita da sé, il dispiegarsi da sé e il ritorno a sé".
Il cammino della Fenomenologia della spirito. Il primo stadio dell'autocoscienza è una condizione in
cui lo spirito è ancora in uno stato di sogno. L'uomo non è ancora esplicitamente cosciente di se stesso. Lo si
vede, per esempio, nella coscienza dell'io di un bambino piccolo, che ha soltanto un confuso sentimento
della propria esistenza. Questa semplice sensazione d'esistenza corrisponde alla tesi nello schema dialettico.
Per divenire davvero consapevole di se stesso, l'uomo deve uscire dalla condizione di sogno, e ciò si ha nel
secondo stadio. Egli diviene attento a se stesso, comincia a scoprire se stesso. In questo momento accade,
secondo Hegel, qualcosa di strano. Lo spirito osserva se stesso, ma è come se ciò che osserva fosse qualcosa
di estraneo. Egli diviene, per così dire, estraneo al suo stesso sguardo. Egli si meraviglia e domanda: devo
essere questo? Nell'autosservazione ha quindi luogo nell'io una estraniazione, e l'io si divide nell'io che
guarda e nell'io che viene guardato. Questa "autoalienazione" rappresenta lo stadio dell'antitesi. In essa,
tuttavia, l'uomo non ha ancora raggiunto l'autocoscienza reale e compiuta. A quest'ultima infatti appartiene
la scoperta che ciò che l'uomo vede nell'autosservazione è lui stesso; chi guarda e chi è guardato sono lo
stesso io. Con ciò, l'uomo, come Hegel sottolinea, ritorna a se stesso dallo stadio dell'autoalienazione, e si
concilia così con se stesso. È il momento della sintesi nell'autocoscienza. L'esito di queste riflessioni suona:
l'uomo è autocoscienza, ma l'autocoscienza è un processo in divenire, e come tale dialettico.
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Il cammino de La filosofia dello spirito (Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio). Ciò
che Hegel ha scoperto nello spirito umano lo traduce ora nello spirito divino. Anch'esso è autocoscienza in
divenire, e anche il suo divenire si compie nel movimento dialettico. Per quanto riguarda il primo aspetto,
Hegel non assegna alla divinità una perfezione data una volta per tutte, bensì un intimo dispiegarsi; anche
Dio deve giungere a una completa autocoscienza all'interno di uno sviluppo. Il pensiero di Hegel intorno a
Dio si differenzia qui nel modo più chiaro dal concetto di Dio cristiano. La sua concezione filosofica di
fondo stabilisce che Dio stesso ha una storia,. che anch'egli deve compiere i passi necessari per il
dispiegamento della sua completa essenza.
Il secondo aspetto consiste nel mostrare come la storia interiore di Dio si compia in un processo
dialettico. Infatti, "lo spirito assoluto, pur essendo l'essenza eternamente uguale a se stessa, diviene un
altro da sé e riconosce quest'altro come sé". Conformemente a ciò esiste un primo stadio in cui Dio non è
ancora veramente cosciente di se stesso, in cui, per così dire, anche lo spirito assoluto sogna.
1. La logica. Hegel compie il grandioso tentativo di esporre l'essere-in-sé del divino, e precisamente in
una nuova forma della Logica, la quale contiene "la rappresentazione di Dio [...], come egli è nella sua
eterna essenza prima della creazione della natura e di uno spirito finito". La divinità, tuttavia, non può
permanere nel suo stadio di sogno, se deve pervenire a una vera autocoscienza. Hegel si mette quindi a
descrivere l'immane cammino di Dio verso una compiuta autocoscienza. In primo luogo, Dio deve andare
alla ricerca di se stesso. Deve accogliere in sé l'autoalienazione, ossia il secondo stadio dialettico, deve
estraniarsi a se stesso. Dio si osserva e si scinde in ciò che guarda e in ciò che è guardato, che vede come un
qualcosa di estraneo. Hegel osa esprimere la grandiosa concezione secondo cui questa divinità in sé divisa
non è null'altro che il mondo che appare ai nostri occhi. L’autoalienazione del divino consiste nel suo farsi
mondo. Ne segue che Hegel non può sottrarsi all'immane compito di comprendere l’intera realtà dal punto
di vista di Dio, ovvero dello spirito assoluto.
2. La filosofia della natura
Hegel non ha per il mondo naturale alcun vero interesse, né estetico né scientifico. E’ noto come lo
lasciasse indifferente e annoiato uno degli spettacoli naturali più superbi, come quello delle Alpi. Non lo
commuoveva, né lo esaltava di più quello dei cieli. L'infinità dei cieli può interessare il sentimento, in quanto
calma le passioni, ma non dice nulla alla ragione, perché "è l'esterno, vuoto, negativo infinito". Quanto agli
astri, essi sono una eruzione di luce, che non è più degna di ammirazione dell'eruzione che cosparge di punti
rossi la cute di un corpo organico, o do uno,sciame o di un formicaio. Per ciò che riguarda l'aspetto
scientifico della natura, Hegel ammette che la filosofia della natura abbia per presupposto e condizione la
fisica empirica, ma questa deve limitarsi a fornirle il materiale e a fare il lavoro preparatorio, di cui essa si
avvale liberamente per mostrare la necessità con la quale le determinazioni naturali si concatenano in un
organismo concettuale. Per loro conto, i risultati dell'indagine empirica non hanno il minimo significato.
"Se la fisica dovesse fondarsi sulle percezioni e le percezioni non fossero altro che i dati dei sensi, il
procedimento della fisica consentirebbe nel vedere, ascoltare, fiutare, ecc. neanche gli animali in questo
modo sarebbero dei fisici".
Date queste premesse, non c'è da stupirsi che la filosofia della natura sia la parte più debole del sistema;
Hegel si serve in essa nel modo più arbitrario e fantastico dei risultati della scienza del suo tempo,
interpretandoli e concatenandoli in modo tale che essi perdono il loro valore scientifico senza perciò
acquistare un qualsiasi significato filosofia).
Il concetto della natura ha, tuttavia, nella dottrina di Hegel una funzione importante e non potrebbe essere
eliminato o tolto senza eliminare o togliere l'intera dottrina. Il principio stesso dell'identità di realtà e ragione
pone infatti a questa dottrina l'obbligo di giustificare e risolvere nella ragione tutti gli aspetti della realtà.
Hegel respinge fuori della realtà, quindi nell'apparenza, ciò che è finito, accidentale e contingente, legato al
tempo al tempo e allo spazio, e la stessa individualità in ciò che ha di proprio e di irriducibile alla ragione.
Ma tutto ciò deve pur trovare un qualche posto, una qualche giustificazione, sia pure a mero titolo di
apparenza, se, almeno come apparenza, è reale; e trova posto e giustificazione appunto nella natura. La
natura è "l'idea nella forma dell'esser altro" e come tale è esteriorità.
Le divisioni fondamentali della filosofia della natura sono: la meccanica, la fisica, e la fisica organica.
La meccanica considera l'esteriorità che è l'essenza propria della natura (spazio, tempo, materia, movimento.
La fisica comprende la fisica dell'individualità universale e particolare (peso specifico, coesione, suono,
calore- proprietà magnetiche, elettriche e chimiche della materia). La fisica organica comprende la natura
geologica, la natura vegetale e l'organismo animale.
ciò che riguarda l'organismo animale, ecco ciò che Hegel dice della morte: “La inadeguatezza dell'animale
all'universalità è la sua malattia originale; ed è il germe innato della morte. La negazione di questa
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inadeguatezza è appunto l'adempimento del suo destino. L'individuo si nega in quanto modella la sua
singolarità sull'universalità; ma con ciò, per essere questa astratta e immediata, raggiunge soltanto un' oggetti
vita astratta in cui la sua attività si ottunde, si ossifica, e la vita diventa un'abitudine priva di processo,
cosicché l'individuo si uccide da se stesso". In altri termini, l'individuo muore perché la sua attivata limitata
si solidifica in abitudini che rendono impossibile l'universalizzarsi della sua vita. Ma in quanto le sue attività
si universalizzano veramente, esse non sono più individualità né natura, ma spirito, e lo spirito è eterno
perché è la verità stessa. La morte dell'individuo costituisce in tal modo il trapasso dal dominio della natura a
quello della spirito.
3. La filosofia dello spirito
L'Idea dopo essersi estraniata come esteriorità e spazialità si fa soggettività e libertà.
a) SPIRITO SOGGETTIVO (Spirito individuale nell'insieme delle sue facoltà)
b) SPIRITO OGGETTIVO (Spirito sociale) [Diritto – moralità – eticità]
c) SPIRITO ASSOLUTO (E' lo Spirito che conosce se stesso nelle forme dell'arte, della religione e
della filosofia) [Arte – religione – filosofia].
Diritto astratto: le persone sono concepite come puri soggetti astratti di diritto.
La Moralità è la sfera della volontà soggettiva quale si manifesta nell'azione.
La Famiglia è un'unità spirituale fondata sull'amore e sulla fiducia (matrimonio, patrimonio, educazione dei
figli).
Società civile: si identifica con la sfera economico-sociale e giuridico amministrativa del vivere insieme.
Lo Stato è il momento culminante dell'eticità. L'Ethos di un popolo esprime consapevolmente se stesso.
La concezione hegeliana è diversa dalla teoria liberale dello Stato inteso come strumento per garantire la
sicurezza e i diritti.
La sovranità dello Stato deriva dallo Stato stesso che ha in sé la propria ragion d'essere e il proprio scopo.
Hegel contesta anche il giusnaturalismo, ossia l'idea di diritti naturali esistenti prima e oltre lo Stato, pur
condividendo cor il giusnaturalismo la tesi della supremazia della Legge concepita come la più alta
manifestazione della volontà razionale dello Stato.
Il pensiero politico hegeliano mette capo ad una esplicita divinizzazione dello Stato "L'ingresso di Dio nel
mondo è lo Stato", "entrata concreta e visibile di Dio nel mondo”. Il solo giudice o arbitro della contesa fra
gli Stati è lo Spirito universale, cioè la storia, la quale ha come suo momento strutturale la guerra.
La sua filosofia si colloca nell'angolo di visuale di Dio: Hegel diviene lo spirito del mondo
personificato. Hegel vuole chiarire, partendo dal mondo come esso appare a noi, che il mondo è una
rappresentazione di Dio nella sua autoalienazione. Il mondo si mostra da un lato come natura, dall'altro
come spirito umano. Entrambi i lati devono essere intesi nella loro profondità come rappresentazioni di
Dio. In questa prospettiva filosofica lo spirito umano, che conosce la natura, è spiegato in Dio come il
soggetto che guarda. La natura, che viene conosciuta dallo spirito umano, è l'oggetto dello sguardo divino;
essa è "lo spirito assoluto come l'altro di se stesso". Quel che noi consideriamo natura, mondo delle cose, è
in realtà Dio stesso, ma Dio che si osserva come qualcosa di estraneo. La filosofia della natura diviene
in Hegel teoria di Dio, ma teoria di Dio nella sua autoalienazione. E dire che lo spirito umano conosce la
natura significa in verità che il divino presente nello spirito umano conosce se stesso. Nell'evento
dell'autosservazione si compie già quel capovolgimento che caratterizza il terzo stadio dell'autocoscienza.
Infatti, Dio deve ora comprendere che egli, sia in quanto soggetto che guarda sia in quanto oggetto dello
sguardo, è uno e lo stesso; e ciò è proprio dell'essenza dell'autocoscienza che è giunta a compimento.
Il sapere assoluto. Il ritorno di Dio a se stesso si compie nell'uomo; nell'uomo Dio giunge alla perfetta
coscienza di sé, nell'uomo la dialettica dell'autocoscienza divina trova la sua conclusione. Come ciò
accada, Hegel lo descrive nella sua complessa "filosofia dello spirito". Il processo con cui Dio conosce se
stesso è l'intimo senso di tutto ciò che si compie a livello dello spirito umano: esso si mostra nell'esistenza
individuale come nella storia, si rivela nel diritto, nello stato, nella scienza, nell'arte, nella religione e, nel
modo più alto, nella filosofia. Se la filosofia giunge a far sì che l'uomo comprenda l'intera realtà come
rappresentazione dello spirito divino, ciò significa che Dio è nuovamente tornato a se stesso, dopo
l'avventura del suo farsi mondo e della sua separazione. L'impresa di Hegel appare in questo punto in tutta
la sua grandiosità. Egli vuole cogliere l'intera realtà come pura e perfetta rappresentazione dello spirito
assoluto. Descrive la "tragedia [...], che l'assoluto eternamente rappresenta a se stesso: il fatto che esso
eternamente si partorisca nell'oggettività, che in questa sua figura si consegni al dolore e alla morte, e infine
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si sollevi dalle sue ceneri alla bellezza". Infatti, "non la vita che teme la morte, e si mantiene intatta dalla
devastazione, bensì quella che la sopporta e si mantiene in essa, è la vita dello spirito. Lo spirito guadagna la
sua verità soltanto se trova se stesso nell'assoluta separazione".
Conclusioni. Eppure, è inevitabile che il titanico .tentativo di Hegel fallisca, e proprio per la durezza dei
fatti che sono riluttanti a inserirsi nel suo sistema. Esistono certo forme mondane nelle quali si può
riconoscere l'immediata espressione del divino: l'organismo compiuto, lo stato interpretato eticamente,
l'opera d'arte riuscita, la vera religione, la grande filosofia. Ma sono soltanto oasi dell'ampio deserto di ciò
che nella realtà fattuale resiste a lasciarsi interpretare come rappresentazione di Dio. Si tratta
dell'insensato dell'incompiuto nella natura, dei molti tentativi falliti, della dissipazione della vita, delle
infinite ripetizioni. Nell'uomo è l'elemento caotico della sensibilità, nella storia è la molteplicità di eventi
indifferenti, che in nessun modo si lasciano leggere come passi dello spirito divino verso la sua compiuta
autocoscienza. Da tutto ciò deriva che il mondo non è una pura rappresentazione di Dio. In esso dimora
qualcosa che resiste: le potenze contrarie a Dio e il caos. Purtuttavia se si intende, come Hegel tenta sempre,
mantenere una comprensione del mondo che parta da Dio, bisogna alla fine riconoscere che il farsi mondo di
Dio accade nella lotta e nel contrasto, tra occasionali vittorie e innumerevoli sconfitte. A Dio riesce soltanto in
parte di ritrovarsi in se stesso; il resto è tramonto.
Se Hegel ha fallito, non vien meno tuttavia il compito che , egli si è posto, l'autentico interesse della
filosofia: trovare il punto a partire dal quale il mondo possa essere compreso unitariamente. In questo sforzo
Hegel resta un modello per tutti i filosofi. Chi fa filosofia deve sempre disporsi di nuovo a rimeditare i
segreti della divinità. Se però tutti i suoi molteplici tentativi di penetrare con la conoscenza l'oscurità divina
si infrangono, gli rimane la rassegnazione che Goethe designa come sommo compito dell'uomo: "onorare
serenamente l'imperscrutabile".
Post Scriptum. «Profeta del totalitarismo» o «filosofo della libertà»?
Un'altra interpretazione -che ha trovato in Karl Popper la sua voce più nota- è quella che scorge nello Hegel
politico un «nemico della società aperta» ed un «profeta del totalitarismo». Poiché tale lettura viene spesso
divulgata in modo riduttivo, è bene tener presente che, con essa, non si intende affermare:
1) che le forme dello Stato hegeliano siano puntualmente identiche alle forme dello Stato fascista o nazista;
2) che le teorie di Hegel siano puntualmente coincidenti con quelle fasciste o naziste. Infatti, per quanto
concerne il primo punto, sappiamo ad esempio come lo Stato del filosofo tedesco, pur non essendo uno Stato
di tipo liberal-democratico, sia pur sempre uno Stato costituzionale e di diritto. Analogamente, per quanto
riguarda il secondo punto, è risaputo come i principali teorici del Terzo Reich abbiano esplicitamente preso
le distanze dal nostro autore, ritenendo che l'entità più alta e decisiva non sia lo Stato, ma il Sangue, il
Popolo, la Razza (in rapporto ai quali lo Stato decade da fine a mezzo).
In realtà, con la tesi di uno Hegel «profeta» del totalitarismo, si intende sostenere che il filosofo tedesco
avrebbe lasciato «in eredità», alle dittature del Novecento (non solo di destra, ma anche di sinistra), alcune
idee, o meglio, talune forme mentali atte a giustificarne la politica. Fra le tesi «incriminate» ricordiamo le
seguenti:
1) lo Stato rappresenta un prìus logico, storico ed assiologico al di fuori del quale l'individuo non ha
consistenza e valore: «Tutto ciò che l'uomo è, egli lo deve allo Stato: solo in esso egli ha la sua essenza. Ogni
valore, ogni realtà spirituale, l'uomo l'ha solo per mezzo dello Stato» (Fil. della storia, I, p. 105);
2) lo Stato non ricava la sovranità da quella «moltitudine informe» che è il popolo, ma da se medesimo;
3) la sovranità statale si incarna in una classe di funzionari dedita al pubblico bene. Classe che,
platonicamente, «pensa» e «sa quello che vuole», mentre il popolo «non sa quello che vuole» e risulta privo
della possibilità di controllare "dal basso", mediante istituzioni e procedure democratiche, i propri governanti
(ciò fa sì che anche a proposito della «classe universale» di Hegel, e del monarca che ne costituisce il vertice,
sorga l'interrogativo che già ci si poneva a proposito dei filosofi-re di Platone, ovvero il problema, cruciale
per ogni teoria non-demo-cratica, "chi custodirà i custodi?");
4) lo Stato deve permeare tutte le manifestazioni della vita in comune, subordinando a sé ed alla propria
«organizzazione» globale l'insieme dei rapporti sociali;
5) lo Stato è un ente che non riconosce, al di là del proprio essere, alcuna idea etica;
6) lo Stato è l'Assoluto stesso, ovvero il «Dio reale»;
7) non esiste, al di sopra degli Stati, alcun diritto internazionale;
8) la guerra è un inevitabile strumento di composizione dei conflitti inter-statali e giova alla «salute etica»
dei popoli.
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Questi (ed altri) punti costituirebbero, secondo i critici in questione, una sorta di «arsenale teorico» da cui
avrebbero attinto a piene mani (anche al di là delle specifiche posizioni e intenzioni di Hegel) i fautori del
totalitarismo C). In particolare, la filosofia statalistica e statolatrica del pensatore tedesco sarebbe servita a
diffondere e a giustificare l'idea del primato assoluto del Collettivo (comunque inteso: lo Stato, la Nazione, la
Razza, la Classe, il Partito ecc.) sull'individuale.
Emblematica, a questo proposito, la voce «Dottrina del fascismo» redatta da Gentile per l'Enciclopedia Treccani e firmata da
Mussolini. Voce in cui si legge tra l'altro: -Caposaldo della dottrina fascista è la concezione dello Stato, della sua essenza,
dei suoi compiti, della sua finalità. Per il fascismo lo Stato è un assoluto, davanti al quale gli individui e i gruppi sono il
relativo. Individui e gruppi sono pensabili in quanto siano nello Stato. Lo Stato liberale non dirige il gioco e lo sviluppo
materiale e spirituale della collettività, ma si limita a registrarne i risultati; lo Stato fascista ha una sua consapevolezza, una
sua volontà, per questo si chiama Stato etico».
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