Treviso testo definitivo 2 - WebDiocesi

annuncio pubblicitario
DIOCESI DI TREVISO
AUDITORIUM COLLEGIO S. PIO X, 10 APRILE 2003
IL CRISTIANO NEL MONDO. LA COSTITUZIONE “GAUDIUM ET SPES”
S.E. Mons. Angelo Scola
Patriarca di Venezia
1. “Pretesa” di Gesù Cristo e modernità
«A Giubileo concluso sento più che mai il dovere di additare il Concilio come la grande grazia di
cui la Chiesa ha beneficiato nel secolo XX: in esso ci è offerta una sicura bussola per orientarci nel
cammino del secolo che si apre» (Novo Millennio Ineunte 57). Con queste parole Giovanni Paolo II - che del
Concilio Vaticano II fu diretto protagonista1 - ha voluto ribadire, all’inizio del terzo millennio, a tutti i fedeli
la convinzione che lo ha guidato fin dall’esordio del suo pontificato. In Redemptor hominis, il suo manifesto
programmatico, egli infatti scrisse che, affidandosi all’eredità di Giovanni XXIII e di Paolo VI e in singolare
unione con Giovanni Paolo I, intendeva coinvolgere tutti i cristiani nell’affascinante “eredità” della vita
come testimonianza resa all’evento di Gesù Cristo, eredità «fortemente radicata nella coscienza della Chiesa
in modo del tutto nuovo grazie al Concilio Vaticano II»2.
Questo è anche il significato del nostro trovarci insieme questa sera a parlare della Costituzione
Pastorale Gaudium et spes. Pertanto, anche per obiettivi limiti di tempo, noi non ci inoltreremo sulla strada di
un’analisi teologico-scientifica della Gaudium et spes3, ma ci limiteremo ad individuare qualche linea di
forza della Costituzione conciliare che tocca punti nevralgici della personalità del cristiano, della sua
vocazione e della sua missione.
Una precisazione tecnica è tuttavia necessaria. Dopo quarant’anni il lento e travagliato processo di
recezione del Concilio ha evidenziato la necessità di “leggere unitariamente” le quattro Costituzioni del
Vaticano II stesso: la Sacrosanctum Concilium sulla Liturgia, la Dei Verbum sulla Divina Rivelazione, la
Lumen Gentium sulla Chiesa e, infine, la Gaudium et spes, significativamente sottotitolata sulla Chiesa nel
mondo contemporaneo. Questo importante criterio di lettura, ribadito tra l’altro con forza dall’Assemblea
straordinaria del Sinodo dei Vescovi del 19854, sottende tutta la presente riflessione.
La Gaudium et spes è stata, sia pure con fasi alterne5, sentita come l’emblema del rinnovamento
ecclesiale, per quanto riguarda il rapporto con il mondo, proposto dal Concilio Vaticano II. In effetti in essa i
1
«Devo confessare che la Gaudium et spes mi è particolarmente cara, non solo per le tematiche che sviluppa, ma
anche per la diretta partecipazione che mi è stato dato di avere alla sua elaborazione. Quale giovane Vescovo di
Cracovia, infatti, fui membro della sottocommissione incaricata di studiare i “segni dei tempi” e, dal novembre 1964,
fui chiamato a far parte della sottocommissione centrale, incaricata di provvedere alla redazione del testo. Proprio
l’intima conoscenza della genesi della Gaudium et spes mi ha consentito di apprezzarne a fondo il valore profetico e di
assumerne ampiamente i contenuti nel mio magistero fin dalla prima Enciclica, la Redemptor Hominis. In essa,
raccogliendo l’eredità della Costituzione conciliare, volli ribadire che la natura e il destino dell’umanità e del mondo
non possono essere definitivamente svelati se non alla luce del Cristo crocifisso e risorto…», GIOVANNI PAOLO II,
Commemorazione della Costituzione Gaudium et Spes, 8 novembre 1995.
2
Redemptor hominis 3.
3
In altra occasione, offrendo il mio contributo in questo senso, ho raccolto un’abbondante bibliografia utile a tale
studio. Cfr. A. SCOLA, «Gaudium et spes»: dialogo e discernimento nella testimonianza della verità, in R. FISICHELLA
(a cura), Il Concilio Vaticano II. Recezione e attualità alla luce del Giubileo, San Paolo, Cinisello Balsamo 2000, 82114.
4
L’Assemblea straordinaria del Sinodo ha enucleato taluni di questi criteri in modo autorevole: «L’interpretazione
teologica della dottrina conciliare deve tener presenti tutti i documenti in se stessi e nel loro rapporto stretto con gli
altri, in modo che sia possibile comprendere ed esporre il significato integrale delle sentenze del concilio, spesso molto
complesse. Si deve dedicare un’attenzione speciale alle quattro costituzioni maggiori del concilio, le quali sono la
chiave interpretativa degli altri decreti e dichiarazioni. Non è lecito separare l’indole pastorale dal vigore dottrinale
dei documenti. Così anche non è legittimo scindere spirito e lettera del concilio. Inoltre il concilio deve essere
compreso in continuità con la grande tradizione della Chiesa ed insieme dalla stessa dottrina del concilio dobbiamo
ricevere luce per la Chiesa odierna e per gli uomini del nostro tempo», SYNODUS EPISCOPORUM, Relatio finalis
Ecclesia sub verbo Dei mysteria Christi celebrans pro saluti mundi, in Enchiridion Vaticanum 9, 1779-1818, qui 1785.
5
Non mette conto in questa sede ripercorrere, sia pur brevemente, le ben note vicende della recezione di questa
Costituzione, dopo la chiusura del Concilio. Ad un primo momento di entusiasmo seguì una fase di relativa delusione,
soprattutto in merito alla sua effettiva portata teologico-pastorale. Tra i tentativi di valutazione sintetica della recezione
di Gaudium et spes segnaliamo: S. LYONNET, Il dialogo tra la Chiesa e il mondo. Rileggendo la costituzione “Gaudium
Padri conciliari si sono trovati ad affrontare il nodo imprescindibile, e oggi più che mai attuale, della
compatibilità tra la “pretesa” di verità assoluta e universale di Gesù Cristo e l’incoercibile libertà, sempre
storicamente situata, di ogni singolo uomo. Per farsene carico essi hanno dovuto individuare la chiave di
accesso che permette alla Chiesa di entrare in costruttivo rapporto con la comunità degli uomini, ancora
profondamente segnata da quel fenomeno complesso che va sotto il nome di modernità.
Le due questioni – una di contenuto (dogmatica), l’altra di metodo (pastorale) – cui ho fatto cenno
vanno direttamente al cuore della natura missionaria della Chiesa e, pertanto, del suo rapporto (dialogo, per
usare un termine preferito da Gaudium et spes6) con il mondo. Nel mio intervento cercherò appunto di
rispondere a queste due domande.
2. Evento Gesù Cristo e libertà del singolo. Antropologia cristocentrica
Il n. 10 della Costituzione Gaudium et spes afferma: «nella luce di Cristo, immagine di Dio
invisibile, primogenito di tutte le creature, il concilio intende rivolgersi a tutti per illustrare il mistero
dell’uomo e cooperare nella ricerca di una soluzione ai principali problemi del nostro tempo». Una simile
dichiarazione mette simultaneamente in campo i due fattori sopra richiamati: da una parte Gesù Cristo,
dall’altra la libertà incatturabile e sempre storicamente situata dell’uomo. E di Gesù Cristo la Gaudium et
spes - in un passaggio che il Magistero di Giovanni Paolo II non si stanca di riproporre all’attenzione del
popolo cristiano - dice: «In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero
dell'uomo» (GS 22)7.
Viene qui con forza ribadito un caposaldo della fede cattolica per cui annunciare Gesù Cristo, nella
sua singolare identità storica, significa nello stesso tempo affermare la sua verità assoluta capace di
abbracciare ogni singolo imprevedibile aspetto dell’umano. Ma proprio dallo “scandalo” di questo binomio
ha preso le mosse la tragica contrapposizione tra Dio e l’uomo che ha segnato il travagliato rapporto Chiesamondo nell’epoca moderna, come emerge dalla terribile accusa di Nietzsche al cristianesimo: «La fede (…)
assomiglia tremendamente a un continuo suicidio della ragione (…) La fede cristiana è fin da principio
sacrificio: sacrificio di ogni libertà, di ogni orgoglio, di ogni autocoscienza dello spirito, e al tempo stesso
asservimento e dileggio di se stessi, automutilazione»8.
Su quale base Gaudium et spes può raccogliere l’istanza giusta della modernità circa il carattere
incoercibile della libertà del soggetto individuale e sociale? Come può mostrare che il riconoscere Gesù
Cristo come colui che rivela definitivamente il volto di ogni uomo non spegne la tensione drammatica della
libertà del singolo, né lo priva del suo ruolo di protagonista sulla scena del gran teatro del mondo? In forza di
che cosa il cristiano può dire con il filosofo Mario Vittorino: «quando ho incontrato Cristo, mi sono scoperto
uomo»9?
La risposta della Gaudium et spes si potrebbe, con una formula sintetica, riassumere così: la visione
dell’uomo proposta dalla Costituzione pastorale articola correttamente cristologia ed antropologia10. In che
modo? Proponendo Gesù Cristo come l’ideale della vita dell’uomo. La categoria di ideale identifica la verità
tutta intera del reale. Come tale l’ideale trattiene, simultaneamente ed ordinatamente, tutti i fattori in gioco
et spes”, in «La Civiltà Cattolica» 133 (1982) v. 3, 105-117; B. LAMBERT, “Gaudium et spes” hier et aujourd’hui, in
«Nouvelle Revue Théologique» 107 (1985) 321-346; P. VANZAN, Verso il Sinodo Straordinario sul Concilio: la
“Gaudium et spes” di fronte alla transizione postmoderna, in «La Civiltà Cattolica» 136 (1985) v. 3, 30-43; N.
GALANTINO (ed.), Il Concilio venti anni dopo. 3. Il rapporto chiesa-mondo, Ave, Roma 1986; S. PIÉ NINOT, La
Constitución Pastoral “Gaudium et spes”: sus grandes temas y trayectoria en el postconcilio español, in
«Salmanticensis» 35 (1988) 119-132; P. DONI – L. SARTORI – P. SCOPPOLA – P. VANZAN, La costituzione conciliare
Gaudium et spes vent’anni dopo, Gregoriana Libreria Editrice, Roma 1988; V. CAPORALE, “Gaudium et spes: luci e
ombre, in «Rassegna di Teologia» 30 (1989) 460-465; L. SARTORI, La Chiesa nel mondo contemporaneo. Introduzione
alla “Gaudium et spes”, Edizioni Messaggero, Padova 1995; A. BENTUÉ, La Constitución sobre la Iglesia en el mundo
actual, in «Teología y vida» 37 (1996) 113-128; G. DANNEELS, La Gaudium et spes tra ombre e luci del nostro tempo,
in AA. VV., Gaudium et spes. Bilancio di un trentennio. Loreto ’95, Pontificio Consiglio per i Laici, Città del Vaticano
1996, 265-276; G. FUCHS – A. LIEKAMP (Hrgs.), Visionen des Konzils. 30 Jahre Pastoralkonstitution “Die Kirche in der
Welt heute”, Lit, Münster 1997.
6
Cfr. GS 40, 43, 56, 85 e 92.
7
Oltre i numeri 10 e 22 potremmo anche citare i nn. 32, 38-39, 40-41 e 45 come passi particolarmente significativi in
ordine al carattere cristocentrico dell’antropologia della Costituzione.
8
F. NIETZSCHE, Al di là del bene e del male, Adelphi, Milano 2002, 54.
9
M. VITTORINO, In Ephesios 4, 14.
10
In proposito cfr: P. CODA, L’uomo nel mistero di Cristo e della Trinità. L’antropologia della Gaudium et spes, in
«Lateranum» 54 (1988) 164-194; V. CAPORALE, Antropologia e cristologia nella Gaudium et spes, in «Rassegna di
Teologia» 29 (1988) 142-165; P. CODA, Antropologia teologica e agire umano nel mondo nella “Gaudium et spes”, in
«Lateranum» 55 (1989) 176-207.
2
nel reale, lasciando spazio anche a quelli imprevedibili, contingenti e contraddittori. Notiamo, per chiarezza,
che siamo ben lontani da ogni riduzione “idealistica” del termine destinata a schiacciare, di fatto, la categoria
di ideale su quella di utopia. Infatti ogni utopia, in quanto identifica un non luogo, è - in se stessa - sempre
fuori dal reale. È sempre imparentata con l’ideologia, che come diceva Karl Marx, si costruisce sulla
menzogna perché nasconde volutamente la radice a partire dalla quale elabora il proprio sapere della realtà.
Non possiamo ora soffermarci sulla radicale differenza tra la considerazione di Cristo come ideale
della vita e la sua riduzione ad utopia. Possiamo però riconoscere che proporre Gesù Cristo come ideale
significa dare alla libertà dell’uomo tutto il suo peso, rispettandone fino in fondo l’imprevedibilità. Infatti
nella persona e nella vicenda storica del Figlio di Dio fatto uomo, morto e risorto per noi, si vede come in
Gesù Cristo la Verità, lungi dall’essere un’idea o una teoria astratta, sia una persona vivente. Senza nulla
perdere della propria assolutezza il Mistero assoluto ha scelto, per rendersi presente nella storia, la strada
della libertà umana. Più la Verità si comunica, più la libertà è chiamata in causa. Più la Verità si propone, più
la libertà è provocata. In questo suo “vertiginoso” offrirsi alla libertà la Verità giunge fino a farsi da essa
crocifiggere. E la Sua vittoria nella Risurrezione è una vittoria gloriosa, pagata a caro prezzo, proprio per
salvaguardare fino in fondo la libertà dell’uomo.
In questa visione la difficoltà moderna trova la strada del superamento. Anzi si può dire, di più: il
cristianesimo salva fino in fondo la giusta esigenza di tutta la modernità, molto viva ancora oggi, nel tempo
del cosiddetto post-moderno, perché Gesù Cristo è Colui che esalta al massimo l’umana libertà. Questo dà
ragione del fatto che il cristiano si impegna a proporre lealmente la visione integrale dell’uomo e della
convivenza sociale rivelataci in Gesù Cristo, ovviamente nel rispetto della irrinunciabile dialettica
democratica. Rifiutando la moderna, acritica separazione - diventata ormai un dogma della mentalità
dominante - tra etica privata ed etica pubblica11 - che conduce inesorabilmente al falso imperativo categorico
del vietato vietare - i cristiani sono indomabili nel proporre alla libertà degli uomini, credenti e non credenti,
la suprema convenienza di una vita buona. Essa è possibile solo se si prendono in considerazione,
simultaneamente ed unitariamente, il bene della persona e quello della società.
Proprio alla luce di questi criteri la Seconda Parte della Costituzione Gaudium et spes ha messo a
tema quelli che allora furono chiamati i “problemi urgenti” ma che, oggi più che mai, costituiscono l’ordito
che trama l’esperienza umana: il matrimonio e la famiglia (GS 47-52), la cultura (GS 53-62), la vita
economico-sociale (GS 63-72), la vita della comunità politica (GS 73-76), la promozione della pace e la
comunità dei popoli (GS 77-90).
Come emerge con chiarezza dal Magistero di Giovanni Paolo II, tutto collocato nell’ottica
dell’antropologia cristocentrica inaugurata da Gaudium et spes, questi problemi urgenti non risultano
estrinseci a colui che vive la fede in Gesù Cristo. I cambiamenti, anche i più violenti, mentre chiedono alla
libertà del cristiano di autoesporsi, non diminuiscono la certezza che la storia non è dominata dal fato ma è
l’espressione del disegno buono di un Padre che chiama in causa la nostra libertà e, se noi lo riconosciamo,
non ci abbandona in balìa delle forze del male. Solo il realismo di questa visione può spiegare l’impegno del
Santo Padre quale indomito pacificatore.
3. Il metodo della vita cristiana. Chiesa e mondo
Quanto abbiamo appena affermato ci permette di entrare direttamente nel secondo passo che
vogliamo proporre.
L’aggettivo pastorale con cui i Padri conciliari vollero qualificare la Gaudium et spes ben esprime il
metodo che caratterizza il rapporto tra la Chiesa e il mondo 12. L’urgenza pastorale, che segnò in profondità
non solo il pontificato, ma tutta la ricchissima e variegata missione sacerdotale del Beato Papa Giovanni
XXIII, porta con forza in primo piano la natura salvifica della Chiesa. Offrendosi come testimonianza della
Verità vivente e personale che è Gesù Cristo, la Chiesa prolunga nell’oggi della storia il propter nos homines
et propter nostram salutem del suo Signore. In estrema sintesi il rapporto che la Chiesa è chiamata a stabilire
con il mondo consiste in questo annuncio gioioso che passa attraverso il testimone. Il cristiano è un uomo
appassionato di ogni interlocutore ed instancabilmente teso a verificare, anzitutto su di sé, la capacità
dell’evento salvifico di Gesù Cristo di accogliere e condurre a verità (salvare) ogni aspetto dell’umana
11
Cfr. G. ABBÀ, Quale impostazione per la filosofia morale?, LAS, Roma 1996, 33-203.
L’urgenza pastorale ha marcato fin dall’origine l’indizione conciliare nello stesso Papa Giovanni XXIII. La letteratura
storico-teologica ha sufficientemente documentato non solo la lettera di questa affermazione, ma anche il suo
significato generale: J. RATZINGER, Problemi e risultati del Concilio Vaticano II, Queriniana, Brescia 1967, 109-113;
G. COLOMBO, La teologia della Gaudium et spes e l’esercizio del magistero ecclesiastico, in ID., La ragione teologica,
Glossa, Milano 1995, 281-284.
12
3
esistenza. In questa prospettiva Gesù Cristo non sarà più relegato al ruolo di superadditum, ma potrà tornare
ad essere l’interlocutore contemporaneo della libertà di ciascuno e di tutti.
Entrando allora nel merito del secondo passo chiediamoci: in cosa consiste questo metodo che la
Gaudium et spes indica come il più idoneo per affrontare il rapporto tra la Chiesa e il mondo?
Chiariamo subito che con la parola metodo non vogliamo riferirci a quel pur utile insieme di
tecniche, individuali e di gruppo che, con l’ausilio delle scienze umane, sono oggi frequentemente impiegate
nell’azione ecclesiale. Usando il termine nel suo senso forte, vogliamo significare il metodo di vita
cristiana13. Metodo è la forma (Gestalt) mediante la quale l’evento di Cristo, passando (traditio) da persona a
persona, si comunica al mondo. Tale forma deriva dalla realtà della Chiesa stessa, la cui natura consiste
nell’essere il soggetto che fa da tramite (sacramento-medium intrinseco) dell’evento di Cristo agli uomini
che vivono nel mondo14. Per questo, parlare di metodo di vita cristiana coincide con il parlare di metodo
della missione. L’evento cristiano è, per essenza, dono (amore). Nel suo incessante riproporsi dentro la storia
non può mai prescindere dal gratuito. Discepolo e testimone di Gesù di Nazareth: il cristiano è soprattutto
questo! La sua vocazione e la sua missione implicano sequela e martirio, in una parola, la santità.
Utilizzando una felicissima espressione di Giovanni Paolo II nel n. 13 dell’enciclica Fides et ratio
potremmo definire questo metodo, di cui stiamo parlando, come l’orizzonte sacramentale della rivelazione
cristiana.
Tentiamo allora di definire meglio cosa significhi che il dialogo della Chiesa con il mondo si attua in
un orizzonte sacramentale. Tra parentesi, si deve notare quanta poca cura sia stata data, sovente nello stesso
ambito ecclesiale, ad individuare i caposaldi del metodo di vita cristiana. Come se Gesù Cristo, che si è
definito la via (metodo) non lo avesse proposto, almeno nei suoi tratti essenziali..!
a) L’«orizzonte sacramentale» della rivelazione ovvero la «logica dell’incarnazione»
Un importante paragrafo del Catechismo della Chiesa Cattolica, che non mi stanco di riproporre,
afferma: «tutto nella vita di Gesù è segno del suo Mistero. Attraverso i suoi gesti, i suoi miracoli, le sue
parole, è stato rivelato che “in lui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità” (Col 2, 9). In tal
modo la sua umanità appare come “il sacramento”, cioè il segno e lo strumento della sua divinità e della
salvezza che egli reca: ciò che era visibile nella sua vita terrena condusse al Mistero invisibile della sua
filiazione divina e della sua missione redentrice»15.
Questo testo descrive, con una sintesi efficace, la logica dell’incarnazione16: incontrando l’uomo
Gesù, convincente realizzazione della pienezza dell’umano, i Suoi lo seguono fin dentro il lacerante mistero
della morte. Anche se, di fronte a tale mistero, scappano recalcitranti e terrorizzati, non possono più
prescindere da Lui: «Signore, da chi andremo?» (Gv 6, 68). E, per la potenza dello Spirito, dopo averlo
accolto risorto lo riconoscono quale Figlio di Dio; allora si dispongono ad offrire la loro vita, consumandosi
nella missione di comunicarne tutta la potenza salvifica.
L’umanità di Gesù è quindi il soggetto-tramite (medium intrinseco) primario perché i suoi discepoli
incontrino la Sua divinità: l’umanità di Gesù è il sacramento della Sua divinità. L’incarnazione - e la logica
che ne deriva - si rivela pertanto come il metodo scelto dalla Trinità per comunicarsi. Dalle missioni
trinitarie, attraverso la missione di Gesù Cristo, si giunge così alla missione della Chiesa che, in concreto,
passa da ogni singolo cristiano che appartiene ad una comunità ben identificata. Il titolo scelto per il nostro
incontro, Il cristiano nel mondo. La Costituzione “Gaudium et spes”, dice esplicitamente il “passaggio
obbligato” da Gesù Cristo alla Chiesa e dalla Chiesa al cristiano. La Chiesa, infatti, vive concretamente nei
fedeli ed esplica la sua missione nelle singole missioni di ogni battezzato17.
Il primo caposaldo del metodo di vita cristiana non potrà che riproporre la dinamica originaria con
Ho approfondito questo argomento in: A. SCOLA, Per una ecclesiologia “di missione”, in AA. VV., In Cristo nuova
creatura, N. Reali – G. Richi Alberti (a cura di), PUL-Mursia, Roma 2001, 127-146.
14
In questo senso Balthasar afferma: «Ci occuperemo della Chiesa solo nella misura in cui essa può e vuole essere una
mediazione della forma (Gestalt) della Rivelazione di Dio in Gesù Cristo. Dicendo questo abbiamo probabilmente
posto la questione decisiva. E forse, nei riguardi della Chiesa non c’è più alcuna domanda da porre oltre questa...
Questa, però, non è senz’altro ovvia», H. U. VON BALTHASAR, Gloria 1, Jaca Book, Milano 1975, 522.
15
Catechismo della Chiesa Cattolica 515.
16
Di cui la stessa Fides et ratio parla al n. 94.
17
Significativo in proposito è il fatto che Balthasar si pone la domanda ecclesiologica nei termini di “Cos’è la Chiesa?”
e risponde esplicitando la sua natura di soggetto in cui la singola persona del cristiano non è mai assorbita dal collettivo.
Per dire cos’è la Chiesa egli dice che è un Chi: «Cos’è la Chiesa? Per il Mistero in nuce la risposta è: la Chiesa è
l’unità di coloro che, schieratisi intorno al sì immacolato di Maria, perciò illimitato, per conseguenza cristiforme nella
grazia, e in questo sì, formati, sono disposti e pronti a fare in modo che abbia a realizzarsi la volontà di salvezza di Dio
su loro stessi e su tutti i fratelli», H. U. VON BALTHASAR, La mia opera ed epilogo, Jaca Book, Milano 1994, 57.
13
4
cui il Mistero ha scelto di comunicarsi all’uomo: la logica dell’incarnazione, che è la radice dell’orizzonte
sacramentale della rivelazione e della vita cristiana. Il cristiano è chiamato ad essere, in se stesso ed in tutti
i suoi atti, entro ogni ambito dell’umana esistenza, come il sacramento dell’evento di Gesù Cristo. Gesù
Cristo, infatti, non è un mero pretesto per affrontare le questioni che di fatto occupano gli uomini e le donne
del nostro tempo. Né è il semplice ispiratore di una serie di comportamenti, sia pure nobilissimi. Gesù
Cristo – centro del cosmo e della storia18 - è la chiave di comprensione di tutta l’avventura umana. In Lui,
per Lui e con Lui noi, membri della comunità cristiana, possiamo testimoniare ad ogni uomo il fascino
sperimentato da chi si pone alla Sua sequela.
b) Un evento si comunica solo mediante un altro evento
L’obiezione forse più radicale, mossa oggi a Gesù Cristo dai non credenti - ma spesso presente
anche nei battezzati - è la stessa che, a partire dall’Illuminismo e dal Romanticismo, rispunta sempre come
un Proteo multiforme. Essa non riconosce a Gesù Cristo il carattere di evento, perché lo riduce ad un mero
fatto passato. È nota l’affermazione di Lessing in proposito: chi potrà superare il maledetto fossato che mi
separa da Gesù, Lui è vissuto 2000 anni fa, io vivo qui ed ora? Ma negando la contemporaneità di Gesù
Cristo con la nostra persona, si finisce inesorabilmente con il vanificarlo e relegarlo nella forma
evanescente del mito o addirittura della favola. Nella migliore delle ipotesi gli si riconosce il merito di
essere un grande, forse il più grande dell’umanità, cui ispirare la propria vita, ma non si ammette che Egli
possa essere vivo, presente qui ed ora.
Ma allora, come è possibile incontrare oggi uno che è vissuto duemila anni fa? Su quale base si può
affermare che l’evento di Gesù Cristo non si dissolve lungo le coordinate del tempo e dello spazio in cui si
svolge la storia? Ancora di più. Come è possibile a me che sono relegato nella storia seguire Colui che con
la Risurrezione è ormai entrato nella nuova ed eterna dimensione?
A sciogliere questo nodo è proprio la logica sacramentale che ha il suo fulcro nel Battesimo e
nell’Eucaristia. Essa sola consente di non ridurre l’evento a puro oggetto materiale (una “cosa”),
inesorabilmente limitato dalle sbarre del tempo e dello spazio, ma gli permette di accadere qui ed ora per la
mia libertà.
Proprio qui emerge il secondo, irrinunciabile fattore del metodo di vita cristiana (missione): un
evento può essere comunicato solo attraverso un altro evento. Una realtà viva, infatti, per permanere tale
all’interno delle inevitabili determinazioni di spazio e di tempo - cioè per poter essere sempre incontrabile ha bisogno di un’altra realtà viva. Così ogni convenire nella comunità cristiana, a partire dalla liturgia, dalla
catechesi e dall’azione caritativa in tutte le sue forme, è chiamato a documentare questo essenziale carattere
di evento dell’annuncio cristiano. Esso solo salva la natura drammatica della Chiesa, la sua capacità, quindi,
di mobilitare la libertà. C’è un test infallibile per verificare l’autenticità di ogni atto ecclesiale: se suscita,
nel momento stesso in cui viene posto, un inizio di cambiamento in chi vi prende parte. Non è forse questa
la ragione dell’irresistibile attrattiva esercitata dalle Giornate Mondiali della Gioventù sui nostri disincantati
contemporanei? Esse sono eventi, cioè fatti ben rilevabili, veicolo (sacramento) di una Realtà che avviene
qui ed ora offrendosi alla libertà di ogni uomo.
La fisionomia del cristiano si configura così, inequivocabilmente, come quella del testimone. Non
perciò quella di un militante impegnato ad elaborare strategie e a cercare tecniche efficaci per riallacciare il
rapporto con la società da cui, forse senza accorgersi, si era separato. Il fedele è un testimone che riconosce
come tutte le circostanze e tutti i rapporti di cui è intessuta l’umana esistenza sono, in un certo senso, iscritti
nell’orizzonte sacramentale potentemente unitario del disegno di Dio. Pertanto, sia pure analogicamente,
circostanze e rapporti sono per lui il sacramento della trascendenza di Dio che interpella l’umana libertà.
La logica dell’incarnazione che determina l’orizzonte sacramentale costitutivo dell’esperienza
cristiana rivela quindi in profondità in cosa consista il metodo di vita cristiana. Per il cristiano la vita stessa,
prima ancora dei diversi stati di vita (matrimonio, verginità) è vocazione, in quanto la libertà dell’uomo, in
ogni suo atto, è chiamata a rispondere all’appello di Dio, contenuto in ogni circostanza ed in ogni rapporto.
Al di fuori del sacramento stricto sensu non è possibile neppure intuire questo valore sacramentale di
circostanze e di rapporti. D’altra parte però, finché questo valore non diventa esperienza concreta in ogni
circostanza ed in ogni rapporto, si può legittimamente dubitare della effettiva immedesimazione del
cristiano al sacramento.
4. «La parte essenziale della vita»
Il passaggio finale di un racconto di Cechov, Lo studente, mi aiuta a sintetizzare - con l’inarrivabile
forza persuasiva dell’arte - le due parti della mia riflessione sugli assi portanti della Costituzione Gaudium
18
Cfr. Redemptor hominis 1.
5
et spes: a) l’evento di Gesù Cristo come pienezza di ogni uomo (antropologia cristocentrica) e b) il metodo
della vita cristiana: per comunicarsi l’evento di Gesù ha bisogno dell’evento della comunità e del testimone
cristiano.
È il Venerdì Santo. Il protagonista, un giovane studente, infreddolito dopo aver a lungo camminato
nel bosco, si ferma ad un casolare abitato da due vedove, madre e figlia, attratto dalla vigorosa fiamma del
focolare. Tra lo studente e la vedova più anziana si instaura un dialogo che evoca un episodio distintivo di
quel venerdì di passione. Il pianto di Pietro, dopo il tradimento, quando incrociò lo sguardo di Gesù. Al
termine del racconto la madre scoppia in lacrime e la figlia stessa partecipa costernata all’evocazione.
Scrive Cechov: «lo studente – lasciato il casolare - pensò di nuovo che [...] quello che lui aveva raccontato
poco prima, e che era accaduto diciannove secoli addietro, aveva un legame col presente: con le due donne
e, probabilmente, con quel villaggio deserto, con lui stesso, con tutti gli uomini. [...] E la gioia si agitò
all'improvviso nella sua anima con tanta intensità che dovette perfino fermarsi un minuto a riprendere
fiato. “Il passato”, pensava, “è legato al presente da una catena ininterrotta di avvenimenti che
scaturiscono l'uno dall'altro”. E gli pareva di aver scorto, poco prima, i due capi di quella catena [Pietro
vissuto secoli prima e la donna presente in carne ed ossa davanti a lui]: non appena aveva toccato uno dei
due estremi, l'altro aveva vibrato. E mentre attraversava il fiume sulla chiatta [...] pensava che la stessa
verità e la stessa bellezza che guidavano la vita degli uomini nell'orto degli ulivi e nel cortile del sommo
sacerdote erano continuate senza interruzione fino a quel giorno [fino a lui], e sicuramente avevano sempre
costituito la parte essenziale della vita degli uomini e in generale della terra quaggiù»19.
Ecco il grande evento: un fatto passato - la vita, la morte e la resurrezione di Gesù di Nazareth, vero
Dio e vero uomo - diventa un avvenimento di oggi grazie al dono sempre nuovo di Gesù Cristo che chiama
in causa in ogni atto la mia libertà, attraverso la logica sacramentale. Quest’ultima si esprime in tutte le
circostanze e in tutti i rapporti vissuti a partire dai sette sacramenti.
In questo senso la rilettura della Costituzione Pastorale Gaudium et spes dischiude a tutti noi il
compito che la Provvidenza ci affida: rigenerare il popolo di Dio attraverso una appartenenza significativa a
precise comunità cristiane. Ogni cristiano, partecipando alla vita di questo popolo santo, diventa attore
capace di testimoniare in tutti gli «ambienti dell’umana esistenza»20 che la Santa Chiesa, nonostante tutti i
limiti del suo “personale” è forma mundi, cioè addita al mondo la bellezza.
19
20
A. CECHOV, Lo studente, in ID., Tutte le Novelle, Rizzoli, Milano 1956, 64-68, qui 67-68.
GIOVANNI PAOLO II, Omelia a Lugano, 12 giugno 1984.
6
Scarica