Non solo appiattimento: i privilegi della

Non solo appiattimento: i privilegi della globalizzazione per uno scambio culturale di
valore tra India e Italia / Not Only Homogenization: Globalization in a Profitable Culture
Exchange between India and Italy
Federica Codignola (Università di Milano-Bicocca)
India Day (Roma, Camera dei Deputati, 18 ottobre 2011)
Ringrazio gli organizzatori di questa giornata per l’opportunità che mi è stata data di riflettere su
temi importanti quali la cultura e la globalizzazione. Si tratta di due concetti estremamente ricchi
in termini di significati e sistemi referenziali i quali, presi insieme, rappresentano l’essenza del
mio intervento. Non si può infatti parlare di globalizzazione senza far riferimento alla cultura e
viceversa. Il binomio cultura-globalizzazione rappresenta già di per sé l’idea di scambio, con le
sue declinazioni di interdipendenza, mutualità, ibridazione, mélange.
Proprio di queste idee mi vorrei servire per evidenziare le possibilità di una benefica
interrelazione culturale tra India e Italia.
Contro le visioni ben note, proposte da diversi studiosi, di una globalizzazione che appiattirebbe
la diversità, la ricchezza e la molteplicità delle culture secondo le logiche di omogeneizzazione,
vorrei in questa sede utilizzare invece quel filone di studi culturali che centra l’interesse sulle
logiche del mélange e dell’ibridazione. Credo infatti che la cultura e le culture abbiano la
capacità di assimilare ciò che è diverso, estraneo, da una parte integrandolo nella propria forma
d’essere, dall’altro ritrasformandolo in qualcosa di nuovo. Non voglio qui negare del tutto le tesi
riguardanti la visione di culture “autentiche” che sopravvivono e si nutrono grazie alle proprie
radici storiche, impermeabili al mondo esterno. Voglio però spingere l’idea che la cultura non si
definisce esclusivamente in base alle sue radici, ma è invece il risultato di una serie di relazioni.
Ed è proprio il concetto di relazione a fare da perno al mio discorso di oggi. Che il mondo sia
interconnesso è una realtà di fatto che è anche diventata realtà culturale; che le relazioni e i
contatti siano cresciuti e continuino a crescere in maniera esponenziale è una seconda realtà di
fatto. Il sociologo Jan Pieterse ha per primo teorizzato l’esistenza di un forte legame tra la
globalizzazione e il significato che vi assumono le relazioni fra culture, più nello specifico, le
relazioni tra aspetti “strutturali” (come le politiche internazionali o le tecnologie) e aspetti
“culturali”. Sempre Pieterse ha avuto il merito di aprire il dibattito fra multiculturalismo inteso
come “insieme di politiche dell’identità culturale”, e cioè politiche che portano a riscontrare e a
rafforzare i confini fra le culture, e le teorie dell’ibridazione che portano invece
all’individuazione di una commistione fra le culture e all’irrisorietà dei confini.
Vorrei oggi mettere l'accento proprio su quest’ultimo filone di pensiero, che parte dall’idea,
indubbiamente forte, secondo cui l’intera storia è di per sé storia di ibridazioni. Quindi, la
produzione di confini sociali o culturali (come quelli degli stati-nazione) è un fenomeno
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marginale e contingente rispetto alle sistematiche contaminazioni fra culture diverse. Propendere,
con le dovute precauzioni (perché non pretendo qui di domandarmi se l’ibridismo produca o no
una monocultura), propendere dicevo per un’interpretazione culturale della globalizzazione
seguendo la teoria dell’ibridazione significa poter riflettere su un canale di dialogo culturale tra
India e Italia, adottando la prospettiva della varietà e dell’apertura, in contrasto con le teorie
rigide e monoculturali basate invece su un’omologazione universale o, su uno scontro inevitabile
tra culture. In sintesi, secondo tali teorie si avrebbero soltanto l'appiattimento culturale globale da
un lato o la scissione fra culture dall’altro.
L’ibridazione, invece, non provocando un annullamento della diversità, crea forme di
comunicazione interculturale che non solo mantengono ma rinnovano tale diversità.
Partendo da questo assunto si potrebbero allora tracciare dei primi punti fermi per poter parlare
di cultura e globalizzazione.
1) La globalizzazione offre al mondo l’opportunità di differenziarsi: con l’aumentare delle
relazioni e dei contatti fra individui e società, aumenta la conoscenza di modi di vivere,
simboli, immagini, sistemi di valori del mondo alternativi. Oggi le persone hanno molte
più occasioni di esprimersi e possono anche scegliere di farlo per differenziare le proprie
culture.
2) Nel confronto con la globalizzazione nascono nuove forme di cultura che si basano più
sulle relazioni e gli scambi che sull’individualità e l’autonomia.
3) Esiste una differenza di interpretazione dei prodotti e delle idee creative da parte delle
persone: i flussi di creatività non portano ad un appiattimento delle culture, ma vengono
integrati ed inseriti in un sistema diversificato della propria immagine del mondo.
4) I confini spaziali con la globalizzazione vengono sempre più sostituiti da logiche di
network e alleanze. Così, anche la cultura di un paese non vede più il territorio di
riferimento come esclusivo punto d’interesse, perché all’identità dello spazio geografico
peculiare vengono ad affiancarsi alleanze che possono essere culturali, sociali,
organizzative o funzionali, che sono costituite da altre identità.
5) La nuova “diversità” del mondo è organizzata tramite un sistema di riferimento globale.
Il riconoscimento reciproco e la valorizzazione delle proprie differenze culturali può
avvenire oggi attraverso strutture e modalità comuni.
Intendere la cultura globale come sistema di riferimento significa quindi parlare di società e
realtà locali diverse che s’interfacciano con prodotti, idee e mezzi di comunicazione diffusi su
scala planetaria. Il singolo individuo può oggi far riferimento a un numero crescente di standard,
concetti e sistemi globali in cui vengono comunque espresse le differenze ma anche valorizzate
le comunanze. Così come l’ONU o il Premio Nobel, ogni giorno sorgono nuove strutture e nuovi
standard globali che sono, però, propriamente legati alla cultura, come per esempio i concorsi, i
premi, le manifestazioni o i progetti collaborativi. Ad esempio, pensando all'India e all'Italia, i
due paesi protagonisti della giornata di oggi, non posso non citare i casi del Salone
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Internazionale del libro di Torino, del Festival dei due Mondi di Spoleto o della Biennale d’arte
di Praga: sistemi riconosciuti in cui l’Associazione Italia-India ha lavorato per trasmettere,
attraverso gli strumenti della cultura e dell’arte, le peculiarità della nazione indiana a livello,
appunto, globale. Il fatto che tali strutture siano geograficamente situabili in determinati paesi (in
quel caso l’Italia o la Repubblica Ceca) non significa che queste siano anche auto-referenziali,
perché i flussi e gli attori, in termini creativi, di pubblico, di organizzazione, mediatici, ecc., sono
invece di ordine globale.
Nelle industrie culturali così come nel mercato dell’arte contemporanea si sta infatti delineando
quella che Pieterse, riferendosi alle organizzazioni sociali, chiama “ibridazione culturale” e cioè,
cito, “i modi con i quali le forme si separano da pratiche esistenti e si uniscono con nuove forme
in nuove pratiche”.
La cultura è un campo in cui l’ibridazione è un fenomeno sempre più visibile e sistematico: i
simboli che originariamente erano prodotti da una singola cultura, con il tempo sono stati
utilizzati da altre. Tale operazione implica una decodificazione dei simboli e una codificazione
entro una nuova forma culturale. Si pensi agli artisti indiani, ai contenuti delle loro opere e ai
rinnovati processi di codificazione impliciti, ad esempio, nella rappresentazione di queste in una
biennale o in una mostra come Indian Highway che ha visto e vedrà spazi espositivi sempre
diversi. Ma si pensi anche all’estetica dei film bollywoodiani, quando questa viene esportata in
giro per il mondo e trasformata nelle forme culturali di un musical che, di spettacolo in
spettacolo, si muove dagli Stati Uniti all’Italia.
In questo senso il poeta, curatore e critico d’arte indiano Ranjit Hoskote parla di processi di “arte
transculturale” che vedono nelle relazioni e nei conseguenti sviluppi creativi tra storia dell’arte e
della cultura locale e arte e cultura globale e globalizzata, il perno di un nuovo sistema di
collaborazioni internazionali (concorsi, organizzazioni, festival, ecc.) che mettono in
comunicazione differenti forme artistico-culturali. Nei casi che ho appena citato risulta evidente
come, attraverso tali sistemi, un paese come l’India ha la facoltà di essere visto come un’entità
concettuale che non si basa soltanto su un’idea di territorialità, ma anche su un pensiero più
esteso nello spazio globale dell’immaginazione. A tal proposito vorrei citare le significative
parole della curatrice di Indian Highway, Giulia Ferracci: “Gli artisti sono completamente
inseriti in un circuito internazionale. Molti di loro dopo essersi diplomati negli istituti d’arte in
India, hanno proseguito la propria carriera in Europa o in America, assorbendo così la lezione
occidentale. L’originalità è certamente quella di aver integrato il linguaggio globalizzato con un
sistema orientale composito, fondato sulla sintesi tra immagini ordinarie, elementi locali ed
esperienze personali”.
Forse, proprio in questo modo la mostra è potuta diventare quell’ “autostrada”, quell’entità in
grado di stabilire interconnessioni di senso nelle direzioni più diverse.
Rispetto a ciò che è stato detto fino ad ora, la cultura non deve essere auto-referenziale e
territorialmente riferibile, ma trasmettibile e apprendibile. Si tratta dunque di una cultura aperta
verso l’esterno in modo che l’altro, nella relazione, venga riconosciuto come pari e come
portatore di valori culturali aggiunti.
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In questo modo, intendendo la globalizzazione come portatrice di diversità, si può parlare di
eterogeneizzazione e non di omogeneizzazione.
Le culture, infatti, sono per loro natura fluide e sempre in movimento, risultato di un’interazione
e dialogo continuo da un lato con la stessa cultura, e dall’altro con il mondo esterno.
Di ciò esistono forti evidenze rispetto ai prodotti culturali che oggi possono considerarsi il frutto
di dinamiche di imitazione, appropriazione, mutuo apprendimento, ecc.
In un’intervista apparsa sul New York Times, Baz Luhrmann, il regista del film Moulin Rouge, ha
ammesso che l’idea di amalgamare nel film canzoni, danza, high comedy e high tragedy
derivasse essenzialmente dai film bollywoodiani i quali, a loro volta, raccolgono, mescolano e
riutilizzano elementi dell’epica mitologica, dei classici, delle tradizioni, del teatro moderno ma
anche da MTV e dal cinema di Hollywood, elementi che già di per sé sono ibridi.
Anche nelle opere degli artisti indiani contemporanei emerge in maniera chiara un’ibridazione
tra il ricco patrimonio culturale autoctono e i simboli o le forme (anche intese come nuovi media)
del mélange postmoderno della cultura globalizzata. Si pensi ad un’opera dell’artista N.S.
Harsha, Mass Marriage (2005), in cui sono raffigurati gli abitanti dei villaggi indiani in posa per
una fotografia davanti ad un fondale dipinto che rappresenta la Torre di Pisa. Si pensi anche alla
pittura di Maqbool Fida Husain, intrisa di riflessioni sul surrealismo e sul cubismo. Oppure alle
opere di Chitra Ganesh, che usa il linguaggio dei cartoons per raccontare i classici della
letteratura indiana, e così via.
Viene da fare un paragone con le nuove generazioni di artisti cinesi che nei ragionamenti di
mercato sono spesso accostati a quelli indiani: i primi sono infatti cresciuti all’ombra della
rivoluzione culturale in cui il riferimento assoluto è l’“uomo nuovo”, perché l’antica tradizione
culturale è diventata tabù; i secondi hanno invece coltivato la propria tradizione, che a volte è
messa in discussione, integrandola con le culture straniere.
Così, sono sorte nuove forme d’espressione filtrate da un rapporto dialettico con la cultura e
l’arte occidentale.
Gli esempi citati fanno riferimento ai contenuti e alle modalità di espressione artistica o
culturale.
In un’ottica di scambio mirato alla valorizzazione delle nostre culture vanno però rimarcate
anche le potenzialità della globalizzazione in termini di “sistemi” utili non solo al dialogo fra tali
contenuti, ma anche alla trasmissione di questi verso i soggetti dei flussi globali di ricezione: i
pubblici, gli attori del mercato artistico e culturale, le organizzazioni istituzionali, ecc.
Per procedere in questa direzione il concetto di network è senza dubbio quello più appropriato
ma per capire meglio il senso che un concetto di tradizione socio-economica può avere in un
ambito differente come quello culturale, vorrei citare la definizione che il matematico francese
Henri Poincaré diede della creatività nel 1929: “Creatività è unire elementi esistenti con
connessioni nuove, che siano utili”.
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Il processo di globalizzazione della cultura e dell’arte può essere definito in base allo sviluppo di
network costituiti attraverso relazioni multiple fra paesi diversi. Ciò, grazie alle tre caratteristiche
della globalizzazione che sono: estensione, penetrazione e integrazione. Le relazioni instaurate
all’interno di un’organizzazione, pensiamo all’Associazione Italia-India (anche se l’esempio di
una biennale o di un festival andrebbero altrettanto bene), possono essere impiegate come ponti
verso altri network (altre associazioni, le istituzioni governative, gruppi o singole imprese, e così
via). Ugualmente la stessa organizzazione può diventare parte di network globali e intrattenere
altre relazioni di ordine diverso, da quelle commerciali a quelle istituzionali, a quelle creative, ad
esempio. Nell’idea di network globale infatti, conoscenza, esperienza e relazioni interpersonali
hanno un rilievo fondamentale.
Lo sviluppo di un network di questo tipo all’interno di un circuito come quello culturale è senza
dubbio graduale e può essere valutato su tre livelli: individuale (gli artisti o le personalità
creative in generale), organizzativo (le associazioni, i musei, le fondazioni, le gallerie d’arte,
ecc.) e nazionale.
In questo modo la globalizzazione della cultura si può intendere da una parte come adesione
graduale alla rete globale e dall’altra come sistema di flussi e riflussi dall’interno verso l’esterno.
Lo studioso François Colbert fa notare, inoltre, come nei processi culturali la globalizzazione
della concorrenza abbia aperto nuove prospettive ai fruitori, abbia reso possibile l’esportazione
di alcuni prodotti e l’importazione di altri da nazioni straniere, e abbia infine accresciuto la
competitività dei prodotti locali.
Bisogna tener presente che nelle industrie culturali le organizzazioni sono concentrate e un
numero esiguo di multinazionali controlla la creazione di molti prodotti culturali. Per questo
motivo risulta imprescindibile che le organizzazioni culturali che operano in una realtà
territoriale in via di sviluppo o a bassa densità di popolazione debbano lavorare in maniera
sinergica per sviluppare un posizionamento competitivo a livello globale. Per emergere tali
organizzazioni possono ad esempio puntare sull’unicità della cultura del loro paese.
Un privilegio della globalizzazione può dunque essere quello di agevolare l'inserimento di uno
spazio artistico nazionale in un sistema di network globale fatto di scambi non solo economici. È
proprio grazie alla globalizzazione che la circolazione delle persone, dei prodotti, degli atti
creativi, delle informazioni e della conoscenza, favorisce il dialogo fra i paesi. La
globalizzazione della scena artistica si è notevolmente estesa e continuerà ad estendersi giorno
dopo giorno, amplificando offerta, diversificazione e rinnovamento della cultura.
Per ricordare ancora l’esempio dell’arte contemporanea indiana, dette dinamiche hanno fatto sì
che la nazione indiana si sia sempre più aperta all’Occidente. È facile riscontrare come alla base
di tale fenomeno vi siano evidenti logiche di network. L'apertura all'Occidente ha portato ad un
ampliamento del collezionismo indiano, il quale frequentando sempre più fiere, biennali e
gallerie internazionali si è man mano caratterizzato rivolgendosi verso nuovi linguaggi artistici.
Gli stessi artisti indiani, inoltre, possono confrontarsi in maniera sempre più articolata e
continuativa con artisti di altre nazionalità. Tutto ciò non può che avere a sua volta ripercussioni
in termini di rinnovamento, sperimentazione e diversificazione nella produzione creativa,
andando infine, a potenziarne il valore.
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Globalizzazione e logiche di network significano dunque vitalità e rinnovamento. La crescita del
numero di organizzazioni e di nodi creativi in India o fra India ed altri paesi avvenuta negli
ultimi anni ne è un esempio importante.
Nel 2008, una famiglia di collezionisti ha aperto a Delhi il primo museo di arte contemporanea
indiana, la Devi Art Foundation, che a sua volta collabora con la Jawaharlal Nehru University. A
tale museo si è poi aggiunto il Kiran Nadar Museum of Art. A Calcutta una joint venture tra il
governo del West Bengala e un’impresa privata sta realizzando il primo museo di arte moderna,
il Kmoma Kolkata Museum of Modern Art, disegnato dagli architetti svizzeri Herzog & de
Meuron. Nel 2008 è nata a Delhi l’India Art Summit, prima fiera d’arte moderna e
contemporanea aperta anche a galleristi stranieri. A Mumbai, Bangalore e Delhi sono nate molte
nuove gallerie con avamposti in Europa e negli Stati Uniti, e ancora a Mumbai si è addirittura
venuto a creare un distretto, il Colaba District, al cui interno un gruppo di artisti si è organizzato
a sua volta in un mini-distretto, il Mumbai Arts Projects, o MAP, che collabora nella
progettazione di arte pubblica. In parallelo, nel mondo, mentre Sotheby’s e Christie’s sono
sempre più attivi nel campo dell'arte indiana, importanti gallerie, musei e biennali organizzano
rassegne e panoramiche sulle poetiche artistiche del continente, proprio come ha fatto e continua
a fare l’Italia, da Milano, Roma e Venezia fino a San Gimignano o Casoria.
Questo lungo, seppur parziale, elenco mi auguro abbia offerto un riscontro concreto ai concetti
precedentemente espressi a livello più teorico.
All’India, così come all’Italia appartiene una pluralità di dimensioni che esercitano una specifica
gamma di effetti sulla creazione di un vantaggio nazionale nell’ambito del settore culturale.
L’integrazione sistemica tra le determinanti di queste dimensioni e tra le specifiche dimensioni di
una stessa determinante, non può che portare, se inserita in una logica di scambio globale, a
risultati in termini di valorizzazione e vantaggio competitivo. In questo senso, lo schema
interpretativo finale potrebbe riassumersi nei seguenti tre punti.
1) Il vantaggio competitivo delle nazioni e dei contesti locali è la risultante di un articolato
insieme di relazioni e determinanti in una loro integrazione sistemica che può essere
intesa come “ibridazione”.
2) L'ibridazione influenza e potenzia i processi di creazione e di trasferimento delle
conoscenze, culturali ma non solo, all’interno dei contesti locali e dai contesti locali verso
i contesti globali.
3) La produzione di valore negli scambi culturali fra due o più paesi, si verifica infine
attraverso la cooperazione e le relazioni tra attori e nei network.
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