CAPITOLO 2 Lucrezio Sulla vita di Tito Lucrezio Caro siamo male informati, perché i suoi contemporanei lo ignorarono e lui non amava parlare di se. Secondo San Gerolamo nacque intorno al 96 e morì suicida nel 52. Gerolamo scrisse anche che fu indotto alla pazzia da un filtro d’amore e per questo motivo si suicidò. Secondo Donato egli mori nel 55 (stesso anno dell’assunzione della toga virile da parte di Virgilio) e nacque nel 98. Questa seconda ipotesi sembra confermata da Cicerone in una lettera al fratello Quinto dove esaltava le doti del poeta. Cicerone curò la pubblicazione del libro di Lucrezio De rerum natura. Oggi la notizia della follia di Lucrezio viene giudicata una leggenda cristiana nata per screditare Lucrezio. La sua formazione spirituale fu conseguita a Roma ma il suo luogo di nascita è sconosciuto. Forse è campano di Pompei. A Ercolano frequentò il circolo di Filodemo dove si accostò alla filosofia epicurea. Le sue esperienze spirituali sono documentate nella sua unica opera De rerum natura che non sappiamo quando sia stata composta. Il poema “De Rerum Natura” comprende 6 libri riuniti a coppie. I primi due trattano della fisica atomistica, i secondi due si riferiscono all’antropologia e gli ultimi due sono sulla cosmologia e sui fenomeni naturali. Gli epicurei studiavano la natura per conoscere le leggi fisiche che secondo loro avrebbero liberato gli uomini dalle paure e dalle superstizioni. Sembrerebbe mancare una parte dedicata all’etica ma tutto il contenuto è in funzione dell’etica, soprattutto con la spiegazione del clinamen (deviazione casuale nella caduta degli atomi) introduce la libera volontà e l’autonomia della decisione; nel III libro la riflessione sulla morte mira a liberare l’uomo dalla paura dell’aldilà; nel IV la dottrina della conoscenza include un brano sugli effetti devastanti dell’amore; nel V la storia dell’uomo mette in guardia contro i vizi legati al progresso; nel VI la peste è vista sotto l’aspetto del comportamento dell’uomo. Soprattutto nei proemi e nei finali la morale la fa da padrona. L’opera si conclude bruscamente con la descrizione della peste e questo fa pensare che l’opera sia rimasta incompiuta e (secondo Ettore Bignone) manca la parte dedicata agli dei che l’autore aveva premesso nel V libro. Un’altra ragione per cui si pensa all’incompiutezza dell’opera è il fatto che il poema i chiuda con il trionfo della morte nella peste, cosa contraria alla dottrina epicurea. Al contrario ci sono 3 ragioni per cui l’opera sempre finita: la prima è la dichiarazione di chiusura di Lucrezio dell’opera col sesto libro e essendo i libri gia pieni di versi un argomento come quello degli dei non troverebbe spazio; la seconda è la chiusura del libro con incisive sentenze secondo l’abitudine lucreziana; la terza il legame con la meteorologia della peste e la critica all’uomo che di fronte al male si rifugiano nella superstizione. Si crede inoltre che Lucrezia abbia ricevuto una mano poiché si trovano frequenti ripetizioni di versi e parole, però per altri studiosi queste ripetizioni sono solite nello stile lucreziano per l’opportunità didattica di ribadire concetti importanti. Ulteriori studi hanno mostrato che non si può essere certi sulla compiutezza in quanto i libri antichi passavano di mano in mano prima della pubblicazione e ognuno poteva aggiungere o correggere il testo. © Federico Ferranti S.T.A. www.quartof.com