VIVERE E TRASMETTERE I VALORI NELLA SOCIETA` PLURALE E

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II incontro interdisciplinare di Docenti universitari delle Marche
presso Istituto teologico marchigiano - Ancona 16 maggio 2012
Giancarlo Galeazzi
VIVERE E TRASMETTERE I VALORI NELLA SOCIETA’ PLURALE
E NELLA ODIERNA REALTA’ MARCHIGIANA
1. La società contemporanea è caratterizzata da un’evidente pluralità in tutti i campi, in quanto i
saperi e le pratiche sono caratterizzati da una molteplicità di approcci e di paradigmi, e da una non
meno evidente pluralizzazione, in quanto c’è la tendenza ad accrescere la pluralità esistente. L’una
e l’altra vengono diversamente valutate: in termini negativi, se le si considera portatrici di
“relativismo” e di conseguente “nichilismo”, oppure in termini positivi, se invece le si considera
espressioni di “differenziazione” arricchente, che comporta ”integrazione” o, meglio, “interazione”.
Occorre aggiungere che tale pluralità e tale pluralizzazione, che possiamo rubricare sotto la voce
pluralismo, si presentano in tante forme: etnica, etica, culturale e cultuale, nel senso che sono
sempre più presenti nella stessa società diverse tradizioni (ethos), diverse morali (etiche), diverse
culture (antropologie), diverse religioni (soteriologie).
Qui richiamiamo l’attenzione sui diversi ethos e sulle diverse etiche, una diversità inevitabilmente
produce una qualche conflittualità. Tuttavia, non è questa che deve preoccupare, bensì il modo in
cui essa è affrontata. Per questo può servire una previa riflessione riguardo ai valori, in modo da
mettere in luce che il pluralismo valoriale, non è solo congiunturale, ma prima ancora strutturale:
da questa consapevolezza bisogna partire per non cadere in facili quanto dannosi equivoci. Si può
allora precisare che di pluralismo assiologico si può parlare in un duplice senso: come diversità
“dei” valori relativamente alle diverse società o culture, e come diversità “tra” valori all’interno di
una stessa società o cultura.
Nel caso della diversità dei valori, potremmo parlare con Max Weber di “politeismo dei valori”,
che per Roberta De Monticelli è “il problema fondamentale dell’etica oggi”: ogni cultura ha i suoi,
e nel momento in cui le culture vengono a contatto o devono coesistere nell’ambito della medesima
convivenza civile (società multiculturale), è inevitabile che, almeno inizialmente, si produca un
“antagonismo valoriale” (Weber). Quindi, in presenza della multiculturalità, è da mettere nel conto
una certa dose di conflittualità, ma non è questa che deve far problema, bensì il modo in cui i
conflitti sono affrontati e risolti: giungere in modo non-violento alla integrazione o, meglio alla
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interazione rende fecondo il pluralismo. Diversamente il contrasto valoriale rischia di essere
lacerante per la convivenza umana, come mostrano il fondamentalismo per un verso e il relativismo
per l’altro: entrambi non sono risposte efficaci: il primo perché radicalizza la identificazione
culturale dei valori, e il secondo perché invece la relativizza fino ad annullarla: così, in modi
differenti, entrambe le posizioni non permettono una organica convivenza civile: in modo più
dirompente il fondamentalismo, e in modo più sotterraneo il relativismo.
Il caso, poi, della diversità tra valori riguarda i valori al plurale nell’ambito di una società
omogenea (o, per così dire, società monoculturale, ma l’espressione è impropria); in questo caso è
da evidenziare qualcosa che in genere viene negato o nascosto, vale a dire che il pluralismo e la
conseguente conflittualità non sono solo un portato della società multiculturale, ma sono a ben
vedere presenti anche nella società monoculturale, cioè sono intrinseci ad ogni quadro valoriale, per
quanto esso possa essere espressione di una cultura omogenea. Il fatto è che i valori sono sempre al
plurale, e la loro attuazione comporta necessariamente una certa dose di conflittualità, almeno nel
senso che il perseguimento di un valore può confliggere con altri (per es. la libertà comporta la
limitazione della sicurezza, e viceversa), oppure comporta il primato o la priorità dell’uno
sull’altro, ovvero il privilegiamento o la precedenza dell’uno sull’altro (e gli esempi si possono
moltiplicare: con riferimento all’attualità si pensi al rapporto della libertà con l’eguaglianza o con la
giustizia o con la pace, ecc.).
Dunque, risulta inevitabile, anche in un omogeneo quadro valoriale, un qualche contrasto, che
ovviamente si accentua quando i quadri valoriali sono molteplici e, addirittura, contrastanti.
Pertanto si può affermare che nel campo assiologico non si può prescindere dalla pluralità di valori:
delle loro diverse concezioni giustificative e delle loro diverse modalità attuative. Pertanto bisogna
tener conto della pluralità “dei” valori all’interno di una società omogenea, e della pluralità “tra”
valori all’interno di una società eterogenea. Importante, insomma, è rendersi conto che la maggiore
o minore conflittualità o rivalità o antagonismo di valori è un dato, a cui non è possibile sottrarsi, e
che non è solo un portato della società multiculturale e multireligiosa. Sarebbe, questa, una
consapevolezza non da poco, che fugherebbe tante riserve nei confronti della cosiddetta società al
plurale, il cui esplicito pluralismo interculturale rende avvertiti (più che non il nascosto pluralismo
intraculturale della società al singolare) della necessità di misurarsi con le diversità e di impegnarsi
a non trasformarle in diseguaglianze e in discriminazioni.
E’ con questa consapevolezza che bisogna perseguire i valori e cercarne una concreta traduzione e
trasmissione. Per questo bisogna mettere da parte certe visioni assiologiche “idilliache” e misurarsi
invece con la realtà effettuale dei valori, e su di essa intervenire, evitando la duplice tentazione
dell’assolutismo e del relativismo (o, volendo usare un linguaggio politico, del totalitarismo e
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dell’anarchismo). Si tratta allora di rivendicare il carattere di assolutezza e, insieme, di relatività dei
valori, che sono da vedere all’insegna della perennità e, insieme, della storicità.: affermare solo
l’una o solo l’altra significa cadere in un’etica “fissista” o “sclerotizzata”, ovvero in un’etica
“mobile” o “solubile”.
Come fare perché la “consistenza” dei valori non si traduca in “intransigenza”, ovvero la
“mediazione” non si traduca in “confusione”? Come fare perché la “liquefazione” dei valori non si
traduca nella loro “liquidazione”, ovvero la “solidità” dei valori non si traduca nella loro “rigidità”?
Ecco il duplice interrogativo, cui, dal punto assiologico, la società contemporanea è chiamata a
rispondere, ed è risposta da dare hic et nunc, nella consapevolezza che le risposte sono valide fino a
quando non se ne trovano di migliori: questo atteggiamento, che è stato riconosciuto valido per la
ragione teoretica, deve valere pure per la ragione pratica. Potremmo allora dire che non solo le
teorie scientifiche ma anche quelle etiche non sono “negoziabili”, ma non sono immodificabili, per
dire che la “non negoziabilità” significa che i valori per definizione valgono e non vi si può
rinunciare, ma la loro formulazione, motivazione e collocazione possono essere riviste alla luce di
nuove acquisizioni scientifiche e convinzioni culturali. In proposito la De Monticelli ha affermato
che “non c’è altra vita morale che nella verifica sempre nuova che siamo disposti a fare dei giudizi
di valore attraverso l’esperienza e la critica –come negli altri campi di ricerca della verità”.
Al riguardo può tornare utile adottare una distinzione proposta dalla stessa filosofa, quella tra ethos,
inteso come “l’ordinamento valoriale costitutivo di un’identità personale e morale (individuale o
condivisa, culturale o anche religiosa)” ed etica, intesa come “la disciplina del dovuto da ciascuno a
tutti” o come “la disciplina dei diritti umani”: ebbene, “non ogni ethos evidentemente può andare,
ma solo quelli compatibili con l’etica”: è, questa la condizione per essere persone morali, perché la
morale “comprende la sfera dell’ethos come quella dell’etica”, che devono rapportarsi, portando
l’ethos a commisurarsi all’etica: il che trova nella democrazia la possibilità di attuarsi, permettendo
così di avere “persone decenti”.
Allora, “vivere e trasmettere i valori nella società plurale” significa disporsi ad abitare la crescente
pluralità assiologica, cioè a viverla consapevoli della conflittualità che comporta, e a trasmetterla
consapevoli che tale conflittualità non si può mai dissolvere del tutto ma si può risolvere di volta in
volta, rispettando vocazione non meno che responsabilità.
2. A questo punto vorremmo avvicinare il tema dei valori alla situazione marchigiana, in quanto
il riconoscimento della diversità degli approcci e dei paradigmi riguardo ai valori, può costituire
elemento importante per porre la questione (oggetto del II convegno ecclesiale marchigiano) del
“vivere e trasmettere la fede nelle Marche oggi”. Si tratta di “generare” alla esperienza cristiana
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nella realtà marchigiana contemporanea, di “testimoniare” il Vangelo nella odierna società
marchigiana, appellandosi ai valori umani e teologali del cristianesimo, che sono poi i valori legati
alla “regola d’oro”, ai “comandamenti mosaici”, alle “beatitudini evangeliche”.
A tal fine, la Chiesa marchigiana potrebbe muoversi su due piani: da una parte, richiamare (e porre
a disposizione) tre sue specifiche risorse, e, dall’altra parte, segnalare tre gravi urgenze, che
mettono a rischio anche la nostra società; detto in altri termini, fare riferimento a valori in atto e a
valori a rischio
La prima risorsa è quella più nota e già particolarmente apprezzata per i valori che veicola: si tratta
della dimensione caritativa della Chiesa che comprende le varie forme di volontariato cattolico a
cominciare dalla “Caritas”, che, ai suoi vari livelli (parrocchiale e diocesana) produce conoscenza
riguardo alle molteplici povertà (vecchie e nuove) e impegno immediato in loro favore. Al riguardo
piace ricordare che i valori dell’accettazione, dell’accoglienza e dell’aiuto, del riconoscimento,
dell’ospitalità e della condivisione hanno trovato un esplicita sollecitazione nel Congresso
eucaristico nazionale di Ancona (che ha visto anche l’istituzione di una specifica Opera caritativa ad
Ancona, il cui valore non è solo materiale ma anche simbolico).
La seconda risorsa è quella formativa, e comprende l’azione educativa che la Chiesa svolge a
partire dalle parrocchie nei confronti dei ragazzi e dei giovani, e che è esercitata dalle Associazioni
laicali e, specialmente, dagli Oratori: nelle Marche ce ne sono ben 220 e costituiscono ambienti
formativi capaci di rispondere alle esigenze aggregative dei ragazzi nelle diverse età. Proprio in
ragione di questa opera la Regione Marche ha opportunamente prestato attenzione agli Oratori (ma
la denominazione non potrebbe essere opportunamente rinnovata?), contribuendo a sostenerli come
luoghi che privilegiano valori quali l’aggregazione, la collaborazione, la preparazione, la libertà, la
lealtà.
La terza risorsa è quella culturale, ed è esercitata in particolare dagli Istituti di formazione teologica
a carattere accademico che sono operanti nelle Marche alle dipendenze dalla Pontificia Università
Lateranense, e precisamente l’Istituto teologico marchigiano (nella sua sede centrale di Ancona e
nella sua sezione di Fermo), e dagli Istituti superiori di scienze religiose di Ancona, Fermo, Ascoli
Piceno e Pesaro (Urbino fa caso a sé e dipende dalla locale Università). Questi istituti -che sono
strutturati secondo il modulo universitario del “tre più due” e che permettono di conseguire la laurea
triennale e quella magistrale rispettivamente in Sacra Teologia e in Scienze Religiose- sono
frequentati complessivamente da circa seicento studenti, e si sono già avuti i primi laureati. Questi
vanno ad aggiungersi a coloro che hanno conseguito il magistero in scienze religiose attraverso
l’Istituto superiore marchigiano di scienze religiose (con sede prima a Loreto poi ad Ancona e
sezioni a Fano, Fermo e Ascoli Piceno) che ha concluso la propria attività, dopo vent’anni di
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impegno, durante i quali ha formato oltre un migliaio di operatori scolastici come insegnanti di
religione nella scuola, e di operatori pastorali come formatori a livello parrocchiale e diocesano. Si
tratta di una realtà diversificata, ma accomunata da alcuni valori propri della ricerca e della
didattica, tra cui primeggiano il rigore nella ricerca, e il rispetto nelle relazioni.
Ebbene, queste tre risorse -il Vangelo della carità, il Vangelo della formazione e il Vangelo della
cultura- costituiscono un patrimonio della Chiesa, ma il loro significato non si restringe alla
Chiesa: ha aperture e ricadute per l’intera comunità regionale. Pertanto occorre sempre più e
sempre meglio valorizzare questo patrimonio valoriale: sia da parte della comunità ecclesiale, sia da
parte della comunità civile.
E’ con questi presupposti (ed altri, cui non si fa qui riferimento) che si pone il secondo problema,
quello di segnalare le tre urgenze che sono presenti nell’odierna società, anche in quella
marchigiana, e che toccano la Chiesa da vicino. E la stessa Chiesa le ha segnalate a più riprese,
giungendo addirittura a parlare di “emergenze” (ma preferirei parlare di “emarginazioni
assiologiche” o di “scadimenti valoriali”): tali sono in particolare quelle che toccano il lavoro, la
famiglia e l’educazione.
L’urgenza lavorativa è data dalla tanta precarietà che contrassegna il lavoro oggi (specialmente
quello giovanile e quello femminile) e che porta a forme di sottoccupazione, disoccupazione e
inoccupazione: non è solo questione professionale, è propriamente questione antropologica, perché
mette a rischio l’identità e il riconoscimento delle persone: da qui il richiamo forte della Chiesa a
guardare al lavoro quale espressione della dignità dell’uomo, e quindi quale espressione valoriale,
come bene evidenziano la Costituzione italiana e la Dottrina sociale cristiana che ne mettono in
evidenza il valore a livello di diritto, dovere, desiderio e dono. Possono contribuire ad andare in
questa direzione le varie forme di associazionismo cattolico dei lavoratori e degli imprenditori. (La
Regione Marche, dal canto suo, si è lodevolmente spesa sul capitolo lavoro, formazione
professionale e ammortizzatori sociali)
L’urgenza familiare non è meno grave, e non solo dal punto di vista economico, ma anche dal
punto di vista strutturale, per la diversificata tipologia familiare che si sta determinando: oltre quella
normocostituita, esistono famiglie monogenitoriali e plurigenitoriali, allungate e allargate, ecc.; il
che pone problemi relazionali inediti. In particolare c’è la necessità di una rinnovata consapevolezza
e competenza educative da parte dei genitori e delle altre figure parentali (in particolare dei nonni).
Da qui il richiamo forte della Chiesa a riconoscere il valore della famiglia, il suo primato educativo,
come “scuola di umanità”, “luogo di democrazia” e “chiesa domestica” e i valori della famiglia
legati alla socialità, ai sentimenti, alla solidarietà e alla sinergia. Un aiuto in tal senso può venire
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certamente dai Consultori familiari e dalle Scuole per genitori (recentemente la Regione Marche si è
opportunamente mossa su quest’ultimo fronte).
Infine l’urgenza educativa conseguente tanto alla crisi dei modelli educativi quanto alla crisi di
considerazione nei confronti degli educandi e degli educatori, per cui si rende necessario superare lo
stato di marginalità o di emarginazione in cui è venuta a trovarsi l’opera educativa a livello di
progetti e di soggetti. Ancora una volta la Chiesa è in prima linea nel denunciare la scarsa
attenzione e valorizzazione dell’educare, che è da intendere nella molteplicità dei suoi significati,
cioè come opera “alimentatrice” (educare), “suscitatrice” (educere) e “accompagnatrice”
(pedagogia) della crescita dell’uomo, privilegiando l’età evolutiva, ma estendendosi lungo tutta la
vita e sempre con la finalità di promuovere tutta la persona e tutte le persone, cioè educazione
rispettivamente promozionale, permanente, progettuale e plenaria. E’ con questo spirito che gli
Orientamenti pastorali della Conferenza Episcopale Italiana per il prossimo decennio sono
incentrati sulla questione educativa con l’invito a educare alla vita buona del Vangelo.
Vale per tutte e tre queste urgenze la convinzione che esse, nell’attuale passaggio di civiltà,
costituiscono: segni epocali da interpretare, sfide culturali da affrontare, scommesse vitali da fare, e
svolte sociali da effettuare: sia da parte della Chiesa per lo svolgimento della sua stessa missione,
sia da parte della società per la realizzazione di una democrazia partecipata.
Dunque, mettendo a frutto la tre risorse (caritativa, formativa e culturale) e impegnandosi nelle tre
urgenze (lavorativa, familiare e educativa) la Chiesa nelle Marche può trovare forme efficaci per
vivere e trasmettere la fede incarnata nel contesto regionale, contribuendo a edificare una società
non tanto “decorativamente cristiana”, quanto “vitalmente cristiana” (Maritain), o, se si vuole, a
edificare “la città dell’uomo” (Lazzati), “la città a misura d’uomo” (Mounier), “la casa comune” (La
Pira), “la città fraterna” (Maritain).
Un tale impegno, che è essenzialmente assiologico, andrà vissuto tenendo anche conto della identità
delle Marche, “regione policentrica”, perché strutturalmente all’insegna della pluralità, e chiamata
a produrre inedite e feconde forme di collaborazione, per cui si potrebbe parlare, anche dal punto di
vista etico-valoriale, di un “modello Marche”, per dire che esse -come “territorio di frontiera” e
come “crocevia di culture”- potrebbero ben costituire un originale “paradigma” su cui coniugare
molteplicità e unità, in direzione di un pluralismo solidale. Il che reclama comunità che sappiano
incarnare la propria identità senza sottrarsi al confronto, con la consapevolezza che, nel contesto
della società postmoderna, la pluralità e la pluralizzazione assiologiche si accentuano, e reclamano
di conseguenza inedite forme teoretiche e pratiche nel vivere e nel trasmettere valori: umani ed
evangelici.
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