Giuseppe Mazzini

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Giuseppe Mazzini - Il programma e gli obiettivi dei democratici contro Cavour
Sebbene il movimento democratico durante gli anni cinquanta andasse incontro a numerosi
fallimenti, culminati con l’attentato di Felice Orsini a Napoleone III, lo spirito di Giuseppe Mazzini
restava sempre attivo contro ogni “degenerazione” ideologica all’interno del suo movimento e
soprattutto molto critico nei confronti del partito moderato che parallelamente andava aumentando
di visibilità e di seguito tra la popolazione dei vari stati della penisola. Mazzini, ancora sul finire
degli anni cinquanta, contro le proposte monarchiche e moderate, continuava a rivendicare la
pregiudiziale repubblicana ed unitaria, considerata l’unica possibile per giungere definitivamente
alla soluzione della questione nazionale.
Signore, Io vi sapeva da lungo tenero della monarchia piemontese più assai che della Patria
comune, adoratore materialista del fatto più assai che d’ogni santo principio, uomo d’ingegno astuto
più che potente, fautore di partiti obliqui e avverso, per indole di patriziato e tendenze ingenite, alla
libertà; non vi credeva calunniatore. Or voi vi siete chiarito tale. Avete, nel vostro discorso del 16
aprile, calunniato deliberatamente e per tristo fine, un intero Partito devoto, per confessione vostra,
all’indipendenza e all’unità Nazionale. A questo Partito che conta fra’ suoi, da Jacopo Ruffini a
Carlo Pisacane, centinaia di martiri davanti alla memoria dei quali voi dovreste prostrarvi – a questo
Partito che salvò, senza un solo atto d’oppressione o terrore, l’onore d’Italia in Roma e Venezia,
quando la vostra monarchia sotterrava nel fango in Novara la bandiera tradita poco prima in Milano
– a questo Partito alla cui straordinaria vitalità confessata oggi da voi, in onta ai vostri che lo
dichiarano ad ogni ora morto e sepolto, il Piemonte deve la libertà di che gode e voi dovete le
occasioni di farvi patrocinatore ozioso e ingannevole d’Italia nelle Conferenze governative – voi
avete avventato in occasione solenne e da luogo dove ogni sillaba di Ministro rivendica pubblicità
europea, una di quelle accuse che la credulità umana raccoglie e magnifica ad argomento di
sospetto perenne e persecuzione. Avete, su gente contro la quale vi fanno potente prigioni,
proscrizioni birri e soldati e alla quale i sequestri de’ vostri agenti rapiscono ogni libertà di difesa,
cercato di stampare un marchio d’infamia. Avete, da osceni libelli di poliziotti stranieri,
dissotterrata a nostro danno l’accusa della teoria del pugnale, ignota all’Italia. Avete, sapendo che la
menzogna poteva fruttarvi un aumento di voti, dichiarato alla Camera che la legge liberticida
proposta avea per intento proteggere i giorni di Vittorio Emanuele minacciati da noi. E questa
accusa, voi, due volte codardo, l’avete gittata contro noi per mero artificio politico ad allontanare
possibilmente da voi la taccia di sommesso conceditore all’Impero di Francia. Però, s’io prima non
v’amava, or vi sprezzo. Eravate finora solamente nemico: or siete bassamente, indecorosamente
nemico.
Non per voi dunque che accusate per tattica, ma pei molti creduli che raccolgono senza esame le
accuse, io mi giovo del vostro nome per indirizzare ad altri, e sarà l’ultima volta, una franca
dichiarazione che ponga fine tra gli onesti – i tristi che vi fanno coda calunnieranno pur sempre – ai
sospetti oltraggiosi e agli stolti terrori.
Credo, nella sfera de’ principi, ogni giudizio di morte – se applicato dalla società o dall’individuo
non monta – delitto; e s’io avessi potere, stimerei debito mio abolirne la facoltà. Non ch’io creda,
com’altri, la vita sacra e inviolabile, la santità della vita non comincia coi moti organici o
coll’agitarsi d’una esistenza fisiologica che abbiamo comune cogli animali, bensì coi doveri
compiti, coll’intelletto della missione della vita stessa; e finché sarà santa la guerra per la libertà
della Patria, o la protezione armata del debole contro il tiranno potente che lo calpesta, o la difesa a
ogni patto del fratello su cui pende il ferro dell’assassino, l’inviolabilità assoluta della vita è
menzogna. Ma noi tutti, società e individui, abbiamo, dalla missione della madre fino a quella del
legislatore, un primo e sommo dovere: educare, sviluppare per quanto è in noi, tentarlo almeno, i
germi di progresso che Dio ha messo nel core d’ogni uomo. E non s’educa spegnendo. Inoltre,
l’infallibilità non è retaggio di giudizi umani, e per uomini, non ciarlatori di moralità, ma morali, il
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solo pensiero che un innocente può essere quando che sia gettato al carnefice col marchio del
colpevole in fronte, dovrebbe bastare a rovesciare per sempre la feroce istituzione del patibolo. [...]
S’è proclamato voi dite, in faccia all’Europa che le condizioni d’Italia abbisognano d’energici
rimedii. Signore! Il proclama che voi attribuite alla politica del Marchese d’Azeglio e alla vostra,
s’è scritto e si scrive, da oltre mezzo secolo, col sangue dei mille Martiri, che [...] spesero la vita
combattendo o sul palco; e non uno è vostro: la spesero, i più in nome della Fede Repubblicana,
tutti, in nome della grande Idea Nazionale. Voi, spronato, costretto dal loro sagrificio a balbettare
qualche timido incerto lagno sulle condizioni d’Italia, avete rimpicciolito il grido potente che viene
dai loro sepolcri a sommessa e codarda preghiera; avete all’immensa aspirazione Nazionale, al
sacro e veramente divino Diritto d’Italia ch’essi rappresentarono in vita ed in morte, sostituito
l’immorale disonorevole massima che anche dai nostri tiranni noi possiamo, quasi mendicata
elemosina, ottener libertà. Se l’Europa guarda su noi con affetto e speranza, è dovuto, non alla
vostra incerta politica, ma alle cinque giornate lombarde, al giuramento d’insorgere dato e ottenuto
dai Siciliani, alla difesa di Venezia, ai caduti di Curtatone, alle prodezze di Bologna e d’Ancona, ai
fatti di Roma. Se l’Europa ci crede capaci di libertà vera e non violatrice degli ordini eterni sociali,
è dovuto a ciò ch’essa vide di noi per alcuni mesi in Roma e Venezia. Se l’Europa conosce i nostri
dolori, le nostre guerre, e i nomi dei santi che consacrano a vittoria la nostra causa, è dovuto a noi,
al nostro apostolato di venticinque anni, alle continue nostre pubblicazioni. [...]
L’unico vitale decisivo progresso compito negli ultimi dieci anni in Italia è quello delle classi
operaie, è la diffusione della fede nazionale fra i popolani delle nostre città, è il loro tacito ordinarsi
all’azione. E quel progresso non è vostro: vi cresce ostile. La tradizione nazionale e gl’istinti
repubblicani fremono in seno a quell’elemento ch’è arbitro, checché facciate, dell’avvenire.
Tra noi e voi, Signore, corre un abisso. I nostri sono due programmi radicalmente diversi. Perché,
come noi facciamo, nol dite? Perché persistere a ingannare l’Italia e l’Europa sul vostro intento?
Noi rappresentiamo l’Italia: voi rappresentate la vecchia cupida e paurosa ambizione di Casa
Savoia.
Noi vogliamo anzi tutto l’Unità Nazionale: voi non cercate, se non un ingrandimento territoriale nel
Nord dell’Italia ai regi dominii; voi avversate l’Unità, perché disperate di conquistarla e di
dominarla. Noi crediamo nella iniziativa del popolo d’Italia: voi la temete e vi studiate di
allontanarla. Voi sperate l’accrescimento sognato dalla Diplomazia, dal favore dei Governi Europei.
Ogni iniziativa v’è dunque contesa, e voi non potete porgere alla Nazione opportunità per sorgere e
costituirsi.
Noi vogliamo che il paese, sorto una volta che sia, scelga libero la forma d’istituzioni che dovrà
reggerlo; voi negate la Sovranità Nazionale e fate della monarchia una prepotente condizione d’ogni
aiuto all’impresa. Noi cerchiamo i nostri aiuti fra i popoli che hanno con noi comunione d’intento,
di dolori e di lotte; voi li cercate fra i nostri oppressori, tra i Poteri deliberatamente, necessariamente
avversi alla nostra Unità.
Noi consecriamo tempo, mezzi, anima, vita a persistere in una guerra che attraverso una serie
inevitabile di sconfitte educa a combattere il nostro popolo, radica in Europa l’idea che l’Italia
vuole davvero, e deve infallibilmente conchiudersi colla vittoria, voi consacrate tempo, mezzi e
politica ad attraversarci la via, a perseguitarci dovunque potere scoprirci, a denunciarci alle polizie
dei Governi assoluti, a dissuggellare le nostre lettere, a cercar di sopprimere, legalmente ed
illegalmente i nostri Giornali.
Noi adoriamo una fede: la Fede Nazionale – un principio: il Principio popolare repubblicano – una
politica: l’espressione ardita, continua, colla parola e coi fatti, del Diritto Italiano: voi piegate il
ginocchio davanti alla forza, ai Poteri di fatto, ai trattati del 1815, al dispotismo, a ogni cosa che sia,
purché sorretta da squadre grosse. Non avete scorta di moralità; voi ci calunniate. Tra voi e noi,
Signore, l’Italia giudicherà.
F. Gaeta - P. Villani, Documenti e testimonianze, Principato, Milano 1979, pp. 147-150.
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