Incontro zonale di formazione del GRUPPO LITURGICO PARROCCHIALE di don Giacomo Sgroi, Direttore ULD ZONA MONTANA: Corleone 27 febbraio 2012 ZONA MARINA: Partinico 28 febbraio 2012 ZONA COLLINARE: Altofonte 29 febbraio 2012 - Presentazione dei presenti: almeno quali parrocchie sono rappresentate e confronto con le presenze di novembre 2011 (cf. foglio dei vicariati) - Verificare cosa è cambiato dopo il nostro primo incontro. È stata riferita al parroco la proposta del GLP? Quale accoglienza ha avuto? Si ritiene si possa continuare il nostro lavoro? In parrocchia è nato il GLP dove non c'era? Quali difficoltà? E le notizie incoraggianti? Il mistero del culto cristiano. La Liturgia come celebrazione del mistero della fede Tentiamo oggi di approfondire il significato di "Liturgia" nei suoi vari aspetti, tentando di fornire una sorta di definizione. Etimologia: il termine leitourgìa (composto da 2 vocaboli greci laòs-popolo urghìaazione) indica l’azione del popolo. Nell’AT la “liturgia” era il servizio religioso reso dai leviti a Yaweh, prima nella tenda e poi nel tempio. Era quindi il culto pubblico che i leviti rendevano al tempio. Nel NT “liturgia” non compare mai come sinonimo di culto evidentemente perchè in quei primi tempi il termine era troppo legato al sacerdozio levitico. Il termine compare negli scritti apostolici dove chiaramente si riferisce all’Eucaristia. Definizioni anteriori al Vaticano II da respingere: Definizione estetica: la liturgia era definita come la parte esteriore e sensibile del culto cristiano, cioè l’insieme delle cerimonie e dei riti della chiesa. Definizione giuridica: la liturgia ancora veniva considerata come la somma delle norme e delle rubriche con le quali l’autorità della chiesa regolava la celebrazione del culto. Definizione di Odo Casel (benedettino tedesco 1886-1948): «La Liturgia è l’azione rituale dell’opera salvifica di Cristo, ossia è la presenza, sotto il velo dei segni (simboli), dell’opera divina della redenzione». L’enciclica Mediator Dei di Pio XII del 20.11.1947, così definisce la liturgia: «La liturgia è la continuazione dell’ufficio sacerdotale di Cristo; è l’esercizio del sacerdozio di Cristo». “Il Divino Redentore volle che la vita sacerdotale da lui iniziata nel suo corpo mortale con le sue preghiere e il suo sacrificio, non cessasse con il passare dei secoli nel suo Corpo mistico che è la Chiesa (MD4). La Chiesa continua l’opera sacerdotale di Gesù Cristo, soprattutto per mezzo della sacra liturgia (MD5). La sacra liturgia è dunque il culto pubblico che il nostro Redentore, capo della Chiesa, presta al Padre celeste e che 1 la comunità dei fedeli presta al suo Fondatore e per mezzo di lui al Padre. Più brevemente: la liturgia è il culto pubblico totale del Corpo mistico di Cristo, capo e membra (MD 29). Per l’enciclica, la liturgia è anzitutto il culto di Cristo e, per associazione e partecipazione, il culto della Chiesa. La Chiesa, a sua volta, è il vero soggetto attivo della liturgia, e non solo il soggetto passivo dell’azione liturgica. LA LITURGIA NEL VATICANO II (SC nn. 5-10) Natura della sacra liturgia e sua importanza nella vita della Chiesa 5. Dio, il quale «vuole che tutti gli uomini si salvino e arrivino alla conoscenza della verità» (1 Tm 2,4), «dopo avere a più riprese e in più modi parlato un tempo ai padri per mezzo dei profeti» (Eb 1,1), quando venne la pienezza dei tempi, mandò il suo Figlio, Verbo fatto carne, unto dallo Spirito Santo, ad annunziare la buona novella ai poveri, a risanare i cuori affranti, « medico di carne e di spirito », mediatore tra Dio e gli uomini. Infatti la sua umanità, nell'unità della persona del Verbo, fu strumento della nostra salvezza. Per questo motivo in Cristo « avvenne la nostra perfetta riconciliazione con Dio ormai placato e ci fu data la pienezza del culto divino ». Quest'opera della redenzione umana e della perfetta glorificazione di Dio, che ha il suo preludio nelle mirabili gesta divine operate nel popolo dell'Antico Testamento, è stata compiuta da Cristo Signore principalmente per mezzo del mistero pasquale della sua beata passione, risurrezione da morte e gloriosa ascensione, mistero col quale « morendo ha distrutto la nostra morte e risorgendo ha restaurato la vita». Infatti dal costato di Cristo dormiente sulla croce è scaturito il mirabile sacramento di tutta la Chiesa . La liturgia attua l'opera della salvezza propria della Chiesa 6. Pertanto, come il Cristo fu inviato dal Padre, così anch'egli ha inviato gli apostoli, ripieni di Spirito Santo. Essi, predicando il Vangelo a tutti gli uomini , non dovevano limitarsi ad annunciare che il Figlio di Dio con la sua morte e risurrezione ci ha liberati dal potere di Satana e dalla morte e ci ha trasferiti nel regno del Padre, bensì dovevano anche attuare l'opera di salvezza che annunziavano, mediante il sacrificio e i sacramenti attorno ai quali gravita tutta la vita liturgica. Così, mediante il battesimo, gli uomini vengono inseriti nel mistero pasquale di Cristo: con lui morti, sepolti e risuscitati, ricevono lo Spirito dei figli adottivi, « che ci fa esclamare: Abba, Padre» (Rm 8,15), e diventano quei veri adoratori che il Padre ricerca. Allo stesso modo, ogni volta che essi mangiano la cena del Signore, ne proclamano la morte fino a quando egli verrà. Perciò, proprio nel giorno di Pentecoste, che segnò la manifestazione della Chiesa al mondo, «quelli che accolsero la parola di Pietro furono battezzati » ed erano « assidui all'insegnamento degli apostoli, alla comunione fraterna nella frazione del pane e alla preghiera... lodando insieme Dio e godendo la simpatia di tutto il popolo » (At 2,4142,47). Da allora la Chiesa mai tralasciò di riunirsi in assemblea per celebrare il mistero pasquale: leggendo « in tutte le Scritture ciò che lo riguardava» (Lc 24,27), celebrando l'eucaristia, nella quale « vengono resi presenti la vittoria e il trionfo della sua morte » e rendendo grazie « a Dio per il suo dono ineffabile» (2 Cor 9,15) nel Cristo Gesù, «a lode della sua gloria» (Ef 1,12), per virtù dello Spirito Santo. 2 Cristo è presente nella liturgia 7. Per realizzare un'opera così grande, Cristo è sempre presente nella sua Chiesa, e in modo speciale nelle azioni liturgiche. È presente nel sacrificio della messa, sia nella persona del ministro, essendo egli stesso che, « offertosi una volta sulla croce, offre ancora se stesso tramite il ministero dei sacerdoti », sia soprattutto sotto le specie eucaristiche. È presente con la sua virtù nei sacramenti, al punto che quando uno battezza è Cristo stesso che battezza. È presente nella sua parola, giacché è lui che parla quando nella Chiesa si legge la sacra Scrittura. È presente infine quando la Chiesa prega e loda, lui che ha promesso: « Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, là sono io, in mezzo a loro » (Mt 18,20). Effettivamente per il compimento di quest'opera così grande, con la quale viene resa a Dio una gloria perfetta e gli uomini vengono santificati, Cristo associa sempre a sé la Chiesa, sua sposa amatissima, la quale l'invoca come suo Signore e per mezzo di lui rende il culto all'eterno Padre. Giustamente perciò la liturgia è considerata come l'esercizio della funzione sacerdotale di Gesù Cristo. In essa, la santificazione dell'uomo è significata per mezzo di segni sensibili e realizzata in modo proprio a ciascuno di essi; in essa il culto pubblico integrale è esercitato dal corpo mistico di Gesù Cristo, cioè dal capo e dalle sue membra. Perciò ogni celebrazione liturgica, in quanto opera di Cristo sacerdote e del suo corpo, che è la Chiesa, è azione sacra per eccellenza, e nessun'altra azione della Chiesa ne uguaglia l'efficacia allo stesso titolo e allo stesso grado. Liturgia terrena e liturgia celeste 8. Nella liturgia terrena noi partecipiamo per anticipazione alla liturgia celeste che viene celebrata nella santa città di Gerusalemme, verso la quale tendiamo come pellegrini, dove il Cristo siede alla destra di Dio quale ministro del santuario e del vero tabernacolo; insieme con tutte le schiere delle milizie celesti cantiamo al Signore l'inno di gloria; ricordando con venerazione i santi, speriamo di aver parte con essi; aspettiamo come Salvatore il Signore nostro Gesù Cristo, fino a quando egli comparirà, egli che è la nostra vita, e noi saremo manifestati con lui nella gloria. La liturgia non esaurisce l'azione della Chiesa 9. La sacra liturgia non esaurisce tutta l'azione della Chiesa. Infatti, prima che gli uomini possano accostarsi alla liturgia, bisogna che siano chiamati alla fede e alla conversione: «Come potrebbero invocare colui nel quale non hanno creduto? E come potrebbero credere in colui che non hanno udito? E come lo potrebbero udire senza chi predichi? E come predicherebbero senza essere stati mandati?» (Rm 10,14-15). Per questo motivo la Chiesa annunzia il messaggio della salvezza a coloro che ancora non credono, affinché tutti gli uomini conoscano l'unico vero Dio e il suo inviato, Gesù Cristo, e cambino la loro condotta facendo penitenza. Ai credenti poi essa ha sempre il dovere di predicare la fede e la penitenza; deve inoltre disporli ai sacramenti, insegnar loro ad osservare tutto ciò che Cristo ha comandato, ed incitarli a tutte le opere di carità, di pietà e di apostolato, per manifestare attraverso queste opere che i seguaci di Cristo, pur non essendo di questo mondo, sono tuttavia la luce del mondo e rendono gloria al Padre dinanzi agli uomini. 3 ... ma ne è il culmine e la fonte 10. Nondimeno la liturgia è il culmine verso cui tende l'azione della Chiesa e, al tempo stesso, la fonte da cui promana tutta la sua energia. Il lavoro apostolico, infatti, è ordinato a che tutti, diventati figli di Dio mediante la fede e il battesimo, si riuniscano in assemblea, lodino Dio nella Chiesa, prendano parte al sacrificio e alla mensa del Signore. A sua volta, la liturgia spinge i fedeli, nutriti dei « sacramenti pasquali », a vivere « in perfetta unione »; prega affinché « esprimano nella vita quanto hanno ricevuto mediante la fede »; la rinnovazione poi dell'alleanza di Dio con gli uomini nell'eucaristia introduce i fedeli nella pressante carità di Cristo e li infiamma con essa. Dalla liturgia, dunque, e particolarmente dall'eucaristia, deriva in noi, come da sorgente, la grazia, e si ottiene con la massima efficacia quella santificazione degli uomini nel Cristo e quella glorificazione di Dio, alla quale tendono, come a loro fine, tutte le altre attività della Chiesa. L. = Il mistero cristiano celebrato nel culto della Chiesa. L.= luogo in cui dire la fede e la speranza del popolo di Dio peregrinante nella storia. Ci è chiesto di passare dal capire ciò che si celebra nel rito al partecipare all'evento pasquale che lo costituisce; dobbiamo impegnarci, più che a descrivere ed illustrare l'azione rituale, ad approfondire il significato nel cammino delle comunità credenti; attenti anche a inserire il momento liturgico nel quadro generale dell'azione pastorale della Chiesa (Comunità), perchè solo vivendo un prima e un poi, l'azione liturgica acquista tutta la sua importanza. (L'azione liturgica vissuta solo per se stessa non produce frutti nel singolo e nella comunità). Alcune chiavi di lettura che dobbiamo tenere presente: 1. teologica. Aiutare a comprendere ciò che si celebra, cioè l'evento della salvezza che si rende presente qui e ora per me. La liturgia è culto che sale a Dio come azione di grazie e come salvezza che da lui discende a noi. La liturgia è dialogo tra Dio e il suo popolo. 2. culturale. Cercare di dialogare con chi si pone le domande: perchè un rito? Perchè celebrare? Perchè celebrare insieme? Qual è il senso dei riti? Dare attenzione all'uomo e al suo linguaggio. 3. pastorale. La celebrazione liturgica rende possibile l'esperienza viva e partecipata della celebrazione comunitaria del Mistero pasquale ma fonda e favorisce l'unità della comunità stessa. Non si celebra da soli! 4. spirituale. Il rito è il luogo di una singolare esperienza religiosa personale e comunitaria. I riti, le preghiere, i canti, ecc.., spingono a una vita spirituale intensa. 4 1. IL SENSO DEL CELEBRARE Il fine della liturgia è "la glorificazione di Dio con una lode perfetta e la santificazione degli uomini". La liturgia, infatti, ha in se tre componenti: la memoria, la preghiera e la profezia. La memoria di quanto Dio ha fatto per noi in Cristo nello Spirito, diventa preghiera (lode e ringraziamento) e profezia (annuncio di quanto Dio fa oggi per noi), e tutto insieme — memoria e preghiera, annuncio e profezia — diventa celebrazione della fede. CELEBRARE IL MISTERO DI CRISTO Perchè celebrare?: quando l'evento ha un senso L'uomo d'ogni tempo, d'ogni cultura e d'ogni religione ha sempre celebrato i momenti importanti della sua vita e ha sempre custodito la memoria degli eventi significativi della sua storia. (celebrare per custodire). Tale attività è talmente importante da costituire uno dei primi segni della civiltà di un popolo. L'evento non solo è, ma significa qualcosa; non in sé stesso, o in assoluto, ma per qualcuno. Questo qualcuno è l'uomo. L'uomo incominciò a celebrare gli eventi della sua vita e della sua storia, e cioè a caricarli di significati al di là del semplice accadere; a riconoscere negli eventi quei semi di speranza che porteranno il loro frutto oltre le barriere del qui e dell'ora. Celebrare significa etimologicamente rendere frequentato, trovarsi insieme. È la partecipazione dei molti che rende solenne e onora l'evento. Il celebrare, come il commemorare (etimologicamente: ricordare insieme), è proprio della comunità, del gruppo, non dell'individuo isolato. Da soli si può ricordare, non celebrare. Celebrare è vivere (o ri-viver e) comunitariamente l'evento, esultare insieme per una gioia, soffrire insieme per un dolore. La celebrazione cristiana ha sempre carattere comunitario. Celebrare nell'attesa della venuta ... Con l’ascensione al cielo Gesù si sottrasse ai limiti dello spazio e del tempo, pur continuando a vivere e a intercedere per noi presso il Padre. Iniziava il tempo dell'attesa e della presenza misteriosa per la mediazione dei segni. L'aveva promesso: "Ecco io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" (Mt 28,20). Ma egli sarebbe tornato, nella gloria. L'aveva promesso e i discepoli l'avevano creduto. E attendevano fiduciosi, cantando nella gioia, o supplicando nella persecuzione, il loro "Maranathà": "vieni Signore Gesù" (1cor 16,22; Ap 22,20). 5 Celebrare nello Spirito Mentre attende e prega, la Chiesa sa che la sua attesa non andrà delusa, e che la sua preghiera non rimarrà senza esito. Lo sa perché ne ha ricevuto la garanzia e il pegno, lo Spirito, che il Cristo, andandosene, le aveva lasciato. È lo Spirito infatti che in lei prega: 'vieni'. E la preghiera dello Spirito non resta mai senza esito. È lo Spirito che nella Chiesa prosegue l'opera che il Cristo ha iniziato e la cui continuazione ora è affidata a lei, alla Chiesa, secondo il mandato del Signore (Gv 16,7). “Lo Spirito vi ricorderà ogni cosa” Se il Cristo non fosse risorto non vi sarebbe stata liturgia cristiana, e senza la presenza dello Spirito il culto cristiano non avrebbe avuto maggiore efficacia di qualsiasi altro culto nel mondo. Emmaus ha un senso solo perché il mattino di quello stesso giorno una tomba era rimasta vuota, e un angelo aveva detto: non cercatelo tra i morti. Lo vedrete. Egli vi attende. Da quel giorno la Chiesa si reca puntuale, ogni primo giorno della settimana, all'appuntamento con il Maestro, risorto e ormai vivo per sempre, nell'attesa della sua ultima venuta. La liturgia come “Memoriale” È un merito del Concilio Vaticano II l'aver recuperato la centralità della memoria celebrata (memoriale) (Es 12,14; Le 22,19; 1cor 11,24-25). Cristo ritrova il suo posto nel cuore stesso di quel mistero di cui è ugualmente il fondamento e l'oggetto. Nella Chiesa, - nella quale perdura il mistero della sua incarnazione e risurrezione - il Cristo continua la sua opera e raggiunge ogni uomo di ogni tempo e luogo, perché tutti possano avere parte alla sua salvezza. La celebrazione liturgica non si ferma solo a celebrare la “memoria” (ricordo) dell’evento sacro, ma quella memoria celebrata diventa viva e operante, dono di Dio a chi invoca. È il memoriale. La liturgia stabilisce un profondo rapporto tra il fatto storico salvifico, che è all’origine della celebrazione, e il qui e ora in cui essa si svolge. Il termine “memoriale” non ha avuto fino a pochi decenni fa grande successo perchè su di esso pesava il sospetto che esso indicasse la semplice memoria di un evento, la rappresentazione dell’evento di salvezza che il Concilio di Trento tanto condannò. Oggi fortunatamente questa categoria teologica è stata recuperata grazie allo studio delle fonti bibliche e patristiche. Il memoriale, nella sua accezione piena, è una commemorazione reale, una ripresentazione di ciò che viene commemorato, una presenza reale di ciò che è successo storicamente e che ora ci viene efficacemente comunicato. Un esempio per tutti lo troviamo nelle parole di Gesù durante l’ultima cena: «Fate questo in memoria di me», che trova un commento adeguato nelle parole di San Paolo: «ogni volta che mangiate di questo pane e bevete di questo calice annunciate la morte del Signore finchè egli venga». Gesù istituisce un nuovo memoriale che è diverso dal memoriale antico (l’agnello pasquale) con il banchetto del suo corpo e del suo sangue (memoriale nuovo). Quindi un’azione rituale è memoriale della pasqua del Signore perchè rende presente l’azione salvifica di Cristo non solo nel ricordo soggettivo ma anche nella realtà oggettiva. Tutti noi che prendiamo parte a questo memoriale, prendiamo parte 6 all’offerta che Cristo fa di se stesso al Padre e con lui e per mezzo di lui offriamo il suo sacrificio al Padre come nostro sacrificio. In questo modo il sacrificio della croce non si ripete ma si fa presente nell’azione memoriale qui-ora-per-noi. Ma come si realizza la presenza dell’avvenimento salvifico nell’azione memoriale? Naturalmente per la potenza dello Spirito Santo e secondo la promessa di Gesù. Il rito memoriale giunge a noi per la Parola profetica che lo rivela e allo stesso tempo lo trasforma in segno di salvezza attuale. Nella liturgia il memoriale rende presente l’evento di salvezza attraverso la Parola e il Segno. LA LITURGIA NELLA VITA DELLA CHIESA La Chiesa non può vivere senza la liturgia La Chiesa non avrebbe senso se non si riunisse in assemblea per celebrare l'evento che le ha dato origine, e la fede non potrebbe sopravvivere se non si aumentasse continuamente alla sorgente da cui è scaturita. Ma la liturgia non è tutto La Chiesa non vive solo di liturgia e per la liturgia. Ci sono altre mansioni che il Signore le ha affidato e che essa deve assolvere fedelmente. In questa complessa attività la liturgia occupa un posto centrale: ad essa tende la catechesi; da essa trae origine la testimonianza. La liturgia dà compimento all'evangelizzazione (annuncio e insegnamento) e anima il servizio di carità. MODELLI INADEGUATI La Liturgia, opera essenzialmente e compiutamente divina e umana allo stesso tempo, presenta molteplici analogie con altre espressioni della ritualità umana, sia di natura religiosa sia di natura artistica e civile. Ma queste affinità e analogie non le appartengono in nessun modo, perchè alla liturgia cristiana appartiene in esclusiva l'Evento che solo ne fonda e ne giustifica l'esistenza e l'efficacia. Il mistero di Cristo. La liturgia non è magia A volte alla liturgia viene attribuito un carattere magico. La magia nell'accezione più comune pretende d'essere l'appropriazione d'una potenza, non importa se buona o cattiva: posto il rito nel modo prescritto, nessuno, né la divinità o forza invocata, né il destinatario della pratica magica, potrà sottrarsi all'efficacia della magia. Al contrario, il rito cristiano è l'azione congiunta dello Spirito e di colui che lo Spirito abilita ad agire con lui. Ma l’efficacia del rito cristiano dipende da molti fattori: le disposizioni dei singoli fedeli, la fede della comunità e il suo grado di coinvolgimento, la forza evocatrice intrinseca al simbolismo dei singoli riti,, la capacità di chi presiede... Tale differenza, decisiva ed essenziale, trova un riscontro anche linguistico: della liturgia, infatti, si dice che viene 'celebrata', mentre della magia, invece, che viene 'praticata'. 7 La liturgia non è né spettacolo né folklore Sebbene non manchino nel tessuto celebrativo della liturgia cristiana elementi propri dello spettacolo e delle tradizioni popolari, sarebbe tuttavia inadeguato e fuorviante assimilare la celebrazione liturgica ai generi suddetti. Lo spettacolo infatti rappresenta l'evento e il folklore tramanda e mantiene viva nella coscienza e nelle tradizioni d'un popolo o d'un gruppo etnico un patrimonio culturale e una memoria storica che lo distingue da ogni altro e che ne fonda l'identità. La liturgia invece celebra il memoriale rendendo possibile una vera "partecipazione" all'evento. Grazie al memoriale quell'evento è "reso in qualche modo presente a tutti i tempi" ed estende la sua efficacia all'oggi della mia storia. Tra una rappresentazione drammatica della Passione e l'azione liturgica del Venerdì Santo ci sarà certamente chi troverà più commovente la prima, ma solo nella seconda si realizza quella vera ed efficace presenza dell'evento, che sola può raggiungermi e salvarmi: l'efficacia del rito non viene dalla sua capacità di riprodurre (rappresentare) l'evento, ma dalla sua capacità di evocarlo. La liturgia non è una pratica devozionale La liturgia, come evita la finzione scenica, così non indulge al sentimento. Il suo linguaggio è volutamente sobrio: più che a risvegliare la commozione, esso tende a far rivivere il mistero. Pur sollecitando una partecipazione 'devota', la Liturgia non è una pratica devozionale. La devozione si rivolge al soggettivo, e perciò esistono molte devozioni. La Liturgia aspira all'oggettività dell'essenziale. Il non aver compreso questo ha portato spesso a conseguenze negative ben conosciute e documentate dalla storia: il popolo ha finito con l'accordare la sua preferenza alle pratiche devozionali, a scapito della pietà e della spiritualità liturgiche; e le devozioni private hanno spesso preso il sopravvento sul rito sacramentale, perfino nell'ambito della stessa liturgia. La liturgia non è ritualismo (osservanza di precise regole) Sul versante opposto si colloca la concezione ritualistica della liturgia, per la quale il valore e l'efficacia del rito stanno nell'esatta applicazione delle rubriche che la regolano. L’applicazione delle rubriche fa sì che l'esecuzione prevalga sul senso del mistero. A volte non importa se le celebrazioni sono appesantite da gesti ormai muti, da tempo svuotati di ogni riferimento simbolico originario: il loro valore sembra che sia assicurato dalla prescrizione canonica. Tale visione è stata espressamente respinta dal Vaticano II, il quale esorta a vigilare perché "nell'azione liturgica non solo siano osservate le leggi che ne assicurano la valida e lecita celebrazione, ma perchè i fedeli vi prendano parte in modo attivo, consapevole e fruttuoso”. 8 LE CONDIZIONI DEL CELEBRARE La natura complessa e per così dire teandrica (di Dio e dell'uomo insieme), dell'atto liturgico e la sua ricchezza di significati e di effetti non sopporta automatismi e neppure promette un'efficacia uguale per tutti e in ogni caso. Se la generosità del Donatore non fa distinzione di persone, la differenza delle disposizioni personali può invece condizionare realmente l'efficacia del dono di Dio. Esistono condizioni oggettive e soggettive previe, indispensabili all'efficacia di ogni celebrazione. 1. Conoscere ciò che si celebra Poiché la liturgia è celebrazione d'un evento e il rito fa appello direttamente alla sua memoria, non vi potrà essere piena partecipazione al rito senza conoscenza e condivisione di quella memoria. Un rito di cui si ignori completamente il senso e il simbolismo potrà essere apprezzato per certi aspetti esteriori e formali, ma non riuscirà a trasmettere il suo significato più intimo e profondo. Conoscere è essenziale al celebrare. Il rito non è tutto: prima del rito viene l'annuncio. Solo dopo che il cuore si sarà aperto al messaggio, il rito potrà portare i suoi frutti. 2. Amare ciò che si celebra Per celebrare veramente non basta conoscere. Bisogna anche, e soprattutto, amare. Non basta conoscere le regole della storia d'un gioco, d'un rito, per lasciarsene appassionare. Altro è assistervi da spettatore, altro è parteciparvi come membri della comunità che li vive. Per il turista la danza della pioggia è spettacolo, per l'indigeno è un fatto vitale. La vera partecipazione al rito nasce e dipende dalla comunione dei sentimenti e dalla condivisione della memoria storica e dei progetti della comunità. E la comunione è amore. 3. Pregare ciò che si celebra Conoscere il mistero, amare il dono di Dio, sono i primi li passi verso la pienezza dell'atto liturgico. Ma la consumazione è nella preghiera. Raggiunto dalla rivelazione divina e dalla sua promessa di salvezza, l'uomo si apre all'adorazione e alla supplica. Mossi dalla stessa fede, sorretti dalla medesima carità, animati da una sola speranza, la comunità e i singoli fedeli diventano reciprocamente segno della presenza di Dio che salva; le voci si fondano e si sostengono a vicenda. E la supplica, alimentata dall'esperienza del dono ricevuto, si risolve nella benedizione e nell'esultanza dell'azione di grazie. 9 IL CULTO IN SPIRITO E VERITÀ GV 4,5-42 5 4,5 Sicar: è forse l’antica Sichem. Giunse così a una città della Samaria chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: 6qui c'era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. 7Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: "Dammi da bere". 8I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. 9 4,9 I Giudei disprezzavano i Samaritani perché si erano contaminati con altri popoli, soprattutto sul piano religioso (cfr. 2Re 17,24-41; cfr. Esd 4,1-5). Allora la donna samaritana gli dice: "Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?". I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani. 10 4,10 Il simbolo dell’ acqua viva allude particolarmente allo Spirito (cfr. Gv 7,37-39). Gesù le risponde: "Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: "Dammi da bere!", tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva". 11 Gli dice la donna: "Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest'acqua viva? 12Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?". 13Gesù le risponde: "Chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete; 14ma chi berrà dell'acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d'acqua che zampilla per la vita eterna". 15"Signore - gli dice la donna -, dammi quest'acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua". 16Le dice: "Va' a chiamare tuo marito e ritorna qui". 17Gli risponde la donna: "Io non ho marito". Le dice Gesù: "Hai detto bene: "Io non ho marito". 18Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero". 19Gli replica la donna: "Signore, vedo che tu sei un profeta! 20 4,20 su questo monte: si tratta del monte Garizìm, sul quale i Samaritani avevano costruito un tempio. I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare". 21Gesù le dice: "Credimi, donna, viene l'ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. 22Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. 23Ma viene l'ora - ed è questa - in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. 24 4,24 L’adorazione del Padre in spirito e verità non è un culto che rifiuta le manifestazioni pubbliche ed esteriori, bensì un culto che si svolge sotto l’impulso dello Spirito e nella verità di Gesù. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità". 25 Gli rispose la donna: "So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa". 26Le dice Gesù: "Sono io, che parlo con te". 27 In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: "Che cosa cerchi?", o: "Di che cosa parli con lei?". 28La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: 29 "Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?". 30Uscirono dalla città e andavano da lui. 31 4,31-38 Alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano 10 Intanto i discepoli lo pregavano: "Rabbì, mangia". 32Ma egli rispose loro: "Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete". 33E i discepoli si domandavano l'un l'altro: "Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?". 34 4,34 Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato: questa affermazione di Gesù su se stesso ne compendia molte altre, nelle quali egli dichiara la sua totale obbedienza al Padre. Le parole che trasmette non sono sue, ma del Padre (cfr. Gv 7,16; cfr. Gv 8,26.40; cfr. Gv 17,8.14); non compie opere personali, ma quelle del Padre (cfr. Gv 5,17; cfr. Gv 8,28; cfr. Gv 10,25.37; cfr. Gv 14,10; cfr. Gv 17,4); non fa la propria volontà, ma la volontà di colui che l’ha mandato (cfr. Gv 5,30; cfr. Gv 6,38). Gesù disse loro: "Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. 35Voi non dite forse: "Ancora quattro mesi e poi viene la mietitura"? Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. 36Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete. 37In questo infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina e l'altro miete. 38Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica". 39 4,39-42 I samaritani credono in Gesù Molti Samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava: "Mi ha detto tutto quello che ho fatto". 40E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. 41Molti di più credettero per la sua parola 42e alla donna dicevano: "Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo". NOTE DI COMMENTO La questione del luogo del culto La donna samaritana si rivolge a Gesù dopo aver sperimentato la chiaroveggenza del suo interlocutore. La domanda si riferisce a un annoso problema che divide giudei e i samaritani fin dai tempi di Geroboamo che proibì ai samaritani di andare in pellegrinaggio a Gerusalemme (cfr. IRe 12,25-33). Lo scisma era diventato definitivo quando, dopo l'esilio di Babilonia, non fu permesso agli abitanti della Samaria, di prendere parte alla ricostruzione del tempio (cfr. Esd 4,1-3). Questa proibizione portò alla decisione di erigere un proprio santuario, rivale di quello di Gerusalemme, sul monte Garizim, che era considerato un luogo santo (Dt 27, 4-8). La samaritana chiede quale sia il vero culto: quello di Gerusalemme o quel,lo che viene celebrato sul Garizim. Ma Gesù le dà la sua risposta rimanendo fuori dall'impostazione che essa dà al problema e annunciando una novità radicale, un cambio di orientamento nel culto che rende inutile l'adesione esclusiva a un determinato luogo di culto. Ormai non si tratta più di scegliere tra le due possibilità storiche, Gerusalemme e il Garizim, perché il culto non sarà più legato a una località geografica o sacra. E non sarà nemmeno più necessario il vincolo genealogico di Giacobbe, nel quale si riconoscono giudei e samaritani. La novità e il cambiamento nel culto entrano in vigore con la morte del Signore, l'ora di Gesù. 11 Il nodo della domanda posta dalla samaritana continua a essere il "luogo" del vero culto. Gesù rivela alla samaritana che da quel momento, almeno per lei, poiché le è stata anticipata la novità introdotta dall'ora di Gesù, esiste già un altro luogo diverso da Gerusalemme e dal Garizim, un luogo in Spirito e verità, adatto a Dio che è Spirito (4,24) e al modo con cui Dio vuole essere adorato. L'interpretazione di «in Spirito e verità» L'espressione en pneùmati kai aletheia è di fondamentale importanza per la nozione cristiana del culto. Senza dubbio è stata prestata più attenzione al primo membro della frase che al secondo, certamente non meno decisivo. Entrambi i membri formano un tutt'uno, i due sostantivi non hanno articolo e sono retti dalla stessa preposizione. Le interpretazioni date all'espressione dei vv. 23-24 hanno oscillato "tra l'affermazione che Gesù propone un culto esclusivamente spirituale, rifiutando il culto esteriore, e l'affermazione che ci troviamo di fronte a un testo trinitario: en pneùmati significa nello Spirito Santo e en aletheia nella Verità che è Gesù, il Figlio di Dio. In realtà, anticamente, soprattutto presso i Padri greci, per influsso della filosofia platonica, en pneùmati era visto in contrapposizione a corpo o materia. Il culto doveva essere incorporèo, spirituale, perché spirito è Dio (cfr. v. 24). I Padri greci mettevano l'accento sul primato del cuore e della rettitudine interiore. I Padri latini, seguendo sant'Agostino, interpretavano la formula adorare in spirito in senso psicologico, cioè nell'intimità dell'anima, svincolati da qualsiasi luogo di culto. Questa interpretazione fu spinta fino alle sue ultime conseguenze dai Riformatori che rifiutavano la validità di qualsiasi rito esteriore. Oggigiorno, i commentatori del testo, che accettano l'interpretazione spiritualista di en pneùmati, interpretano en aletheia in senso soggettivo, cioè sinceramente o con autenticità, e non apparente. L'adorazione in spirito sarebbe l'unico vero culto o l'unico modo per rendere veramente culto. Infine, nel Medioevo, la formula en aletheia fu interpretata anche come riferimento alla conoscenza del Dio vero, alla verità rivelata in Gesù. Attualmente esiste praticamente unanimità nell'affermare che en pneùmati si riferisce allo Spirito di Dio, allo Spirito Santo. Gesù non starebbe descrivendo la natura del culto, ma affermando la sua dipendenza dall'azione dello Spirito Santo, e che quindi il culto voluto da Dio è quello che deve essere suscitato e ispirato dallo Spirito di Dio. Gv 14,26: «Il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto». Rm 8, 26-27: «È lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili; 27 e colui che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello Spirito, poiché egli intercede per i credenti secondo i disegni di Dio». 1Cor 12, 3: «Nessuno può dire "Gesù è Signore", se non sotto l'azione dello Spirito Santo». Quali conseguenze derivano allora da tutto questo per la domanda posta dalla samaritana sul luogo del culto? La risposta dì Gesù, pur capovolgendo la visione della samaritana, si attiene alla sostanza della domanda: «Né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre... i veri adoratori adoreranno il Padre in Spirito e verità» (vv. 21 e 23). Il tempio, nel quale renderanno culto gli adoratori che il Padre vuole, sarà 12 un tempio fatto di Spirito e verità, cioè spirituale, ma non in opposizione a materiale, bensì «secondo lo Spirito». Questo tempio, secondo il quarto vangelo, non è altro che il corpo di Cristo risorto, la sua umanità vivificata e vivificante, trasformata in sorgente dell'acqua viva dello Spirito nei tempi messianici. L'adorazione al Padre sarà frutto, dell'azione di quest'acqua viva che è lo Spirito, ma è Gesù colui che promette e dà questo dono di Dio (v. 10 e v. 14). L'acqua viva scaturirà dal suo costato perché sia bevuta da coloro che credono in lui (cfr. Gv 7,38-39; Ez 47,1-12; Zc 14,8). Quindi Gesù risuscitato è il tempio e il luogo del culto che Dio vuole. L'adorazione è legata allo Spirito e alla verità che Gesù comunica nel suo corpo. Concludendo, Gesù è il tempio che sostituisce quello di Gerusalemme e del Garizim. L'adorazione e il culto al Padre è possibile solo in comunione di fede e di accettazione del Cristo/verità e sotto l'azione dello Spirito Santo, che rende autentica questa verità nel cuore dei credenti e diventa principio dell'adorazione al Padre. Il culto cristiano, quindi, possiede una dimensione essenzialmente trinitaria: è rivolto al Padre, viene praticato in comunione con Cristo ed è mosso dallo Spirito Santo. 13