IL COLORE Il colore è una percezione, una sensazione. In biofisica il colore è la percezione visiva generata dai segnali nervosi che i fotorecettori della retina inviano al cervello quando assorbono le radiazioni elettromagnetiche di determinate lunghezze d'onda e intensità nel cosiddetto spettro visibile o luce. Origine fisica La luce visibile è complessivamente bianca in quanto somma di tutte le frequenze dello spettro visibile. A ciascuna frequenza del visibile è associato un determinato colore. In particolare la diversità di colore o semplicemente il colore dei corpi, percepito poi dall'occhio umano, deriva dal fatto che un certo corpo assorbe tutte le frequenze o lunghezze d'onda dello spettro visibile, ma riemette o riflette una o più componenti o frequenze della luce bianca che, mischiate tra loro, danno vita al colore percepito dall'occhio umano. In particolare nei due casi estremi un corpo appare bianco quando assorbe tutte le frequenze riemettendole a sua volta tutte, viceversa un corpo appare nero quando assorbe tutte le frequenze e non ne riemette alcuna; in tutti gli altri casi intermedi si avrà la percezione tipica di un altro colore. Spettro ottico I colori dello spettro di luce visibile colore intervallo di lunghezza d'onda intervallo di frequenza rosso ~ 700–630 nm ~ 430–480 THz arancione ~ 630–590 nm ~ 480–510 THz giallo ~ 590–560 nm ~ 510–540 THz verde ~ 560–490 nm ~ 540–610 THz blu ~ 490–450 nm ~ 610–670 THz viola ~ 450–400 nm ~ 670–750 THz Percezione del colore La formazione della percezione del colore da parte dell'occhio avviene in tre distinte fasi: 1. Nella prima fase un gruppo di fotoni (stimolo visivo) arriva all’occhio, attraversa cornea, umore acqueo, pupilla, cristallino, umore vitreo e raggiunge i fotorecettori della retina (bastoncelli e coni), dai quali viene assorbito. Come risultato dell’assorbimento, i fotorecettori generano (in un processo detto trasduzione) tre segnali nervosi, che sono segnali elettrici in modulazione di ampiezza. 2. La seconda fase avviene ancora a livello retinico e consiste nella elaborazione e compressione dei tre segnali nervosi, e termina con la creazione di tre segnali elettrici in modulazione di frequenza, detti segnali opponenti e la loro trasmissione al cervello lungo il nervo ottico. 3. La terza fase consiste nell’interpretazione dei segnali opponenti da parte del cervello ( in apposite aree della corteccia visiva) e nella percezione del colore. Mescolanza additiva . L'esempio classico di mescolanza additiva: l'area dove i due fasci luminosi si sovrappongono è gialla: questo colore è prodotto dalla mescolanza additiva dello stimolo rosso e dello stimolo verde. Mescolanza additiva tra un viola ed un marrone: nell'area di sovrapposizione si crea il rosa. La mescolanza additiva di due (e, per estensione, di qualunque numero di) stimoli di colore, nota anche come sintesi additiva o miscela additiva è la mescolanza di stimoli di colore che 1. arrivano all'occhio invariati, 2. entrano nell'occhio simultaneamente o in rapida successione, 3. incidono sulla stessa area di retina, anche in forma di mosaico. L'esempio classico è quello di due fasci di luce colorata (per esempio rossa e verde) proiettati sulla parete bianca di una stanza scura in modo che si sovrappongano. I due stimoli luminosi (quello della luce rossa e quello della luce verde) vengono riflessi dalla parete e giungono simultaneamente e immutati all'occhio, dove incidono sulla stessa area di retina. Dal punto di vista fisico non avviene alcuna interferenza tra i due fasci luminosi (quello rosso e quello verde), ma il sistema visivo percepisce il colore risultante dalla mescolanza dei due stimoli come giallo. Il giallo è, in questo caso, un colore prodotto dalla mescolanza additiva del rosso e del verde. La mescolanza additiva può avvenire anche per media spaziale o temporale. Nella mescolanza additiva in media spaziale, piccoli punti colorati non distinguibili dall'occhio, vengono mescolati additivamente dall'occhio. Per esempio dei piccoli punti rossi stampati su carta bianca, visti da sufficiente distanza causano la percezione del colore rosa. Il rosa è, in questo caso, un colore prodotto dalla mescolanza additiva in media spaziale del bianco e del rosso. Questo principio viene usato nei monitor e televisori a colori, dove il colore di ogni pixel è formato dalla mescolanza additiva dei colori di tre subpixel molto piccoli e vicini, ma non sovrapposti. Nella mescolanza additiva in media temporale diversi stimoli di colore colpiscono l'occhio non contemporaneamente ma in rapida successione. Per esempio se si dipingono i settori di un disco con diversi colori (disco di Maxwell) e il disco viene fatto ruotare velocemente, sulla stessa area della retina cade una rapida successione di lampi luminosi. L'osservatore percepisce un nuovo colore, prodotto dalla mescolanza additiva in media temporale dei colori del cerchio. Alcuni dei primi tentativi di cinematografia a colori (Kinemacolor) sfruttavano la mescolanza additiva in media temporale proiettando in rapida successione fotogrammi di diverso colore. Una mescolanza additiva può essere fatta con un numero qualunque di colori, a partire da 2, e dunque i primari non sono necessariamente tre, ma possono essere un numero qualunque > 1. Quando due stimoli si mescolano additivamente, il colore percepito è determinato dai meccanismi visivi. Si tratta insomma di un fenomeno biologico di percezione dell'occhio umano. Mescolanza sottrattiva La mescolanza sottrattiva di due stimoli di colore, nota anche come sintesi sottrattiva o miscela sottrattiva è la mescolanza di stimoli di colore che giungono modificati all'occhio. L'esempio classico è quello della sovrapposizione di due inchiostri, per esempio inchiostro giallo sovrapposto ad inchiostro ciano, su un foglio bianco. In questo caso i due strati di inchiostro si comportano come filtri per la luce. L'inchiostro giallo assorbe una parte della luce. La parte rimanente attraversa l'inchiostro ciano che ne assorbe un'altra parte. La parte rimanente viene riflessa dalla carta bianca e costituisce lo stimolo di colore che arriva al nostro occhio. Altri esempi di mescolanza sottrattiva: un fascio di luce che attraversa una soluzione di coloranti, la mescolanza di due pitture. Ogni colorante assorbe una parte di luce e la luce emergente, cioè lo stimolo di colore, è ciò che rimane della luce iniziale. La sintesi sottrattiva è utilizzata nella fotografia tradizionale su pellicola. Quando due stimoli si mescolano sottrattivamente, il colore percepito è determinato da cause fisiche (assorbimento della luce da parte dei corpi). Diversamente, il colore percepito di una mescolanza additiva di stimoli ha cause biologiche. I termini del colore I Principali termini del colore sono: Luminosità: è la sensazione soggettiva di stimolo luminoso che associamo ad uno stimolo luminoso Croma (impropriamente detto colore) che si suddivide in tinta ( punto colore) e saturazione (il contrasto rispetto ad un grigio di luminosità equivalente) Il colore emesso da una sorgente è invece identificato da: CCT temperatura di colore correlata Coordinate di colore (x e y) Le coordinate di Helmotz Influenza della luminosità e della saturazione sulla percezione di un colore Temperatura di colore correlata Temperatura di colore è un termine usato in illuminotecnica, in fotografia e in altre discipline correlate per quantificare la tonalità della luce. Si misura in kelvin. Lo spettro luminoso emesso da un corpo nero presenta un picco di emissione determinato dalla sua temperatura. Una sorgente reale differisce da un corpo nero ideale ma l'analogia rimane valida. Pertanto, si definisce temperatura di colore di una data radiazione luminosa la temperatura che dovrebbe avere un corpo nero affinché la radiazione luminosa emessa da quest'ultimo appaia cromaticamente la più vicina possibile alla radiazione considerata. Una temperatura bassa corrisponde ad un colore giallo-arancio. Scendendo si passa al rosso ed all'infrarosso, non più visibile, mentre salendo la luce si fa prima più bianca, quindi azzurra, violetta ed ultravioletta. Quando si dice che una luce è calda, questa corrisponde ad una temperatura di colore bassa, viceversa una temperatura maggiore produce una luce definita fredda. L'indice di resa cromatica di una sorgente luminosa è una misura di quanto naturali appaiano i colori degli oggetti da essa illuminati. Il colore con cui ci appare un oggetto, che non emette luce propria, dipende sia dal suo modo di riflettere la luce, sia dalla luce che lo illumina (cioè dalla composizione spettrale di questa ultima), dunque, non ha senso parlare di colore reale di un oggetto in senso assoluto, senza specificare anche il tipo di sorgente luminosa. Tuttavia, appare ragionevole associare ad alcune particolari sorgenti luminose un ruolo privilegiato per ritenere naturali i colori con cui appaiono gli oggetti quando sono illuminati da esse: si deve trattare di sorgenti che abbiano uno spettro completo di tutte le lunghezze d'onda nel visibile, in modo che non vengano trascurate particolari lunghezze d'onda rispetto alle altre: per esempio, possiamo considerare la luce diurna oppure la radiazione emessa da un corpo nero ad una determinata temperatura (non inferiore a 1900 K), le quali soddisfano tale requisito. Pertanto, per definire l'indice di resa cromatica, si prende come riferimento proprio la radiazione emessa da un corpo nero e, data una sorgente luminosa che abbia una certa temperatura di colore, tale indice misura la differenza tra come, in generale, appaiono cromaticamente gli oggetti quando sono illuminati da essa e come appaiono quando sono illuminati da un corpo nero alla stessa temperatura, il quale rappresenterà la sorgente campione: minore è tale differenza, migliore è la resa cromatica della sorgente e, quindi, maggiore è il valore dell'indice. Le coordinate di colore Un modello di colore è un modello matematico astratto che descrive un modo per rappresentare i colori come combinazioni di numeri, tipicamente come tre o quattro valori detti componenti colore. Tuttavia questo modello è una rappresentazione astratta, per questo viene perfezionato da specifiche regole adatte all'utilizzo che se ne andrà a fare, creando uno spazio dei colori. Nel 1931 la Commission Internationale de l'Eclairage (Commissione Internazionale per l'Illuminazione) definì uno spazio di colore che comprendeva tutte le tinte visibili dall'occhio umano, a prescindere dalla luminosità. Infatti qualunque colore all'interno di questo spazio bidimensionale può avere una luminosità che varia dal bianco al nero e se si tiene conto anche di questo fattore (la luminosità) lo spazio così definito diviene tridimensionale e rappresentato mediante coordinate XYZ. Il modello CIE 1931 si basa sull'utilizzo di tre colori primari che, opportunamente miscelati tra loro in sintesi additiva, permettevano di ottenere tutti i colori che l'occhio umano può percepire. La commissione CIE ha comunque definito diversi modelli matematici di percezione del colore indicati come spazi di colore e rappresentati da sigle: ad esempio il modello CIE 1931 XYZ. Il diagramma di cromaticità proposto dalla CIE non dipendeva dal comportamento di questo o quel dispositivo di visualizzazione o stampa in quanto basato sul concetto di Osservatore Standard. Quest'ultimo è definito a partire dalle proprietà del sistema visivo dell'uomo e si basa su analisi sistematiche effettuate su un vasto campione di osservatori umani. I primari scelti dalla CIE per generare tutti i colori visibili sono tinte ipersature, più saturi di quanto i nostri fotorecettori retinici siano in grado di decifrare. I tre "primari immaginari" sono stati denominati X, Y, e Z. X corrisponde a un rosso violaceo ipersaturo contraddistinto da due picchi nello spettro cromatico rispettivamente intorno ai 450 nm e ai 600 nm (quest'ultimo molto superiore al primo), Y (verde ipersaturo) e Z corrispondono a tinte spettrali - sempre irrealisticamente ipersature - con lunghezza d'onda dominante rispettivamente di 520 e 477 nanometri. Per non ricorrere ad un diagramma tridimensionale è possibile normalizzare le tinte facendo in modo che la loro somma sia sempre pari ad uno. Lo spazio dei colori CIE 1931 Tutti i colori generabili con i primari x e y giacciono su un triangolo rettangolo avente come vertici l'origine (0,0) il punto massimo di x e minimo di y (1,0) e il punto massimo di y e minimo di x (0,1). All'interno di questo triangolo rettangolo è tracciato il diagramma CIE dei colori reali: una campana che racchiude tutte le tinte possibili. Al di fuori della campana (ma sempre all'interno del triangolo) ci sono tutti i colori non visibili o non distinguibili da quelli presenti lungo il perimetro esterno. Il diagramma CIE gode, proprio per il modo in cui è stato generato, di alcune importanti caratteristiche che andiamo ora ad illustrare maggiormente in dettaglio. Più o meno al centro del diagramma CIE è presente un punto (un colore), come si vedrà tra breve, di importanza strategica, indicato con la lettera "C". È il cosiddetto "Illuminante CIE", assunto come riferimento e corrispondente alla radiazione emessa da una superficie bianca illuminata da luce diurna media. Lungo il perimetro curvo della campana si trovano tutte le tinte spettrali alla loro massima saturazione. Nella parte alta del diagramma vivono le famiglie dei verdi; in basso a sinistra i blu, in basso a destra i rossi. Sul segmento rettilineo che congiunge i due vertici inferiori della campana si trovano i colori non spettrali (o porpore) alla loro massima saturazione. Tutti i colori non spettrali, dalla saturazione via via decrescente, sono situati nel triangolo delimitato in basso dal segmento delle porpore e avente come vertice il punto C. Lo stesso vale per i colori spettrali, situati nella rimanente parte del diagramma: man mano che ci si avvicina all'illuminante C i colori sono sempre meno saturi. Per come è costruito il diagramma, prendendo due tinte qualsiasi, il segmento che le unisce rappresenta tutte le possibili mescolanze additive dei due colori prescelti. Non solo: la posizione relativa lungo il segmento di congiunzione rappresenta la percentuale di mescolanza delle tinte. Così nel baricentro del segmento è possibile trovare la tinta esattamente formata dal 50% del primo colore e dal 50% del secondo colore. Spostandosi ad esempio ai "tre quarti" del segmento, la tinta individuata corrisponde alla somma del 75% del primo colore e del 25% del secondo colore e così via. Lo stesso discorso vale per la sintesi additiva di tre o più componenti cromatiche: le tinte ottenibili dalla loro mescolanza sono tutte quelle delimitate dal poligono convesso che ha come vertici i punti del diagramma che corrispondono ai colori utilizzati. Tornando al caso di due sole tinte, se il segmento che le unisce passa per il punto C i colori presi in considerazione sono tra loro complementari cioè sommandole tra di loro si ottiene il colore bianco. Il diagramma di cromaticità CIE può essere utilizzato, prendendo le dovute precauzioni, anche per le mescolanze sottrattive (come avviene per la stampa). I colori ottenuti dalla mescolanza sottrattiva di due tinte non giacciono sul segmento rettilineo che li unisce ma lungo un segmento curvilineo del quale non è nota a priori la forma esatta. Per tracciare la curva (il luogo dei punti corrispondenti ai colori ottenibili dalla sintesi sottrattiva dei due colori) è necessario "campionare" alcune mescolanze tipiche (ad esempio 10%-90%, 20%-80%, 30%-70%, ecc. ecc.) ed interpolare così l'andamento complessivo.