Nazzareno Fioraso, Il giovane Unamuno

Olivier Boulnois (cur.), Généalogies du sujet. De Saint Anselme à Malebranche, Vrin, Paris 2007,
pp. 320, € 32,00.
Nel lontano 1981 Lawrence Dewan in Obiectum. Notes on the Invention of a Word aveva
stabilito con grande meticolosità che l’origine del concetto di “oggetto” doveva essere attribuita al
pensiero di Tommaso d’Aquino. Recentemente, invece, Alain de Libera, in When Did the Modern
Subject Emerge?, ha messo in discussione l’attribuzione a Réné Descartes della prima teorizzazione
del concetto di “soggetto”, ribaltando il paradigma storiografico invalso a partire da Hegel e fatto
proprio da Heidegger nel ventesimo secolo. Una storia della soggettività con un soggetto, afferma
De Libera, dovrebbe ricondursi a pensatori quali l’agostiniano Petrus Olivi e più in generale, per
questa costellazione concettuale, si dovrebbe ritornare a penser au Moyen Âge. I più recenti studi di
storia dei concetti attestano così la nascita della coppia concettuale subjectum-objectum, che tanta
fortuna ha avuto nell’epoca moderna, alla filosofia medievale. Il libro Généalogies du sujet curato
da Olivier Boulnois è un notevole ed imprescindibile contributo a queste nuove prospettive di
ricerca. La prima considerazione di carattere metodologico riguarda il titolo: il libro tratta di
genealogie al plurale e non di una genealogia. Sono quindi molteplici le prospettive fornite nella
ricostruzione della storia del concetto di “soggetto”. Il libro non ha una pretesa di affermare una
linea interpretativa sull’origine del concetto, ma piuttosto vuole sondare tutte le possibilità che la
filosofia medievale può offrire nella comprensione dell’evoluzione del problema. Tutte le
genealogie esposte nel volume tracciano una diversa storia, ma in tutte è forte il richiamo al
significato unitario del concetto. Il risultato è il medesimo di quello raggiunto da De Libera:
l’invenzione del concetto di soggetto non è di matrice cartesiana. Il volume, composto da undici
contributi, affronta una molteplicità di domande fondamentali, quanto complesse, della filosofia:
chi è il soggetto del pensiero? Chi pensa è l’io, o una istanza interiore all’io, o un principio che
s’aggiunge ad esso? L’io è una sostanza? Il soggetto del pensiero è intenzionale o può divenire
oggetto? Il soggetto è costituito o è costituente? Il soggetto è conosciuto attraverso l’intuizione,
l’astrazione o attraverso il ragionamento? Di che cosa è soggetto il soggetto? (p. 13).
Il primo contributo del volume, Saint Anselme ou le sujet hors de soi (pp. 19-42), di Kristell
Trego esamina in prima analisi i concetti di “sostanza” e “pensiero” in Sant’Anselmo nella loro
relazione con la nozione ontologica di hypokeimenon. Trego dimostra che Sant’Anselmo non
concepisce l’“io” come ciò che è anteriore ai suoi atti e alle sue diverse facoltà, bensì l’io è il
risultato dell’unione delle diverse facoltà. L’anima non designa perciò una persona in quanto
identità, ma piuttosto le varie attività psichiche sono oggetto esterno di indagine. Il pensiero sarebbe
perciò qualcosa che accade nell’io, ma senza avere un io. Il pensiero e la volontà non formerebbero
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così la sfera di un’interiorità che si manifesta esteriormente nelle azioni (p. 34). Sant’Anselmo non
eleverebbe l’“io” a principio proprio perché non concepirebbe ancora la sostanza come soggetto.
Sylvain Piron studia in L’expérience subjective selon Pierre de Jean Olivi (pp. 43-54), il contributo
decisivo di Olivi nello studio dell’esperienza di sé come soggetto, riprendendo le tesi avanzate da
De Libera nella voce “sujet” del Vocabulaire européen des philosophies curato da Barbara Cassin.
Egli dimostra che il soggetto in Olivi è un suppositum activum caratterizzato dalla sua ipseità
riflessiva (suitas sui ipsius). La svolta introdotta da Olivi sembra davvero essere fra le più
significative della storia del pensiero, infatti, non solo a partire dal pronome possessivo la suitas
viene a designare il patrimonio individuale, ma anche il termine passivo subjectum, traduzione del
greco hypokeimenon, diventa un principio attivo agente singolare (p. 49). Caratterizzando il
soggetto come centro di attività e di riflessione, Olivi pone l’identità di esso con l’anima e i suoi atti
cogitativi. Frédéric Berland indaga il rapporto tra la sostanza e il soggetto in Dietrich von Frieberg
nel contributo La généalogie du «sujet moderne» et la notion de substance chez Descartes et
Dietrich de Freiberg (pp. 55-74). Dietrich von Freiberg segue Agostino, secondo Berland, nel
concepire l’intelletto come il “fondo segreto dell’anima” (abditum mentis). In questo modo la
dottrina della sostanza come hypokeimenon di Aristotele viene radicalmente modificata. La
sostanza non è più compresa come semplice sostrato, ma come dinamismo essenziale e autoaffezione originaria.
All’opera di Meister Eckhart sono dedicati ben due contributi che forniscono una nuova
visione della figura del mistico tedesco. Julie Casteigt, in Cogito ergo scio principium. La certitude
de soi dans l’oeuvre de Maître Eckhart (pp. 75-96), ha analizzato il problema della certezza sé in
Meister Eckhart. La certezza di sé non è una riflessione sul proprio io, ma essa consiste in un
rapporto con l’alterità, la quale è massima in Dio. La conoscenza del Principio è a priopri rispetto
l’autoconoscenza e pertanto solo attraverso l’unione con Dio è possibile giungere alla certezza di se
stessi (p. 91). Sebastian Maxim ha ricostruito il concetto di soggettività in Eckhart nell’articolo
Predigt 67. Le fond et l’union avec le Dieu trinitaire chez Maître Eckhart (pp. 97-112). L’unione
del soggetto con Dio è un’esperienza di singolarizzazione che forma la soggettità (understantnisse)
dell’essere personale. Il termine “understantnisse” significherebbe in Eckhart, secondo Maxim, la
situazione di essere soggetto, in modo particolare rispetto a Dio (p. 109). La mistica di Eckhart non
rappresenterebbe la perdita del soggetto in Dio, ma un reale processo di soggettivizzazione.
Il contributo «Ego intelligo (lapidem)». Deux conceptions de la réflexion au Moyen Âge (pp.
113-150) di Cyrille Michon, uno dei migliori della raccolta, indaga le teorie della riflessione nel
tardo Medio Evo. Michon passa in rassegna le due principali teorie della conoscenza nel Medioevo.
La prima teoria, la cui origine sarebbe da rintracciare in Platone, e che è stata sviluppata in modo
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particolare da Agostino, affermerebbe che l’anima conosce direttamente e immediatamente la sua
natura. La seconda, ispirata da Aristotele, sosterebbe che l’anima prende consapevolezza di se
stessa solo attraverso la conoscenza dei propri atti e delle sue facoltà, quindi in maniera indiretta e
mediata. La riflessione è elevata a concetto chiave nella formulazione della teoria della soggettività.
Michon abbozza perciò la storia del concetto di “riflessione” fra il tredicesimo e il quattordicesimo
secolo, analizzando particolarmente le figure di Tommaso d’Aquino, Petrus d’Olivi, Duns Scoto,
Wilhelm d’Ockham e Gauthier Chatton. Il breve articolo Moi qui pense, moi qui soffre. Le
problème de l’identité due composé humain dans la risposte anti-averroïste de Pierre d’Auriole et
Grégoire de Rimini (pp. 151-170) di Jean-Baptiste Brenet tratta della problema dell’identità nella
scuola anti-averroista. Gli anti-averroisti criticherebbero il concetto di “io” averroista come
ambiguo. Gli averroisti presenterebbero un’antropologia amputata allorché escludono l’intelletto
come forma sostanziale dell’uomo, sdoppiando l’individuo in un sol corpo. Di contro, Gregorio da
Rimini e Petrus Aureoli concepirebbero la soggettività come un’istanza non sostanziale, centro
delle operazioni di riflessione, di giudizio e di discriminazione (p. 167). L’articolo di Boulnois,
intitolato Ego ou cogito? Doute, tromperie divine et certitude de soi su XIVe au XVIe siècles (pp.
171-214), esamina l’evoluzione della certezza dell’“Io penso”. Boulnois afferma che il senso
kantiano di soggetto unifica due concetti: il concetto metafisico di hypokeimenon, cioè di sostrato
soggiacente (soggettità), e la certezza primitiva del pensare (soggettività) (p. 171). Boulnois
individua poi due tipi di certezza una che riguarda l’atto (cogito) e l’altra che riguarda il soggetto
dell’atto (ego). La prima farebbe capo alla scuola di Aristotele e Averroè nella quale la conoscenza
di sé sarebbe medesima della conoscenza di un altro; la seconda avrebbe come modelli Agostino e
Avicenna per i quali sarebbe possibile una conoscenza diretta di se stessi. Attraverso queste due
tipologie della certezza del sé, Boulnois caratterizza la filosofia di Duns Scoto, di Wilhelm
d’Ockham, di Burdiano, di Pierre d’Ailly e di Holkot. Boulnois nota l’emergere, nel tardo
Medioevo e nel primo Rinascimento, di una nuova interpretazione proposizionale dell’“Io penso”,
che non implicherebbe necessariamente l’identità del soggetto pensante con quello che possiede la
certezza di sé. Jacob Schmutz, in L’existence de l’ego comme premier principe métaphysique avant
Descartes (pp. 215-268), tratta la questione dell’ego come principio epistemologico universale.
Schmutz ricostruisce le tappe dell’evoluzione di questo processo che inizierebbe con Duns Scoto, il
quale per primo avrebbe considerato la certezza di sé come il fondamento di tutte le certezze
possibili. Il secondo passo sarebbe il pensiero di Alberto di Sassonia, che avrebbe elevato l’“Io
penso” al grado di principio universale come il principio di non contraddizione. La tappa finale
sarebbe la metafisica gesuitica, che donerebbe all’“Io” lo statuto metafisico, e la quale sarebbe la
fonte diretta delle dottrine di Descartes. L’articolo di Schmutz è corredato da un appartato testuale
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delle opere di Pedro Hurtado di Mendoza, di Juan di Lugo, di Silvestro Mauro, e di Giovanni
Battista Tolomei. Christian Trottmann, in De constantia verisque bonis sapientis. Sur la
contemplation dans le Livre du Sage de Bovelles: un certitude sans moi ni soi? (pp. 269-286),
esamina l’antropologia di Charles de Bovelles. Il soggetto è considerato da Charles de Bovelles
come specchio universale e centro di tutte le cose, perciò non sarebbe localizzabile in un
determinato luogo e in una determinata sostanza. Esso sarebbe percepibile attraverso la conoscenza
immediata e diretta di tutte le cose, la quale porterebbe alla conoscenza del soggetto di se stesso in
modo riflessivo. L’ultimo articolo, La subjectivité hors sujet? Remarques sur le broullage
malebranchiste de l’égologie (pp. 287-310), di Jean Chritophe Bardout tratta del problema dell’“Io”
in Malebranche. Malebranche concepirebbe il soggetto come un’istanza inattingibile e designerebbe
la soggettività come uno spazio anonimo, senza io, affetto dai fenomeni.
Le analisi proposte nel volume curato da Boulnois ricostruiscono la discussione medievale
sul problema del soggetto e mostrano come l’origine del concetto coinvolga tre aspetti
fondamentali, quello antropologico, quello metafisico e quello epistemologico. Dal punto di vista
antropologico il soggetto è l’anima, dal punto di vista metafisico il soggetto è sostanza, mentre dal
punto di vista epistemologico esso è centro delle facoltà cognitive e volitive. Nella maggior parte
dei casi queste tre istanze non sono coincidenti, come in Gregorio da Rimini e Petrus Aureoli.
Quando queste tre istanze vengono a congiungersi, come in Petrus Olivi, si ha l’emergere della
soggettività.
Tutti gli articoli del volume rappresentano tappe fondamentali della storia del concetto di
“soggetto”, e contribuiscono a scardinare l’antico paradigma storiografico che vede in Descartes, e
nella modernità più in generale, la sua origine. Un libro veramente ben fatto.
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