MEIC Bergamo 9 aprile 2008 lavoro

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MEIC
Bergamo
22 aprile 2008.
Contributo sul tema:
RAPPORTI TRA GENERAZIONI CON RIFERIMENTO A:
FAMIGLIA,
LAVORO,
ECONOMIA.
IL LAVORO
( spunti per una riflessione)
Nei due incontri del 6 marzo 2008 e del 12 marzo 2008 il Gruppo di lavoro del
MEIC di Bergamo (Giua – Rizzi – Locatelli – Saita - Zanardi) ha ritenuto di
restringere l’analisi del tema proposto al: “lavoro nei rapporti tra
generazioni”.
Il Gruppo ha ritenuto altresì di circoscrivere l’ambito dell’analisi ai rapporti
privati, ritenendo i contenuti di questo molto diversi dai rapporti nel
pubblico, contrassegnati dal tema della responsabilità”. (1)
Nell’ambito del “lavoro/generazioni” è stato isolato il tema della flessibilità
(oggi assorbito in quello della precarietà), quale elemento caratterizzante
l’attuale rapporto fra generazioni nell’ambito del lavoro privato.
La ritenuta stabilità del lavoro subordinato privato a tempo indeterminato, ha
come presupposto che l’impresa privata non possa mai cessare.
Questo è vero solo in parte poiché, raggiunto lo scopo sociale, un non riuscito
cambio generazionale, il fallimento o una procedura concorsuale incidono su
una stabilità che è solo “meno flessibile” e che manca del termine di scadenza,
ma che la mancata conoscenza di questa scadenza non rende, di per sé, più
stabile.
La innovazione tecnologica di prodotto e di processo, le diverse modalità
produttive; la esternalizzazione della produzione, l’avvento del computer,
internet, sono fra le principali cause dei cambiamenti dei rapporti di lavoro
privato che hanno trovato nella globalizzazione un elemento di accrescimento.
Le esigenze di sopravvivenza aziendali hanno reso necessario adattare con
maggior rapidità e con più elevata frequenza i fattori produttivi: abbiamo
rilevato la necessità di maggiori capitali fissi, di più elevate conoscenze
tecnologiche, di una maggior adattamento del lavoro alle richieste dei prodotti
aziendali (il mercato) e la competizione internazionale ha messo a confronto
professionalità e costi del lavoro molto diversi fra loro in un caleidoscopio di
sistemi di regole e di sicurezze.
(1) Mentre nel privato l’imprenditore presidia e controlla il lavoro e ne
misura l’efficienza e l’efficacia, nel pubblico i controlli affidati a managers
sono affievoliti e trovano fondamento nella responsabilità individuale, oggi
scarsamente valorizzata.
1
Negli anni del ‘900 il capitalismo e il liberismo hanno avuto connotazioni
simili in tutti i Paesi che si avviavano sulla strada della industrializzazione,
come pure la successiva ondata del socialismo, propria del secondo ‘900.
La terza fase che stiamo vivendo, ha avuto evoluzioni diverse nei vari Stati
europei ed in particolare negli USA.
In Italia si è manifestata una forte presenza dell’impresa a capitale pubblico,
gestita da managers (con rilevante presenza nel mercato nazionale delle
imprese industriali oltre che nel pubblico impiego, per quanto riguarda
l’offerta di lavoro), e con lo sviluppo di una diffusa imprenditorialità privata di
PMI configurando una situazione con alcune peculiarità rispetto agli altri paesi
dell’Europa e dell’occidente industrializzato che ha adottato forme di
flessibilità del lavoro diversi anni prima dell’Italia.
Dagli anni ’90, fra i tanti contributi, la situazione è stata analizzata e
compiutamente raccolta in 47 pagine nel “Libro bianco sul mercato del
lavoro” del 2001, figlio del “pacchetto Treu”, elaborato a cura del gruppo di
lavoro del giuslavorista Marco Biagi.
In un contesto sociale, economico, di relazioni e del lavoro profondamente
cambiati c’è stato l’impegno di una risposta positiva che raccoglie le migliori
esperienze comunitarie, concordate a livello di governo con gli altri Stati
membri, frutto a loro volta di studi impegnativi di economisti e di altri
scienziati sociali e che aveva preso l’avvio con il “pacchetto Treu” che aveva
introdotto le prime forme di flessibilità del lavoro.
L’ideologia e la debolezza della politica hanno bloccato questo difficile
processo di rinnovamento della normativa del lavoro subordinato, che ha
debolezze proprie, come ne ha proprie il lavoro autonomo e quello
professionale.
Nell’ambito del lavoro i rapporti fra le generazioni erano caratterizzati dallo
sviluppo economico che, creando posti di lavoro nuovi, consentiva l’ingresso
delle nuove generazioni nel mondo produttivo e dei servizi.
La remunerazione del lavoro consentiva negli ultimi decenni, ai lavoratori
subordinati ed agli autonomi, di sostenere se stessi e la propria famiglia, di
creare risparmio e di accantonare a sufficienza per assicurare mezzi di
sostentamento anche oltre l’età lavorativa: ogni generazione provvedeva a se
stessa.
Il meccanismo si è rotto: la destinazione dei versamenti pensionistici (che nel
rapporto fra generazioni favorisce l’uscita della generazione precedente a
favore di quella nuova) a fini diversi della capitalizzazione per la pensione
(garantito dalla riserva matematica) e l’inadeguatezza della raccolta per talune
categorie professionali, ha depauperato risorse e si è speso anche dove i
versamenti erano inadeguati (agricoltura, casalinghe...). Si è allora “inventato”
il “patto fra generazioni”: i versamenti contributivi dei lavoratori giovani
servivano a pagare la pensione ai lavoratori in quiescenza.
Ma anche questo meccanismo si è rotto: l’arresto dello sviluppo o la sua
diminuita crescita (aggravati dalla globalizzazione) non forniscono più risorse
adeguate a sostenere il carico pensionistico, aggravato dall’aumento della
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durata media della vita, a parità di periodo lavorativo utile. Si è iniziato a
consumare anche il futuro delle generazioni successive.
In questo contesto i rapporti fra generazioni nell’ambito del lavoro hanno visto
il sorgere e il crescere di una competizione fra la generazione precedente
(dominante) e la nuova/e generazioni che cercano spazi propri: “dalla
successione al conflitto”.
E’ in questo contesto che si è inserita la soluzione della “flessibilità” nel
rapporto di lavoro subordinato al fine di promuovere la creazione di nuovi
posti di lavoro. La flessibilità ha assunto forme e modalità diverse in tutti i
paesi industrializzati e ha cercato di creare spazio per l’inserimento nel mondo
del lavoro alle nuove generazioni.
Anche le buone soluzioni possono essere male impiegate o contrastate
ideologicamente in modo preconcetto. L’annullamento del merito, l’ignorare
la produttività, il blocco della vita “utile” e la riduzione degli orari di lavoro,
accompagnati da una eccessiva rigidità nel rapporto individuale del lavoro
hanno creato una barriera alla mobilità intergenerazionale, alla possibilità cioè
per le persone, di “rimescolarsi” rispetto alla posizione economica dei propri
genitori.
Di questa situazione di “blocco” si erano rese conto sia le parti sociali che la
politica, sia in Europa che in Italia.
Un tentativo organico di riforma ebbe inizio alla fine degli anni ’90 con il
“pacchetto” del ministro Tiziano Treu (giugno 1997) che ebbe fra i suoi amici
e stretti collaboratori anche Marco Biagi (poi consulente del Ministro Maroni),
ucciso dalla Brigate Rosse il 19 marzo 2002).
La legge Biagi costituisce la più importante riforma del lavoro degli ultimi
anni, a compimento di quel processo di modernizzazione avviato in Italia
proprio grazie al “pacchetto Treu”.
Della legge Biagi si parla in Europa come uno dei punti positivi del nostro
Paese per quanto riguarda lo stato di avanzamento del programma di Lisbona
2000.
La disoccupazione è in calo costante dal 1998. Questo trend iniziato sotto il
governo di centrosinistra è perdurato anche sotto il governo di centrodestra. Il
merito di questa diminuzione della disoccupazione e il corrispondente
aumento dell’occupazione è del pacchetto Treu. Il precariato che alcuni
politici di centrosinistra attribuiscono alla legge Biagi in realtà è stato creato
dalle riforme Treu. Aumento della flessibilità e diminuzione della
disoccupazione vanno a braccetto: macroeconomia elementare.
Nel 2003 vi è una inversione del trend, con una diminuzione dell’aumento
dell’occupazione. Vi sono segnali inequivocabili che la spinta occupazionale
della Legge Treu va ormai esaurendosi. I decreti attuativi della legge Biagi
sono stati approvati agli inizi del 2004 e hanno trovato scarsa rispondenza e
hanno inciso solo marginalmente sulla diminuzione della disoccupazione e
l’aumento della precarietà che sono merito e responsabilità dell’azione di
governo del centrosinistra.
Le potenzialità e gli effetti del Libro Bianco (44 punti) sono ancora da
verificare. Questo lascia aperto il problema del rafforzamento degli
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ammortizzatori sociali e la sistematizzazione delle regole e delle tutele con la
creazione di un nuovo Statuto dei Lavoratori per controbilanciare l’aumento
della flessibilità e del precariato che nel frattempo la legge Treu ha creato
(anche se l’Osservatorio del mercato del lavoro il 2 aprile 2008 a Milano ha
evidenziato che il 77% dei lavoratori ha un rapporto indeterminato e che il
part-time a tempo indeterminato è sotto il 3% in Italia).
Presupposto però di ogni politica occupazionale è lo sviluppo, soprattutto
economico e produttivo, per consentire a nuove generazioni di entrare nel
mondo del lavoro.
Il contesto di questi ultimi anni ha visto un arresto dello sviluppo nei paesi
europei e negli Stati Uniti. Questo è degenerato e nel 2008 si sta verificando
stagflazione e recessione.
Varie le cause: ingresso di nuovi paesi produttori in un sistema globalizzato
(paesi dell’Est Europa, Cina, India, ...); rincaro della materie prime; scarsità e
aumento dei costi dell’energia; aumento dei consumi alimentari; ....
La complessità della ripresa dello sviluppo presuppone alcuni percorsi
importanti, riassumibili nell’aumento del valore aggiunto dei prodotti,
nell’impiego di minori quantità di materie ed energia nella fabbricazione dei
prodotti e nella sobrietà dei consumi.
La sfida dei primi di questi due problemi è rivolta in particolare alle imprese e
la terza a tutta la società civile che deve promuovere un cambiamento
culturale.
Percorsi lunghi mentre l’urgenza è alle porte.
CONCLUSIONI
Per le imprese occorre un loro diverso posizionamento nella cultura sociale
nazionale con un coerente e adeguato impegno politico.
Occorre che l’impresa (agricola, industriale, dei servizi) sia vista e sostenuta
come un bene sociale.
Solo da un rinnovato impegno formativo e scolastico possono essere tratte le
conoscenze che consentono di aggiungere valore e di realizzare prodotti con
minor impiego di materiali ed energia.
Da qui l’esigenza di una legge a carattere generale: uno Statuto dell’impresa.
Le difficoltà economiche e la scarsità delle disponibilità monetarie delle
famiglie sono una medicina efficace per la modifica dei consumi e il
cambiamento degli stili di vita, da orientare verso una maggiore sobrietà. La
famiglia, rispettata nella funzione educativa anche dalla comunicazione
mediatica e la scuola, possono svolgere un ruolo primario verso le giovani
generazioni.
Questo comporta un cambiamento continuo che si realizza in ogni persona e
giorno dopo giorno in un processo che non ha fine.
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