C.P SS Redentore e S. Gregorio Comunità Giovani 22/03/12 Incontro di lectio divina sul Vangelo Di Giovanni (Gv 5, 19-30) 19 30 Gesù riprese a parlare e disse loro: “In verità, in verità io vi dico: il Figlio da se stesso non può fare nulla, se non ciò che vede fare dal Padre; quello che egli fa, anche il Figlio lo fa allo stesso modo. Da me, io non posso fare nulla. Giudico secondo quello che ascolto e il mio giudizio è giusto, perché non cerco la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. 28 Non meravigliatevi di questo: viene l’ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce 29e usciranno, quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna. 20 Il Padre infatti ama il Figlio, gli manifesta tutto quello che fa e gli manifesterà opere ancora più grandi di queste, perché voi ne siate meravigliati. 21 25 Come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a chi egli vuole. 22Il Padre infatti non giudica nessuno, ma ha dato ogni giudizio al Figlio, 23 perché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre. Chi non onora il Figlio, non onora il Padre che lo ha mandato. In verità, in verità io vi dico: viene l’ora - ed è questa - in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio e quelli che l’avranno 26 ascoltata, vivranno. Come infatti il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso anche al Figlio di avere la vita in se stesso, 27 e gli ha dato il potere di giudicare, perché è Figlio dell’uomo. 24 In verità, in verità io vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita. 1 Lectio Sembra un testo un po’ confuso, con tante frasi accostate quasi a caso… Invece è un testo attentamente costruito dall’evangelista, come si può vedere seguendo lo schema proposto da XAVIER-LÉON-DUFOUR (Lettura dell’Evangelo secondo Giovanni, San Paolo, Milano, 2007, p. 391) secondo il quale ho strutturato il testo stesso anche dal punto di vista grafico (Un’altra interessante possibile struttura è suggerita da BRUNO MAGGIONI nel suo Commento al Vangelo di Giovanni in AA. VV. I Vangeli, Cittadella, Assisi, 1982, p. 1435). A tema c’è la risposta di Gesù alla provocazione dei Giudei che cercavano di ucciderlo perché chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio (cfr. Gv 5, 18). Che cosa dice in proposito Gesù? Ecco il nostro testo! I v. 19 e v. 30 costituiscono la “cornice” del discorso di Gesù. In essi viene annunciata una singolare relazione, quella che unisce Gesù, il Figlio, al Padre. Il Figlio da se stesso non può fare nulla: fa quello che vede fare dal Padre. Tale affermazione è di una densità vertiginosa, perché suppone una presenza simultanea dell’uno rispetto all’altro, e viceversa. Ma il Prologo non ci aveva già avvertiti che il Verbo era presso Dio, rivolto verso di Lui (cfr. Gv 1,1); e che il Figlio unigenito è nel seno del Padre (cfr. Gv 1, 18)? Sarà questo anche il “destino” dei suoi discepoli: “Senza di me non potete far nulla” (Gv 15, 5). Ma già il Prologo ci aveva avvertiti: “Senza di lui nulla è stato fatto di tutto ciò che esiste” (Gv 1, 3). E altrove ancora: “Non vi chiamo più servi, perché il servo no sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi” (Gv 15, 15). Gesù intende farci partecipi della sua singolare relazione filiale con il Padre: ciò è possibile solo passando attraverso di Lui, solo entrando nella relazione con Lui, solo partecipando della sua condizione di “Figlio”! Non possiamo mai dimenticare che noi siamo anzitutto “figli”. È la condizione nella quale veniamo al mondo. Quando noi entriamo nella scena di questo mondo vi entriamo nella condizione di figli. E più in profondità, siamo figli nel Figlio! Una relazione costitutiva ci caratterizza: la relazione filiale. Non prendere coscienza di questa relazione di fondo significa acconsentire ad un equivoco: quello di pensare a se stessi in termini assoluti, ovvero sciolti da ogni tipo di legame con l’altro, irresponsabili in quanto non tenuti a rispondere all’altro, presuntuosamente onnipotenti e quindi tendenzialmente padroni dell’altro. I v. 20 e vv. 28-29 ci aprono alla meraviglia, allo stupore. Esso è generato dalla contemplazione delle opere che il Figlio fa e che sono la manifestazione dell’amore con il quale il Padre ama suo Figlio. Ma tale contemplazione non può e non deve essere una “astrazione”, una irresponsabile sospensione della propria azione. Al contrario, si tratta di una vera e propria contempl-azione, che consente di vedere il mondo con gli occhi di Dio, di guardare al mondo attraversando lo sguardo del Figlio, che vede tutto e tutti nell’amore del Padre. È lo sguardo credente, grazie al quale è possibile compiere le opere di Gesù, anzi grazie al quale è possibile compiere opere ancora più grandi (cfr. Gv 14, 2 12: Chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste). Quanto sia decisivo il modo di guardare e di essere guardati lo si capisce a partire dalla propria esperienza. Uno sguardo può incoraggiare, ma anche intimorire; può attivare, ma anche mortificare; può far capire, ma anche confondere… Il mirabile testo del cieco nato, che abbiamo letto domenica scorsa, ci ha ampiamente istruiti su tale terribile possibilità. I vv. 21-23 e vv. 25-27 sono costruiti attorno all’espressione “come… così”: Come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio (v. 21); come il Padre ha la vita in se stesso, così anche il Figlio ha la vita in se stesso (v. 26). Inoltre, al Figlio il Padre ha dato ogni giudizio (v. 22), ha dato il potere di giudicare (v. 27). Il Padre e il Figlio risuscitano i morti e danno la vita. Il Padre si astiene da ogni giudizio avendo dato al Figlio il potere di esercitarlo. E dove lo ha esercitato tale potere il Figlio? Ricordiamo il testo di Gv 3, 14-18: «14E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, 15perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. 16Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. 17Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare (lett.: giudicare) il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. 18Chi crede in lui non è condannato (lett.: giudicato); ma chi non crede è già stato condannato (lett.: giudicato), perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio». Gesù, il Figlio, esercita il suo potere di giudizio sulla Croce. Don Giovanni Moioli ha potuto così esprimersi nel suo testamento spirituale alla vigilia della sua morte: “La mia speranza, Signore, è in Te. Cosa strana e stupenda avere un giudice crocifisso per me! Amen” (21 novembre 1981, citato in L. ACCATTOLI, Cerco fatti di Vangelo. Inchiesta di fine millennio sui cristiani d’Italia, Sei, Torino, 1995, p. 155). Ma tale “come” ne richiama immediatamente un altro che si configura come il comandamento che Gesù ci ha lasciato (Gv 15, 9-10.12):«9Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. 10Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. 12Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi». E qualche pagina prima: «34Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. 35Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13, 34-35). Il v. 24 è al centro del nostro testo e insiste ancora una volta sul nesso ascoltare la Parola di Gesù – credere a Colui che lo ha mandato. Ascoltare la Parola fa passare dalla morte alla vita. Ascoltare la Parola è sottoporsi al giudizio, è porre in crisi tutta la propria vita perché ritrovi la sua destinazione eterna e non precipiti nell’abisso mortale. Ascoltare la Parola è guadagnare uno sguardo diverso che consenta di penetrare nel mistero dell’intima relazione che unisce il Padre e il Figlio, e poterne vivere già ora. 3 Ascoltare la Parola… quando ci decideremo a farlo davvero? Ne va della qualità della nostra stessa vita! Meditatio Mi permetto di suggerirvi qualche testo che vi aiuti a continuare la vostra meditazione sulla scorta delle intuizioni che la lectio ci ha mostrato. 1) BRUNO MAGGIONI, Padre nostro, Vita e Pensiero, Milano, 1995, pp.30-32. A volte le cose taciute sono importanti come quelle dette. Nel Padre nostro non si parla di figli e tuttavia proprio questo è il punto. Se rimane sotteso, è unicamente per dirci che non comprendiamo noi stessi guardando dentro di noi, ma guardando come Dio si comporta di fronte a noi. È per questo che la nostra condizione di figli è interamente racchiusa nell’invocazione «Padre». Certo, l’essere figli è un’esperienza antropologica primaria, di creazione, comprensibile a qualsiasi uomo, credente o no. Ed è l’esperienza più universale: non tutti possono essere padri, ma tutti sono figli. Esperienza profondamente umana, che però soltanto quando viene riletta evangelicamente mostra la sua insospettata profon dità. Nella sua prima lettera, Giovanni scrive: «In questo sta l’amore: non noi abbiamo amato Dio, ma Egli ha amato noi ed ha inviato il Figlio suo come propiziazione per i nostri peccati» (4,10). Non dalla nostra esperienza di amore comprendiamo che cosa sia l’amore - eppure quale esperienza è più umana dell’amore? -, ma dall’amore di Dio apparso in Gesù Cristo. Lo stesso vale per la paternità di Dio e la nostra condizione di figli. E tuttavia - dopo aver ripetutamente ricordato che soltanto nella rivelazione di Gesù comprendiamo chi sia veramente il Padre e che cosa significa essere suoi figli bisogna anche sottolineare che fra la rivelazione di Cristo e l’esperienza umana c’è una profonda correlazione. Esperienza umana e rivelazione evangelica vicendevolmente si rischiarano. Se l’uomo si chiude nella lettura di se stesso, gli sfugge la novità del vangelo. Ma se dimentica il radicamento della rivelazione nella propria esperienza, la novità del vangelo gli appare estranea. Si è figli quando si avverte che all’origine della propria esistenza non c’è stato il caso o la necessità, ma una decisione libera, un atto d’amore. Essere amato è - o dovrebbe essere - la prima percezione di un bambino che viene al mondo: gratuitamente amato, liberamente accolto, proprio lui, nella sua singolarità, comunque sia. Sta qui la radice della libertà, della serenità e della sicurezza che lo accompagneranno tutta la vita. Tutto questo fa parte della nostra esperienza, e si trasforma - per il credente - in una parabola del rapporto con Dio. Invocando Dio col nome di Padre, il credente non può dimenticare - o mettere fra parentesi - questa sua esperienza di figlio. Se lo facesse, la sua invocazione al Padre diventerebbe astratta. Essere amato e accolto è, però, soltanto un aspetto dell’esperienza del figlio di fronte al padre. Il padre è colui dal quale si riceve e dal quale si dipende. A cominciare dalla stessa esistenza. Nessuno si affaccia alla vita per decisione propria. Nessun bambino può pretendere di essere autonomo. Se lo facesse, non saprebbe più come affrontare la vita. Naturalmente, col passare degli anni, questo bisogno di dipendenza dovrà approfondirsi e diventare dipendenza da Dio: cosa, questa, che gli impedirà di farsi padrone di se stesso, del mondo e degli altri. Farsi padrone è la più grande menzogna. Il Padre nostro è la preghiera dell’uomo che rifiuta di considerarsi padrone, e perciò manifesta al Padre - come un bambino - i propri bisogni. Nell’esperienza del figlio la figura del padre assume anche il volto dell’autorità. Il padre è colui che si prende cura, sorveglia, indica la strada. Di qui il comandamento e l’obbedienza. Pensare che il comandamento sia di ostacolo all’amore e alla libertà è un grave errore. Il comandamento del padre non è la negazione dell’amore, ma «lo 4 scrigno che lo custodisce» Così è sempre il vero rapporto con Dio. Invocando Dio col nome di Padre, chi recita il Padre nostro deve sapere che è davanti a un Padre che è al tempo stesso amore e legge. La condizione di figlio non appartiene a un momento della vita, ma a tutta la vita. La Bibbia ha ragione a definire l’uomo un figlio di uomo. L’uomo è sempre figlio. Desideroso di essere amato, bisognoso di affidarsi a Qualcuno che lo accompagni, sempre in cerca di un punto di riferimento. Il vangelo si mostra profondamente umano, quando afferma che occorre essere «come bambini» per poter entrare nel regno dei cieli. Rimanere figlio è sempre la giusta posizione dell’uomo davanti a Dio. 2) FRATEL MICHAEL-DAVIDE, Seme è la Parola. Invito alla Lectio Divina, EDB, Bologna, 2011, pp. 106-107; 109; 113. Per i padri è chiaro che il fine della lectio divina non è, prima di tutto, indicare un comportamento o suggerire «cosa fare» ma quello di condurre, attraverso la lettura, la meditazione e la preghiera, a una possibilità di incontro gratuito e non immediatamente gratificante con colui che, attraverso le Scritture, ci parla sommessamente. Non è infatti facile evitare il rischio di «servirsi» della Parola per dare un’apparenza di consistenza e di credibilità a sentimenti e orientamenti maturati personalmente oppure imposti dall’esterno - pur con le migliori intenzioni ma che, in realtà, non sono radicati nella profondità del cuore. La parola di Dio che raggiunge il cuore della creatura, attraverso le Scritture, agisce come una medicina che va assunta con fiducia ma a cui bisogna dare tutto il tempo e l’agio di mostrare la sua efficacia. Questo si produce in modo lento perché sia di beneficio all’intero corpo nel suo essere indissolubilmente legato all’anima e allo spirito (1Ts 5,23). Nella vita spirituale il narcisismo è sempre un nemico in agguato e si presenta in moltissime forme riconducibili a una sola grande tentazione che si manifesta nei suoi due estremi: l’autocompiacimento della propria virtù oppure - molto più spesso di quanto si possa immaginare - delle proprie fragilità. Contro questa tendenza da cui provengono tutte le malattie dell’anima, i santi padri hanno messo a punto una teologia della bellezza contemplativa che è continuamente e sempre aperta al vero e al buono nella forma dell’ammirazione - ad-mirare - che genera l’adorazione. Continuamente la Parola ci aiuta a de-centrare lo sguardo da noi stessi per posarlo su Dio e, a partire da lui, riportarlo nuovo su noi stessi, sul mondo intero e sulla storia che fatichiamo a creare con i nostri fratelli e sorelle in umanità. 3) DIETRICH BONHOEFFER, La vita comune, Queriniana, Brescia, 1983, pp. 55-57 L'amore psichico si rende da sé fine a se stesso, opera, idolo, che adora ed al quale deve asservire ogni cosa. Cura, coltiva, ama sé stesso e null'altro a questo mondo. L'amore spirituale invece, viene da Gesù Cristo, serve solo lui, sa che non ha accesso immediato al prossimo. Cristo sta tra me e l'altro. Che cosa significhi amore per il prossimo non lo so in partenza, solo dal concetto generico di amore sorto dal mio desiderio psichico; che cosa è amore mi vien detto solamente da Cristo nella sua Parola. Contro ogni mia propria opinione e convinzione Gesù Cristo mi dirà come si manifesta realmente l'amore per il fratello. Perciò l'amore, per il cristiano, è legato solo alla Parola di Gesù Cristo. Lì dove Cristo, a causa dell'amore, vuole che io viva in comunione con gli altri, lo farò; lì dove la sua verità, a causa dell'amore, mi ordina di interrompere una comunione, la interrompo a dispetto di ogni protesta del mio amore psichico. Poiché l'amore spirituale non desidera nulla per sé, ma pensa solo a servire, 5 ama tanto il nemico quanto il fratello. Esso infatti non è nato né dal fratello né dal nemico, ma da Cristo e dalla sua Parola. Dato che Cristo sta tra me e l'altro, non devo desiderare una comunione immediata con questo. Come solo Cristo poteva parlare con me in modo da soccorrermi realmente, così anche l'altro può essere aiutato solo da Cristo stesso. Ma ciò significa che lo devo lasciare libero l'altro e non tentare di determinare le sue decisioni, costringerlo o dominarlo con il mio amore. Essendo libero da me, l'altro vuol essere amato così come è veramente, cioè come un uomo per il quale Cristo ha conquistato la remissione dei peccati ed al quale ha preparato la vita eterna. Poiché Cristo ha già da tempo compiuto la sua opera nel mio fratello, ben prima che io potessi incominciare la mia opera in lui, perciò devo lasciar libero il fratello per Cristo; egli deve incontrarmi solo da quell'uomo che egli è già per Cristo. Ecco che cosa significa che possiamo incontrare il prossimo solo tramite Gesù Cristo. L'amore psichico si crea una propria immagine dell'altro, di ciò che quello è e di ciò che deve diventare. Prende la vita del prossimo nelle proprie mani. L'amore spirituale riconosce la vera immagine del prossimo tramite Gesù Cristo; è l'immagine che Gesù Cristo ha forgiato e che vuole forgiare. Perciò l'amore spirituale resterà costante affidando, in tutto ciò che dice e che fa, il prossimo a Cristo. Non tenterà di suscitare nel suo animo emozioni cercando di influenzarlo troppo personalmente ed immediatamente, o intervenendo nella sua vita in maniera impura; non proverà piacere nell'eccitazione dei sentimenti e nell'eccessivo ardore religioso; ma lo incontrerà con la chiara Parola di Dio e sarà pronto a lasciarlo solo con questa Parola per un lungo periodo, a lasciarlo di nuovo libero, perché Cristo possa operare in lui. Rispetterà i limiti che sono posti tra me e l'altro da Cristo e troverà la piena comunione con lui nel Cristo che ci congiunge e unisce tutti. Perciò parlerà più con Cristo del fratello che non di Cristo al fratello. Sa che la via più breve che porta all'altro passa attraverso la preghiera rivolta a Cristo e che l'amore per lui è completamente legato alla verità in Cristo. L'amore psichico vive di un'oscura bramosia incontrollata e incontrollabile; l'amore spirituale vive nella chiarezza e nel servizio ordinato dalla verità. L'amore psichico lega, produce asservimento e irrigidimento; l'amore spirituale porta frutti che crescono all'aperto, sotto la pioggia e la tempesta, al sole, in pieno vigore, come piace a Dio. Qualche domanda: 1) Contemplando la relazione intima che unisce il Padre e il Figlio, osservandone la divina attitudine nell’onorarsi vicendevolmente, restando folgorati dalla infinita e inaudita reciproca resa in assoluta fiducia vicendevole, mi domando: e io? Onoro l’altro? Mi fido dell’altro? Mi fido anche dello sguardo che ha sulle cose, sulle situazioni? Mi fido delle sue decisioni, considerandole anzitutto come il frutto di un serio esercizio di discernimento? Ne ascolto le argomentazioni con sincerità e fiducia? 2) “Il Padre ama il Figlio”: espressione destinata a generare meraviglia e stupore e a purificare ogni nostro sguardo. Come guardo l’altro? Lo guardo anzitutto con amore, stima, amabilità, affetto? Oppure il mio guardo intimorisce, mortifica, confonde? 6 3) “Il Padre ha dato il potere di giudicare al Figlio” e il Figlio esercita questo suo potere dall’alto della Croce! Io come esercito la mia facoltà di giudizio? Come manifesto la mia capacità critica? Con lo stesso amore di Gesù? Ovvero in modo costruttivo, creativo, così da restituire la vita? Oppure il mio modo di esercitare il giudizio è piuttosto incline a… mietere vittime? Ma che giudizio è mai quello che invece che aprire alla vita mortifica l’altro? 4) A essere sottoposti al giudizio di Gesù e della sua Parola, in verità, dovremmo essere noi con la nostra vita! Ci confrontiamo con la Parola di Gesù? Lo facciamo davvero? Oppure il nostro riferirci alla Parola è solo un atto formale, episodico, che non genera intimità, familiarità con il Mistero del Padre e del Figlio? Stiamo diventando “contemplativi”? Gesù nel versetto centarle della lectio di oggi ci ricorda che è questione di vita o di morte! Preghiera: MIO DIO, VITA MIA DOLCE ALIMENTO DEL MIO CUORE (del benedettino Giovanni di Fécamp: Ravenna, XI secolo – Fécamp, 1078) Mio Dio, vita mia, dolce alimento del mio cuore, concedimi di lodarti. Metti nel mio cuore la luce e sulle labbra la parola, così che il cuore mediti sulle tue promesse e la lingua canti la tua gloria. Ma perché lo faccia con più purezza e con più amore, fammi dono del pianto e della quiete dove possa fuggire, tacere e riposare, e sulle ferite della mia anima notte e giorno fare penitenza. Ti supplico per il Figlio tuo concedimi come dono della tua misericordia che sgorghi nel mio cuore un'irrigua fonte di lacrime, che scorra fino a lavare tutta l'anima dal suo peccato. Tutto ciò che vuole la tua mano è certo capace di compierlo, poiché tu parli e tutto è fatto, comandi e tutto esiste. Perché allora aspetti, perché ritardi? Vieni, Signore, non tardare. Spacca la durezza del mio cuore e sgorghi questa fonte, dal cui desiderio troppo brucia l'anima mia. Donami lacrime di pentimento e lacrime di desiderio; benedici con la rugiada del cielo e con l'abbondanza della terra, perché le lacrime siano il mio pane giorno e notte. Liberami dagli alterchi e dalle contese, nelle quali incorre l'anima sventurata negli assembramenti di uomini litigiosi. Dammi invece quella parte migliore che scelse Maria e che ho scelto anch'io da tempo, prediligendola per ispirazione della tua grazia: sciolto da ogni preoccupazione, poter sedere libero ai piedi del Signore Gesù Cristo, ed ascoltare attento ciò che la sapienza celeste insegna. 7 Amore psichico e amore spirituale – (da Vita comune di Dietrich Bonhoeffer) Comunione cristiana non è un'ideale che dobbiamo sforzarci di realizzare, ma una realtà data da Dio in Cristo, alla quale possiamo partecipare. Quanto più chiaramente impariamo a vedere il fondamento e la forza e la promessa di ogni nostra comunione in Gesù Cristo solamente, tanto più serenamente impareremo pure a riflettere sulla nostra comunità e a pregare e sperare per essa. Dato che la comunità cristiana è basata solo su Gesù Cristo, essa è una realtà pneumatica e non psichica. Ed in questo veramente essa differisce da ogni altra comunità. La Sacra Scrittura indica col termine pneumatico (= spirituale) ciò che solo lo Spirito Santo crea, il quale pone nei nostri cuori Gesù Cristo come nostro Signore e Salvatore; chiama, invece, psichico (= dell'animo) ciò che nasce dagli istinti, dalle forze naturali, dalla disposizione dell'animo umano. Il fondamento di ogni realtà spirituale è la chiara Parola di Dio manifestata in Gesù Cristo. Il fondamento di ogni realtà psichica è il desiderio tenebroso e torbido dell'animo umano. Il fondamento della comunione spirituale è la verità, il fondamento della comunione psichica è la brama. L'essenza della comunione spirituale è la luce - «Dio è luce e in lui non vi sono tenebre alcune» (1Gv 1,5) - «Se camminiamo nella luce, com' Egli è nella luce, abbiamo comunione l'uno con l'altro». La natura della comunione psichica è tenebre - «poiché è dal di dentro, dal cuore degli uomini, che escono cattivi pensieri» (Mc 7,21). E' la notte fonda che copre ogni opera umana nelle sue origini, anche tutti gli istinti nobili e pii. Comunione spirituale è la comunione di coloro che sono chiamati da Cristo; psichica è la comunione delle anime religiose. Nella comunione spirituale vive il chiaro amore del servizio fraterno, l'agape; nella comunione psichica arde il fosco amore degli empi istinti pii, dell'eros. Là regna il servizio fraterno ordinato, qui la disordinata brama di godimento; là l'umile sottomissione sotto il fratello, qui il superbo-umile assoggettamento del fratello ai propri desideri. Nella comunione spirituale regna solo la Parola di Dio; nella comunione psichica accanto alla Parola domina ancora l'uomo dotato di particolari forze, di esperienza, di disposizione suggestivo-magiche. Là il legame è dato solo dalla Parola di Dio, qui il legame è anche un tentativo di vincolare l'altro a sé. Là ogni potenza, gloria e signoria è data dallo Spirito Santo; qui si cerca e si coltivano sfere di potere e di influsso personale, finché si tratta di persone pie, certo con l'intenzione di servire alle cose migliori e più nobili, ma in realtà, nonostante tutto, per detronizzare lo Spirito Santo e tenerlo ad una distanza irreale. Infatti qui rimane reale solo quanto v'è di psichico. Perciò lì regna lo Spirito, qui la psicotecnica, il metodo; lì l'amore del prossimo sincero, prepsicologico, premetodico, pronto ad aiutare; qua l'analisi delle costruzioni psicologiche; lì il servizio umile e semplice reso al fratello, qua il trattamento calcolatore e indagatore dell'estraneo. Forse la seguente osservazione può rendere più evidente il contrasto tra la realtà spirituale e quella psichica: entro una comunità spirituale non può mai esserci in nessun modo una relazione «immediata» tra l'uno e l'altro; nella comunità «psichica» invece regna un desiderio di comunione profondo, originale, psichico, di contatto immediato con le altre anime, così come nella 8 carne vive il desiderio di immediata unione con altra carne. Questa brama dell'animo umano cerca la completa fusione dell'io con il tu, sia che essa si effettui nell'unione dell'amore, sia che si effettui nel forzato assoggettamento dell'altro alla propria sfera di influenza e di potere, il che in fondo è lo stesso. Qui chi è psichicamente più forte si sfoga e si attira l'ammirazione, l'amore o il timore del più debole. Tutto si basa su vincoli umani, su suggestione, su asservimento, e tutto ciò che è caratteristico e proprio solo della comunione data da Cristo, in questa immediata comunione delle anime, compare come caricatura. Esiste una conversione «psichica», che si manifesta con tutti i segni di una vera conversione lì dove, in seguito all'abuso conscio o inconscio della superiorità di un uomo, un singolo o tutta una comunità sono profondamente emozionati e attirati nella sua sfera di influenza. Qui l'animo ha esercitato il suo influsso direttamente su un'altra anima. Il più debole è stato sopraffatto dal più forte; la resistenza del più debole è stata spezzata dalla personalità dell'altro. E' stato violentato, ma non vinto dalla causa. E questo si manifesta nel momento in cui si richiede un impegno per la causa indipendentemente dalla persona alla quale sono legato o forse anche in contrasto con questa. A questo punto chi è psichicamente convertito crolla e manifesta in tal modo che la sua conversione non è opera della Spirito Santo, ma di un uomo e che perciò non è duratura. Ed altrettanto esiste un amore «psichico» per il prossimo. Esso è capace di compiere i sacrifici più inauditi; nella sua ardente dedizione e nei suoi successi visibili supera spesso il vero amore cristiano, parla il linguaggio cristiano con una eloquenza sbalorditiva ed elettrizzante. Ma è questo l'amore di cui l'apostolo dice: «E quando distribuissi tutte le mie facoltà per nutrire i poveri e quando dessi il mio corpo ad essere arso» - cioè se compissi le maggiori azioni d'amore con la massima dedizione - «se non ho carità (cioè l'amore di Cristo), ciò niente mi giova» (1Cor 13,3). L'amore psichico ama il prossimo per se stesso, l'amore spirituale ama il prossimo per Cristo. Perciò l'amore psichico crea il contatto immediato con l'altro, non lo ama nella sua libertà, ma come uno che è legato ad esso vuole vincere, conquistare ad ogni costo, insiste presso l'altro, vuole essere irresistibile, vuole dominare. L'amore psichico non tiene in gran conto la verità, la relativizza, perché nulla, nemmeno la verità, deve intromettersi tra lui e l'essere amato. L'amore psichico desidera l'altro, la comunione con lui, il suo amore, ma non lo serve. Anzi, anche lì dove sembra servire, desidera ancora qualcosa per sè. Due cose, che in fondo sono la stessa, mettono in luce la differenza tra amore spirituale e amore psichico: l'amore psichico non riesce a sopportare lo scioglimento di una comunità non più vera per amore di una comunione vera; l'amore psichico non può amare il nemico, quello, cioè, che gli si oppone ostinatamente e seriamente. Questi sentimenti nascono ambedue dalla stessa origine: l'amore psichico per natura è amore che desidera qualcosa per sè, è, cioè, brama di comunione psichica. Finché è in grado di accontentare in qualche modo questo desiderio, non vi rinuncia mai, nemmeno per amore della verità, nemmeno per il vero amore del prossimo. Dove, però, non ha più speranza di soddisfare questa sua brama, lì è arrivato alla sua fine, cioè al nemico; si muta in odio, disprezzo e calunnia. 9 Ma proprio qui è il punto dove ha inizio l'amore spirituale. Perciò l'amore psichico diviene odio personale lì dove incontra il sincero amore spirituale che non desidera nulla per sè, ma serve il prossimo. L'amore psichico si rende da sé fine a se stesso, opera, idolo, che adora ed al quale deve asservire ogni cosa. Cura, coltiva, ama sè stesso e null'altro a questo mondo. L'amore spirituale invece, viene da Gesù Cristo, serve solo lui, sa che non ha accesso immediato al prossimo. Cristo sta tra me e l'altro. Che cosa significhi amore per il prossimo non lo so in partenza, solo dal concetto generico di amore sorto dal mio desiderio psichico - anzi, tutto ciò, forse, davanti a Cristo può essere proprio odio e massimo egoismo - ; che cosa è amore mi vien detto solamente da cristo nella sua Parola. Contro ogni mia propria opinione e convinzione Gesù Cristo mi dirà come si manifesta realmente l'amore per il fratello. Perciò l'amore, per il cristiano, è legato solo alla Parola di Gesù Cristo. Lì dove Cristo, a causa dell'amore, vuole che io viva in comunione con gli altri, lo farò; lì dove la sua verità, a causa dell'amore, mi ordina di interrompere una comunione, la interrompo a dispetto di ogni protesta del mio amore psichico. Poiché l'amore spirituale non desidera nulla per sè, ma pensa solo a servire, ama tanto il nemico quanto il fratello. Esso infatti non è nato nè dal fratello nè dal nemico, ma da Cristo e dalla sua Parola. L'amore psichico non comprenderà mai quello spirituale; poiché l'amore spirituale viene dall'alto ed ha qualcosa di completamente estraneo, nudo, incomprensibile per l'amore terreno. Dato che Cristo sta tra me e l'altro, non devo desiderare una comunione immediata con questo. Come solo Cristo poteva parlare con me in modo da soccorrermi realmente, così anche l'altro può essere aiutato solo da Cristo stesso. Ma ciò significa che lo devo lasciare libero l'altro e non tentare di determinare le sue decisioni, costringerlo o dominarlo con il mio amore. Essendo libero da me, l'altro vuol essere amato così come è veramente, cioè come un uomo per il quale Cristo ha conquistato la remissione dei peccati ed al quale ha preparato la vita eterna. Poiché Cristo ha già da tempo compiuto la sua opera nel mio fratello, ben prima che io potessi incominciare la mia opera in lui, perciò devo lasciar libero il fratello per Cristo; egli deve incontrarmi solo da quell'uomo che egli è già per Cristo. Ecco che cosa significa che possiamo incontrare il prossimo solo tramite Gesù Cristo. L'amore psichico si crea una propria immagine dell'altro, di ciò che quello è e di ciò che deve diventare. Prende la vita del prossimo nelle proprie mani. L'amore spirituale riconosce la vera immagine del prossimo tramite Gesù Cristo; è l'immagine che Gesù Cristo ha forgiato e che vuole forgiare. Perciò l'amore spirituale resterà costante affidando, in tutto ciò che dice e che fa, il prossimo a Cristo. Non tenterà di suscitare nel suo animo emozioni cercando di influenzarlo troppo personalmente ed immediatamente, o intervenendo nella sua vita in maniera impura; non proverà piacere nell'eccitazione dei sentimenti e nell'eccessivo ardore religioso; ma lo incontrerà con la chiara Parola di Dio e sarà pronto a lasciarlo solo con questa Parola per un lungo periodo, a lasciarlo di nuovo libero, perché Cristo possa operare in lui. Rispetterà i limiti che sono posti tra me e l'altro da Cristo e troverà la piena comunione con lui nel Cristo che ci congiunge e unisce tutti. 10 Perciò parlerà più con Cristo del fratello che non di Cristo al fratello. Sa che la via più breve che porta all'altro passa attraverso la preghiera rivolta a Cristo e che l'amore per lui è completamente legato alla verità in Cristo. Riguardo a questo amore l'apostolo Giovanni dice: «Io non ho maggiore allegrezza di questa, di udire che i miei figlioli camminano nella verità». (3 Gv 4). L'amore psichico vive di un'oscura bramosia incontrollata e ncontrollabile; l'amore spirituale vive nella chiarezza e nel servizio ordinato dalla verità. L'amore psichico lega, produce asservimento e irrigidimento; l'amore spirituale porta frutti che crescono all'aperto, sotto la pioggia e la tempesta, al sole, in pieno vigore, come piace a Dio. Per ogni convivenza cristiana è questione di vita o di morte promuovere in tempo la capacità di discernere tra ideale umano e realtà divina, tra comunione spirituale e comunione psichica. E' questione di vita o di morte di una comunità cristiana saperne, quanto prima, giudicare spassionatamente. Cioè: una vita vissuta in comune sotto la Parola può restare sana lì dove non si presenta come movimento, ordine monastico, associazione, collegium pietatis, ma come parte della chiesa universale, una e santa; dove partecipa, lavorando e soffrendo, al travaglio, al combattimento, alla promessa di tutta la chiesa. Ogni principio di selezione e ogni conseguente separazione, che non è obiettivamente condizionata da un lavoro comune, da cause locali, da nessi familiari, è un vero pericolo per una comunità cristiana. Nella via della selezione intellettuale o spirituale si introduce spesso di nuovo di soppiatto il fattore psichico e defrauda la comunione della sua forza spirituale e della sua efficacia per la comunità, la spinge ad assumere un atteggiamento settario. L'esclusione dalla comunità di che è debole o modesto o apparentemente inutile può addirittura comportare l'esclusione di Cristo, che bussa alla nostra porta nel fratello povero. Perciò dobbiamo essere particolarmente cauti su questo punto. Un osservatore superficiale potrebbe pensare che il pericolo di confondere l'ideale con la realtà, il fattore spirituale con quello psichico sia maggiore lì dove una comunità è variamente strutturata, cioè lì dove, come nel matrimonio, nella famiglia, nell'amicizia il fattore psichico ha un'importanza preminente nella formazione della comunità in genere, e dove il fattore spirituale si aggiunge solo a quello fisico-psichico. Veramente solo in tali comunità si correrebbe il pericolo di mescolanza e di confusione delle due sfere, mentre essa potrebbe difficilmente aver luogo in una comunità di carattere prettamente spirituale. Ma chi pensa così, incorre in un grave errore. Tutte le esperienze e, come si vede facilmente, anche la cosa in sé ci dimostrano proprio il contrario. Un vincolo matrimoniale, una famiglia, un'amicizia conoscono molto chiaramente i limiti delle loro forze intese a creare la comunione; sanno molto bene, se sono sani, dove finisce il fattore psichico e dove incomincia quello spirituale. Conoscono il contrasto tra comunione fisico-psichica e comunione spirituale. D'altro canto lì dove si mette insieme una comunità di carattere puramente spirituale è molto vicino il pericolo che vengano portati nella comunità tutti i fattori psichici e vi vengano confusi. Unirsi in una comunità di carattere prettamente spirituale non è solo pericoloso, ma anzi un fatto del tutto anormale. Dove, in una comunità 11 spirituale, non entra a far parte una comunione fisico-familiare, o la comunione in serio lavoro, dove non entra la vita quotidiana con tutto ciò che essa pretende dall'uomo che lavora, lì è necessaria una particolare vigilanza e sobrietà. Perciò l'esperienza ci dice che proprio in brevi incontri durante le vacanze il momento psicologico si fa largo assai facilmente. Nulla è più facile che risvegliare l'ebrezza della comunione in pochi giorni di vita comunitaria, e nulla è più fatale per una vita comunitaria sana, sobria e fraterna nel lavoro quotidiano. Non ci sono molti cristiani a cui Dio non conceda, almeno una volta nella loro vita, l'esperienza inebriante di una vera comunione cristiana. Ma una simile esperienza in questo mondo non rimane altro che un sovrappiù, una grazia concessa oltre al pane quotidiano di una vita comunitaria cristiana. Non possiamo reclamare simili esperienze, ed esse non sono lo scopo di una vita in comune con altri cristiani. Non è l'esperienza di comunione cristiana ciò che ci congiunge, ma la fede ferma e certa nella comunione cristiana. Afferriamo per fede come il più grande dono di Dio il fatto che è Dio che opera ed ha già operato in noi; questo ci rende beati e contenti, ma ci prepara anche a rinunziare a tutte le esperienze se Dio, a volte, non vuole concederlo. Siamo congiunti per fede, non per esperienza. «Ecco quanto è buono e quanto è gioioso per i fratelli dimorare insieme» (Salmo 133,1): questo è l'inno della Sacra Scrittura alla vita in comune sotto la Parola. Volendo spiegare la Parola «insieme» (cioè concordi), possiamo dire «che fratelli dimorino assieme» in Cristo, perché Gesù Cristo solo è la nostra concordia. «Egli è la nostra pace» (Ef 2,14). Solo tramite lui possiamo incontrarci, godere gli uni degli altri, avere comunione gli uni con gli altri. D. Bonhoeffer, La vita comune, Queriniana, Brescia, 1976, pp. 39-40; 4860. 12