“Marketing e comunicazione nello sviluppo della cultura della prevenzione oncologica” Mario Sorrentino Professore Associato di Marketing Facoltà di Economia Università degli Studi di Torino [email protected] 1. Introduzione Lo scenario economico degli ultimi decenni è stato caratterizzato da profondi cambiamenti, che hanno investito in modo diffuso tutti i settori di attività. La globalizzazione, favorita dall’incalzante progresso tecnologico, ha creato nuovi mercati ed inediti scenari competitivi ed ha imposto alle imprese di relazionarsi in modo sempre più intenso con i mercati di riferimento. In tale quadro, le imprese hanno aumentato i loro investimenti in comunicazione, comprendendone l’importanza strategica per il successo del proprio business (Pezzini, 2003). La conoscenza approfondita dei mercati di riferimento e dei contesti competitivi ha in particolare sottolineato la necessità di affiancare alla tradizionale comunicazione promozionale, volta a far conoscere il proprio prodotto o servizio (e di conseguenza ad indurne l’acquisto), un tipo di comunicazione diretta a promuovere invece l’immagine dell’impresa in sé (Vermot-Gaud, 1986; Robert, 1987; Cannon, 1992; Marchesini, 2003). Questo tipo di comunicazione, detta comunicazione istituzionale, ha lo scopo di diffondere all’esterno l’idea che l’impresa non è solo una fredda organizzazione esclusivamente votata al profitto, bensì un sistema aperto che, basandosi su valori solidi e condivisi, scambia con un’ampia gamma di interlocutori input ed output materiali ed immateriali, allo scopo di contribuire allo sviluppo del contesto economico e sociale in cui si trova ad operare (Farmer, 1973; Sciarelli, 1998; Golinelli, 2000; Birindelli, 2002; Felici, 2003; De Pauli, 2004; Molteni, 2004). In tal senso, è oramai abbastanza diffusa l’idea che le organizzazioni produttive – oltre a svolgere attività economica votata al profitto – assumono anche delle precise responsabilità sociali. Ed è in questo ambito che si sono sviluppate le attività di marketing e di comunicazione sociale delle imprese. Obiettivo delle presenti note è di analizzare il ruolo che il marketing e la comunicazione sociale giocano nel promuovere e diffondere la cultura della prevenzione sanitaria, con particolare riferimento alle patologie neoplastiche. Il lavoro si articola come segue. In via primaria viene soffermata l’attenzione sull’evoluzione del concetto di responsabilità sociale d’impresa, analisi che si rivela “Marketing e comunicazione nello sviluppo della cultura della prevenzione” utile per introdurre le tematiche relative allo sviluppo del marketing sociale. L’obiettivo di analisi è poi spostato sul contributo che il marketing e la comunicazione sociale possono fornire alla formazione della cultura della prevenzione oncologica. 2. La natura multidimensionale della Corporate Responsability: dal societal al cause related marketing Tra gli aspetti più importanti che determinano l’immagine di un’impresa ricopre un ruolo chiave il modo con cui essa interagisce con la società in generale: vale a dire, non solo con i propri clienti o fornitori, ma anche con i vari interlocutori istituzionali e con la collettività nel suo insieme (Sciarelli, 1996; 1998; Marchesini, 2003). Ciò costituisce quella che viene denominata la responsabilità sociale d’impresa. Questa, in sintesi, si identifica con la consapevolezza del fatto che le scelte aziendali hanno delle ripercussioni sulla società; con l’impegno per ridurre il più possibile gli effetti negativi per la collettività dell’operato delle imprese; e con la capacità di comunicare all’esterno correttamente ed efficacemente i risultati in tal senso conseguiti1 (Corno, 2002). Lo sviluppo del tema della responsabilità sociale ha acquisito una notevole importanza da quando gli studi in campo economico-aziendale hanno rivolto la loro attenzione all’interesse pubblico, indicando nuove linee guida per l’individuazione di soggetti in grado di perseguirlo (Chiesi, 2000; Corno, 2002; Molteni, 2004). Dal dibattito hanno avuto origine diversi orientamenti, concernenti in particolare il contenuto della responsabilità sociale d’impresa ed i criteri per valutarne gli effetti. Partendo dal termine stesso “responsabilità sociale”, si individua nel tempo uno spostamento semantico, sintomo di una trasformazione avvenuta nella concezione stessa di tale termine. Da un concetto di responsabilità sociale dell’impresa si è infatti passati a quello di responsabilizzazione dell’impresa, per arrivare in tempi più recenti al concetto di etica dell’impresa2 (Sciarelli, 1996; 1998; Chiesi, 2000; Corno, 2002; Molteni, 2004). L’eticità delle imprese si inserisce nel più ampio dibattito sulla natura del welfare in base al quale questo non può più essere di esclusiva competenza pubblica, ma dovrebbe essere un obiettivo di pertinenza anche dei soggetti privati, per ragioni sia economiche che organizzative. Ai prodromi della teoria della responsabilità dell’impresa sono ricomprese le istanze sociali della 1 L’impresa si assume impegni e compie scelte che coinvolgono e incidono fortemente sul contesto di riferimento, caratterizzato dal continuo sistema di scambio tra l’impresa stessa e tutti i suoi interlocutori diretti. L’assunzione di impegni e l’attuazione di scelte concerne diversi aspetti: la fruizione qualitativa del servizio erogato, la funzionalità amministrativa, la sicurezza e l’affidabilità ambientale, l’attenzione sociale, la sensibilità culturale, il supporto civico/solidaristico. La ricaduta sul territorio di risorse attivate dall’impresa è forte e incidente, sia come destinazione progettuale, volta consapevolmente a favorirne la crescita e lo sviluppo, sia come naturale conseguenza della fisiologica dimensione gestionale del suo stesso essere impresa. 2 Affine al concetto di responsabilità sociale d’impresa è quello di corporate citizenship, o “cittadinanza d’impresa”; con esso si individua l’accettazione da parte dell’impresa del suo ruolo come membro responsabile e significativo della comunità in cui è inserita (Goodman, 1998) 2 “Marketing e comunicazione nello sviluppo della cultura della prevenzione” collettività3, cui sono seguiti numerosi altri contributi che hanno dato origine ad una linea concettuale sulla responsabilità sociale4. Il primo esponente di questo filone teorico è Davis (1960), il quale constata la presenza di motivi nell’agire dell’impresa che vanno oltre gli interessi economici. A sviluppare tale orientamento sono McGuire (1963) e Backman (1975), concordi nell’idea di una doppia natura del contenuto della responsabilità sociale: da un lato, aspetti economici, dall’altro, obblighi, ma con un’estensione a fattori che in maniera differente influiscono sugli interessi particolari dell’impresa. La responsabilità sociale d’impresa è, poi, evoluta negli anni ’70 ed ’80 attraverso multiformi sfaccettature: dalla business ethics alla corporate responsability, dal societal al cause related marketing (Birindelli, 2002). In particolare il cause related marketing, nato negli USA nei primi anni ’80, solo di recente ha trovato anche nel nostro Paese una teorizzazione organica e un’applicazione pratica (Corno, 2002). Nel 1987 Dash fu il primo marchio commerciale a proporre agli italiani un progetto di Cause Related Marketing, riscuotendo un successo superiore alle attese: i mattoncini della solidarietà per la realizzazione di un villaggio per ragazzi in Kenia colpirono al cuore gli italiani, che appoggiarono in pieno l’iniziativa. Sulla scia del successo di quel progetto pilota, sono state numerose le aziende che hanno deciso di intraprendere progetti di cause related marketing. Il Censis, al termine del 2002, ne ha schedati oltre quattrocento5. In letteratura (Chiesi, 2000; Manfredi, 2000; Molteni, 2004) la modellizzazione teorica delle operazioni di Cause Related Marketing ha definito i seguenti come i possibili approcci: Cause Related Marketing di transazione, la classica forma di collaborazione commerciale in cui un’azienda profit contribuisce all’attività o alla realizzazione di un progetto di una azienda non profit, fornendo risorse finanziarie o materiali in proporzione al fatturato derivante dalla collaborazione. Cause Related Marketing di promozione della causa (o di joint promotion), che è la forma più vicina alla sponsorizzazione e può comprendere un trasferimento di risorse dall’azienda for profit alla non profit. Il prodotto in questo caso viene utilizzato come mezzo per la trasmissione della causa sostenuta dalla non profit. Operazioni di tal genere sono quelle che vedono la presenza di messaggi o di opuscoli informativi di una non profit in allegato al prodotto del partner for profit. 3 Bowen (1953) afferma che nell’analisi delle decisioni aziendali non viene valutato solamente il perseguimento di risultati economici, ma occorre estendere la propria attenzione fino a considerare gli effetti di tipo sociale che ne conseguono. Tale concezione è stata ripresa successivamente da P. F. Drucker (1972), che in un suo intervento scrive: “In ogni circostanza, stiamo andando nella direzione di chiedere alle nostre istituzioni di assumersi responsabilità che vadano oltre le competenze ed i contributi che sono loro propri. Lo chiederemo non solo alle imprese, ma anche a tutte le altre istituzioni – università, ospedali, Governo e scuola”. 4 All’origine della prima linea teorica può essere posta l’opera di Milton Friedman (1970, 1987), il quale sostiene che la sola responsabilità sociale dell’impresa consiste nel produrre e rendere disponibili beni e servizi, per ottenere il massimo profitto, in quanto essa deve operare nell’interesse degli azionisti. Secondo tale autore, se l’impresa riesce a raggiungere tale obiettivo, gli azionisti sono motivati a continuare ad investirvi e dalla crescita dell’azienda deriva il benessere della comunità. 5 Si veda il sito www.mymarketingnet.it. 3 “Marketing e comunicazione nello sviluppo della cultura della prevenzione” Cause Related Marketing di licensing, che attiene la concessione da parte della non profit del proprio marchio in cambio della corrispettiva quantificazione economica. Questa tipologia di Cause Related Marketing assume la natura di un rapporto di fornitura, importante per la azienda for profit al fine qualificare il prodotto abbinato al marchio della non profit. Cause Related Marketing di joint fund raising, mediante la quale l’azienda for profit garantisce il sostegno alla causa non profit ponendosi come intermediario tra propri clienti e la non profit. In queste operazioni le donazioni sono facoltative e l’ammontare definibile individualmente. A volte inoltre il donatore può scegliere, all’interno di un paniere proposto dalla azienda for profit, la non profit beneficiaria. Questa tipologia viene utilizzata da aziende erogatrici di servizi come banche e grande distribuzione. In definitiva, i mutamenti culturali degli ultimi anni hanno portato a rivalutare il ruolo dell’azienda, considerata non più univocamente come soggetto economico, ma anche e soprattutto sociale, in grado di offrire contributi reali alla collettività. I maggiori stimoli sociali e l’accresciuta sensibilità di imprenditori e pubblici poteri hanno incanalato il marketing non più solo verso la generazione del profitto, ma anche verso la comunicazione di bisogni e responsabilità socialmente rilevanti. 3. Sensibilità e partecipazione delle imprese e degli stakeholder alla soluzione di problematiche sociali Il tema del comportamento etico e della responsabilità sociale delle imprese è oggi al centro del dibattito politico-economico italiano ed internazionale. In particolare, nel nostro paese la spinta ad una maggiore responsabilità sociale viene dal basso, dal cittadino, dal consumatore, dalla comunità (Pucci & Vergani, 2002). Per questo motivo il mondo del non profit, in tutte le sue espressioni - associazioni, cooperative sociali, fondazioni - interpreta meglio di altri le molteplici istanze della società, dall'assistenza alla cultura, dalla ricerca all'ambiente, attingendo nel modo più diretto dalle persone e dal territorio. Naturalmente i collanti indispensabili per armonizzare e rendere efficaci le spinte provenienti da tutte la parti interessate sono da sempre il dialogo e la comunicazione (Corno, 2002; Birindelli, 2001). Dialogo come suggerisce l'etimo greco - è capacità di parlarsi: rappresenta quindi il cardine dell’impegno che tutti gli attori, ognuno per la sua parte, dovranno assumere con la massima determinazione. Solo attraverso il dialogo è possibile all'impresa conoscere le esigenze dei cittadini che si presentano in veste di lavoratori, consumatori, parte della collettività. L'impresa è infatti calata nella comunità in cui opera, ne condivide i desideri, le aspettative, i bisogni, e trae, dal consenso degli stakeholder, due elementi vitali per il suo successo, la reputazione e la fiducia. Mai come oggi 4 “Marketing e comunicazione nello sviluppo della cultura della prevenzione” l'impresa deve essere attenta alle grandi correnti di cambiamento del contesto in cui opera con la consapevolezza che nel futuro i fattori sociali saranno, forse, più importanti di quelli economici nel determinare lo sviluppo e il successo di un'impresa (Sciarelli, 1996; Birindelli, 2001). La capacità di comprendere la nuova realtà, e di costruire su questa comprensione la visione strategica, gioca un ruolo chiave nel trasformare il cambiamento in opportunità per il futuro dell'impresa e della società6. Oggi, la relazione tra imprese e società è molto più evidente: il dialogo è più aperto e i momenti di scambio, di confronto e di collaborazione molto più numerosi e sotto gli occhi di tutti. Va detto peraltro che questo rapporto è sempre esistito: più difficile da riconoscere, ma indiscutibilmente sempre presente. Un’impresa che si impegna a favore della comunità, quella stessa impresa che persegue legittimamente e doverosamente obiettivi di business, ne trae più di un vantaggio: migliora la sua reputazione nel contesto in cui opera; acquisisce leadership e afferma il proprio prestigio anche in aree considerabili “lontane”; crea spazi di consenso rispetto alle sue scelte attuali e future; genera motivazione e senso di appartenenza nei propri collaboratori. Inoltre, un’impresa impegnata a favore della comunità sperimenta modalità e strumenti di gestione che potrà applicare al proprio interno, promuovendo la coniugazione di “partecipazione” e “governo” e l’istituzione di forme di coinvolgimento degli utenti (Golinelli, 2000). Ancora, un’impresa socialmente responsabile ed impegnata aggiunge credito alla percezione che la comunità sociale ha del mondo imprenditoriale nel suo insieme ed aiuta a ridurre la potenziale minaccia alla coesione sociale contribuendo a contenere fenomeni di emarginazione e povertà. In altre parole, un’impresa che si impegna nel sociale e lo rende noto in modo trasparente ne trae un differenziale competitivo (Sciarelli, 1999). Nel suo rinnovato rapporto con gli individui e con la comunità sociale, l’impresa ha dovuto necessariamente ridefinire le leve ed i modelli di comunicazione, orientando anche il marketing verso la comunità circostante. Tutto ciò ha segnato la nascita ed il repentino sviluppo del marketing sociale e di tutte le sue manifestazioni. 6 I casi di responsabilità sociale delle imprese sono oggi oramai innumerevoli: Wella sostiene la comunità africana di Salima (Malawi), Procter & Gamble - con il detersivo Dash - fa giocare i bambini ricoverati in ospedale. Omnitel Vodafone contribuisce a rendere più pulito il mare italiano. Autogrill aiuta la ricerca sulle malattie genetiche. Queste aziende non hanno abdicato al loro ruolo - vendere prodotti e servizi, produrre ricchezza – ma hanno deciso di adempiervi anche legandosi a cause sociali sostenute da organizzazioni non profit. In una parola, hanno scelto di impegnarsi in campagne di marketing sociale. Del resto il marketing sociale, lo sviluppo di partnership profit / non profit, il bilancio sociale, le fondazioni d’impresa, il microcredito, sono soltanto alcuni esempi di iniziative concrete realizzate a fianco di numerose imprese (Becchetti, 2003). 5 “Marketing e comunicazione nello sviluppo della cultura della prevenzione” 4. Il contributo del marketing etico e della comunicazione allo sviluppo della cultura della prevenzione oncologica Un ruolo determinante in questo contesto è svolto dalla comunicazione sociale. Questa costituisce a tutti gli effetti la cristallizzazione e la primaria manifestazione del marketing sociale. Slegata com’è dall’ottica del profitto, la comunicazione sociale persegue il duplice obiettivo di emergere dalla massa indistinta della classica pubblicità e di imporsi all’attenzione di uno spettatore oramai saturo di messaggi pubblicitari. Seguendo tale percorso, il marketing e la comunicazione sono evoluti verso nuovi modelli a sostegno non tanto solo del business, ma anche dei messaggi sociali (Magatti, 1998; Birindelli, 2002). Ed essendo spesso gli argomenti oggetto di tale comunicazione poco piacevoli, l’impresa sembrerebbe ancora più ardua. Per lasciare la propria traccia, la comunicazione sociale ha bisogno di un messaggio forte, e la tendenza di questi ultimi anni spinge proprio in questa direzione (Birindelli, 2002). Gli approcci didascalici, intrisi di pseudo-paternalismo, o retorici, risultano ormai superati: oggi le nuove armi della comunicazione sociale sembrano essere l’ironia ed il terrore7, anche se in tempi recentissimi alcune imprese impegnate in campagne sociali hanno utilizzato messaggi più soft, prive di immagini e contenuti “duri”8. Ciò che accomuna e caratterizza tutti i messaggi di comunicazione sociale, emessi da diverse fonti, è il ricorso alle tecniche ed agli artifici retorici messi a punto dalla pubblicità commerciale. Tuttavia, nella comunicazione sociale l'interesse e l'attenzione vengono sollecitati non per vendere un prodotto, ma per proporre un comportamento, stimolare un atteggiamento, promuovere un'idea o un valore. Insomma, dovrebbero essere evitate strategie d'urto gratuite, che si rivelano spesso inefficaci perché non contribuiscono a far affrontare in modo sereno la questione proposta. Né, d'altra parte, la comunicazione sociale può permettersi - dati i temi che il più delle volte affronta - una rappresentazione edulcorata, patinata, iperbolica della realtà. Da questo punto di vista, nella comunicazione e nel marketing sociale si deve comunque ricorrere all'uso di artifici retorici tipici della pubblicità commerciale, quali, ad esempio, il colpo di scena, lo spiazzamento del destinatario del messaggio, il gioco di parole, vale a dire tutto il ricco armamentario di cui si serve l'advertising classico per attirare attenzione e consenso. 7 Nei paesi latini solo negli ultimi anni è possibile verificare un lieve cambiamento in questo senso, ma le resistenze sono ancora forti. Le ragioni sono culturali: ad un’etica protestante che promuove una forte responsabilizzazione del cittadino si contrappone un approccio pedagogico ed etico tipico della mentalità cattolica. Ma il cittadino si sente quasi deresponsabilizzato, e la tendenza è quella di incolpare le istituzioni. Le quali, peraltro, hanno effettivamente la loro parte di colpa: in Italia ad esempio l’investimento statale in comunicazione sociale è fra i più bassi in Europa, e le poche campagne finanziate vengono volutamente realizzate con toni blandi, così da non urtare la suscettibilità di nessuno. Con il risultato di essere inefficaci. Difatti ciò che viene venduto non è un prodotto, come nella comune pubblicità. Bensì la soluzione ad un problema che provoca ansia. 8 Si veda ad esempio la recente campagna televisiva di Heineken per la guida sicura, in cui non sono riportate immagini di incidenti, feriti o altro, ma solo un cane preposto al supporto di un non vedente che – dopo aver bevuto della birra caduta a terra - inizia a barcollare. 6 “Marketing e comunicazione nello sviluppo della cultura della prevenzione” Ma, se questo è il contesto in cui si delinea la comunicazione sociale, quali sono gli elementi-chiave della comunicazione nel campo specifico della medicina e della prevenzione del cancro, dove gravi aspetti emotivi, sfida contro tabù e disagio personale, si mescolano indissolubilmente? Anzitutto, l’organizzazione di una campagna di comunicazione, che veda il marketing etico alla base della formazione di una cultura della prevenzione oncologica, è un obiettivo che può essere raggiunto se i principi sui cui si basa la comunicazione vengono condivisi, al momento della sua progettazione, da epidemiologi, clinici, psicologi ed esperti di comunicazione. La strategia di comunicazione deve, infatti, tenere conto dei soggetti interessati, delle diverse richieste che vengono dai pazienti e dagli specialisti, delle peculiarità dei diversi mezzi di comunicazione (opuscoli, seminari, colloqui medico- paziente, giornali e mass-media, ecc.), e finanche del differente linguaggio da usare a seconda dell’interlocutore a cui ci si rivolge e delle azioni da realizzare (corsi di comunicazione per gli operatori sanitari a contatto con il pubblico, organizzazione di momenti di incontro, conferenze stampa, siti internet, ecc.). In secondo luogo, alla base della comunicazione per la prevenzione oncologica è importante che vi sia un’informazione completa, condivisa, onesta ed equilibrata. Ciò deve riguardare diverse dimensioni della comunicazione: dall’illustrazione dei valori e della logica che sottendono la proposta, ai limiti delle procedure adottate, fino ai vantaggi ed agli effetti negativi possibili. Si tratta di elementi cruciali che, per tradursi in azioni efficaci, devono rientrare all’interno di una vera e propria “strategia di comunicazione”, che trasformi la comunicazione stessa in una risorsa in materia di prevenzione della salute (Federici, 2002). Una strategia che deve tenere conto di molti fattori, sia sul piano dei contenuti da comunicare che sul modo in cui farlo. Ad esempio, risulta importante veicolare dei messaggi che non lascino nel destinatario l’impressione di qualcosa di oscuro, che in campo oncologico rischia di assumere - nell’immaginario del pubblico ricevente - un significato spettrale. Una migliore informazione sulle implicazioni delle diverse proposte di diagnosi precoce (lo screening organizzato e l’approccio clinico) dovrebbe mettere in condizione gli individui di sapere cosa aspettarsi, in termini di vantaggi e svantaggi, sia che aderiscano ad un programma di screening, sia che scelgano un diverso approccio alla diagnosi precoce. In tale ambito, un terzo elemento di primaria importanza è costituto dall’analisi del target (bersaglio) cui ci si rivolge, inteso come porzione di popolazione da raggiungere. Ciò che in particolare assume rilevanza è lo studio e l’analisi delle diverse aspettative e delle conoscenze della porzione di popolazione cui viene rivolta la campagna. È probabile, infatti, che gli individui esposti al messaggio comunicativo non comprendano facilmente o non siano abituati a termini tecnici difficili (come ad esempio anticipazione diagnostica inutile, sovradiagnosi e sovratrattamento). 6. Considerazioni conclusive 7 “Marketing e comunicazione nello sviluppo della cultura della prevenzione” “Comunicare la salute” oggi significa soprattutto entrare a contatto con un mondo che si sta modificando: accanto ai processi infettivi, sta crescendo l’importanza degli stili di vita, dei comportamenti e in generale di tutte le azioni che possono portare alla prevenzione della malattia (Federici, 2002). Oggi più che mai al centro dell’attenzione c’è la prevenzione, termine fin troppo abusato che racchiude tutte quelle azioni di provata efficacia che possono allontanare lo spettro delle malattie trasmissibili e non. Si è visto che nel mondo della prevenzione sanitaria – ed in particolare di quella oncologica - la comunicazione svolge un ruolo di primissimo piano9: sono infatti le persone stesse a dover scegliere di partecipare al processo che le porta a fare prevenzione, cambiando stile di vita e sottoponendosi regolarmente a controlli. In questo senso gli attori in campo (i soggetti istituzionali e le imprese) non possono condurre la comunicazione in modo passivo, limitandosi cioè a rispondere alle domande che vengono poste loro: devono invece farsi soggetti attivi di una comunicazione che deve raggiungere persone che non hanno un problema e riuscire a convincerle di non averlo nemmeno in futuro. Ma per una comunicazione efficace non basta pensare ad una serie di azioni che permettano il semplice passaggio di informazioni: tutto deve rientrare all’interno di una strategia di comunicazione che, proprio come una sorta di piano di battaglia, pianifichi la via migliore per raggiungere il bersaglio. Come abbiamo visto, la strategia di comunicazione dovrà tener conto di molti fattori: i soggetti interessati, le diverse richieste che vengono da pazienti e dagli specialisti, i differenti mezzi di comunicazione, il linguaggio da usare a seconda dell’interlocutore a cui ci si rivolge e delle azioni da realizzare. In questo senso è indubbio che i mass-media svolgono una funzione importante nel condizionare le aspettative dei cittadini rispetto alla salute ed alle diverse terapie. Basti pensare a quanti medici lamentano in occasioni pubbliche e private (come convegni o liste di discussione), l’abitudine dei pazienti di presentarsi in studio il giorno dopo una trasmissione televisiva che ha illustrato i vantaggi di una nuova, futura, terapia “pretendendo” di ottenere subito la prescrizione. La gestione del rapporto con il mondo mediatico deve essere attentamente programmata in modo da migliorare anche la qualità delle informazioni che passano al pubblico da giornali, tv e internet. Esaminando in profondità l’attuale comunicazione sulla prevenzione sanitaria, si osserva spesso l’incapacità di inquadrare l’argomento nei suoi diversi aspetti e implicazioni. Altri strumenti potrebbero e dovrebbero essere messi in campo10: oltre alla messa a punto e 9 La comunicazione svolge un ruolo fondamentale anche se osservata ex post: nella comunicazione medico-paziente successiva alla diagnosi tumorale, vi è il coinvolgimento di diverse figure professionali (psicologo/psichiatra, oncologo, infermiere, assistente sociale, volontario) che entrano in sostegno non solo al paziente, ma anche al medico, affinché questi possa confrontarsi in modo adeguato con il momento di comunicazione della diagnosi di neoplasia e con le problematiche ad essa connesse. Oggi si ritiene che una comunicazione efficace con i pazienti malati di cancro rappresenti un’importante componente nel piano di cura. Un buon scambio di informazioni può ridurre difatti l’angoscia del paziente e migliorare il suo grado di collaborazione. 10 La LILT (Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori) ha recentemente rafforzato il proprio impegno e quello delle 103 Sezioni Provinciali nella diagnosi precoce dei tumori della mammella e della cervice uterina, convinta che i successi ottenuti in termine della riduzione della mortalità per i tumori della mammella e dell’incidenza dei tumori della cervice siano certamente dovuti anche ad una maggiore sensibilizzazione e attenzione delle donne alla prevenzione e alla dedizione di migliaia di volontari attivi in tutto il Paese. I programmi di screening vanno 8 “Marketing e comunicazione nello sviluppo della cultura della prevenzione” distribuzione di materiale informativo per i giornalisti, dovrebbero essere organizzate conferenze e incontri periodici con la stampa e momenti di dibattito su argomenti controversi e di attualità. Emerge anche la necessità di continuare ed estendere il periodo di monitoraggio per confermare e aumentare la significatività delle indicazioni emerse. In questo senso potrebbe essere interessante concentrare maggiormente l’attenzione sulle riviste, considerate, come i periodici, più letti dai destinatari del messaggio di prevenzione, aumentando il numero di testate da monitorare. Non c'è dubbio sul fatto che nell'ultimo decennio la percezione e la sensibilità dei cittadini nei confronti della salute in generale e della prevenzione in particolare, siano cresciute in modo significativo. Molto è stato fatto, ma molto resta ancora da fare. Soprattutto nei confronti del 55 per cento degli italiani che, a tutt'oggi, non pratica alcuna forma di prevenzione. Alimentazione, stili di vita, check-up annuali, diagnosi precoci, rappresentano ormai elementi strettamente connessi alla vita di tutti (anche se non ancora da tutti seguiti). Oggi si registrano annualmente oltre 270 mila nuovi casi di tumore e circa 160 mila decessi. Tra malati, pazienti guariti, nuovi casi e persone in cura, il dramma della malattia coinvolge ancora oltre un milione e mezzo di persone. Non c'è dubbio, in termini di sopravvivenza, che la situazione sia nettamente migliorata, grazie alle scoperte scientifiche, ad una diagnostica più sofisticata e ad un maggior ricorso all’anticipazione diagnostica. Ancora oggi, però, tra le 60 e le 80 mila persone potrebbero ogni anno essere salvate con interventi di prevenzione primaria e secondaria e di queste almeno 25 mila dalle campagne di “screening” per i tumori della mammella, del collo dell'utero, del colon retto, della prostata e del melanoma11. Da quanto detto emerge che il potenziale contributo del marketing e della comunicazione sociale alla formazione di una cultura della prevenzione oncologica è ancora molto elevato. Tuttavia, solo attraverso un approccio “reticolare” fra i diversi attori coinvolti, in cui ognuno fornisce conoscenze specifiche ma allo stesso tempo assorbe esigenze e metodologie diverse dalle proprie, è possibile realizzare campagne di comunicazione efficaci in grado di incidere significativamente sull’uso corretto ed equilibrato della prevenzione. Bibliografia Backman J. (1975), Social responsibility and accountability, New York University Press, New York 11 sviluppandosi sia in termini quantitativi sia qualitativi, conformemente a quanto raccomandato dal Piano Sanitario Nazionale e dai recenti documenti elaborati dal Parlamento Europeo. Sicché il lavoro svolto dall’Osservatorio della LILT diviene un prezioso strumento per monitorare l’attività in ambito nazionale, come peraltro riconosciuto dalle stesse Regioni. I dati riportati nel testo sono tratti dal sito www.legatumori.it. 9 “Marketing e comunicazione nello sviluppo della cultura della prevenzione” Becchetti, L. (2003), Finanza etica, commercio equo e solidale, Donzelli, Roma. Birindelli, G. (2001), La responsabilità sociale delle imprese e i nuovi strumenti di comunicazione, Franco Angeli, Milano. Birindelli, G. (2002), La Business ethics e la comunicazione esterna di impresa, Franco Angeli, Milano Bowen H. R. (1953), Social responsibilities of the businessman, Harper & Brothers, New York Cannon, T. (1992), Corporate Responsability, Pitman, London. Chiesi A. (2000), Il Bilancio sociale, Il Sole 24 Ore, Milano. Corno, F. (2002), L'etica nel governo dell’impresa, Guerini & Associati, Milano. Davis K. (1960), “Can business afford to ignore social responsibilities?”, California Management Review, Spring, 2, 15. De Pauli S. (2004), Il valore dei valori : comunicare la responsabilità sociale d’impresa, Guerini Studio, Milano. Drucker P.F. (1972), “The concept of the corporation”, in Business and Society Review, Autumn. Farmer, R. (1973), Corporate social responsability, Science Research Associates, Chicago. Federici, A. (a cura di) (2002), Le parole della nuova sanità, Il Pensiero Scientifico, Roma 2002. Felici, G. (2003), Premesse ed evoluzione del bilancio etico-sociale, Franco Angeli, Milano. Friedman M. (1970), “The social responsibility of business is to increase its profits”, The New York Times Magazine, September Friedman M. (1987), Capitalismo e libertà, Studio Tesi, Pordenone. Golinelli, G.M. (2000), L'approccio sistemico al governo dell'impresa, Volume I L'impresa sistema vitale, Cedam, Padova. Goodman M.B. (1998), Corporate Communications for Executives, State University of New York, New York. Magatti, M. (1998), L'impresa responsabile, Bollati Boringhieri, Torino. Manfredi F. (2000), “Il marketing delle iniziative sociali”, in Economia & Management, n. 4. Marchesini, G. (2003), L'impresa etica e le sue sfide, EGEA, Milano. McGuire J.W. (1963), Business and Society, McGraw-Hill, New York. Molteni, M. (2004), I modelli di responsabilità sociale nelle imprese italiane, Franco Angeli, Milano. Pezzini, A. (2003), Le piccole e medie imprese in Europa, Rubbettino, Catanzaro. Pucci, L. & Vergani, E. (a cura di) (2002), Bilancio sociale nel terzo settore, EGEA, Milano. 10 “Marketing e comunicazione nello sviluppo della cultura della prevenzione” Robert, H. M. (1987), Managing the corporate social environment, Prentice Hall, Englewood Cliffs. Sciarelli, S. (1996), “Etica aziendale e finalità imprenditoriali”, in Economia & Management, n. 6. Sciarelli, S. (1998), “Il governo dell’impresa in una società complessa: la ricerca di un equilibrio tra economia ed etica”, Sinergie, gennaio-aprile. Sciarelli, S. (1999), “Responsabilità sociale ed etica d’impresa: una relazione finalizzata nello sviluppo aziendale”, in Finanza, Marketing e Produzione, n. 1. Vermot-Gaud, C. (1986), La politique sociale de l'entreprise, Editions hommes et techniques, Paris. www.legatumori.it www.mymarketingnet.it 11