Filosofia Contemporanea L’antropologia cristiana tra modernità e postmodernità di Ignazio Sanna Chiave di lettura: Post-modernità costringe a pensare e dire diversamente Dio, ma non a pensare e a dire un Dio diverso. Nel far ciò bisogna fare attenzione a stabilire un buon rapporto tra fede e ragione, tra sapienza dell’amore e amore della sapienza, senza confusione né divisione. Post-moderno: Vita e pensiero che si allontano dalle idee della modernità: un’unica razionalità logico-metafisica, progresso legato a conoscenza tecnica e unica verità filosofica e religiosa uguale per tutti. Si ha così l’avvento del pensiero debole con conseguente crisi della ragione. Per confrontarsi con questa postmodernità non si deve né condannare pregiudizialmente, né assimilare acriticamente, ma discernere conciliarmente. Il discernimento parte dal riconoscere una certa reciprocità tra ciò che la Chiesa ha dato e da al mondo e viceversa. Un buon rapporto federagione si ha avuto solo nel Medioevo in cui si è visto come tra il metodo filosofico e quello teologico non c’è opposizione, ma solo diversità di metodo d ricerca. Vediamo quindi gli approcci alla visione dell’uomo del mondo e quello della fede (che sono sempre stati molto miscelati): Molteplicità di antropologie: Qualsiasi epoca storica ha avuto la sua antropologia ed oggi vediamo un uomo come composto da molti fattori che però non ne è la semplice somma. Proprio per questo antropologia è la scienza incompiuta per eccellenza. Oggi la domanda antropologica non è più “Chi o cosa è l’uomo”, ma “Che cos’è, cosa significa essere uomo”. Antropologia cristiana: Cristianesimo ha avuto sempre una sua concezione antropologica che ha contribuito a conoscere meglio la natura ed il destino dell’uomo visto come immagine di Dio e come tale essere in relazione. ANTROPOLOGIA DELLA MODERNITÀ. “Via moderna” è nata nel ‘300 in contrapposizione alla “via antiqua” dei vari Tommaso, Agostino, Scoto ecc. e a cui appartenevano i nominalisti, capeggiati da Guglielmo da Hockam. Man mano il termine “moderno” assume valore ideologico ed indica un atteggiamento critico, razionale e scientifico in contrapposizione al dogmatismo tradizionale: o A livello epistemologico la modernità è caratterizzata dal primato della conoscenza scientificocritica, estesa al campo della tecnologia, in seguito alla matematicizzazione della natura. La rivoluzione scientifica è vista infatti come la nascita del mondo moderno. o A livello sociale la libertà viene intesa solo come emancipazione, il progresso porta ad un dominio progressivo della natura vista solo come materia prima. Ciò ha portato da una parte ad un miglioramento delle condizioni di vita, dall’altro ad un pianeta insanguinato come non mai nel passato, tanto che il millennio appena terminato è stato quello con il maggior progresso scientifico e tecnologico, ma anche con il maggior regresso politico e morale. Per Henry De Lubac, la modernità è una variegata realtà nella cui filigrana è possibile distinguere due orditi (entrambi presenti nel pensiero cristiano e mondano): Immanentista che con Cartesio ha iniziato a sganciare la dimostrazione di Dio dalla Rivelazione cristiana legandola semplicemente alla ragione umana, che arrivò così alla sua autosufficienza riducendo il Cristianesimo a semplice dialettica della ragione. Fedele alla tradizione, che si identifica in tutti quei tentativi che sono stati fatti per aggiornare la lettura sapienziale della storia da parte della teologia. Sulla cronologia della modernità non sono comunque tutti d’accordo perché il problema non sono eventi tanto gli eventi storici, quanto la loro interpretazione. In generale comunque si fa cominciare con la nascita dell’Umanesimo/Rinascimento e la Riforma Luterana anche se T.K. Rabb dice che inizia con la fine delle guerre di religione intorno alla metà del ‘600, per R. Koselleck invece inizia tra metà ‘700 e metà ‘800 vista la maggior importanza di Rivoluzione francese e industriale. Comunque Sanna si avvale dello studio dello studio di G.Penati che, limitandosi all’ambito filosofico occidentale, delinea quattro orizzonti: Classico, in cui si parla della natura come principio costituito ed immutabile, entro cui si realizza la natura stessa dell’uomo, degli stessi dèi e del fato. Medioevale, in cui l’ordine della natura si trova di fronte alla libertà creativa dell’assoluto che si esprime nelle parole della Sacra Scrittura ed il tempo viene elevato nell’eternità lasciando l’uomo sospeso escatologicamente fino all’ultimo di fronte al giudizio di Dio. Moderno, che si viene a creare dal tramonto di queste attese escatologiche per ridurle ad attese mondane e storiche. Si ripone così una fiducia illimitata nei miti della conoscenza e del progresso. Post-Moderno, che nasce a sua volta dalla caduta della fiducia in questi miti. Per il Penati le tappe della modernità sono: I. Una prima (che va da metà ‘500 a metà ‘600) in cui si hanno i padri del sapere critico moderno: Bacone, Galileo e Cartesio che fondano, con la scienza galileiana ed il razionalismo cartesiano, l’evidenza assoluta esclusivamente su rapporti matematici quantitativi o quantificabili. II. Questa prima tappa prepara le basi per una seconda (che va da metà ‘600 a metà ‘700) in cui sul sapere matematico-meccanicista prevale il sapere storico inteso come una nuova dimensione critica e pragmatica, come un banco di prova dell’efficacia riformatrice della Ragione. È il secolo di Leibniz, G. B. Vico, G. E. Lessing e J. G. Herder. Dal principio del “Cogito” si passa quindi a quello del “Verum Ipsum Factum”. III. Questo tentativo di estensione del potere della ragione al mondo storico e la nascita del progetto di una scienza storica, provocarono però nell’illuminismo la crisi del modulo seicentesco fisiconaturalistico e spinsero, in una terza tappa (che va da metà ‘700 a metà ‘800) alla ricerca di nuovi fondamenti della conoscenza. I principali responsabili di questi fondamenti furono J. J. Rousseau e I. Kant per un verso e G. W. F. Hegel per un altro. Il primo perché vede nel sentimento e non nella ragione la fonte della conoscenza umana, il secondo che limita il conoscere allo spazio-tempo ed introduce il concetto morale del “Sapere Aude”, dell’avere il coraggio di sapere (tanto che Lessing e Konigsberg sostengono che la Rivelazione è come una “levatrice” che aiuta a generare valori che la ragione riesce a conoscere anche da sola) ed infine il terzo per cui tutto ciò che è reale è razionale e viceversa e quindi solo la filosofia può salvare l’uomo e non la religione; egli toglie poi la natura dal centro, ponendovi l’uomo. Con Hegel ha termine la modernità. Relativo al problema di una datazione della modernità è legato anche il problema della sua causa, sintetizzando si può dire che l’età moderna è maturata da una serie di tradizioni diverse (passaggio da una teologia della storia ad una filosofia della storia secondo K. Lowith; passaggio da una curiosità vista come vizio ad una vista come virtù, molla del sapere secondo H. Blumenberg; progettazione di un umanesimo prima parallelo, e non in antitesi, e poi alternativo a quello cristiano secondo F. Botturi; causa non voluta della Riforma che portò a conflitti di religione e alla ricerca di stabilità non più nella religione secondo Pannenberg ecc.), che si possono combinare tra di loro, ma che anche conservano sempre una loro specifica originalità. La modernità porta poi a molte conseguenze sotto molti aspetti: Culturale; con il soggettivismo, l’autonomia della coscienza, il primato della ragione, l’immanentismo, la libertà assoluta ed il progresso indefinito. Politico; con la democrazia liberale, distinzione tra politica e religione, separazione tra Stato e Chiesa, privatizzazione della religione, primato della legge ed uguaglianza di diritti. Scientifico; con l’assoluta fiducia nella “razionalità scientifica” e quindi nella capacità della scienza e della tecnica di portare l’umanità ad un livello sempre più alto di progresso e benessere materiale. Sociale; con la mobilità ed il cambiamento continuo (che è l’incessante superamento e miglioramento dei modelli anteriori), la cultura di massa mediante la diffusione capillare degli strumenti di comunicazione sociale, la dissoluzione della famiglia patriarcale con conseguente riduzione della fecondità e passaggio dalla vita contadina, rurale a quella industriale, urbana. La stagione della modernità è poi contrassegnata da quattro grandi Rivoluzioni: Culturale (massima espressione nell’Illuminismo), Scientifica (inaugurata da Galileo e Newton), Politica (da Monarchia a Repubblica) ed Industriale.Si passa così da una visione geocentrica, religiosa e soprannaturale ad una antropocentrica, terrestre e naturalistica. Le caratteristiche dell’antropologie della modernità. Solo all’uomo sono affidati responsabilità destino personali e dell’intera umanità ed il mondo è diventato cosa” e sottoposto al dominio dell’uomo; l’uomo è diventato infatti “persona” ed unico interlocutore di Dio di cui viene accentuata la umanizzazione che ha portato alla deificazione dell’uomo, e conseguentemente alla coscienza umana come unico criterio di veridicità. L’uomo è così diventato indipendente da qualsiasi forma di autorità esterna (Bacone), unico artefice del proprio destino (Hegel) e creatore della propria vita solo quando si allontana da Dio (Marx). Questa centralità dell’uomo non è di per sé un fatto negativo, perché comporta una riconquistata coscienza delle proprie responsabilità, ma lo diventa quando pretende di essere in contrapposizione alla presenza creatrice e sostentatrice di Dio nel mondo. Vediamo ora i vari modelli antropologici della modernità: o Fondato sul primato della ragione. La ragione assorbendo Dio ha affogato in sé ogni alterità ed ha abbattuto quindi ogni limite che le è insopportabile e dando origine così a tutte le varie ideologie, nelle loro forme teoriche (Kant, Hegel e Marx) e pratiche, che sono espressione di questa fame e sete di totalità. La parola d’ordine di questo modello è quindi emancipazione. o Fondato sul primato della scienza. Non si presuppone più nessun dogma, formulato, ipotesi, forma di discussione religiosa, retorica, metafisica, morale e politica, l’unico metro di conoscenza è l’esperienza. Conseguenza di ciò è l’ottimismo scientifico, grazie cioè all’uso della scienza e della tecnica si possono eliminare i mali della malattia, della povertà, dell’ignoranza e dell’oppressione. o Fondato sugli ideali di libertà e democrazia. Gli ideali di libertà, uguaglianza e fraternità sono alla base di ogni forma di convivenza civile e di organizzazione democratica. Questo portò ad una antropologia immanentista, al sogno di costruire un mondo veramente umano sull’unico fondamento delle potenzialità dell’uomo, ma ciò diede il via libera al nichilismo in campo filosofico, al relativismo in campo gnoseologico e morale al pragmatismo ed all’edonismo nella configurazione della vita quotidiana. Molta importanza hanno avuto questi ideali per la nascita della tolleranza che oggigiorno, in questa società multietnica scricchiola un po’ lasciando spazio al consenso i cui principi teorici sono il “pluralismo ragionevole” ed un “consenso per sovrapposizione”. Il rapporto della Chiesa con questi tre modelli antropologici oggigiorno è di grande stima verso le istanze da loro portate: l’importanza dell’uso della ragione entro però i suoi limiti (DS 3018 e FR); dell’uso della scienza e della tecnica che esprimono la signoria dell’uomo (CCC 2293) a patto che esse non vogliano insegnare cosa fare e in cosa sperare (FR 88). Ora bisogna vedere il rapporto del Cristianesimo con la modernità: Cristianesimo come culla della modernità. Dal punto di vista storico, geografico, spirituale ed intellettuale la nascita del mondo moderno affonda le radici nella cristianità. Sant’Agostino infatti da una parte ha trasformato la concezione greca di tempo ciclico in un percorso dell’anima e dall’altra ha assegnato un ruolo fondamentale all’uomo e alla sua interiorità, piuttosto che alla natura, nei processi di conoscenza delle verità della fede, inaugurando la svolta antropologica. La Bibbia poi ha segnato profondamente tutta la storia e la cultura occidentale, lo stesso supporre che Dio creasse il mondo vuol dire che il mondo non è divino e come tale è contrapposto a lui in una relativa autonomia. Il monachesimo poi ha dato un contributo fondamentale per lo sviluppo di agricoltura a arte. Metz infatti sostiene che la mondanizzazione del mondo è sorta grazie al cristianesimo. Conflitto tra Cristianesimo e modernità. La Chiesa Cattolica ha accompagnato la storia europea moderna ed il nascere di molte idee con un atteggiamento più o meno difensivo, che le costò parecchi ritardi storici e un ostracismo teologico che resero difficile una coniugazione creativa della storia della religione con quella della libertà, portando al cattolicesimo intransigente. La Riconciliazione del cristianesimo con la modernità. La Teologia protestante del XIX secolo non fece fatica ad accettare le impostazioni e le tesi della modernità anche se in alcuni campi i furono delle difficoltà, primo fra tutti l’interpretazione letterale della Sacra Scrittura alla quale si veniva ad affiancare una lettura effettuata con il metodo storico-critico. F. Schleiermacher, il fondatore dell’ermeneutica moderna, fu anche il primo a provare una sorta di teologia della riconciliazione, perché per lui l’essenza della religione non era nel pensiero e nella azione, ma nell’intuito e nel sentimento. Morale e Metafisica infatti mantenevano l’incolmabile intervallo tra il finito e l’infinito, ma l’esperienza religiosa è tutta nel “sentimento di dipendenza” che l’uomo avverte di fronte all’Infinito ed il Cristianesimo è la religione perfetta perché tutti i suoi contenuti attestano e suggeriscono questo sentimento fondamentale. Si tenta così una riduzione antropologica della religione. A. von Harnack pensava invece di raggiungere per mezzo della critica storica di giungere alla piena conoscenza del Gesù storico che sarebbe totalmente diverso dal Gesù della fede delle prime comunità primitive. Egli insieme a Troeltsch fondò la teologia liberale i cui assunti erano: Assunzione rigorosa del metodo storico-critico e dei suoi risultati; relativizzazione della tradizione dogmatica della Chiesa e della cristologia; lettura prevalentemente etica del cristianesimo. Tutto ciò in sintonia con quell’ottimismo liberale che tentava di armonizzare il più possibile la religione cristiana con la coscienza culturale del tempo, facendo diventare il vero spazio in cui la religione dell’individuo moderno potesse dispiegarsi lo stato moderno. La religione cristiana venendo vista come fenomeno storico perdeva così lo status di religione assoluta, perché storicamente il concetto di assoluto prende il valore di alta validità. Il paradigma liberale venne comunque duramente contestato dalla teologia dialettica di K. Barth che rifiutava ogni tentativo di riconciliazione tra modernità e fede cristiana e per cui nessun cammino umano può condurre dall’uomo a Dio, i quale rimane il Totalmente Altro, il Deus Absconditus. Nel campo della Teologia cattolica M. Blondel disse che per gettare un ponte tra la modernità ed il cattolicesimo bisogna mettere da parte l’antica apologetica, che fa uso del metodo storico, ma non aderisce alla realtà soprannaturale, per passare all’apologetica del metodo dell’immanenza, che si propone di individuare le tracce del soprannaturale (la cui presenza è solo un’ipotesi) nella vita dell’uomo. Questo tipo di ricerca del trascendente contraddistinse le teologie cattoliche del XX secolo che cercavano le tracce del mistero cristiano nelle realtà umane, sociali, politiche e culturali con un crescente interesse per la storia dell’uomo e dell’universo, fino ad arrivare alla teologia esistenziale soprannaturale di K. Rahner che interpretò l’uomo come uditore della Parola, Parola che illumina ogni uomo e la Creazione che possono essere interpretati alla luce del mistero di Cristo e dela sua interpretazione calcedoniese che vedeva Gesù perfetto nella divinità e nell’umanità in due nature inconfuse ed immutate, indivise ed inseparabili. In conclusione si può dire che il rapporto teso tra modernità e fede da un lato, con il razionalismo ed il naturalismo, ha provocato danni nel campo del pensiero, della politica e dell’economia e dall’altro il fideismo ed il fondamentalismo sopranaturalistico hanno tollerato forme di oppressione materiale e spirituale danno della dignità della persona, che nel nome della verità provocò le persecuzioni di eretici, infedeli e seguaci dell’Islam. Ora si è capito che nel rapporto con il mondo ci vuole un atteggiamento positivo e che, grazie alla costituzione pastorale Gaudium et spes, bisogna rinunciare alla costituzione di uno speciale mondo cristiano o cattolico, separato dal resto del mondo. Inoltre si è capito che se l’uomo non è il libero e responsabile interlocutore di Dio, allora si ribella a Lui per autocostituirsi. È allora necessario ridare Dio all’uomo, per poter ridare l’uomo a Dio e se la stagione della modernità viene interpretata all’interno di una prospettiva storico-salvifica si vede come ha contribuito a valorizzare la ragione dell’uomo e la sua libertà. LA POSTMODERNITÀ: MODERNITÀ SUPERATA O MEDERNITÀ INCOMPIUTA?. Tra la fine dell’800 e la prima metà del ‘900, il concorrere di nuovi fattori ha determinato una trasformazione radicale nell’uomo contemporaneo, facendo cadere il mito della ragione omnicomprensiva e liberatrice, producendo la perdita del gusto di farsi domande, perché si contestano non tanto le risposte quanto la legittimità di porsi degli interrogativi, si giunge al nichilismo teoretico che porta al disimpegno morale. Ha così inizio il razionalismo critico per cui nessuna conoscenza stabile può essere raggiunta nel campo scientifico come in quello filosofico, tutto deve essere criticato. Secondo alcuni filosofi si ha la fine della storia non perché se ne raggiunge il compimento, ma perché finisce si dissolve l’idea stessa di storia. Il concetto di postmodernità comunque accettato da tutti gli studiosi perché sulla sua natura ci sono due ipotesi: La modernità incompiuta. Per H. De Lubac si tratta infatti del compimento di quel periodo iniziato con il Rinascimento; per H. Kung si deve parlare invece di crisi della modernità che non riesce ad avere un progresso morale capace di controllare gli abusi conseguenti al progresso scientifico; per J. Habermas non si è ancora dissolto il programma di emancipazione della modernità, che si è arenato in seguito alle nuove condizioni di esistenza e che per riprendere slancio deve passare da una ragione soggetto-centrica (basata sulla logica del dominio che invece di portare gli uomini alla libertà li ha portati alla schiavitù) ad una ragione comunicativa, che si esplica nella dinamica del dialogo e che porta da una conoscenza degli oggetti ad una intesa tra i soggetti; lo stesso vale per K. O. Apel che cerca di dare una fondazione eticonormativa alla comunicazione interpersonale, visto che il linguaggio ha una valenza umanizzante; Taylor e V. Possenti bisogna essere dubbiosi di fronte a chi sostiene la nascita di una nuova epoca in senso stretto; per G. Morra il postmoderno non ha superato l’ateismo della modernità lo ha fatto semplicemente evolvere, passando da un ateismo dell’assimilazione (Dio e uomo sullo stesso piano) ad un ateismo della sostituzione (l’Uomo prende il posto di Dio) e poi ad un ateismo della dissoluzione (è indifferente creder in Dio o no, è una variabile soggettiva, che più che il vuoto di Dio vede Dio come vuoto); per K. Rahner poi è finita l’epoca moderna sta per finire, ma non tutta la problematica filosofica ed antropologica da essa sollevata e discussa, che va recuperata. La modernità superata. Certo che in base a come si concepisce la modernità, si concepisce il postmoderno, perché, scrive Kasher, perché si può far coincidere modernità con illuminismo le cui caratteristiche sono la scienza universale la passione del nuovo, oppure con il secolo ventesimo e allora la sua caratteristica sarà l’esperienza della pluralità, della discontinuità e della particolarità. A seconda della diagnosi formulata la “terapia postmoderna” si conigurerà come abbandono di ogni pretesa totalizzante o come ricerca di una nuova integrità (si veda il movimento New Age). La molteplicità di posizioni e di correnti sarebbe una delle caratteristiche principali della stessa postmodernità. Il passaggio effettivo dalla modernità alla postmodernità, secondo molti studiosi, viene in particolar modo attribuito all’apporto delle idee di: o F. Nietzsche. Egli è stato senza dubbio uno dei principali distruttori del soggetto e del congedo della metafisica, annunciato dalla morte di Dio, ovvero alla morte delle grandi verità, le idee, i valori, gli ideali, i principi primi, i criteri di certezza ecc. E questo per ridare il mondo all’uomo e l’uomo al mondo, dopo l’allontanamento generato dal cristianesimo. A livello antropologico vi è la nascita del superuomo che rovescia la dottrina dell’uomo-Dio Gesù Cristo, e sostituisce alla cristologia l’antropologia. Il superuomo sarà fedele alla terra e con al sua libertà assoluta potrà decidere del proprio destino, senza alcun fine a cui tendere, verso cui orientare la sua vita, il suo logos interiore è nell’essere non nel dover essere, tutto è radicato nel mondo istintuale. Ha così origine l’umanesimo nichilista. o M. Heidegger. La cui ricerca della verità dell’essere può essere articolata in tre fasi: Periodo post-fenomenologico ed esistenziale. Il linguaggio è fenomenologicoesistenziale e cerca di enunciare e descrivere forme e modi del porsi e dell’apparire della verità dell’essere entro e attraverso l’esperienza data dell’Esserc, del Dasein, che è il concreto io o soggetto umano. Non si tratta di descrivere ciò che appare, ma di valutarne il senso tramite il linguaggio. Abbandonata la prospettiva antropocentrica ed esistenziale passa all’apertura dell’uomo all’essere come costitutiva della realtà stessa dell’uomo e va alla ricerca di u linguaggio poetico che è disponibilità alla voce ed alla parola dell’Essere e non tentativo di esaurirlo o dominarlo a scopi umani. Nell’ultima fase approfondisce questo linguaggio attraverso l’esperienza speculativoermeneutica del linguaggio che essendo poetico è più ambiguo di quello filosofico e conferisce all’essere quel sovrappiù di interpretazione. Questo perché per lui la verità è non nascondimento, un ri-velarsi che rende noto ciò che era nascosto e non la verità fenomenologica vista come adeguazione reciproca di essere e pensare. L’essenza della verità è la libertà, per cui decisivo non è il pensare-agire umano, ma il libero e non predeterminabile darsi dell’Essere. Egli propone una concezione non-nullistica di umanesimo opposta a quella antropocentrica. Alla distruzione critica della metafisica che olia l’essere, Heidegger oppone, come via per la riconduzione al sacro e al Dio divino, il linguaggio concepito come “casa dell’Essere”, luogo di incontro con la verità autentica dell’uomo, che è illuminazione, portatore della verità che si rivela velandosi. L’antropologia heideggeriana vede un uomo: espropriato dell’essere, ma che è Pastore dell’Essere che viene prima di lui; espropriato della verità, perché questa gli si svela e si rivela in tutta libertà; espropriato del linguaggio come forma di comunicazione, perché il linguaggio possiede l’uomo; espropriato di un Dio personale, che non sa più con quale parola nominare Dio e con quali sentimenti pregarlo. La sua salvezza consiste nella ricerca di ciò che è veramente divino e di ciò che è veramente umano a partire dal vero senso dell’Essere. o L. Wittgenstein. La cui riflessione si è articolata sull’unico tema del linguaggio in due fasi: La prima caratterizzata dal Tractatus logico-philosophicus in cui sostiene che tra parole e cose e i fatti (il linguaggio comunque non può portare a Dio che non è un fatto) vi sia una perfetta adeguazione logica. Tende così alla ricerca di un linguaggio perfetto che dice fino a dove si può arrivare e lo stato delle cose che esistono <<I limiti del linguaggio sono i limiti del mio mondo>>. Wittgenstein nega alla logica un amito conoscitivo, distinto da quello del mondo e così per lui esistono vari tipi di proposizioni: Atomiche, che hanno senso perché riflettono la forma logica di un fatto. Tautologiche, che sono assolutamente possibili. Assolutamente impossibili. Le uniche due delle quali ci si può servire, che hanno senso, che sono verificabili e contraddittorie, sono le prime due. L’unico linguaggio quindi è quello scientifico, che si rapporta al mondo dell’esperienza unicamente per via empirica. Cadono così i linguaggi metafisici e quindi morali e religiosi. E siccome considera i problemi filosofici come non-problemi, invita a considerare il suo tractatus, che è un’opera filosofica, come una scala che occorre gettare dopo esservi salito. Allo stesso tempo però ammette l’esistenza del mistico definendolo come tutto ciò che supera i confini del linguaggio empirico. La seconda caratterizzata dall’opera Ricerche filosofiche nella quale si ha un passaggio dalla pretesa di ritrovare una forma universale di linguaggio alla descrizione dei modi in cui il linguaggio comune effettivamente funziona nel suo contesto concreto. Al linguaggio empirico infatti Wittgenstein preferisce la ricchezza e la molteplicità espressiva e comunicativa di quello ordinario che è punto di verifica e vero criterio di significanza, passa da un empirismo irrigidito in un unico modulo descrittivo ad uno liberalizzato ad una molteplicità di forme comunicative. Il compito della filosofia è quello di descrivere e non di spiegare il linguaggio comune, sorvegliando che siano rispettate le regole, i linguaggi metafisici sono comunque banditi perché abusano del linguaggio ordinario. E di Dio si deve tacere sul piano del linguaggio perché si trova fuori dal mondo, ne è il senso, e quindi non si presta al dominio della logica, ma sul piano dell’etica un credente che ama il suo prossimo verifica in mezzo al mondo l’esistenza di Dio, che non è di questo mondo. L’antropologia wittgenstaniana vede quindi un uomo incapace di trovare un senso logico delle cose, che è aperto ai “giochi linguistici” con i quali può dare e non dare senso alla realtà, che è chiuso alla comprensione di Dio che viene accettato come garante di senso dell’esistenza umana e dell’organizzazione civile della società. Da ciò risulta chiaro come la conquista principale della modernità ovvero la soggettività, sia stata demolita alla sua radice, da questi autori che sono chiamati proprio per questo i “padri del postmoderno”. Tanto Heidegger con il suo uomo visto come Pastore dell’Essere, che Wittgenstein per cui le cose sono esposte ad ogni interpretazione arbitraria hanno eliminato la consistenza ontologica del soggetto e dell’oggetto, distruggendo il concetto di una soggettività autonoma padrona del reale e fondamento di razionalità condivisa e facendo passare alla differenza ontologica tra l’uomo e l’Essere e alla molteplicità espressiva del linguaggio a cui va aggiunto il nichilismo etico e veritativo di Nietzsche. Vediamo quindi le coordinate di questa modernità in una triplice dimensione: Pluralistica (rinuncia al postulato dell’unitarietà del reale). Essa è in fondo un nominalismo cresciuto sempre più a causa della differenziazione dei modi di vivere, dei modelli di pensiero e dei sistemi di orientamento della vita e delle modalità di azione, della moralizzazione della religione e della differenziazione del sapere. Il postmoderno rispetto alle precedenti forme di pluralismo contiene un rifiuto formale del postulato dell’unitarietà del reale, negando ogni pretesa di esclusività che porti il contingente ad un livello di assolutezza, facendo diventare pluralistica la ragione stessa. In sostanza la verità, l’umanità e la giustizia sono concepite solo al plurale perché si prendono in considerazione gli uomini che cercano la verità e che vogliono vivere la pienezza della vita. È chiaro che una volta rifiutata la metafisica non si può non rifiutare anche la verità metafisica, al di là del mondo delle apparenze e della doxa per passare all’accettazione delle sole verità storiche, contingenti e precarie e alla non esistenza di una verità oggettiva ed immutabile, assoluta che si imponga sugli uomini. Si ha così il passaggio alla concezione pluralistica della verità che stona con le pretese del cristianesimo dell’esistenza di una verità definitiva che non sia sempre e solo mediata dal flusso storico, dalle norme sociali e dai comportamenti culturali ed alla creazione di cammini di verità concepiti come percorsi differenziati e che puntano a mete diverse, a verità diverse spesso anche in conflitto tra di loro. Comunque non solo la concezione e la rappresentazione della verità è in sé pluralistica, ma la stessa terminologia che rispecchia un pluralismo semantico dovuto alla diversità delle aree geografiche, delle epoche storiche, delle istanze culturali nelle quali essa è stata ricercata. Tutta questa dimensione pluralistica si è estesa anche alla filosofia provocando, nell’epoca moderna, la sua frantumazione in filosofie che hanno cercato di inglobare in sé la totalità dell’essere e hanno dato origine alle ideologie con tutte le conseguenze che si conoscono. Ciò ha fatto nascere nei filosofi postmoderni la convinzione che la filosofia non può dare risposte certe e definitive, non può descrivere e delineare strutture di pensiero universali, perché non esistono concetti universali, ma solo particolari. L’esistere di una verità relativa ha favorito la ragion pratica di H. G. Gadamer e la teoria dell’agire comunicativo di J. H. Habermas per cui la verità dipende dal consenso di tutti, è condizionata dalla cultura e dalla storicità influenzando anche la nascita di teologie come quella di D. Tracy per cui bisogna liberarsi dagli apriorismi metafisici per aprirsi alla storia e non essere tagliata fuori dal sistema di comunicazione egualitaria e democratica, proprio della società contemporanea. Sul versante etico questa concezione pluralistica della verità ha portato all’accentuazione di una estrema libertà individuale, per cui bisogna evitare ogni fissazione estendendosi anche al campo delle scelte religiose e portando al rifiuto di ogni dipendenza da Dio e dalla Chiesa. Ogni individuo così sceglie se essere religioso o meno tanto che la maggioranza dei non- religiosi è semplicemente indifferente al fatto religioso oppure si arriva all’assurdo di accettare la fede cristiana, ma non la sua morale. Sul versante teologico un’applicazione di questa concezione pluralistica è la nascita della teologia pluralistica delle religioni per cui Dio non può essere identificato con una sola figura storica determinata elevando il particolare a livello totale, trascurando la trascendenza incondizionata di Dio dal reale. Questa concezione paga alla lunga della separazione fenomeno-noumeno kantiana, per cui oggi ci si domanda se l’uomo sia ontologicamente rivolto verso l’assoluto o se non sia più possibile ciò e la fede è vista solo come una percezione interpretante. Su questa scia si basa P. F. Knitter per cui non bisogna più fondare l’epistemologia sul principio di noncontraddizione, ma sul concetto di relazione. La concezione relazionale di verità si adatta meglio ad una visione dialogica della medesima consente ad ogni religione di esprimere una sua verità. Contro questa concezione pluralista della verità si scaglia la Fides et Ratio al numero 83, che richiama la necessità di “una filosofia di portata autenticamente metafisica” perché “un pensiero filosofico che rifiutasse ogni apertura metafisica sarebbe radicalmente inadeguato a svolgere una funzione mediatrice nella comprensione della Rivelazione”, ma anche il card. Ratzinger denota che “l’impossibilità di andare al di là del fenomeno, dell’aspetto delle cose che ci appare, è divenuta addirittura dogma”. Estetica. In opposizione alle pretese moderne della ragione scientifica, la postmodernità oppone ad essa altre vie di conoscenza e di linguaggio, quali ad es. l’arte che permette di attingere al vero come bello.Ciò ha portato ad intendere in un modo diverso la razionalità non solo basata su logica e matematica come quella scientifica, ma anche su di una razionalità estetica basata sull’intensità delle emozioni, sull’autenticità dell’esperienza personale e quindi ola dimensione affettiva, sull’ammirazione e la contemplazione dei fenomeni umani e naturali. Esempi di filosofi che introducono quest’approccio all’estetica come percezione sensibile nel suo significato più ampio sono J. F. Lyotard, J. Derridà, M. Foucaul, J. Baudrillard, G. Vattimo e M. Cacciari. La verità quindi si impone non con la forza logica, ma con quella del simbolo e con la libertà di interpretazione, tanto che anche la realtà è divenuta apparente, fittizia, per cui solo un pensiero estetico è in grado di avvicinarsi ad una realtà costituita esteticamente. Vattimo dice che per far ciò è necessario dotarsi di un pensiero “debole” come quello poetico. Questo tipo di razionalità ha avuto influsso anche nella teologia e più precisamente in tutti quelli che hanno riproposto il ritorno del mito come via privilegiata per stabilire un contatto con l’assoluto, tanto che per il teologo-psicoterapeuta E. Drewermann al centro di ogni esperienza religiosa ci devono essere i veggenti e non i teologi, perché per “vedere”, “sentire” e “sperimentare” Gesù si devono privilegiare le sue immagini piuttosto che le sue parole, bisogna poi passare da una esegesi storico-critica della Parola di Dio ad una storico-psicologica, affidarsi di più ai sogni (che sono interiori e quindi gli archetipi) che alla parola (che è esteriore e come tale perviene al ricordo). Il limite della razionalità estetica è principalmente la soggettività che non garantisce un buon grado di oggettività visto che le esperienze estetiche sono sempre individuali e personali. Manca perciò una tavola di criteri universalmente validi che dia spessore etico e teoretico alla molteplicità dei fatti e dei comportamenti. Inoltre la paura di valutare oggettivamente parole e gesti delle arie istanze antropologiche (vita, sessualità, famiglia, lavoro, impegni sociali ecc.) secondo criteri etici, porta ad una neutralità appiattita. Nichilista. Affermatosi tra metà ‘800 e i primi del ‘900 oggi fa parte dell’autocoscienza del nostro tempo e che tocca in profondità la vita, il costume e l’azione dei contemporanei, manifestandosi in: crisi dei valori, relativismo intellettuale e morale, dissoluzione dell’idea stessa di verità, pessimismo orientato al declino, fine della concezione lineare e ascendente della storia tanto che una storia della salvezza come quella cristiana non ha più senso. Vi sono comunque diversi tipi di nichilismo nella storia: o Metafisico che nega la realtà sostanziale. Esso è incarnato da Heidegger che vede la salvezza dell’uomo e della cultura occidentale nell’accoglimento di un nichilismo ontologico, perché solo questo può rivelare il vero volto dell’Essere e quindi anche di Dio. Per lui bisogna dissaldare i concetti di Dio e di Essere per poter sprigionare la potenza del pensiero. Perciò questo nulla sarebbe solo una teppa per il ripensamento dell’Essere. o Logico-gnoseologico simile allo scetticismo e che esclude alla verità valore oggettivo. Esso è incarnato da Nietzsche, che è il capostipite del nichilismo, ne esistono di due tipi: uno buono, o attivo, che consiste nel negare valori, beni e verità del passato per sostituirli con quelli del superuomo ed uno cattivo, o passivo, che consiste nel rassegnarsi e lasciare che il mondo dei valori e termini tradizionali vada alla deriva per progressivo esaurimento, senza sostituirgli nulla in cambio. o Morale-politico conseguente ai primi due, che ha provocato: L’abbattimento di ogni confine tra bene e male. L’impossibilità di raggiungere una convergenza culturale sulla determinazione di ciò che è diritto e ciò che è pretesa. La rimozione di una memoria storica che comporta l’inesistenza di una identità socio-culturale con una parallela esistenza di tanti agglomerati sociali ed etnie, tante società improvvisate senza nulla in comune. Essa è frutto di una dissoluzione della storia, il presente diventa l’assoluto e del tempo, che diventa un contenitore vuoto, che viene riempito di fatti, eventi e persone e non come la dimensione che Dio stesso acquista dopo l’incarnazione, con conseguente perdita della speranza escatologica e dimensione teologica del tempo che conduce ad una mondanizzazione dell’eterno. Una conseguenza, di questo tempo senza fine, è la reincarnazione nella sua versione occidentale. Il vivere alla giornata senza sapere dove si stia andando. La coscienza non indica più un giudizio speculativo sulla moralità della propria azione, ma un giudizio sulla sincerità circa ciò che al momento si sente. Lo stato d’animo è di spaesamento, naufragio, estraniazione, disincanto, smarrimento e desertificazione e gli unici valori che contano sono abilità personale nel condurre gli affari,utilità economica e identità territoriale che in quanto tale però non sanno dare senso al peregrinare dell’uomo. Oggi il nichilismo, secondo V. Possenti, è quasi un principio radicale. Vediamo ora il postmoderno in Italia. I primi a parlare di crisi della modernità, pensiero debole e crisi delle avanguardie sono stati G. Vattimo e U. Eco. In particolar modo due sono i concetti che hanno avuto più diffusione: La fine della storia, postulata da G. Vattimo che utilizza il concetto di post-histoire di Arnold Gehlen, che è il dissolvimento di un processo unitario in una instaurazione di condizioni effettive che le conferiscono una sorta di immobilità, il progresso in poche parole è diventato routine facendo così svanire l’idea del nuovo e instaurando una specie di immobilità di fondo del mondo tecnico. Conseguenza di ciò è … Il pensiero debole, postulato da G. Vattimo e P. A. Rovatti, che porta ad affermare l’inesistenza di un filo unificante della storia, di un sapere globale che riesca a coordinare quelli particolari in una visione “vera” del mondo e finché l’uomo e l’essere continueranno ad essere pensati metafisicamente come strutture stabili fondate nel mondo del nondiveniente invece di aprirsi alla verità estetica, non sarà possibile al pensiero vivere positivamente quella vera e propria età post-metafisica che è la postmodernità. Per cui è più forte colui che è capace di convivere con il nulla e di sopportare la presenza del negativo. L’interpretazione vattimiana della postmodernità non raccoglie comunque molti consensi perché coniugando antimetafisica ed ermeneutica, racchiude il rischio per ogni sano pensiero di allontanamento dal vero e dall’essere. ANTROPOLOGIA DELLA POSTMODERNITÀ. I soggetti che stanno alla base di ogni cultura sono la cosiddetta triade metafisica: Dio, uomo e mondo. La modernità, essendo ancora pienamente intrisa di fede, ha letto questa triade come soggetti “forti” e più precisamente come: Creatore, creatura e creato. La postmodernità ha recepito la stessa situazione, ma facendo diventare i soggetti “deboli” originati dal dissolvimento della cultura cristiana. Ma vediamo le cause e le conseguenze dell’indebolimento di questi soggetti forti: Nella postmodernità non si mette in questione l’esistenza di Dio, ma piuttosto si pongono interrogativi sulla sua qualità: quale Dio si può concepire di fronte all’oppressione dei più deboli, alle barbarie dei popoli più civili, all’ingiustizia nella vita individuale e sociale? Come concepire una paternità divina quando nella vita si sperimenta solo come fatto biologico e non anche come umano-spirituale? Non trovando risposte convincenti il Dio cristiano viene sostituito da molti dei, dalle molte religioni e dai molti salvatori che propongono felicità e benessere a buon mercato. Ma vediamo le Cause dell’indebolimento della concezione di Dio: o Riflessione sulla tragedia di Auschwitz. È stata sollevata in modo particolare da voci ebraiche primo fra tutti H. Jonas e portata poi avanti da filosofi e teologi, in campo cattolico da J. B. Metz e in campo protestante da D. Solle, che hanno cercato di ripensare l’onnipotenza di Dio. Questo è diventato una specie di paradigma del male di cui è capace il genere umano. H. Jonas sostiene che accanto alla bontà divina si accompagni una sua assoluta impotenza ad intervenire nella storia del mondo, perché la fede ebraica dalla tradizione aveva ereditato l’idea di un Signore della storia e Auschwitz rimette tutto in discussione facendo sostenere a questo filosofo che Dio non intervenne non perché no volle, ma perché non poté, Dio tacque. E tutti gli eventi di dolore successivi hanno fatto da cassa di risonanza a questa tesi ea tutti gli interrogativi ad essa legati. La Chiesa ribadisce l’atteggiamento da tenere dicendo che: <<Noi crediamo fermamente che Dio è Signore del mondo e della storia, ma le vie della Sua Provvidenza spesso ci rimangono sconosciute>> (CCC 314). La Shoah ha fatto comunque scoprire un uomo che anche di fronte alle più tremende atrocità era capace di scelte morali, dividendo con gli altri l’ultimo pezzo di pane. o La fine della metafisica. Dovuta soprattutto a coloro che ritengono che la verità sia il risultato del consenso e non dell’adeguamento dell’intelletto alla realtà oggettiva. La ricerca concentrato la propria attenzione su problemi particolari. La struttura ontologica del tomismo della teologia naturale e dell’antropologia è stata utilizzata con successo per molti secoli, facendo passare però il concetto di grazia psicologico e dinamico dei primi secoli ad uno ontologico e statico. Con l’affermarsi delle ideologie della modernità si sono opposti gli assoluti terrestri a quelli trascendenti, facendo entrare in crisi l’impianto metafisico e cercando di sostituirlo con nuovi schemi di pensiero più storici ed esistenziali. Molti teologi nel XX secolo hanno così cercato una interpretazione esistenziale della fede cristiana, in contrapposizione a quella metafisica. Il motivo della caduta della metafisica in teologia, secondo P. A.. Sequeri, può essere identificato in due istanze autocritiche interne alla fede: Superamento del modello concettualistico-sistematico del sapere, troppo intellettualistico e che finisce per alimentarsi di una ragione filosoficamente determinata, anziché della Rivelazione Biblica. La Metafisica imprigiona l’essere divino e la sua relazione vitale con la storia (aaaargh!), occorre quindi un linguaggio più attento alla storia biblica e meno filosofico-metafisico, nche se Pannenberg ha fatto notare che senza un confronto con la metafisica la dottrina teologica di Dio, decade in un soggettivismo kerygmatico e nella demitizzazione. Dal punto di vista filosofico invece le cause di questa morte, per Vattimo, è dovuta alla necessità di un’ontologia debole che faccia aprire la mente ed il cuore degli uomini alla filosofia della libertà e della storia. Ci vuole cioè un passaggio dalla metafisica dell’essere ad una fenomenologia dei segni, dalla ontologia alla semantica, dal concetto alla metafora, dalla determinatezza alla indeterminatezza, dalla trascendenza all’immanenza. Questo deprezzamento risalta in modo particolare nelle scienze particolari che escludono ogni riferimento a termini che parlino dell’essere in quanto tale. o La diffusione della filosofia del linguaggio. Applicata da Vattimo Lyotard sulla scia delle teorie di Heidegger e Wittgenstein e che tematizza l’oscurità epistemologica della ragione umana, che non attinge la realtà delle cose, ma solo la loro rappresentazione portando così ad escludere la possibilità stessa di un discorso su Dio. Ciò porta alla sostituzione di un linguaggio definitorio ed essenzialistico con un’ermeneutica aperta alla presenza di Dio nelle differenti culture ed espressioni. La difesa di questa trascendenza di Dio, della impossibilità di definirlo ha da una parte fatto riprendere la via negativa della teologia, ma con ciò bisogna fare attenzione a distinguere tra l’impossibilità di definire Dio e l’impossibilità di parlare di Dio con il linguaggio umano che può usare diversi nomi per parlare di Dio, ma che rimane sempre al di sotto della sua definizione. In generale ciò ha portato ad ’intendere Dio come un’entità debole, che corrisponde più ad un divino assoluto che non ad un Dio personale ed interlocutore dell’uomo, infatti nessun Dio è unico Dio, nessuna religione è “La Religione”, nessun salvatore è salvatore universale, tutti gli assoluti diventano nessun assoluto e così anche la fede nasce e muore nel soggetto umano. In particolare le Conseguenze dell’indebolimento della concezione di Dio sono: La frantumazione dell’unico Dio in tanti piccoli dei e quindi la riduzione della fede a morale, ad etica. All’elemento oggettivo dell’autocomunicazione di Dio si preferisce quello soggettivo della ricerca di salvezza raggiunta con varie tecniche e terapie e alla verità dogmatica, che ha per oggetto il Dio Uno e Trino, si sostituisce quella morale, che ha per oggetto il comportamento degli uomini. Tanto è vero che oggi la Chiesa è quasi sempre chiamata ad intervenire solo sul piano etico e mai su quello dogmatico o dottrinale. Detto ciò questo è un richiamo per la Chiesa a non affrontare solo le sue questioni interne (come si è fatto dopo l’illuminismo), ma ad aprirsi anche a quelle che in generale toccano il Regno di Dio e la giustizia; Ella deve uscire dal regno dell’intimistico e della spiritualità invisibile in cui è stata relegata, anche per colpa sua, per rivendicare un ruolo ancora oggi insostituibile per una sostanziosa risposta alla domanda di senso dell’uomo moderno. Dall’altra però bisogna fare attenzione che la relativizzazione dei valori e degli assoluti etici è l’anticamera della decadenza civile e morale di una comunità. L’impossibilità di una concettualizzazione di Dio, che peraltro San Tommaso non aveva neanche fatto perché lui aveva detto che si può dimostrare che Dio è, non che cosa è e l’eventuale attribuzione di nomi a Dio partirà del linguaggio delle cose create. Ma J. Derridà introducendo il suo concetto di Altrità sostiene l’idea dell’irriducibilità delle cose con altre cose, ogni ente è diverso da un altro ente perdendo così la possibilità del discorso analogico perché si estende la decostruzione heideggeriana dell’onto-teologia all’ontosemio-teologia. Ciò rimanda anche alla corrente apofatica della teologia cattolica (Dionigi l’Aeropagita) che non cerca Dio nel linguaggio dell’essere, ma nell’amore, tanto che per il filosofo cattolico G. L. Marion per sopperire all’inadeguatezza del linguaggio dell’essere propone una svolta poetica di amore agapico salvando l’alterità di Dio passando da idolo, a cui è ridotto Dio dal linguaggio dell’essere, ad icona, che manifesta e nasconde allo stesso tempo la realtà. In conclusione va notato che la teologia ha sempre parlato dell’Assoluto i termini relativi non perché vi siano molte verità, ma perché la verità non può essere ridotta ad una concordanza, occorre sì tenere conto dei diversi paradigmi teologici dell’assoluto, facendo attenzione però a non cadere nel relativismo e ricordandosi che il termine Dio rimane comunque il termine sempre valido ed insostituibile per esprimere il rapporto interpersonale tra il singolo credente e l’assoluto. Il sentimento umano come luogo dell’incontro con Dio, come esperienza mistica, più immediata della conoscenza intellettiva, che deriva da una relazione vivente tra l’uomo e Dio: ad un Dio conosciuto con la ragione, se ne preferisce uno sentito, che sembra più umano, più in consonanza con l’esistenza personale dell’uomo. Questo Dio sentito e percepito con il cuore lo si vuole incontrare attraverso l’esperienza ed il sentimento della sua presenza, della sua energia che ci circonda. Questa è la tipicità di quella forma religiosa che è la New Age per cui l’esperienza del divino diventa l’unico parametro per vedere Dio. Nascono così religioni senza Dio e senza Chiesa, liberi nelle loro credenze e senza Aldilà. In esse non si trovano mai termini come peccato, senso di colpa,espiazione, redenzione e grazia, perché in realtà il male non esiste e l’uomo, la natura ed il cosmo formano un tuttuno in cui l’uomo si riconosce come un frammento della coscienza cosmica. Inoltre il dualismo anima-corpo dell’antico gnosticismo viene risolto con l’unità dello spirito e della materia, per cui Dio è quell’energia cosmica che tutto pervade e tutto unisce. Questo Dio cosmodivinizzato è in chiara contrapposizione con il Dio cristiano Padre del cosmo. La separazione dell’esperienza spirituale dalla scienza della teologia, per cui si crede che l’esperienza di Dio non abbia bisogno della conoscenza di Dio e che quindi l’esperienza spirituale sia il luogo teologico privilegiato per ogni discorso sensato su Dio. In una prospettia teologica corretta comunque è la fede che genera l’esperienza spirituale e non viceversa, certo cronologicamente può anche avvenire così, ma logicamente l’ordine è il primo e non il secondo. Con questo comunque bisogna fare attenzione a sapere distinguere tra esperienza spirituale e teologia scientifica, la prima basata sul dono dello Spirito Santo che dona la Sapienza e la seconda sullo studio. In generale quindi la cultura postmoderna tenta di ridurre Dio a misura d’uomo, a qualcosa che si possa gestire a seconda dei diversi schemi di pensiero, ma l’unico indebolimento di Dio, che Lui stesso ha voluto, è quello della chenosi, frutto del suo amore e che non distrugge la metafisica, ma anzi fonda l’unica possibile che è quella dell’agape dischiusa alla sapienza della croce, solo il Dio sofferente può aiutare ad aprire lo sguardo verso il Dio della Bibbia che ottiene potenza e spazio nel mondo proprio grazie alla sua “impotenza”. È quindi Gesù crocifisso, il Dio che immola la sua onnipotenza, la chiave di lettura del mistero di Dio e quindi anche del mistero dell’uomo e che denuncia i limiti di ogni falsa religiosità. L’indebolimento della concezione di Dio non poteva che portare all’indebolimento della concezione dell’uomo, come osserva Romano Guardini <<Il Medioevo aveva considerato l’uomo come creatura di Dio, … completamente affidato alle sue mani … La trasformazione del mondo ha rimesso i questione questa posizione dell’uomo, esse è diventato sempre più un essere contingente situato in un luogo qualsiasi, ed è altresì autonomo e libero di fare ciò che vuole>>, vediamo quindi le Cause dell’indebolimento della concezione dell’uomo: o La riduzione dell’uomo da creatura di Dio alla condizione umana, egli è cioè un semplice esemplare della condizione umana perdendo la sua particolarità come persona, è solo un essere vivente, perché perdendo ogni ancoraggio con il trascendente sperimenta l’insignificanza della propria identità e della realtà che lo circonda. Mentre la fede cristiana (superando la concezione greca basata sugli universali e non sugli individui) ha introdotto la visione di ogni singolo individuo umano come immagine di Dio per sua natura ed essenza, mentre con l’avvento del nichilismo è stato distrutto il soggetto e la gerarchia di valori cui il pensiero e l’azione personalistici avevano fatto costante riferimento. Così come si passa da un Dio personale ad una divinità diffusa così si passa dalla concezione di uomo come persona a quella di umanità diffusa o La spersonalizzazione della persona. La persona infatti è il cuore di ogni antropologia cristiana e della dottrina sociale della Chiesa e che è stata definita, lungo il corso dei secoli, secondo diversi modelli: ontologico, psicologico, dialogico … Questa concezione è stata minata alle fondamenta da: La riduzione psicologica cartesiana che ha indirettamente o direttamente condotto, secondo Mondin, all’egocentrismo ed individualismo di Hegel, al volontarismo di Nietzsche, al sessualismo di Freud i cui tratti unificanti sono che la qualità di persona si sopraggiunge solo quando si arriva alla autocoscienza. Ma per il cristiano l’uomo non è solo ragione, ma è persona con tutte le sue dimensioni vitali, che costituiscono una natura unitaria e come tale sfugge al rapporto di proprietà, ed essendo creata da Dio a sua immagine e somiglianza non può fare a meno di una dimensione religiosa radicale. Dal biocentrismo, che vorrebbe sostituire l’antropocentrismo, e che porta poi a pensare che la razionalità non sia più caratteristica dell’uomo, che lo contraddistingue rispetto al mondo circostante mettendo così in crisi la visione di un uomo come essere razionale e spirituale che deriva la sua razionalità dal suo essere ad immagine di Dio. E questa perdita di razionalità come caratteristica specifica dell’uomo comporta necessariamente la perdita di descrizione di unità del fenomeno umano studiato dalle varie scienze. o L’affermarsi del “quarto uomo”, dove il primo era quello, prodotto dal miracolo greco, della razionalità, che si è congiunto con il secondo della fede, prodotto dalla rivelazione ebraicocristiana insieme con la religione. Il terzo uomo volge le spalle a questi due saperi per privilegiare il sapere scientifico, il cui archetipo è il borghese che produce la grandiosa costruzione della modernità con il suo mito del progresso e la laicizzazione della Provvidenza. Dal dissolvimento di questo nasce il quarto uomo: senza religione; vittima del desiderio e non del bisogno; senza ansia per la verità; senza storia perché per lui esistono molte storie e nessuna è storia e il dopo è solo una necessità per mantenere il sistema eterno del fare e del consumare, il futuro è già finito. Per determinare questo quarto uomo con un aggettivo si potrebbe vedere l’affermarsi del quarto uomo come … o L’affermarsi dell’uomo radicale, dove radicale si riferisce ad una mentalità e ad un atteggiamento tipici della società postmoderna che fanno della singolarità umana una serie indefinita di negazioni: a-teo, anti-clericale, anti-partitico, anti-statale, anti-famigliare, antimilitarista, anti-famigliare ecc. e i cui corollari pratici e politici sono il divorzio, l’aborto, il femminismo, l’omosessualità, l’abolizione dell’insegnamento religioso ecc. che vedono nell’individuo e nella sua spontaneità espressiva l’assoluto valore. L’uomo è quindi: Individuo e non persona, perché il primo ha un ambito semantico molto più ampio del secondo, perché è individuo anche la mela, il gatto ecc. mentre è persona solo chi appartiene al mondo dello spirito. Ma mentre il concetto di individuo indica singolarità,solitudine, chiusura in se stessi, quello di persona indica reciprocità, dialogicità e comunionalità, essa è tale in quanto ha la potenzialità del rapporto con l’altro. La cultura radicale rifiuta il concetto di persona proprio perché filosoficoteologico e quindi non scientifico. Perciò nella cultura radicale la divisione individuopersona è ontologica, mentre in quella scolastica era solo logica. Dalla concezione dell’uomo come individuo deriva l’individualismo che si presenta come stile di vita chiuso e riservato, oppure si maschera dietro il volto della patria, della razz, della professione ecc e si tratta di una vita spremuta solo per se stessi. Buono per natura e proprio per questo la sua libertà deve obbedire solo a se stessa ed alle leggi che si è data, passando da una morale eteronoma basata sul “tu devi” ad una morale autonoma dell’“io voglio”. Perciò l’uomo non porta in sé alcuna “ferita originale” che indebolisca la sua relazione al bene e al vero. Dal punto di vista teologico essa si esprime nel rifiuto di un ordine soprannaturale che nega la realtà del male morale, concentrando nell’individuo la piena misura delle cose. Annullato il dislivello tra individuo come è e come dovrebbe essere, l’etica viene messa in crisi perché sensi ed istinti sono buoni non vanno né repressi, né regolati, ma liberati. Pienamente autonomo, perché non esistendo un ordine metafisico che fondi una certezza di verità non può esserci neanche una legge morale ed una regola degli atti umani, che possa valere per tutti. La libertà è così intesa come soddisfacimento dei bisogni, dei desideri, delle passioni che comporta sempre più diritti, ma sempre meno doveri. La libertà cristiana al contrario è concepita come dono di cui essere responsabili Felice per piacere, non per virtù, mentre infatti classicamente non è felice l’uomo che ha, ma colui che vive secondo virtù, ora la felicità consiste esclusivamente nell’allargamento e nel potenziamento di ogni forma di piacere che richiede una totale copertura di tutti i bisogni della vita, la fuga dalla sofferenza e l’assenza di qualsiasi pena o sforzo. Queste esigenze si saldano perfettamente con l’ethos consumistico. Vincolato dal contratto e non dalla legge. Senza memoria storica, perché la storia è intesa solo come storiografia del passato e non come “scienza”. L’indebolimento della concezione del mondo. Alla morte di Dio proclamata dal nichilismo è stato subito riconosciuto che mondo e uomo non hanno in sé un senso, né un fine, perché sono in continuo divenire, per cui ogni istante ha il medesimo valore visto che manca un termine secondo cui valutarlo. Si ha così anche un passaggio dall’Homo faber (dell’epoca moderna) all’Homo Creator cioè i soggetto produttore di natura artificiale. L’era tecnologica ha così prodotto una nuova cultura basata su quattro assiomi: o Nulla esiste al di fuori dell’universo. o Nella scala animale non ci sono salti di qualità, tutto è un gioco di geni, anche l’uomo. o L’etica umana non ha principi immutabili, essa rappresenta e riflette i costumi accettati dalla società. o La scienza è neutra, lo scienziato scopre e la società applica, i valori sono implicati in quest’ultima e non nel primo In pratica Dio è stato sfrattato dalla sua casa che è il mondo che è stato ridottoad una totalità puramente fattuale.