Vocazione alla santità - Momenti di riflessione dalla Diocesi di

G.A.M. – Gioventù Ardente Mariana
A Gesù per Maria
Campo invernale 2010 - Pacognano, 3 gennaio
“Un uomo secondo il cuore di Dio”
~
Meditazione di Mons. Arturo Aiello – Vescovo di Teano-Calvi
VOCAZIONE ALLA SANTITÀ
Facciamo un po’ di palestra insieme. Spero innanzi tutto di non annoiarvi, non farvi addormentare;
se volete che io smetta, basta che qualcuno di voi dica il Gloria, e immediatamente accorcerò il
brodo, come si diceva una volta. Ringrazio Don Marco. Con certe persone ci si vede poche volte ma
si stabilisce una sintonia, così, immediata; è accaduto tra noi, e quindi mi sono lasciato un po’
portare dal suo invito.
Noi ci incontriamo su due temi, quindi questa sera - avete lo schema davanti in modo tale che
possiate seguire più agevolmente - la vocazione alla santità, e domani un aspetto un po’ più
missionario: l’apostolato del cristiano. O. K., ci siete tutti, tutti svegli, avete preso il caffè, pronti
per questo stretching che facciamo insieme, ovviamente il tema è allettante e avrei potuto
affrontarlo in tantissime maniere. Ho scelto questo tracciato, spero che possa aiutarvi. Se seguite
anche sullo schema evitate il rischio di perdervi o di addormentarvi.
Partiamo da questa parola “santità”, che sentiamo da tanto tempo, da quando eravamo bambini e
che ancora nella percezione di tanti sembra l’appannaggio di pochi eroi, quindi i santi sono quelli
che partecipano alle Olimpiadi, oppure i santi sono quelli di sangue blu, i santi sono predestinati,
diciamo nel modo sbagliato del termine, e quindi facevano miracoli già quand’erano bambini, non
prendevano il latte il venerdì, ecc., e allora, quando sentiamo queste storie, subito ci diciamo: non è
il caso mio. E ce lo diciamo per due motivi, il primo per una certa umiltà: forse non ho la taglia del
santo, forse il mio compagno di banco, forse quella ragazza là in fondo con l’aria mistica, forse quel
giovane superatletico; l’altra motivazione è che ci conviene – purtroppo! –, cioè c’è un senso di
egoismo e di chi si voglia accontentare del minimo, a dire: non fa per me. Allora la grande
rivoluzione del Concilio; per la verità queste cose sono state sempre credute, ma a volte ci sono
delle verità che esistono da sempre, che cadono in una sorta di dimenticatoio, poi qualcuno le tira
fuori e dice: ah, ho fatto una scoperta. Ricordatevi che non si scopre nulla nella fede, è tutto già
scritto, solo che non sempre leggiamo bene, leggiamo con attenzione, per cui dal Vaticano II in poi,
quindi dall’ultimo Concilio, questa idea della santità come dono per tutti ha riavuto il suo respiro, è
come se la santità fosse stata riaffidata a tutti, in particolare ai laici, perché, se ci fate caso, tra i santi
canonizzati, ma attenti, la santità non è mettersi in fila alla Congregazione per i santi per la propria
causa di beatificazione, ma, se ci fate caso, anche questi santi diciamo in vetrina, c’è la santità per
tutti, poi ci sono i santi in vetrina. Come adesso sono cominciati i saldi, proprio oggi credo, ieri, ci
sono i capi che indossiamo tutti, poi ci sono quelli in vetrina. I santi in vetrina per lo più erano
monaci, preti, religiose, ma difficilmente si trovavano dei laici, più delle persone che conducevano
una vita normale e che nella quotidianità del loro esistere avevano risposto ad una vocazione di
santità.
Ecco, allora la prima cosa che vi ho annotato con un interrogativo ma è retorico: Olimpiadi per
pochi o dono per tutti? E la risposta è: dono per tutti, cioè all’atto stesso in cui io sono nato io sono
diventato un candidato alla santità; la mia realizzazione piena, come uomo, come donna, come
laico, come consacrato, come prete, si chiama santità. La santità è la pienezza di ciò che io sono
chiamato ad essere. Diciamo che ciascuno di noi ha dentro di sé un potenziale santo, una potenziale
santità.
Ci siamo fin qui?, ma d’altra parte questo è un concetto facilissimo. Allora facciamo un piccolo
cammino.
Innanzi tutto, ovviamente facendo riferimento alla Scrittura, alla Sacra Scrittura, io non ho messo
citazioni, perché so che siete bravissimi, ma anche per non appesantire, ho citato tra virgolette testi
della Bibbia.
La santità di Dio: “Santo, Santo, Santo, il Signore Dio degli eserciti!” Dove troviamo
quest’espressione? Isaia (bravi!). ecco allora ho detto: questo è un uditorio eletto, è inutile che io
vada a mettere la citazione di Isaia. Il trisavion, come si dice in termini tecnici, che noi tra l’altro
ripetiamo, meglio, cantiamo dopo il Prefazio nel rito della Messa, viene dalla vocazione di questo
giovane, che si trova tutto d’un tratto davanti al Dio tre volte Santo, e in quel testo, che vi andrete a
rileggere, trovate l’idea della trascendenza di Dio, ci sono tutti gli attributi: l’incenso, il fumo,
tremavano gli stipiti al canto dei Serafini, ecc., e cosa dicevano? Dicevano Santo, Santo, Santo.
Come sapete in ebraico non esiste il superlativo, né il comparativo di maggioranza, non so se queste
cose ancora hanno una qualche rispondenza nella mente dei giovani; lasciate stare, non diventerete
santi per questo. Dunque in ebraico il comparativo si dice, come fanno i bambini: buono buono, non
“più buono”, allora buono, poi comparativo di maggioranza: più buono? buono buono; superlativo
buonissimo: buono buono buono. Poiché l’ebraico è una lingua povera, una lingua semplice, fatta di
pochissimi vocaboli, troviamo questo superlativo, indicato con la ripetizione dell’aggettivo tre
volte. Allora questa santità di Dio, e questo è il primo passaggio importante, diventa anche santità di
un popolo. Come? Attraverso l’appartenenza. Dio dice: Voi sarete santi perché io il vostro Dio sono
Santo. Badate che questo passaggio è importantissimo, quindi c’è una percezione di una santità di
Dio che trasborda e arriva anche sul popolo, il popolo che ha Dio per Signore e che ha Dio per
Signore, tre volte Santo è e dovrà essere un popolo santo. Attenti che ho utilizzato due verbi diversi:
“è” e “dovrà essere”. “È” nel senso del dono, “dovrà essere” nel senso dell’impegno. Questi due
verbi, queste due voci verbali valgono anche per voi, anche per me, io sono santo e devo diventarlo,
tu sei santo e devi diventarlo. Chiaro? Allora questa santità da Dio scende su un popolo. Voi dite:
Ma perché questo popolo? Perché così ha deciso Dio. Questo è il suo popolo. E il popolo del Dio tre
volte Santo sarà un popolo santo. Vedete che già abbiamo una piccola rivoluzione, piccola-grande
rivoluzione, quindi la santità, che è di Dio, che è Dio, che è da Dio, comincia a fluire come un
unguento, dice il Salmista a proposito della unzione di Aronne, dal capo sull’orlo delle vesti,
sull’orlo del suo manto: questo profumo, che scende dall’alto, e che raggiunge il corpo, è la santità
di un popolo. Utilizzando un’espressione di S. Paolo, a proposito della Chiesa, che voi anche qui
ricorderete a memoria: siamo il Corpo di Cristo, Cristo è il capo, noi siamo le membra, il Capo è
Santo e il profumo dal Capo scende, fluisce sul corpo. Ecco il primo punto. Una santità che dall’alto
già in qualche maniera, prevedendo e aprendo il senso già al Nuovo Testamento, scende su un
popolo, ma, e qui siamo nella pienezza dei tempi e nel Tempo che stiamo vivendo, nel Tempo
liturgico, la santità di Dio si rivela in Gesù di Nazaret. Cosa era la santità prima? Erano dei segni: il
terremoto. Pensate ai testi dell’Antico Testamento dove si rivela Dio, il Sinai, la teofania, l’epifania
di Dio sul Sinai, terremoto, vento che sconquassa, suono di tromba, fragore di acque, adesso Dio
cambia tonalità - qui ci sono molti musicisti - Dio cambia tonalità. Questa tonalità, forte, da
orchestra, con i violini, con i timpani, con le trombe, diventa, se vi ricordate questo era già nella
esperienza del Profeta Elia, che non vide Dio nel terremoto, non vide Dio nella tempesta, nel vento
che spaccava le rocce, ma a un certo punto sentì un vento leggerissimo. Una traduzione di questo
testo, siamo nel Primo Libro dei Re, dice: sentì il suono del silenzio. Voi l’avete mai sentito il
suono del silenzio? Siamo qui, siete qui in questi giorni anche per sentire il silenzio. Allora dal
“pieno” dell’orchestra arriviamo a una armonica a bocca, che modula un canto di montagna con uno
strumento semplicissimo, o un flauto dolce, che bisogna fare attenzione per sentirlo. Questo è il
cambiamento della tonalità di Dio. E questo vi aiuta anche a capire come mai c’è stata poi una
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difficoltà da parte del popolo ebraico, come mai tutta questa attesa a un certo punto non ha
riconosciuto il Messia, perché Dio ha scelto di venire nella debolezza. Lo stiamo celebrando. Ho
visto con piacere questa composizione natalizia intorno all’Ostensorio, e cioè: Gesù Eucaristia, S.
Giuseppe, la Madonna, così come l’abbiamo rappresentato nei presepi delle nostre chiese, nelle
vostre case, per dire: Chi è questo Dio? dov’è adesso? È nel silenzio, è nella semplicità, è in un
Bambino, “e noi abbiamo visto la sua gloria, gloria come di Unigenito”, pieno di grazia e di verità.
Ecco allora la santità di Dio trova una eco unica e irripetibile nella persona di Gesù di Nazaret. Che
significa persona? Significa: nello sguardo, significa: nella carne, significa: nei vagiti, significa:
nella cacca, perché i bambini fanno anche la cacca, o no?, nella pipì. Stiamo parlando di cose molto
concrete, e poi nell’adolescente, nei pensieri, nei sogni. Gesù si sarà innamorato? avrà sentito la
primavera come la sentite voi ancora oggi? È un uomo a tutti gli effetti, e quindi questa santità di
Dio si rivela nei pensieri, nelle opere, nelle azioni, nei silenzi, nelle lacrime, nel sonno, nella
stanchezza, nella delusione, nella tristezza, nei salti di gioia, che qualche volta Gesù avrà fatto con i
suoi discepoli in un momento – come dire? - di festa, qui si manifesta pienamente Dio con la sua
santità, ma noi sappiamo che nella vita di Gesù di Nazaret questa santità è venuta fuori a forza,
come per un fiume, un lago che tracima, all’atto in cui il suo corpo è stato pestato e si sono aperte
delle vie, che noi chiamiamo piaghe, ma sono delle vie, da cui è fuoriuscito non il sangue ma la
grazia, “e subito ne uscì sangue ed acqua” - il racconto del vangelo di Giovanni è simbolo dei
sacramenti della Chiesa -, e quindi non solo dal costato ma anche da ogni trafittura, che il Corpo
Santissimo di Gesù ha ricevuto, fuoriesce la santità, che esplode pienamente nella risurrezione.
Ancora svegli? O. K. Finora ci siamo riusciti!
Quindi, santità di Dio, santità del popolo d’Israele, santità raggrumata in una maniera
particolarmente forte tanto da creare una implosione ed una esplosione nella vita di Gesù di
Nazaret, in particolare nella sua morte e nella sua risurrezione.
Gesù dice a Tommaso, incredulo: Prendi, entra - badate che questo gesto lo fanno tutti, non è il
gesto degli increduli - metti qui la mano, entra, entra con la mano nella ferita. Vi sembra
un’immagine cruenta, ma è un’immagine bellissima, a dire: tocca il cuore, e Tommaso l’evangelista non dice se l’ha fatto o no, io penso di sì -, mettendo la mano in questa fornace, è
scottato e inondato di una forza, che si chiama santità. Per cui quella donna, che soffriva da 12 anni
di perdite di sangue, l’emorroissa appunto, questo è un vangelo al femminile, si sente guarita
all’atto in cui tocca il lembo del mantello del Maestro.
Vedete: Tutto il vangelo può essere letto come persone che si avvicinano con fede e anche
semplicemente con un tocco vengono salvate, prendono la scossa, ricevono una forza nuova che si
chiama santità.
E qui viene l’impegno del cristiano. È chiaro, non ho fatto questo passaggio altrimenti ci volevano
tre ore, che la santità di Gesù, morte e risurrezione, con questo fiume di grazia che invade il mondo,
è posta nelle mani della Chiesa. Un po’ ho omesso questo aspetto per non appesantire, anche se lo
richiamiamo poi a proposito dei sacramenti. Ora, alla luce della santità del Maestro, viene la santità
del discepolo, cioè posso io, che mi chiamo cristiano, cioè consacrato, cioè di Cristo, amico di
Cristo, essere un mediocre? essere uno che batte la fiacca? essere uno che si annoia?, uno che dice:
ah, va be’, andate voi avanti che io non riesco ad arrivare sul monte… Un lavativo! ecco, dicono i
giovani, un lavativo. Può essere un cristiano un lavativo? Purtroppo l’esperienza ci dice che le
nostre parrocchie, le nostre diocesi sono stracolme di queste persone che dicono: “la santità?
Andateci voi, no grazie”, invece di sentirsi ardere dentro, come i due di Emmaus “non ci ardeva
forse il cuore nel petto mentre Egli ci parlava?”
E io vi auguro che attraverso queste povere parole, che vi sta dicendo un poverissimo vescovo,
qualcuno di voi si senta ardere nel cuore, a dire: ma io ho 18 anni, io ho 20 anni, ho 25, ho 30, ho 40
e che ho fatto fino ad ora? Non è importante che tu ti laurei, non è importante che tu faccia il
Master, che tu segua l’itinerario europeo del progetto Erasmus, tutte cose buone che potete fare, che
dovete fare, ma se voi omettete di rispondere alla vocazione fondamentale, che è la vocazione alla
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santità, voi avete fallito, cioè noi siamo uomini e siamo donne e siamo cristiani nella misura in cui
siamo santi. Allora in me ci sarà forse half and half, 50 e 50, 50 sono riuscito, 50 ancora devo…, e
voi a che state? tu a che stai? come ti impegni, perché questa santità divenga vita della tua vita?
Ho messo qui una espressione molto semplice ma anche verissima del cammino di santità, e cioè: la
santità è l’imitazione di Cristo, dice un testo, che forse avrete letto, anche se va letto un po’ più
nella maturità della vita, che si chiama appunto “Imitazione di Cristo”, che ci viene dal Medioevo,
cioè la santità è null’altro che imitare Gesù, per cui i santi ci invitano a chiederci: Gesù adesso, qui,
al mio posto che farebbe? che direbbe? come risponderebbe? si iscriverebbe su questo Facebook,
dove si discute…, ecc.?, chatterebbe in questa maniera utilizzando termini…? farebbe questa
telefonata? cancellerebbe questo numero dal telefonino? andrebbe a incontrare questa persona che
non si sa bene che panni vesta, con cui sono entrato in contatto attraverso questi salotti o queste
piazze virtuali, dove ci si incontra? Ma è un incontro?, si chiede un povero vescovo. Non sono
contrario, ma chiedetevi: Gesù, che sta al computer, un occhio alla versione, ammesso che se ne
facciano ancora, e un occhio ai miei amici, vediamo chi c’è su Facebook, cosa direbbe? cosa
scriverebbe? che messaggio lancerebbe? Probabilmente Gesù si sarebbe iscritto anche Lui, avrebbe
aperto un sito, avrebbe fatto Facebook per rintracciare Pietro che sta scappando, Giuda che lo sta
rinnegando. Ovviamente sono tutti mezzi utili, l’importante è capire: ma come? come entrerebbe in
questo mondo? Immagino che alcuni tra voi siano fidanzati: Gesù cosa farebbe al mio posto?
Vedete, io potrei anche fermarmi qui, perché la santità è questo: è imitazione, perché l’imitazione è
una dinamica dell’amore. Se due stanno insieme e dopo molto tempo o un po’ di tempo non si
somigliano un po’ stanno perdendo tempo. L’amore fa somigliare. Adesso il cristiano è uno in una
dinamica d’amore nei confronti di Gesù, per cui senza che un vescovo gli dica: “Tu ti devi
comportare come Gesù si è comportato”, dovresti sentire dentro di te questa esigenza, e poiché
Gesù ha vissuto in Galilea e in Giudea 2000 anni fa, Facebook non c’era, tante possibilità di
comunicare, sperando che sia vera comunicazione, non le aveva, io ce l’ho, ma mi devo chiedere:
oggi cosa farebbe? Questa è la via della santità.
E poi vi ho messo qui una citazione tratta dagli Atti, dove vediamo questa somiglianza. Non so se
avete mai letto gli Atti come il vangelo della Chiesa, come la realizzazione di quello che ha fatto e
ha detto Gesù, fatto e detto dai suoi discepoli. Bene, Pietro e Giovanni stanno salendo per la
preghiera al tempio, stanno alla porta Bella, ci sta il solito storpio, ecc. a chiedere l’elemosina, e
Pietro dice, quando quello chiede “dammi qualcosa”: “Non ho né oro, né argento, ma quello che ho
te lo do: alzati e cammina”. Ecco l’imitazione, cioè è accaduto qualcosa nella mente di Pietro e
Giovanni, che fa dire all’apostolo quello che avrebbe detto il Maestro, cioè Gesù in questo
momento che avrebbe fatto nei confronti di questo storpio? L’avrebbe guardato, avrebbe fatto
l’elemosina, avrebbe detto una buona parola, sarebbe passato alla larga per non incrociarlo? Forse
lo avrebbe guarito, allora ci provo anch’io. Provateci, ci provo anch’io, non ho né oro, né argento,
cioè non posso risolvere i tuoi problemi immediati, che poi non sono i veri problemi, tu hai altro, tu
sei un infelice, tu devi iniziare un cammino che è il cammino cristiano.
La fede cristiana nelle origini veniva detta odos, via, voi la state percorrendo, e allora mentre la
percorrete non potete non diventare come il Maestro. Tutto qui. È difficile? Non è difficile se siamo
in una dinamica d’amore, è difficilissimo, anzi impossibile se siete fuori di una dinamica d’amore, e
quindi non c’è nessuna voglia di appartenere, non c’è nessuna voglia di assomigliare, non c’è
nessuna voglia di dire: a Gesù vorrei fargli un dono.
Quando viene S. Valentino, il 14 di febbraio, le ragazze non se lo dimenticano, e anche i ragazzi, in
particolare le ragazze, che hanno migliore memoria, ma ti è mai venuta la voglia di portare un dono
a Gesù? Perché se è la festa degli innamorati noi siamo innamorati, o no? perché se non siete
innamorati, allora non potete far parte né della Chiesa, né del movimento GAM, che è
un’espressione della Chiesa, cioè entrerete in quella massa di persone, che ho chiamato prima dei
lavativi, quelli freddi, ghiaccioli, che non si smuovono, non si commuovono per nulla, e che non
caveranno nulla di buono dalla loro vita. C’è quest’altra possibilità, che è la possibilità d’essere
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innamorati, allora a S. Valentino io faccio il regalo a Gesù, e speriamo non solo il 14 di febbraio, tra
l’altro in questa diocesi il 14 febbraio è la festa di un altro santo, che è uno dei patroni della diocesi,
S. Antonino, ma potete immaginare che S. Valentino sfonda, in una partita S. Antonino-S.
Valentino: 1 a 0 per S. Valentino, che con tutti i cuori, i cuoricini, i Baci Perugina, i Lindor, e
quant’altro, riesce a spiantare anche il santo patrono della diocesi.
Ci sono delle luci di riferimento che sono le tre virtù teologali. Alla fine potreste dire: Ma come
faccio a capire se sono o non sono incamminato nella via della santità? Facciamo questo poi
facciamo un canto così vi ristorate anche un attimo e io mi riposo un attimo le corde vocali.
Ci sono tre luci di posizione, ci sono tre stelle polari, tre riferimenti nel cielo, per dire: sto
camminando bene o no? Da sempre, si è fatto riferimento alle virtù teologali, e cioè: fede, speranza,
e carità; teologali, perché vengono da Dio ma anche perché ci portano a Dio, per cui un santo, e io e
voi dovremmo essere in questa dimensione, almeno in tensione, suona questi tre movimenti della
sinfonia. Voi sapete che ogni sinfonia ha tre movimenti, il secondo normalmente è un adagio, il
primo è un po’ con brio, poi c’è un prestissimo, terzo movimento. Il primo movimento è la fede, la
fede. Cioè i santi credono, ma in che cosa credono? Io non so più a chi credere, diceva un
cantautore che i giovani ricorderanno, e invece noi sappiamo a chi credere, e non crediamo solo in
Gesù ma crediamo, come diceva l’atto di fede, di cui adesso si è perso un po’ memoria, crediamo in
tutte le cose che la Chiesa propone a credere. Domanda: Ci siamo su questo piano? siamo attestati?
Tutte le cose che la Chiesa propone a credere. Adesso voi starete pensando: i dogmi? Non solo.
Sono poche le verità definite in una maniera diciamo definitiva, ci sono altre cose che fanno parte
del patrimonio della fede e che la Chiesa amministra come una sorta di scrigno che apre e un giorno
vi presenta uno zaffiro, un giorno vi presenta un diamante, un giorno si festeggia un rubino, un
giorno tiriamo fuori una collana di perle, un giorno una parure di - lo facciamo un po’ per far
brillare gli occhi delle donne - di perle d’angelo, per esempio; io so che molte donne farebbero i
salti mortali per avere una bella collana, un paio di orecchini, e un anello di questi coralli rosa.
Ecco, la Chiesa che amministra questi beni, di volta in volta, durante l’anno liturgico, ora tira fuori
un diamante, ora tira fuori un’acquamarina e dice: “questa è una verità”, e noi dobbiamo dire: Sì,
grazie, grazie madre che conservi nel tuo scrigno, altrimenti qui non sapremmo più a chi credere,
altrimenti così è se vi pare, ognuno si fa la sua fede. Come diceva un cantautore un po’ di anni fa:
un po’ di tutto sulla mia scrivania, ho un Crocifisso, però ho anche Budda, ho anche quell’altro,
così… Diciamo un minestrone. In fondo i vostri coetanei credono questo e non credono in niente,
quindi vedete l’importanza della Chiesa, che io poveramente qui rappresento, che rappresentano i
vostri preti, noi siamo qui al vostro servizio, voi dovreste dirci grazie, non grazie a noi persone ma
grazie a ciò che vi rappresentiamo, è chiaro che la Chiesa siete anche voi, in questo ministero di
custodia: dimmi un po’, in che cosa devo credere? Anche Francesco di Assisi, che era un santo,
andò a chiedere al prete: aprimi il vangelo, fammi capire cosa devo fare. Questo è il movimento con
brio, poi c’è il movimento lento, l’adagio, che si chiama speranza. Difficile oggi, difficile anche per
i giovani, che dovrebbero sperare naturalmente, perché le previsioni sono catastrofiche, perché forse
non usciremo da questa crisi, perché c’è un’apocalisse in atto. La speranza è andare al di là dei
problemi che mi assillano in questo momento; io per esempio ho un leggero mal di testa, e voi
starete pensando: ma perché non ti viene più forte così la smetti? Io (ho letto un cattivo pensiero
nella vostra mente) a dire: mi aspettano cose grandi per questo sacrificio che sto facendo, parlando,
sbracciandomi e sudando davanti a questi poverini, insomma, condannati ad ascoltarmi, mi
aspettano cose grandi, attraverso le difficoltà arriviamo alle stelle, per aspera ad astra, e questi astra,
cioè queste stelle si chiamano “Paradiso”, si chiamano “Vita eterna”, si chiamano “salvezza”. Ecco,
la speranza è dire: Sì, mi sembra che stia precipitando tutto ma il Signore non ci abbandonerà. E
poi: carità. Ho espresso qui questo terzo movimento della sinfonia, e mi fermo un attimo, con: Porre
amore nei piccoli gesti quotidiani. È questa la carità. Sopportare la moglie, il marito, i figli, i
genitori, fare le cose quotidiane, non è che noi diventiamo santi facendo… No, solo piccole cose,
ripetendo le formule, andando a scuola, studiando, lavorando, preparando da mangiare… ci
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santifichiamo così, ma se – attenti – in queste piccole cose io pongo un additivo che allarga il
respiro e il valore di questo gesto, che si chiama amore, amore. Allora mi fermo un attimo qui,
pronti intanto, che sia un po’ vivace così si svegliano.
Canto corale
Ritorniamo al nostro cammino. Seconda parte, più breve ovviamente.
Mentre io parlavo, se mi avete seguito e se io sono riuscito in qualche maniera a rendermi
comprensibile, insomma, ecco, vi sarete chiesti: Sì, bello, bellissimo, ma com’è? com’è? dove
prendere la forza per essere a questa altitudine? Gesù cosa farebbe al mio posto? Fede, speranza,
carità. A volte perdo la pazienza, i piccoli gesti mi appaiono noiosi. Come fare? Noi abbiamo una
grande forza.
Il vostro fondatore ho letto che aveva i suoi tre bianchi amori, ve li ha consegnati, e uno di questi
amori bianchi è l’Eucaristia, Gesù Eucaristia. Una forza che rimane inesplosa nelle nostre chiese
perché pochi riescono a utilizzare il detonatore, perché pochi partecipano, e quei pochi che
partecipano, spesso lo fanno in una maniera, così pedante, che smette d’essere il gesto più bello
dell’amore, per diventare a volte addirittura un gesto volgare. Non vi sembri azzardato questo mio
accostamento un po’ ardito, ma lo faccio per attirare l’attenzione dei giovani: l’Eucaristia è come
l’amore. L’amore, vi accorgerete anche ragazzi e ragazze che, se non starete attenti, nella vostra vita
coniugale domani, perde di mordente, diventa ripetitivo, banale, qualche volta addirittura volgare.
Possibile che quello che ho sempre sognato, ciò che ho atteso - sperando che voi sappiate attendere
- ciò che ho atteso per tanto tempo, adesso con una parola per la quale mi sia esercitato allo
specchio, un verso, una battuta, un testo teatrale, ripetuto infinite volte per poterlo dire bene all’atto
in cui si sarebbe aperto il sipario e i riflettori avrebbero fatto in modo che io emergessi dal buio,
possibile che questo gesto atteso tante volte, sognato, adesso non mi dica più niente? Gli adulti, che
mi stanno ascoltando, sanno a che cosa mi riferisco, ma potete intuirlo anche voi, cioè che quello
che di più grande noi possiamo porre sul piano dell’amore, dell’abbraccio, dell’unione, della
coesione, così come è scritto nel Libro di Genesi, possa diventare un gesto banale, ripetuto
malamente, volgarmente, terra terra, senza ali, senza sottofondo musicale, senza parole dolci? In
una parola: amore senza amore. Purtroppo questo accade per quel roveto ardente che si chiama
Eucaristia, celebrato da noi e da voi in una maniera pedante, al punto da farcene disamorare. Perché
la gente non viene in chiesa? Perché pensa che sia inutile, perché non… “ma che fanno? sempre le
stesse cose, ma che dicono? che significa?” Si sta perdendo la memoria. Questo, uno dei tre amori
bianchi, che il vostro fondatore vi ha consegnato, è proprio l’Eucaristia, dove nella Preghiera
Eucaristica noi diciamo: “Padre veramente santo, fonte di ogni santità, santifica…”. Vedete, in
questa espressione c’è riassunto tutto quello che noi ci siamo detti finora, attualizzato
nell’Eucaristia, non solo raccontato ma realizzato: “Padre veramente santo, fonte di ogni santità,
santifica…” che cosa? Voi starete pensando: le offerte. Certo, ma anche la Chiesa, quelli che stanno
lì, chi sta celebrando, chi sta presiedendo, per cui se uno entra in questa dinamica eucaristica ha la
santità sicura. Non si può esser santi senza, fuori, lontani dall’Eucaristia, perché ci si santifica lì, e
dovete sapere che la santificazione non è solo sul pane e sul vino ma anche sulla Chiesa. Nella
struttura delle Preghiere eucaristiche c’è questa doppia epiclesi, si dice, cioè invocazione dello
Spirito sulle offerte ma anche sulla Chiesa, è come se invocassimo lo Spirito Santo sul pane e sul
vino, perché sia il capo, Cristo capo, ma anche sulle membra, perché siano le membra di Cristo, ma,
se il Capo è Santo, anche le membra saranno sante, e quindi di Eucaristia in Eucaristia, di Domenica
in Domenica, e spero che qualcuno di voi, di giorno in giorno, “perché quando posso - spero lo
stiate pensando, lo stiate facendo - io vado a Messa anche durante la settimana, perché non posso
farne a meno, perché sono un drogato santamente dell’Eucaristia”, se si realizza questa dipendenza,
voi entrate in un circuito di santità, che polverizza i vostri peccati, che polverizza le vostre e le
nostre deficienze, le nostre debolezze, e, di volta in volta, saliamo sempre più di tonalità, di grado,
di luminosità.
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Un cristiano cresce così, un santo si fa così.
E allora chiediamo – andando verso la conclusione – una affezione a ciò che celebriamo.
L’Eucaristia, fonte e culmine della vita della Chiesa - dice un testo conciliare - fonte e culmine, ciò
da cui proviene la Chiesa, ciò verso cui tende. Avete fatto un canto, se sono riuscito a seguire le
parole, di indole escatologica, perché poi: ci incontreremo, ci rivedremo… Ecco, l’Eucaristia
riassume, in mezzora, tre quarti d’ora, un’ora, un’ora e mezza, questa Chiesa che nasce, che è
bambina, che poi diventa forte ed è santa nella comunione dei santi, e nell’Eucaristia io faccio
esperienza della Chiesa: una, santa, cattolica e apostolica. Una, santa.
Ricordate le intestazioni delle Lettere paoline? Paolo scrive a coloro che fanno parte della Chiesa di
Roma, e come li chiama? Santi, santi per vocazione, a coloro che sono santi…, e quindi non si può
far parte della Chiesa, e celebrare l’Eucaristia, senza entrare in questa dinamica, in questo circuito
di santità. Ma basta la celebrazione - stiamo facendo una catechesi molto semplice - ma basta la
celebrazione eucaristica, fosse anche quotidiana, per mantenere alto il tenore della mia vita
cristiana, e dunque la mia tensione di santità? E la risposta è no, perché, mentre questo momento è
fortissimo da un punto di vista di grazia, ha bisogno di tanti altri momenti, seminati nel corso della
giornata, che tengano, che richiamino la grazia.
Come sapete ci sono dei farmaci che ne richiamano altri, cioè che immettono delle sostanze
chimiche e che richiamano, si chiamano i farmaci di richiamo. Che cosa richiama l’Eucaristia? La
preghiera. Voi siete amanti del Rosario, e io vi lodo per questo, perché anch’io sono un tifoso da
sempre, il Rosario è un modo litanico di lode attraverso la preghiera dell’Ave Maria, attraverso il
Padre nostro, attraverso la meditazione dei misteri di Cristo, ma la fonte, il centro è sempre
nell’Eucaristia, allora quando io recito il Rosario è come se questo piccolo farmaco, che è il
Rosario, mi richiama la grazia della celebrazione eucaristica di Domenica scorsa, mi richiama la
grazia, e così spero che qualcuno di voi lo faccia, non solo i preti e i seminaristi, le Lodi, il Vespro o
qualsiasi altra forma di preghiera, ancor più questo valga per l’adorazione eucaristica, dove
riceviamo continuamente delle sollecitazioni verso l’alto, perché vi rendete conto che la legge di
gravità è una cosa terribile nella vita spirituale. Tante cose ci tirano giù, a volte dopo una
celebrazione basta una battuta, basta che io veda un film, basta che senta un pettegolezzo, mi cade
tutto, allora ho bisogno di una cura continua. Questa cura continua si chiama preghiera. La
preghiera è il respiro dei santi.
Siamo qui in questa parrocchia di Pacognano, non so se lo sapete è dedicata a S. Alfonso Maria dei
Liguori, che è passato di qui. S. Alfonso senza mezzi termini, in una maniera un po’, a noi
sembrerebbe terroristica, ha questa espressione, ma è verissima, dice senza mezzi termini: Chi prega
si salva, chi non prega si danna. Così, tah, tah, senza fare troppi arzigogoli, come sto facendo io
stasera. Chi prega si salva, chi non prega si danna, non perché la preghiera debba essere una sorta di
offerta, no, perché ne abbiamo bisogno, come dire: chi respira, sta bene e vive, chi non respira
muore. Nessuno di voi batterebbe ciglio se dicessi: se non respiri muori, se invece dico con S.
Alfonso: “Se preghi ti salvi e se non preghi ti danni”, ah, avete qualche gesto di insofferenza, è
l’identica cosa, perché c’è una vita spirituale, c’è una vita dell’anima che va alimentata, così come
per la vita del corpo, il circuito, la purificazione del sangue, noi abbiamo bisogno dell’azione del
respiro, che immette una dose di ossigeno, che va a purificare il sangue per la vitalità di un corpo.
Come vedete poi questa via alla santità non è così strana, così, insomma… per pochi eletti, così
complessa, non è un’enciclopedia, non è una Treccani, non è… No, è la vita cristiana: Fede,
speranza e carità, Eucaristia, ovviamente dovrei dire vita sacramentale, ma avremmo allargato il
brodo eccessivamente, quindi i sacramenti, la preghiera, ed ecco che, chi fra voi, mentre io dico
queste cose, si sta dicendo: “Ma io queste cose le faccio”, allora lasciate che io vi dica: Bene, sei
sulla via giusta. Se invece nella pagella che vi state facendo adesso sul display mentale: “no, questo
lo faccio, quello non lo faccio”, rettifica, riprendi la rotta, riorientati, cioè ritrova l’Oriente,
altrimenti tu giri in tondo. Ci sono persone che fanno tante cose ma non fanno l’unica cosa
importante.
7
Andiamo verso la conclusione.
La santità dono gratuito di Dio, e al tempo stesso sforzo dell’uomo. Sembrerebbero due cose in
opposizione, non lo sono.
“La santità dono di Dio” significa che Dio ci fa santi senza che noi ci sforziamo. Sperando che
stasera voi dormiate, perché questo è sempre un punto dolens, quando si fanno gli incontri, i Ritiri, i
Campi scuola: la notte. Mettiamo il caso, spero, altrimenti io domani parlerò ai fantasmi, perché
state tutti con gli occhi, o con gli occhiali scuri o con le occhiaie, mentre voi dormirete sarete
santificati. Ecco in questo senso la santità è un dono. Io dormo e il mio cuore veglia, dice il Cantico,
io dormo e sono santificato, io respiro e sono santificato, io guardo un tramonto e sono santificato,
cioè la santità ti raggiunge e ti esalta. Questo è l’aspetto del dono. Era poco evidenziato prima,
perché nella mia generazione, ma vedo anche qualche capello bianco nell’uditorio, noi, insomma
quelli di Matusalemme, quelli di Pappagone, quelli insomma dell’Antico Testamento, come me,
siamo stati educati con: io mi devo fare santo, esercizi, estensioni, ecc., sembrava che la santità
fosse frutto solo di sforzo. Io non mi faccio santo, Dio mi santifica. Chiaro? Allora bisogna dire
innanzi tutto che la santità è un dono ma poi contemporaneamente dire che la santità è l’impegno di
ogni giorno. Se queste due cose si incontrano, il dono viene dall’alto e l’impegno viene dal basso, il
bacio, l'incontro, il punto d’intersezione di queste due dinamiche è la santità vera, perché è dono ma
è anche accoglienza, è un aereo che deve atterrare ma è anche una pista, un aeroporto che lo
accoglie, non si può atterrare nel deserto, ho bisogno di una pista, la pista è tutti gli sforzi che tu fai
per essere migliore, per essere più buono, come dicevamo quando eravamo bambini. Ho fatto
riferimento ai santi Innocenti perché, ed è la liturgia di qualche giorno fa, precisamente il 28 di
dicembre, dove questo aspetto della santità-dono è, forse come non mai celebrato nella liturgia,
perché? Perché questi bambini, senza saperlo, sono santificati, mica sono diventati martiri per la
fede, mica hanno fatto da scudo a Gesù, niente, erano piccoli, avevano un anno, due al massimo,
sono stati uccisi, e la Chiesa li ha riconosciuti santi, perché Dio li ha santificati, perché, senza
parlare e senza poter esprimere una scelta, sono stati investiti di santità. Anche su questo voi siete
preparatissimi, questo che sto dicendo dei Santi Innocenti è avvenuto in una maniera ancora più
forte e particolarissima nella vita di Maria di Nazaret. Cos’è l’Immacolata Concezione, se non
questo? È l’azione di bene di Dio prima che Maria nasca, come se sul vostro conto, come se all’atto
della nascita voi trovate un conto corrente su cui ci sono depositati 10 milioni di euro. Ma io non li
ho mai guadagnati! Sì, te li ha dati Dio, te li trovi, puoi spenderli quando vuoi. Questa è la santitàdono. Vi ho citato i Santi Innocenti, Maria, ovviamente esempi impareggiabili, ma questo vale
anche per noi, dall’altro deve esserci l’impegno, lo sforzo, la palestra, il dire no. “C’è chi dice no”.
Chi lo dice? Le citazioni bibliche le avete dette più forti, Vasco Rossi lo avete detto più sottovoce.
Vasco Rossi. C’è chi dice no. Dice Vasco Rossi, che santo non è, almeno a giudicare da certe
nuvole che salgono durante i suoi concerti, e non solo, ma questo è fumo passivo. Se voi andate ai
concerti di Vasco Rossi fumate anche senza fumare, però in quella canzone dice una cosa bella:
“C’è chi dice no”, cioè c’è chi va controcorrente, e quella canzone, forse battezzata da parte nostra,
è farne un inno della santità giovanile. Voi sapete dire no? C’è chi dice no ai rapporti
prematrimoniali, c’è chi dice no a un certo modo di vivere la sessualità, c’è chi dice no a una vita di
carnevale eterno, c’è chi dice no, c’è gente di coraggio, c’è chi dice no. Allora quelli che dicono no
sono questi santi nella dimensione ascensionale, su questo sforzo c’è la dimensione discendente,
discensionale, che è la grazia, e il bacio tra queste due dimensioni è la santità. Questo si riassume –
e finisco – in due parole (perché non ce lo hai detto all’inizio, così ci risparmiavi tutto questo
cammino? È perché non le avreste gustate, così come siete in grado di gustarle adesso): Mistica,
ascetica. Questa è la vita cristiana. “Mistica” significa dono, mistica viene da mistero, è ciò che
viene dall’alto, mistica. Mistica, ascetica. Ascesi è lo sforzo, è dire no, no, non vengo a questa festa,
no, non partecipo a questo club, no, non entro in questo salotto, che non capisco bene che panni
veste, no, no, dico no a me stesso.
Ebbene, l’incontro tra mistica e ascetica è la santità.
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Ho messo alla fine una bellissima espressione di Leon Bloy, che ho sentito fin da quando ero
ragazzo dal mio padre spirituale: “Non esiste nessuna altra tristezza al mondo che questa: non
essere santi.
Vi auguro d’essere liberati da questa terribile tristezza oggi e sempre. Amen.
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Il testo, tratto direttamente dalla registrazione, non è stato rivisto dall’autore.
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